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Autore: Miryel    15/02/2020    33 recensioni
Peter indugiò sulla porta, non appena la raggiunse. La mano avvinghiata alla maniglia, con troppa urgenza nei gesti, di abbandonare quella stanza. Tony gli sentì evaporare via un sospiro contorto. Non seppe definirlo. «Dammi tempo», disse solo, e sapeva di una promessa che non avrebbe potuto mantenere. Ma Tony non voleva promesse, da Peter. Voleva solo che tornasse a splendergli addosso, come un sole e lui lo avrebbe seguito sempre; sarebbe stato il suo girasole.
[ Tony&Peter - lieve accenno TonyxPeter - Angst/Malinconico - WhatIf? - Tematiche Delicate - Post EndGame ]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ' It Wasn't Easy To be Happy for You'
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Attenzione: la storia è divisa tra passato e presente, come spiego meglio nelle note, dunque i due momenti sono sostanzialmente divisi tra Peter che chiama Tony per nome e nell'altro "Signor Stark". Lo puntualizzo, siccome pare non sia di facile comprensione.  Tenterò di sistemarlo, nel caso non fosse lampante.
 
 
  [ Tony x Peter - Angst/Malinconico - WhatIf? - wc: 4505 ]  
  Everybody's Gotta Live  

and everybody's gonna die
 
«Everybody's gotta live, And everybody's gunna die.
Everybody's gotta live, I think you know the reason why.
»
Love - Everybody's Gotta Live

 

 

Capitolo I

 

Un raggio di luce gli baluginò negli occhi, poi sparì e cedette il passo ad un muro di persone che lo circondarono, di corsa, mentre l’astronave sopra di loro si dissolveva e lasciava che il cielo si aprisse; il sole sembrò esplodere, e il suo calore gli carezzò le guance. Riuscì a stirare un sorriso, mescolato ad una smorfia di dolore. Sentiva il sangue in bocca, sotto al palato. Sapeva di ruggine e di polvere. Ogni volta che annaspava aria, terra e sabbia gli raschiavano la gola. Gli mancava la sensibilità di tutta la parte destra del corpo; a tratti la sentiva bruciare, quando folate lievi di vento lo attraversavano. Rhodey gli posò delicato una mano – ricoperta dall’armatura – sulla guancia; lo fece con dolcezza, e il freddo del metallo gli diede quasi sollievo, contro la pelle bollente. 

«Ehi, come ti senti?»  

Avrebbe voluto rispondergli, ma non ci riuscì. Scosse la testa e tentò di mantenere quel sorriso sulle labbra, ma il dolore gli annebbiava la vista; e i pensieri. Non sapeva nemmeno se ce l’avevano fatta; non sapeva nemmeno se, alla fine, era valsa la pena schioccare le dita. Ma da quei sorrisi stanchi, pareva di sì. Erano tutti intorno a lui, col fiato raccolto nei polmoni e nelle guance, e l’unico che aveva avuto il coraggio di avvicinarsi era stato solo il suo migliore amico. Lo ringraziò con gli occhi, quando vide che, sulla guancia, gli era scesa una lacrima. Sto bene! Che hai da piangere? avrebbe voluto dirgli, ma non ne aveva le forze. L’erba cattiva non muore mai, lo sai meglio di me. 

La verità era che piangevano tutti. Dio, che patetico siparietto! Girò lentamente la testa per guardarli, e fu attraversato da un gorgoglio, quando vide Thor singhiozzare come un bambino; le mani strette vicino al cuore, a guardarlo come se non ci credesse nemmeno. Chissà a cosa... 

Poi, in mezzo a quella calma – come un tornado, arrivò l’uragano della sua vita a travolgerlo di nuovo, dopo cinque anni in cui aveva cercato di seppellire il suo ricordo, senza mai riuscirci davvero. Come un ragno che corre verso la sua preda, Peter atterrò poco distante da lui, dopo averlo raggiunto barcamenandosi con le sue ragnatele tra i pochi appigli che quella zona aperta offriva. Rimase solo qualche istante a guardarlo da lontano, poi gli corse incontro e si piegò sulle ginocchia, di fronte a lui. Inclinò la testa per guardarlo meglio, e i suoi occhi si inumidirono da un secondo all’altro. Gli posò una mano sulla sua; cercò di stringergliela, solo per rassicurarlo che era tutto dannatamente okay. 

«E-ehi! Li ho visti sparire all’improvviso, pensavo che…», sorrise, dapprima, ma poi strizzò le labbra e abbassò lo sguardo. Iniziò a piangere come se avesse gettato via dalle spalle il peso di una paura che finalmente era sfumata via. «Pensavo che fossi morto», ammise, gli tremò la voce e non alzò la testa, nemmeno quando lui sollevò la mano sana – tremante, per arruffargli i capelli. Cinque anni che non lo vedeva, e dio solo sapeva quanto gli era mancato. 

«Sei pazzo», soffiò, «Potevi morire sul serio.»

Non aveva la forza di aprire bocca e rispondergli. Peter alzò la testa e, mentre si passava il dorso della mano sugli occhi per asciugarli, sorrise raggiante.

«Ma abbiamo vinto, Tony. Ce l’hai fatta.» 

 

 

«Ragazzo, santo cielo! Sei il mio incubo!»

«Non volevo disturbarla, mi scusi!»

Tony si ritrovò a sorridere, mentre poggiava il gomito allo stipite della porta del suo ufficio, poi sospirò divertito, in attesa. Non ci riusciva mai a contenerlo, quel guizzo divertito, quando Peter Parker gli si parava davanti. Un po' perché il suo fare genuino, inesorabilmente, era in grado di buttare giù qualunque malumore lo fronteggiasse come un muro, un po' perché la compagnia frizzante di quel ragazzo era sempre, dannatamente piacevole. Lo stava guardando come se volesse estirpargli dagli occhi le risposte che cercava, solo che Tony non conosceva ancora la miriade di domande che sicuramente gli avrebbe posto, per quello sospirò e inclinò la testa di lato, in attesa.

«Dunque? Che c'è, Parker? Vogliamo restare tutto il giorno a fissarci davanti al mio ufficio o hai intenzione di dire qualcosa?»

«Oh, sì, ce-certo, signor Stark», esordì, poi intascò le mani nei jeans, a disagio. «La tuta è perfetta ma c-ci… ci sono u-un sacco di cose che vo-vo-», si bloccò, strizzò gli occhi e indurì i muscoli del collo, poi riprese, «volevo chiederle, se per lei no-non è un problema», sorrise poi, impacciato, tirando un sospiro di sollievo mentale, che Tony gli vide uscire comunque dagli occhi. Ogni parola buttata fuori era una sfida contro la mente, eppure quel ragazzo si sforzava ogni istante di fingere che non fosse così. Gli faceva tenerezza e allo stesso tempo provava un moto di rabbia incalcolabile. Avrebbe voluto fare più di fingere che non notasse quelle difficoltà. 

«Dipende. Nessuna aggiunta stupida, nessun ripetitore bluetooth per sentire la musica mentre sei in missione, nessuna tasca sulle chiappe. Ho altri tabù, ma questi sono di certo i principali», grugnì, storcendo il naso e contando sulla punta delle dita ognuna delle raccomandazioni; Parker sembrò andare nel panico. Una di quelle cose che divertivano Tony, più del dovuto e che un po’, le preoccupazioni, le annullavano. 

«N-n-no! Niente di tu-tutto questo! È solo qualche domanda tecnica e altre co-cose così. Se ha un minuto… o fo-forse anche du-du-due o tre», ironizzò il ragazzo, arricciando le labbra senza però perdere il sorriso impacciato che aveva messo su da quando gli aveva aperto la porta e se lo era trovato davanti, con le mani dietro la schiena, raggiante. 

Peter, la sua balbuzie, non l'aveva accettata davvero – chi lo aveva mai fatto, dopotutto? – ma erano lontani quei giorni in cui a malapena riusciva a mettere, una dietro l’altra, parole comprensibili. Aveva imparato a respirare meglio, a darsi un ritmo musicale meno incerto, e aveva imparato qualche trucchetto del mestiere, per nasconderla un po', ma era ancora lunga la strada verso dei miglioramenti più concreti. 

Si sforzò di sorridere. «Va bene. Sto andando in pausa pranzo, vieni con me? Parliamo davanti ad un hamburger con cheddar?»

«S-sì! Certo! Oltretutto sono in pa-pa-pausa pranzo anche io!»

 

 

Odiava rimanere precluso in quella casa tanto quanto odiava quella precarietà intrinseca nei sentimenti, che era costretto a vivere da quando la battaglia senza fine aveva raggiunto, poi, il suo epilogo. Tony Stark non era fatto per staccare le pile e consumarsi in un letto, in attesa di stare meglio, ma il suo braccio era la cosa più simile ad un ramo bruciato da un incendio devastante, dal quale era uscito illeso per miracolo. Forse la guerra era ancora troppo fresca per poter asserire di averla abbandonata davvero; forse per questo era tanto difficile tirare quel sospiro di sollievo che gli penzolava nella carotide, pronto ad uscire. Forse per questo, quando bussarono alla porta, trasalì come se, dall’altra parte, ci fosse Thanos che reclamava la sua vita. 

«Avanti», disse, troppo piano, mentre deglutiva la saliva e chiudeva il libro che stava tentando di leggere da ore con l’ausilio della sola mano sana. Si lasciò andare ad un sospiro, mentre lo posava sul comodino della sua stanza e, quando Peter fece capolino da uno spiraglio della porta, sentì le labbra tirare in un sorriso inaspettato. Si sentiva come un bambino piccolo che rivede il genitore preferito dopo giorni, o mesi. Solo che Peter era sparito per anni, e non per un viaggio di lavoro o per uno di piacere. Era sparito tra le sue braccia, lasciandogli un vuoto nel cuore e uno nelle mani, quando di lui era rimasta solo della polvere nel vento e nessun corpo su cui piangere, o seppellire.  Cinque anni passati e ancora non riusciva a dimenticare un singolo frame, di ciò che era successo e di come lo aveva perso. Di come, infine, se aveva scelto di mettersi in gioco e tornare sui suoi passi, era stato solo grazie al dolore devastante che aveva provato, e alla speranza di rivederlo. 

«Ehi», salutò Peter, come se non fosse mai sparito per cinque anni e come se Tony non avesse schioccato le dita, rischiando di morire, per salvare l’universo.

«Ehi», gli rispose, e quando lui si avvicinò e si sedette sul suo letto, gli prese immediatamente una mano, con la sua sana, alla ricerca di un contatto tattile e visivo. Si sentì a casa. 

«Hanno detto che devi stare a riposo per un po’. Immagino che sia una specie di supplizio, per te», sorrise leggermente Peter, e la situazione sembrava galleggiare in una bolla d’aria compressa, pronta ad esplodere. Tony avrebbe voluto che le cose potessero tornare a cinque anni prima, in un batter d’occhio, ma era consapevole che non potesse essere così, per ora. Per nessuno dei due. 

«E mi hanno detto che tu non stai andando a scuola.» 

«Hanno preferito chiudere l’anno e ricominciare il prossimo semestre. Una scelta saggia; non saprei proprio da dove partire, se decidessero di riaprirla ora», rispose Peter, lasciandogli andare la mano, con un movimento lento e senza ricercarla, poi. Tony si chiese il perché, ma nessuna domanda aveva una risposta razionale, ora come ora. Erano stati prigionieri del tempo: lui cinque anni senza Peter, Peter cinque anni senza averli vissuti. 

Tony con le rughe a segnare quegli anni passati, Peter identico a come lo ricordava. 

Inclinò la testa di lato, per osservarlo meglio, ora che aveva abbassato gli occhi, schermati da nessuna luce. «Come ti senti?» 

«E tu?», gli rigirò la domanda, lapidario e Tony sospirò.

«Annoiato, stanco e il salvatore del mondo. Una gran bella responsabilità, di cui tutti si dimenticheranno presto. Ho avuto i miei cinque minuti di gloria anche io, dopotutto. Non posso lamentarmi», cercò di ironizzare, e Peter sbuffò una leggera risata; le sopracciglia piegate ad accentuare la sua fragile malinconia. 

«Hai salvato l’universo», lo corresse, poi sospirò. «Sembra irreale.» 

«Quello che è successo, dici?» 

«Il fatto di essere tornati. Sembra irreale. Forse lo è.» 

Calò il silenzio, poi Tony cercò si sistemò meglio sul cuscino, sbuffando via un interrogativo che non volle palesare, ma che lo premeva. Cos’è peggio? Cinque anni di sofferenza o cinque anni persi nel vuoto? «No, non lo è. È successo, no? Ora ho una ferita di guerra anch’io, da sfoggiare ai party noiosi. Lo racconterò così tante volte e lo infarcirò di così tante bugie, che inizierai ad odiarmi», cercò di alleggerire la cosa, e gli regalò un sorriso, sperando in una reazione, ma Peter alzò solo gli occhi, in ciò che fu una tacita richiesta che, però, non fu difficile comprendere.

Non parlare di quello che è successo come se non avesse spaccato qualcosa. Non farlo ancora. Non lo senti anche tu, che c’è qualcosa che non va?

E Tony lo sentiva. Ed ebbe paura di non saperla affrontare, quella nuova vita. 

I loro occhi si incrociarono a metà strada; quelli di Peter erano fermi sui suoi, ma quelli di un altro lui. Di un Tony spaccato a metà, nell’armatura e nell’anima, che pulsava di dolore e morte, in mezzo al silenzio di una battaglia vinta. Tony alzò le dita della mano che non aveva schioccato le dita – la sinistra. Si rese conto che era destrorso e che presto avrebbe fatto i conti con quel fatto. Avvicinò la mano alla sua guancia, e quando i polpastrelli percepirono appena la pelle di Peter, questi si ritrasse, e i suoi occhi puntarono altrove. 

Tutto ciò che Tony voleva sapere era che Peter stesse bene, dentro di sé, malgrado le spaccature. Tutto ciò che Peter stava facendo, era non lasciar trapelare niente perché lui potesse scoprirlo. 

«Tu come stai?», provò.

«Bene», rispose, lapidario, poi si alzò in piedi. Tony seguì ogni suo movimento con lo sguardo. Era rimasto identico, eppure sembrava più alto, ora che lo guardava. Forse, semplicemente, era lui ad essersi trasformato, paradossalmente, in un omino minuscolo. «C’è il signor Rhodes, fuori, insieme a un altro paio di persone che non conosco», sbottò, come se lui, quella mano che voleva accarezzarlo, non l’avesse nemmeno vista. Il braccio di Tony cadde sul lenzuolo come se la gravità l’avesse attirato a sé. Era stralunato; Peter accampava bugie e fuggiva. Lui non aveva il coraggio di chiedergli perché? «Io torno domani. Tu cerca di non fare troppi movimenti.»

«Peter…», sospirò.

«So che non è divertente starsene a letto, ma fai uno sforzo. Okay?», svincolò, poi gli regalò un sorriso spento.  

«Che succede?», ebbe il coraggio di chiedergli, con la paura nel cuore – e la consapevolezza, che il giorno dopo non lo avrebbe visto varcare quella soglia.  

Peter indugiò sulla porta, non appena la raggiunse. La mano avvinghiata alla maniglia, con troppa urgenza nei gesti, di abbandonare la stanza. Tony gli sentì evaporare via un sospiro contorto. Non seppe definirlo. «Dammi tempo», disse solo, e sapeva di una promessa che non avrebbe potuto mantenere. Ma Tony non voleva promesse, da Peter. Voleva solo che tornasse a splendergli addosso, come un sole e lui, lo avrebbe seguito sempre; sarebbe stato il suo girasole. 

La sua schiena sparì quando si chiuse la porta alle spalle, senza voltarsi, portandosi dietro un intero universo che apparteneva ad entrambi. Forse non più. Prese il cellulare poggiato sul comodino. Era arrivata l’ora di affrontare la realtà. Non lo stavano facendo, né lui né Peter, e quest’ultimo non ne era in grado e forse, dopotutto, nemmeno lo voleva. Si sentì impotente. Inutile. Incapace di frenare la fuga che Peter aveva intrapreso, senza che nessuno lo stesse inseguendo.

Cercò nella rubrica infinita di numeri, quello che cercava. Spinse con difficoltà il tasto per telefonare, con la mano sinistra che tremava per la poca abitudine ad usarla e per quel tic nervoso che lo coglieva ogni volta che era sospeso. Dall’altra parte rispose la voce di una zia premurosa che aveva l’euforia nel diaframma, nel sentirlo vivo e vegeto, malgrado tutto

«Dobbiamo parlare», disse, in un sospiro. 

«Di cosa?», chiese lei, dall’altra parte, e il suo tono spensierato l’aveva già abbandonata. 

«Di Peter.» E di tutte quelle cose che non vuole dirmi. 

 

 

«Come va con gli esercizi?» 

«Oh, meglio! Ss-spero si senta, ma la lo-logo-logop-» Si bloccò, e irrigidì ancora i muscoli del collo, e un lungo suono silente accompagnò quel momento, «La dottoressa ha detto c-che sto facendo pa-pa-passi da gigante!», esclamò infine, e Tony iniziava davvero a crederci, che quell’ottimismo non fosse solo una facciata. Forse non più. Poteva leggerglielo negli occhi, dopotutto e, sebbene non fosse ancora padrone del disturbo che lo aveva colpito, per una volta Peter gli sembrò orgoglioso dei propri risultati. 

Tony sentì le spalle rilassarsi, e sorrise. «Ottimo. Stai cercando di usare quel trucco che ti ho insegnato l’altro giorno?» 

Peter si impettì, e le stelle nelle sue iridi castane brillarono di più; costellazioni intere di purezza e dolore, mescolate in qualcosa di nuovo, che Tony non vedeva da tempo sul viso di nessuno. «Ingannare la mente? Ce-certo che sì! O-ogni volta che una pa-pa-»,  prese fiato, poi deglutì, «parola mi si inceppa, cerco un sin-sinonimo. La mente è p-pro-» Un altro respiro intenso, «proprio strana, certe volte.» Peter addentò il suo panino, non prima di avergli rivolto uno sguardo che ricercava, ancora una volta, approvazione.

«Vedrai che entro la fine dell’anno riusciremo a dimenticarcene», cercò di rassicurarlo, e diede un lungo sorso alla sua Coca Zero, cercando di affogare qualche preoccupazione nella sua bevanda dietetica; nel solo e unico tentativo di non lasciare che Peter se ne accorgesse, di quanto ciò lo tormentasse. Non si guarisce mai davvero, da un disturbo del genere, ma si riesce a nasconderlo, migliorarlo; i più bravi lo celano dietro ad una voce limpida e piacevole anche se poi, certe volte, crollano anche loro. Per Peter poteva essere lo stesso, un giorno. 

«Sono mo-mo-molto ottimista, s-signor Stark!», rispose, e sbatacchiò gli occhi in quel suo modo genuino e adorabile.

«Lo vedo, ragazzo, lo vedo! Quando hai il prossimo incontro con la dottoressa?»

«Dopodomani. C-ci vediamo il me-me-» Si bloccò ancora, poi tirò un lunghissimo respiro, «mercoledì.» Tony ci vide un pizzico di frustrazione, in quell’ennesimo momento di blocco. Non era semplice fingere che quel problema non ci fosse e, più le conversazioni erano lunghe, più Peter iniziava a stancarsi. Non voleva darlo a vedere, questo era certo, ma quel ragazzo era stanco. Stanco di balbettare e stanco di dover combattere per arrivare al punto di non farlo più. Una continua sfida con la propria mente, un perenne controllo del respiro. Un incubo, che doveva fingere non fosse tale. E per Tony era lo stesso. 

«Verrò con te. Voglio sondare il terreno e vedere cosa fate.»  

«Non si fida?», ridacchiò Peter, e Tony notò solo in quel momento che si era già spazzolato via tutto il suo panino, e che aveva addentato una manciata di patatine dal cestino al centro del tavolo. 

«Sì che mi fido, santo cielo! Ma ti ci ho mandato io, e odio non avere il controllo della situazione. Lo sai.» Lo ammise strizzando le labbra e schioccando la lingua, disturbato dal fatto che, come sempre, modellare il destino a proprio piacimento non fosse in suo potere, in quel caso. 

«Ne-nessun problema, signor Stark. Per me può venire q-quando… quando vuole. Anzi,» esordì Peter e arricciò le labbra, impacciato, mentre gli zigomi si tingevano di rosso e la folta corolla di ciglia scure si alzava, rivelando ancora una volta quegli occhi incandescenti, ardenti, puri. Incantevoli. Spiazzanti. «grazie per quello c-che sta fa-fa-facendo per me. È moltissimo e io… da solo sono u-un vero di-disastro.» 

«Ho i mezzi e conoscenze. E tu impari in fretta. Siamo un’ottima squadra; un po’ strana, ma lo siamo», rise, poi alzò un sopracciglio quando Peter infilò in bocca un’altra manciata di patatine, senza alcun ritegno. «Mangi come un maiale, Peter. La logopedista ha detto che guarirai anche da questo disturbo? Mi manderai sul lastrico, se continui così!» 

«Co-colpa del ragno! Mi ha acce-accelerato il meta--bolismo!», si giustificò lui, alzando le spalle, e Tony si ritrovò a reclinare la testa all’indietro, scoppiando a ridere.

«A proposito di ragno. Cos’è che volevi dirmi, della tuta?» 

 

 

«È lui ad essere sparito cinque anni, non io.»

May alzò le braccia; si spostò nervosamente i capelli dietro le orecchie e, borbottando qualcosa tra le labbra, infine lo guardò e sospirò; gli sembrò isterica. «Che cosa cambia? Tu lo hai aspettato e lui è tornato in un mondo totalmente cambiato. Come ti aspettavi che la prendesse, Tony? Non è più il ragazzino di un tempo, ed è cresciuto nel giro di pochi secondi, quando è riapparso. È più turbato di quanto tu possa immaginare. E di quanto io possa immaginare.» Aveva senso, ma non era una spiegazione plausibile. Perché dopotutto, da quella visita erano passati già sette giorni e Peter era sparito nel nulla. Non rispondeva ai suoi messaggi, nemmeno alle sue chiamate. Rimaneva in casa, con la scusa di voler approfittare del tempo libero prima dell’inizio della scuola, e riposare la mente e lo spirito, ricaricando le pile dopo ciò che era successo. Un comportamento che non era da Peter. Decisamente non lo era. Cinque anni a rincorrere il suo fantasma e ora che era tornato, gli stava sfuggendo dalle dita. 

«Queste cose te le ha dette lui? Perché sono stato esente, da tutte queste spiegazioni, da parte sua», ribatté, piccato e distolse lo sguardo, quando May gli riservò un'occhiata severa. Seppe di meritarla.

«No, non me le ha dette, ma sono sua zia. Più una madre, se vogliamo proprio dirla tutta. Certe cose non serve nemmeno sentirsele dire. L’ho cresciuto, mi basta guardarlo negli occhi. Dovresti iniziare a farlo anche tu, invece di vedere solo il tuo riflesso contro il suo.» Lo redarguì, poi sospirò e gli strinse per un attimo la mano sull’avambraccio sano, «Tony… gli sei quasi morto davanti. Ti ha visto cambiato in un batter d’occhio, e lui è lo stesso di sempre. Cinque anni ad aspettare non sono come cinque anni che ti crollano addosso così, di punto in bianco, dove non hai idea di che accidenti stia succedendo nel mondo. E, credimi, io ne so qualcosa.» 

Tony dimenticava troppo spesso che, oltre a Peter, anche lei era sparita. Dimenticava troppo spesso che molti altri avevano subito lo stesso destino; ma per un arrogante, presuntuoso come lui, non esisteva altri che Peter, quando pensava al dannato blip. Strinse le labbra tra i denti, infilando gli occhi nella tazzina di caffé scuro e ormai freddo, che May gli aveva offerto. Alzò gli occhi su quelli grandi e materni della donna e, combattuto, scollò le labbra tra di loro per parlare.

«Voglio aiutarlo, ma essendo io il suo problema, so di non poterlo risolvere.»

«Tony, è Thanos, il suo problema e tutto ciò che è accaduto. Come lo è stato per tutti, ma lo conosci. Sai com’è fatto», esordì lei, e gli prese la mano. «E so che per Peter cerchi sempre di fare la cosa giusta e te ne sono grata. Per questo, ti prego, non gettarti addosso colpe che non hai.»

«Sappiamo tutti e due che non è così», rispose, amaro e le scoccò un’occhiata stanca, stringendo tra i denti le proprie debolezze. Gli fece male la mascella.

«Lì con te o qui con me sarebbe sparito comunque», sorrise lei, mesta e quella verità gliela gettò addosso come una cascata di acqua gelida. Perché Tony lo sapeva, che era così, solo che aveva passato cinque anni a struggersi per quello che non era stato in grado di fare, per evitare di vederlo morire. «Tu non hai colpa e lui non ti accusa di niente. Ha solo avuto paura e probabilmente ne ha ancora. Come ti saresti sentito se fossi tornato indietro in mezzo a una battaglia e, in pochi secondi, avessi visto il tuo punto di riferimento rischiare di morire per la salvezza di tutti, compresa la tua?»

Tony alzò gli occhi sui suoi, spaesato, perché la verità era che una risposta a quella domanda non l’aveva. E non ce l’aveva perché era lui quello che era quasi morto e che aveva sconsideratamente scelto di agire come aveva fatto, senza pensare alle conseguenze. Probabilmente, se fosse stato lui ad essere tornato dopo cinque anni, avrebbe finito per trovarsi comunque tra le mani le gemme e a schioccare le dita. Non riusciva a vederla diversamente. Non riusciva ad immedesimarsi in Peter. Come sempre.

«Dov’è, ora?», chiese e arginò la domanda; fu felice che May scelse di assecondare il fatto di averla ignorata, senza incalzarlo. Lei sospirò e appoggiò la schiena alla sedia, stancamente. Lanciò un occhio alla porta che li divideva dalla camera di Peter. 

«A fare quello che fa sempre da quando è tornato.» 

«Ovvero?»

«Chiedersi perché è successo.» 

Gli sussultò il cuore e abbassò immediatamente gli occhi. Non avrebbe dovuto sentirsi responsabile ma ci si sentiva. Era colpa sua, di nessun altro. Peter era la persona più importante che gli era rimasta e, sapere che non fosse lo stesso per lui, era una sconfitta esageramente dolorosa da accettare. No, non poteva accettarla. Non ora che era di nuovo lì, dopo così tanto tempo, ma non con lui.

«Ne ha superate tante, lo hai tirato fuori da insicurezze ben peggiori. Dovresti rimproverarti meno e ripensare a quello che hai fatto per lui, in passato. Te ne è grato e te ne sarà sempre, anche se non te lo dice, Tony. Dagli tempo, come hai sempre fatto.»

Gli do tempo, pensò, sebbene egoisticamente non avrebbe voluto far altro che entrare in quella stanza chiusa – da cui non riusciva a staccare gli occhi, come se potesse vedervi attraverso – affrontarlo, e sentirsi dire che era tutto okay e che nulla era cambiato. 

 

   

Fine Capitolo I

 


 
 

 

♥ Note Autore ♥


 
Buonasera/Buongiorno a tutti!Come va? Complimenti per essere arrivati fin qui, avete vinto una batteria di pentole in acciaio Inox, consegnata direttamente dalle mani di Giorgio MastroCAVALIERCUSTODEDELL'ACCIAIOINOX. No a parte le cazzate, che cos'è questa storia? Sì, bravi, un nuovo whatif? scaturito dal bisogno di risolvere ancora e ancora e ancora il canone, stavolta con una piccola variante, ovvero l'inserimento di un problema di balbuzie, che Peter ha indossato più che dignitosamente. All'inizio ero molto scettica, pensavo di non poter dare la giusta intonazione alle balbuzie, ed è stato estremamente difficile riuscire a descriverle senza risultare stupide o poco realistiche. Spero che il risultato finale sia accettabile e Peter che balbetta è... bo', adorabile, dai! Ma poi Tony che si preoccupa? ♥
Un grazie a quel meraviglioso film/libro che è JoJo Rabbit, che grazie alla sua colonna sonora, mi ha aiutato a scegliere il titolo per questa breve minilong ♥
La storia sarà di due capitoli e sarà divisa tra passato e presente (e spero che non ci siano state troppe difficoltà nella comprensione della divisione. Quel chiamarlo in una "Tony" e dargli del "Tu" e nell'altra "Signor Stark" e dargli del "Lei" spero possa basta a non farvi confondere. In caso ci sono per qualsiasi chiarimento ♥)
Affrontare il ritorno di Peter e le conseguenze che questo ha portato nella sua psiche, come avrete capito, è un argomento che non ho ancora spolpato a dovere e cheamo sviscerare, perché dalla morte non si torna mai davvero, quando si torna. La si è affrontata, ma tornare che prezzo ha? Lo scopriremo presto.
Vi do dunque appuntamento a venerdì prossimo e, sperando vi sia piaciuta, vi invito a lasciarmi un commento e le vostre considerazione, se vi va  ♥
A presto,
La vostra amichevole Miryel di quartiere.
 
 
 
   
 
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