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Autore: angelo_nero    16/02/2020    15 recensioni
[Pre-Androidi]
Dal testo:
"-Lo sai che non sei obbligata, vero?- mormorò.
Bulma sorrise appena, un sorriso accennato dentro il quale si schiantava una piccola parte dell'enorme tristezza che si portava dietro.
-Lo so. Ma voglio.- gli rispose.
E Yamcha si vide con le spalle al muro. Si ripulì da parte dei calcinacci che gli erano rimasti addosso, si scusò per il muro e rifiutò la collana che Bulma gli stava restituendo.
-Vedila come un regalo di buon auspicio.- le disse. "
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Poggiò il dito sul campanello con delicatezza quasi tremando e il suono squillante rimbombò all'interno dell'abitazione confermandogli il suo funzionamento. Si specchiò nel vetro lì accanto sistemandosi i capelli con una mano per chissà quale motivo, forse per abitudine di voler apparire al meglio ai suoi occhi o per semplice automatismo di un gesto compiuto per anni davanti la stessa finestra. Quando il suono della serratura elettronica lo raggiunse, smise di specchiarsi per potersi stampare in faccia il miglior sorriso che possedesse prima che la porta si aprisse e gli occhi azzurri della sua più cara amica gli si parlassero davanti confusi e curiosi.
-Yamcha!- esclamò la giovane donna. -Che ci fai qui? Non eri ad allenarti?- 
Yamcha allargò il proprio sorriso felice di quell'accoglienza a braccia aperte. Allungò la mano e le porse un piccolo pacchetto che lei afferrò confusa studiandolo con cura come se potesse capire di cosa si trattasse semplicemente guardandolo. Poi alzò lo sguardo sul guerriero chiedendogli con gli occhi delucidazioni a riguardo ma egli si limitò a un sorriso criptico.
-In teoria sì ma avevo bisogno di staccare un po' la spina. Sono mesi che non faccio altro.- le disse sorridente.
Bulma lo guardò di sottecchi con un sopracciglio alzato affatto convinta della spiegazione dell'amico. Si appoggiò all'uscio semi aperto spalancando del tutto la porta e mostrando agli occhi del terrestre la sua figura per intera. 
Yamcha strabuzzò gli occhi incredulo, la lasciava sola per qualche mese e la ritrovava così? Assurdo. Rimase a fissarla con la bocca dischiusa per minuti interminabili chiedendosi cosa diamine fosse successo nel tempo in cui lui era stato lontano da quella casa e soprattutto perché fosse accaduto. 
-Vuoi rimanere lì impalato o entri?- gli chiese con una punta di ironia.
Yamcha si riscosse improvvisamente e tornò a guardarla negli occhi. Balbettando qualcosa di incomprensibile seguì la ragazza all'interno lasciando che gli chiudesse la porta alle spalle rimanendo fermo nel bel mezzo della stanza. Bulma lo raggiunse e gli diede una leggera spinta per farlo muovere. Il guerriero non si oppose raggiungendo il salotto sospinto dalle sue piccole mani quasi ne avesse bisogno. Quando lei lo lasciò andare rimase nuovamente immobile al centro della stanza a fissare il pavimento, non si sentiva esattamente il benvenuto lì dentro e se ne chiese il motivo. Eppure per anni era stato uno di famiglia, cosa era cambiato in quegli ultimi tempi? 
L'azzurra lo spinse leggermente di nuovo riscuotendolo tanto da fargli girare la testa di scatto sorpreso. Incontrò la sua espressione dubbiosa di fronte al proprio assurdo comportamento e si chiese cosa stesse pensando.
-Guarda che il divano non ti morde.- scherzò lei.
Yamcha arrossì e provvedette a sedersi il più in fretta possibile mantenendo però lo sguardo sul pavimento. 
Bulma gli si sedette accanto decisa ad ignorare lo strano comportamento dell'amico. Aprì il pacchetto che le aveva portata e per poco non si mise ad urlare: una collana probabilmente d'argento molto fina con un punto luce, un diamantino di neanche un centimetro, racchiuso in un quadratino anch'esso d'argento. Osservò l'oggetto brillare un poco alla luce al neon del salotto incredula per il regalo ricevuto. Conoscendolo, Yamcha avrà speso una fortuna per quel piccolo gioiello dato le esigue entrate che possedeva.
-Yamcha, ma è bellissima, grazie non dovevi.- mormorò appena commossa allacciandosela al collo.
Il guerriero sfreggiato l'osservò con la coda dell'occhio armeggiare con la piccola chiusura della catenina. Se la ritrovò addosso in un abbraccio caloroso senza quasi rendersi conto del suo spostamento. Il suo odore dolce gli invase le narici riportandolo con la mente a un periodo felice per loro, come coppia, e ciò lo spinse a ricambiare l'abbraccio affondando il naso nei suoi capelli azzurri ora liberi dall'assurda pettinatura afro con la quale li aveva acconciati dopo Nameck. Di solito quando una donna cambia capelli cambia anche uomo, o almeno così diceva il detto. Sorrise amaramente, quella volta ci aveva preso in pieno. 
-Yamcha.- lo richiamò la ragazza staccandosi da lui. -Mi odi per caso?-
Il ragazzo sussultò sorpreso da tale domanda. Ma che diavolo andava a pensare?
-Ma che dici! Ovviamente no! Che ti salta in mente Bulma, sai benissimo quanto tengo a te.- sbottò.
-E allora perché non mi guardi in faccia?- 
Yamcha sospirò, non le si poteva nascondere nulla riusciva sempre a leggere dentro alle persone tirando fuori tutte le emozioni negative e positive che riusciva a trovare. Forse era per quello che aveva deciso di provarci proprio con lui.
Il guerriero tornò a fissare il pavimento torturandosi le mani a disagio, detestava sentire i suoi occhi addosso in quella maniera si sentiva vulnerabile e scoperto. Bulma aveva il potere di farlo sentire in colpa senza che avesse fatto nulla. Sospirò cercando di afferrare quel coraggio che in mezzo a dei nemici lo aiutava sempre.
-Beh, non accade tutti i giorni che mi assento per qualche tempo e ti ritrovo incinta.- mormorò continuando a non guardarla.
Fu l'azzurra a sussultare sta volta messa davanti all'evidenza dei fatti. Abbassò lo sguardo sul pancione ormai piuttosto imponente, lo accarezzò appena con fare amorevole. In effetti Yamcha aveva ragione ad essere sorpreso, non era da lei una cosa del genere. Al massimo poteva ritrovarla con un mega progetto che non avrebbe mai portato a termine, quella era sicuramente una novità inaspettata. Scoppiò a ridere spaventando il suo interlocutore che si chiese se fosse impazzita di botto.
-In effetti sì, è strano. Io ci sono talmente abituata ormai che non ho pensato al fatto che per te potesse essere una novità.- disse asciugandosi le lacrime provocate dalle risate. -Ti chiedo scusa, Yamcha, avrei dovuto dirtelo prima.- 
Il guerriero mise le mani avanti sulla difensiva, non voleva le sue scuse era soltanto sorpreso dalla situazione. Scosse la testa con forza aprendosi in un sorriso sincero. La osservò accarezzare il ventre gravido con delicatezza quasi avesse paura di romperlo o fare del male alla creatura al suo interno.
-Di quanto sei?- chiese un po' impacciato.
-Otto mesi.- rispose senza guardarlo. 
Il guerriero sbiancò improvvisamente quando un pensiero veloce gli trapassò la mente. L'azzurra si voltò come se avesse fatto rumore, distogliendo l'attenzione dal pancione e rivolgendola a lui. 
-Tutto okay?- chiese.
Il guerriero sfregiato posò lo sguardo sbarrato su di lei, sulla nivea mano che se ne stava posata con dolcezza sulla creaturina che le cresceva dentro. Alzò gli occhi poi sul suo viso confuso che lo fissava in attesa di una risposta magari di senso compiuto.
-Non...- iniziò.
Ma quella semplice parola bastò a lei per capire dove volesse andare a parare, gli sorrise e annuì leggermente facendolo sbiancare ancor di più. 
-Non è tuo, tranquillo.- gli disse.
Il guerriero si rilassò all'istante, sollevato dall'apprendere che non si sarebbe dovuto prendere lui quella grossa responsabilità. Non si sentiva pronto a diventare padre, non riusciva a gestirsi da solo figuriamoci un altro essere umano. Però adesso era curioso di sapere di chi fosse, chi aveva avuto la fortuna di conquistare quella ninfa dai capelli azzurri tanto affondo da avere da lei una piccola copia di sé. 
-Anche perché ci siamo lasciati più di un anno fa e non sarebbe possibile.- aggiunse lei. -Poi non penso saresti in grado di fare il padre.- 
Yamcha si risentì un poco per quell'affermazione nonostante sapeva lei avesse più che ragione. Tornò a guardarla chiedendosi cosa dovesse dire o chiedere a una donna in dolce attesa, spostò gli occhi sul punto luce che le aveva regalato pensando che a saperlo prima le avrebbe potuto fare un regalo più utile anche se probabilmente lei aveva già provveduto a tutto mesi prima.
-Ehm come stai? Cioè come procede la gravidanza?- indugiò.
Bulma posò la testa sullo schienale fissando il soffitto e lasciandosi andare a un sospiro affaticato. 
-Sono praticamente a termine, non vedo i miei piedi da un mese circa ma li sento fin troppo da quanto sono gonfi, la pancia inizia a pesare e il mio umore è un'altalena. Non posso lavorare perché non entro sotto i macchinari e in ufficio mi addormento, dormo male perché non posso girarmi come vorrei e il bambino scalcia in continuazione.- si lamentò riassumendo bene o male quegli otto mesi in cui aveva dovuto condividere il proprio corpo con un altro essere vivente. -Insomma va alla grande, non vedo l'ora di partorire.- 
Il ragazzo si pentì all'istante della domanda appena posta, stando alle parole della donna non doveva essere una passeggiata né un piacere. E probabilmente stava affrontando tutto ciò da sola, se lo avesse saputo in tempo avrebbe potuto darle una mano o quantomeno starle vicino per un sostegno emotivo. Invece poco dopo la rottura si era allontanato dalla città per un allenamento intensivo per evitare di pensare a lei, con lui. Lo stesso che l'aveva indirettamente ucciso ormai quattro anni prima, che era arrivato sulla Terra per conquistarla sterminandoli tutti, che aveva preso residenza in quella casa pretendendo di essere trattato con rispetto quando tutto ciò che dava in cambio erano ordini, minacce e silenzi infiniti, che aveva in qualche strano modo centrato il cuore della sua ragazza spingendola tra le proprie braccia in una relazione malata. E magari lo stesso che l'aveva messa incinta. 
D'improvviso prese le mani della ragazza tra le proprie guadagnandosi oltre a tutta la sua attenzione anche l'ennesimo sguardo confuso nell'arco di pochi minuti. Non ci badò e puntò i propri occhi neri in quelli chiarissimi di lei.
-Bulma, ti prego, dimmi che questo bambino è umano, totalmente umano.- le disse serio.
-Certo che è umano, Yamcha, che domande fai. Mica posso partorire un animale.- gli rispose scherzosa. -I troppi allenamenti ti hanno dato alla testa.- 
Yamcha non smise di guardarla serio, lei sapeva benissimo a cosa si riferiva e stava appositamente sviando il discorso con una battuta, probabilmente perché la risposta non gli sarebbe piaciuta. Ma voleva sentirlo da lei, uscire dalle sue labbra che tante volte aveva baciato fino a un anno fa, fino a quando il principe dei Saiyan non era entrato nelle loro vite. Avrebbe fatto male, malissimo, peggio di quando gli aveva confessato di non provare più niente per lui se non una profonda amicizia e di voler tentare un relazione suicida con quel Saiyan. Ma voleva, doveva saperlo a ogni costo. Per mettersi il cuore in pace e capire fino a che punto la sua pazzia l'aveva spinta. Una parte di sé pregò che non fosse come pensava, che avesse incontrato per caso un uomo che l'aveva ammaliata e con l'incontro di una notte era rimasta fregata. Ma sapeva benissimo che Bulma non era il tipo di donna da farsi incastrare così, che non bastava un bel viso o un sorriso ammaliante a farla capitolare. Ci voleva molto di più, lei aveva bisogno di una continua stimolazione intellettuale, qualcuno con il quale non annoiarsi mai, qualcuno di totalmente opposto a lei e contemporaneamente uguale. E l'idea che l'avesse trovato in quell'alieno lo mandava ai matti e finché si trattava di semplice attrazione fisica -molto forte ma solo quello- poteva anche sopportarlo seppur a fatica. Sperava sempre che lei un giorno aprisse gli occhi e si rendesse conto dello sbaglio enorme che stava facendo.
-Bulma, ti prego. Sai di cosa parlo.- le disse nuovamente.
Bulma spostò lo sguardo lontano da lui, fissando un punto vuoto apparentemente casuale all'interno della stanza.
-È un mezzosangue, Yamcha. Esattamente come Gohan.- rispose poi.
E il guerriero sfregiato avvertì le sue parole come un pugno allo stomaco che fece più male di quelli presi durante un un'allenamento.
-Ma ovviamente il padre di questo mezzosangue non è lo stesso di Gohan, giusto?- mormorò quasi sconsolato. 
Bulma scosse la testa ma non si voltò a guardarlo. 
-Ti rendi conto in che guaio ti sei cacciata?- la riproverò. -Già l'esserti buttata tra le sue braccia è una condanna a morte ma ne sei anche rimasta incinta. Stai portando in grembo il figlio di quell'assassino.- 
Le parole del giovane erano piene di rancore e di amarezza, gli faceva male aver perso tutto ma gli faceva ancor più male sapere che quello aveva preso il suo posto e che probabilmente neanche lo voleva. Strinse un poco le mani mentre una rabbia cieca lo invadeva oscurandogli la visione oggettiva della situazione.
Odiava quell'uomo, odiava lui e quello che aveva fatto a Bulma, odiava quello che lei portava in grembo perché suo figlio, odiava anche lei che si era lasciata abbindolare da quell'aria di mistero che gli aleggiava attorno. Odiava quel suo voler a tutti i costi tentare di salvarlo, da cosa poi? Da se stesso? Se ci aveva convissuto fin ora non vedeva per quale motivo doveva tirarlo fuori e infangarsi anche lei. Dannazione perché quell'uomo aveva avuto tutto quello che a lui era stato tolto? 
-Yamcha, mi fai male stai stringendo troppo.- si lamentò lei divincolandosi dalla sua presa che si era improvvisamente serrata. 
Yamcha si riscosse mollando immediatamente le mani della giovane che lo fissò con ammonizione. Lui abbassò la testa, ora odiava anche se stesso.
-Ma che diavolo ti prende?- gli disse senza però essere arrabbiata. -So a cosa vado in contro, Yamcha, e mi fa piacere che tu ti preoccupi per me però sono una donna adulta so prendere le mie decisioni da sola.- 
-Dov'è?- chiese.
-Chi?- 
-Vegeta, chi altri? È il padre del bambino ma non lo vedo qua intorno. Dov'è?- 
Bulma sospirò e un sorriso triste si dipinse sulle sue labbra. Era decisamente una situazione complicata quella con Vegeta, lo era stata fin dall'inizio ma con quella gravidanza inattesa di mezzo era diventato tutto più difficile. Il Saiyan non voleva neanche intraprendere una relazione degna di questo nome con lei, figuriamoci diventare padre. Lui non aveva la minima idea di cosa volesse dire stare con la persona amata e crescere una nuova vita insieme e non gliene poteva fare una colpa, l'ambito in cui era cresciuto, strappato dal suo pianeta natale a pochi anni, impossibilitato ad avere anche solo l'idea di cosa possano essere sentimenti positivi come amore e affetto, non gli aveva dato modo di maturare una sfera emotiva adeguata. Troppo occupato ad ammazzare e a non farsi ammazzare per concentrarsi su cose "futili" come i sentimenti. Non voleva neanche sapere come avesse fatto durante gli anni dell'adolescenza a non impazzire. 
Però lei era abbastanza sicura che oltre tutta quella corazza d'odio e tutta quell'ignoranza in quel campo, Vegeta tenesse sul serio a lei, ne era sicuramente geloso a giudicare dal modo in cui reagiva quando nominava Yamcha o Goku in sua presenza. E questa gelosia era scatenata dal fatto che la vedeva come "roba sua", come se avesse una specie di priorità su di lei ed era probabilmente l'unico modo di "amare" che conosceva. Avrebbe voluto insegnargli quello giusto, aprire quella corazza e far emergere il vero principe dei Saiyan, quello che lei aveva visto riflesso nei suoi occhi ogni volta che la guardava, ogni volta che incrociava quelle iridi scure come la notte. Ma il destino, il fato, il caso o chi per loro aveva ben deciso che la gravidanza sarebbe dovuta avvenire prima di tutto il resto rovinando -o forse no?- tutto ciò che stava cercando di costruire con lui. 
-Un po' qui un po' lì, fa avanti e indietro tra lo spazio e la Terra ma nell'ultimo mese sembra aver deciso di rimanere qui.- gli disse apparentemente annoiata e disinteressata. -Si allena come un matto e lo vedo a malapena.- 
Sinceramente non sapeva cosa lui pensasse della gravidanza, non si era mai espresso né a favore né a sfavore semplicemente era rimasto rinchiuso nel suo mutismo criptico. Lei non si aspettava i salti di gioia da parte sua ma almeno una sorta di parere sulla cosa, quantomeno se volesse o meno prendersi le responsabilità di quel bambino. Ma Vegeta non aveva mai aperto bocca a riguardo, si era comportato come al solito fin quando era sparito e lei aveva creduto di non rivederlo più. Al suo ritorno sembrava brillare di luce propria e le si era avvicinato per baciarla per poi tornare a comportarsi allo stesso modo lasciandola incuriosita e scossa da tale gesto. Solo qualche settimana dopo, spiando i suoi allenamenti, aveva scoperto che la luce che gli aveva visto negli occhi gli aveva colorato i capelli d'oro e gli occhi di smeraldo. Aveva raggiunto il suo obiettivo e lei non poteva che esserne felice, si era ritrovata a piangere in silenzio di felicità guadagnandosi una sua occhiata storta. 
-Quindi state insieme? Lui lo vuole questo figlio oppure no?- indagò il guerriero sfregiato.
Nemmeno quando gli aveva rivelato che sarebbe stato un maschio si era espresso, chissà che diavolo gli passava per la testa. 
-Vorrei saperlo anche io.- sospirò lei.
Il silenzio calò quando il diretto interessato della conversazione entrò nella stanza e fu soltanto Yamcha a rendersene conto avendone avvertito l'aura. Aggrottò le sopracciglia puntando lo sguardo sul Saiyan. 
-Parli del diavolo...- disse.
Bulma si voltò di scatto per vedere il protagonista dei suoi sogni da un anno e mezzo a quella parte. Vegeta attraversò la stanza come se nulla fosse dirigendosi in cucina con il suo passo silenzioso, aprì il frigo e prese una bottiglia d'acqua gelata. Fece un paio di sorsi poi tornò sui propri passi, ignorando entrambi gli occupanti del comodo divano lì di fianco. Si fermò di botto e squadrò Yamcha da capo a piedi con espressione immobile, il terreste sussultò appena per essersi sentito trapassate da quello sguardo profondo ma si riprese subito. 
Gli occhi del Saiyan si posarono poi sulla giovane donna, in silenzio, percorrendola interamente e soffermandosi appena sul pancione ingombrante per poi proseguire il proprio percorso.
-Ehy aspetta un attimo!- lo richiamò Yamcha ma il Saiyan tirò dritto senza degnarlo di attenzione. 
Bulma fece per aprire bocca e dirgli di lasciarlo stare ma Yamcha la precedette afferrando il polso del principe ricoperto dal solito guanto bianco. Il Saiyan si fermò e si voltò a guardarlo.
-Toglimi le mani di dosso.- sibilò appena.
Il terrestre non lo ascoltò serrando la presa.
-Ti sembra il modo di comportarti?- sbottò.
Vegeta neanche gli rispose aumentando di poco l'aura come avvertimento. 
-Toglimi le mani di dosso.- ripetè scandendo bene le parole.
-Non sei capace neanche di prenderti le tue responsabilità! La guardi con sufficienza manco fosse spazzatura e tu saresti il principe dei Saiyan?- 
Vegeta, oltre che immensamente più forte di lui, era anche dotato di ben poca pazienza perciò, quando il terrestre ignorò di nuovo il suo ordine, non ci pensò due volte a scaraventarlo dall'altra parte della stanza con un movimento veloce del braccio. 
Bulma sussultò alla vista dell'amico che sfondava parte del muro del salotto finendo in corridoio. Il suo sguardo saettò su Vegeta che fissava il suo avversario con un ghigno soddisfatto, tipico suo. 
-Ehy! Ma dico! Questa è casa mia andate fuori ad ammazzarvi di botte!- gridò nei confronti di entrambi.
Yamcha si rialzò dalla macerie, illeso ma completamente ricoperto di polvere. Si avvicinò al Saiyan a passo svelto e lo afferrò dalla maglietta della battle suit approfittando dei pochi centimetri con cui lo sovrastava.
-Bulma porta in grembo tuo figlio, non te ne frega nulla?!- gli urlò a pochi centimetri dalla faccia.
Avrebbe dovuto temerlo e non sognarsi neanche lontanamente di avvicinarsi così tanto, nonostante lo odiasse tanto da volergli staccare la testa con le proprie mani sapeva che sfidarlo era l'idea più brutta che potesse mai avere. Ma ormai il danno era fatto e se fosse morto lo avrebbe fatto per una causa che reputava giusta, al diavolo i cyborg o qualsiasi altro nemico difendere la persona che amava era la cosa che più gli premeva fare. 
Il viso del principe si contrasse appena prima che scaraventasse nuovamente Yamcha contro la parete, il terrestre questa volta avvertì il colpo forte e chiaro e gli ci volle qualche minuto in più per rialzarsi. 
-Non capisco se sei sordo o semplicemente stupido.- asserì senza espressione nella voce.
Il guerriero sfregiato si rimise in piedi, dolorante ma imperterrito. Alzò la testa e si ripulì dal sangue che gli colava sul sopracciglio, quel tipo non ci avrebbe pensato neanche un attimo prima di mandarlo all'altro mondo ma sembrava si stesse trattenendo. 
-Puoi essere anche un bastardo, Vegeta, ma non dirmi che non provi nulla per tuo figlio perché non ci credo!- sbottò rimanendogli a debita distanza. 
Il Saiyan lanciò un'occhiata alla giovane con il pancione che li guardava in un mix di rabbia e paura, spaventata per la possibilità che si potessero far del male. Incrociò il suo sguardo azzurro e qualcosa dentro di sé si mosse, cacciò via quella sensazione e tornò a guardare il proprio interlocutore stampandosi un'espressione neutrale dalla quale non traspariva neanche il più piccolo sentimento. 
-Non me ne frega niente.- 
Ma ciò che disse cozzava irrimediabilmente con quello che in realtà il suo animo gli urlava a pieni polmoni, sensazioni contrastanti e pensieri su di lei e quel bambino che portava gli riempivano la testa ogni giorno nonostante cercasse di soffocarle. Aveva provato in ogni modo a smettere di pensarci ma più li cacciava più tornavano, prepotenti. 
Bulma sbarrò gli occhi a quelle parole, credeva di non essersi illusa, di essere rimasta razionale, di aver compreso che a lui non interessava, di essere andata avanti ma il dolore che le attanagliò l'anima al suono di quella frase le fece capire che, no, non era così e, sì, si era maledettamente illusa che lui potesse anche solo per un secondo aver avuto a cuore entrambi. Il mondo le crollò sotto i piedi e si ritrovò a fissare il pavimento sotto shock, come se non fosse possibile per lei tale opzione.
Yamcha quasi rimase di stucco nel sapere che al principe dei Saiyan non fregava assolutamente nulla né di Bulma né della vita che avevano creato assieme. Non che dubitasse del fatto che quell'uomo fosse un egoista arrogante però credeva che Bulma fosse riuscita in qualche modo a centrare il suo cuore di pietra. Invece Vegeta era sempre la stessa identica persona che aveva messo piede sulla Terra anni prima. 
-E allora perché non te ne vai, eh? Se non te ne frega niente di loro tanto meno del pianeta per quale diamine di motivo non vai fuori dalle palle?- gli chiese. 
Vegeta incrociò le braccia al petto guardandolo con sufficienza.
-Ciò che faccio non è affar tuo.- gli rispose piatto. 
Yamcha si chiese come potesse esistere una persona tanto asettica, tanto ingrata ed egoista. Voleva solo scontrarsi con quei dannati cyborg e far fuori Goku, tutto il resto non gli interessava. Però un tetto sopra la testa, tre pasti caldi al giorno e una camera super accessoriata per allenarsi gli facevano abbastanza comodo da spingerlo a tenere il culo sulla Terra. Quanto poteva odiarlo? E quanto era stato idiota lui stesso per permettere che Bulma gli finisse tra le braccia? 
Moriva dalla voglia di spaccargli quella faccia da schiaffi, peccato che si sarebbe soltanto fatto ammazzate. Digrignò i denti stringendo i pugni con forza. Aprì la bocca per quantomeno sputargli addosso tutto il suo odio ma la voce di lei lo bloccò ancor prima che potesse emettere anche un solo suono. 
-Smettila, Yamcha, stanne fuori. Non ti riguarda.- 
Il terrestre si voltò di scatto verso di lei, sicuro di aver sentito male. Bulma aveva lo sguardo basso rivolto al pavimento e i pugni stretti lungo i fianchi, gli sembrava molto più fragile di quanto già non fosse con quel pancione. 
Aggrottò le sopracciglia puntando poi il dito contro il Saiyan a pochi passi.
-Questo stronzo non ti degna neanche di uno sguardo nonostante il figlio che aspetti sia anche suo e io dovrei farmi gli affari miei!?- chiese alterato.
Bulma rialzò la testa puntando lo sguardo fiammeggiante in quello dell'amico, facendolo sussultare spaventato. 
Era sicuro che si stesse per mettere a piangere invece lo avrebbe incenerito con gli occhi se solo avesse potuto. Non sapeva se quel cambiamento fosse dovuto agli ormoni della gravidanza o a che altro però gli faceva paura. 
L'azzurra fece saettare le iridi color del cielo sul padre di suo figlio, almeno biologicamente parlando, incatenandole con le sue più scure della notte. Il Saiyan non fece un solo movimento se non un impercettibile aggrotto delle sopracciglia, lo aveva guardato spesso con quell'espressione ma quella volta c'era qualcosa di diverso nei suoi occhi azzurri, qualcosa a cui non seppe dare un nome. 
Bulma riportò lo sguardo sull'amico terrestre che deglutì spaventato da non sapeva neanche cosa. Si alzò dal divano e incrociò le braccia sotto al seno, la pancia era ormai così ingombrante che gli avambracci finirono per posarvicisi sopra. 
-Sì, visto che la cosa non ti riguarda sei pregato di chiudere la bocca e andartene. Non ho bisogno del salvatore so cavarmela da sola.- disse alzando fieramente il meglio.
Yamcha non credeva alle proprie orecchie, Bulma lo stava praticamente cacciando quando la stava difendendo da quel mostro con cui aveva procreato.
-Non capisco.-
-Non c'è nulla da capire. Vai via Yamcha, per favore.- gli disse ancor prima che egli potesse aggiungere altro.
-Ma...- tentò di dire.
-Fuori di qui, Yamcha.- esclamò lei impedendogli di parlare.
Il terrestre non capiva, non aveva la minima idea del perché lei si stesse comportando in quella maniera. Insomma non gli sembrava normale cacciare chi ti difende e tenerti in casa chi non fa che portarti dolore, anche se è la persona che ami. Ma Bulma era sempre stata una ragazza anormale, in senso positivo, che va controcorrente e a volte la sua intelligenza la lasciava per cedere il posto alla stolta curiosità che si ritrovava. Guardò i suoi grandi occhi azzurri dentro i quali non c'era più la solita luce che si portava dietro dagli anni dell'adolescenza, era sostituita da una molto più intensa, una luce di determinazione nell'andare a fondo alla questione a costo di farsi male o di scontrarsi contro un muro. A costo di dover convivere con il peso di un figlio da crescere da sola che le ricorderà costantemente l'uomo da sempre amato ma mai ricambiata. E di certo non sarebbe stato lui a farla desistere, figuriamoci non ci riusciva il muro invalicabile che era l'orgoglio di Vegeta le sue parole le rimbalzavano semplicemente addosso. Sperava soltanto che lei sapesse a ciò che andava incontro. 
-Lo sai che non sei obbligata, vero?- mormorò.
Bulma sorrise appena, un sorriso accennato dentro il quale si schiantava una piccola parte dell'enorme tristezza che si portava dietro.
-Lo so. Ma voglio.- gli rispose.
E Yamcha si vide con le spalle al muro. Si ripulì da parte dei calcinacci che gli erano rimasti addosso, si scusò per il muro e rifiutò la collana che Bulma gli stava restituendo.
-Vedila come un regalo di buon auspicio.- le disse.
Lanciò un'occhiataccia al Saiyan che in tutto quello era rimasto immobile a fissarli senza espressione. Prima o poi qualcuno ai piani alti avrebbe dovuto spiegargli perché quell'essere privo di emozioni aveva avuto sia Bulma che un figlio senza fare nulla per meritarselo.
Uscì dalla porta contando di non tornare tanto presto, si sentiva ancora meno il benvenuto lì dentro. 
Bulma lasciò la stanza poco dopo senza una parola e Vegeta la seguì con lo sguardo finché non sparì oltre la porta e i suoi passi divennero a malapena udibili. Quando sentì la porta chiudersi, girò i tacchi e tornò agli allenamenti interrotti soltanto per reidratarsi. Aprì la porta blindata della nuova camera gravitazionale costruita all'interno dell'edificio dopo l'esplosione della navicella ed entrò, abbandonando la bottiglietta d'acqua in un angolo. Impostò la gravità a duecento e iniziò ad allenarsi non appena la stanza divenne rossa e i robot si attivarono. Incredibile come una pausa di pochi minuti, come si era imposto, si era trasformata in un'ora a causa di quell'idiota terrestre che chissà per quale motivo aveva deciso di ergersi a paladino della giustizia di Bulma rischiando pure la pelle toccandolo. Non si era arreso neanche dopo che lo aveva spedito contro il muro, imperterrito convinto che le sue parole avrebbero avuto chissà quale effetto su di lui. Come se quel bellimbusto potesse anche soltanto lontanamente essere oggetto della propria attenzione. 
Stolto. 
Persino quando lei stessa gli aveva intimato di tacere il terrestre non aveva mollato la presa.
Idiota.
Chissà che diavolo gli passava per la testa, difendere a spada tratta la stessa persona che lo aveva buttato fuori dalla propria vita e sostituito. Incinta di un altro.
Cosa sperava? Che lui si sarebbe mosso a pietà e avrebbe deciso di degnare di attenzione la ragazza dopo che gli aveva fatto notare le sue mancanze? O forse che lei se lo riprendesse? 
Aggrottò le sopracciglia quando quel pensiero lo colse. Cosa diavolo gliene fregava? Eppure all'idea di quei due insieme veniva pervaso da una rabbia senza nome, apparentemente immotivata a cui non sapeva dare una precisa ubicazione. Dannata donna, non riusciva a togliersela dalla testa neanche un fottuto secondo! 
Cosa diavolo le era successo poi, prima si lamentava con Yamcha dell'aver passato quegli otto mesi da sola senza un aiuto e quando egli la difende dal suo menefreghismo lei lo fa tacere. Un secondo prima sembrava stesse per piangere e quello dopo li aveva inchiodati entrambi a terra con lo sguardo. Non lo aveva dato ovviamente a vedere, nascondendo tutto con la solita maschera impassibile, ma quegli occhi fiammeggianti, pieni di ira, lo avevano colpito scavandogli l'anima come solitamente faceva lei. Per un secondo si era sentito tremendamente in colpa per essersi comportato in modo così menefreghista, di averla ignorata nonostante lei gli avesse dato tutto, se stessa in primis, fino a portare avanti la gravidanza di suo figlio. Sola. 
Lo stomaco gli si torse e più cercava di cacciare via quella sensazione più essa aumentava esponenzialmente, fino a togliergli il fiato. Dovette fermarsi ed interrompere l'allenamento, arrancando fino al pannello di comandi per spegnere la gravità. Ma il sollievo durò poco con quella morsa alla bocca dello stomaco che non lo mollava. Che diamine gli stava succedendo?
Furioso spalancò la porta della stanza percorrendo la casa a passo svelto, alla ricerca della fonte di tutti i suoi problemi. Aveva il fiato corto, e di certo non per gli allenamenti appena interrotti, e la rabbia se lo stava mangiando vivo ogni secondo di più. Fu davanti alla sua porta in un secondo, la spalancò senza farsi il problema di bussare.
L'azzurra sussultò presa alla sprovvista dal rumore e puntò gli occhi sulla figura oscura che aveva invaso la sua privacy senza permesso. Incrociò quelle due pozze color della notte, sfidando indirettamente il proprietario ad aprire bocca dopo quell'irruzione. 
Il Saiyan con il fiato corto indugiò qualche secondo sulle sue iridi chiare sorprendendosi nel trovarle fredde, impassibili, senza emozioni. Gelide quasi quanto le proprie. Quella luce che solitamente li animava, quel calore che ci aveva sempre visto riflesso, quei sentimenti che sprizzavano fuori ad ogni sguardo. Spariti, come se non fossero mai esistiti. Scomparsi nel nulla, sostituiti da un'impassibilità e un'indifferenza che in lei mai aveva visto e che non credeva di veder mai. 
-Che vuoi?- gli chiese atono la giovane.
Vegeta si riscosse, colpito appieno dalla sua voce piatta, così strana alle sue orecchie. E di nuovo, quella sensazione di colpevolezza che lo aveva colpito qualche ora prima, quando lei l'aveva inchiodato sul posto con quello sguardo furioso, gli afferrò le viscere e le torse fin quasi a fargli male fisicamente, alimentando la sua rabbia. Strinse i pugni e digrignò i denti, incapace di gestirla. 
-Cosa diavolo mi hai fatto!?- sbottò l'uomo.
La donna distolse lo sguardo tornando a posarlo sul libro che aveva interrotto alla sua entrata.
-Non so di cosa tu stia parlando.- 
Incassò, nuovamente, il tono asettico della sua voce, che lo colpì come fosse una freccia intensificando quella sensazione di malessere. Strinse i pugni cercando di ignorarla e le si avvicinò a passi veloci. Le strappò il libro dalle mani e la tirò su prendendola dai polsi.
-Ma che diavolo fai!? Mi fai male!- sbottò lei. -Mollami, Vegeta!-
Il Saiyan la ignorò stringendo la presa così come gli si stringeva lo stomaco. Arricciò il labbro superiore scoprendo i canini animaleschi.
-Che diavolo mi hai fatto, stupida terrestre!? Per colpa tua non riesco neanche più ad allenarmi, sei sempre nella mia testa!- esclamò quasi ringhiando. -Da quando ti ho incontrata la mia concentrazione va ogni giorno più a puttane! Devo ucciderti per farti smettere o cosa? -
Bulma cercò di divincolarsi ma la sua presa era fin troppo forte per lei e le stava facendo dannatamente male. Puntò le iridi azzurre di ghiaccio nello sguardo furioso del Saiyan, senza timore, senza emozioni se non una fermezza senza eguali. 
-Toglimi le mani di dosso, Vegeta, mi fai male.- scandì con fare imperativo, come non credeva di saper fare.
Vegeta, preso alla sprovvista da quel tono piatto ma risoluto, la lasciò andare quasi inconsciamente e continuò a guardarla mentre si massaggiava i polsi arrossati. Poteva vedere l'impronta delle sue dita sulla pelle diafana della ragazza mentre lei gli lanciava un'occhiataccia. Ma in quello sguardo ammonitore non c'era altro che gelo, nessuna emozione colorava quelle iridi chiare, quantomeno nessuna rivolta a lui. Quella consapevola gli rivoltò lo stomaco.
Bulma tornò a sedersi sul letto, riafferò il libro e tornò a leggere indisturbata.
-Il fatto che tu non riesca a concentrarti non è affar mio. Vatti a fare un giro o che so io.- gli disse disinteressata.
Il Saiyan rimase in silenzio per minuti interminabili nei quali solo il suono delle pagine voltate si poteva avvertire. La sua indifferenza non faceva altro che alimentare la propria rabbia, per nulla contento di essere ignorato in quella maniera. Desiderava ardentemente mettere fine a quella storia nell'unico modo che conosceva ma qualcosa lo frenava e non di certo perché avesse paura di intercorrere nella rabbia di Son Goku. Gliene fregava meno di zero di quel tipo e se ci fosse stata la scusa per uno scontro tanto meglio. Però non voleva che la vita di lei finisse, la sola idea gli provocava un vuoto che non voleva approfondire. 
Doveva assolutamente chiudere quella storia e tornare ad allenarsi che lei lo volesse o meno.
-Che diavolo hai, si può sapere!? Prima urli come un'addannata e ora te ne stai lì indifferente!- sbottò Vegeta fuori di sé per un motivo che ancora ignorava.
Bulma chiuse il libro di scatto e si alzò in piedi spingendo il Saiyan ad indietreggiare preso in contropiede.
-Cos'ho io? Assolutamente niente. Ed è proprio questo il problema, non sento più niente da non so quanto tempo. Né rabbia né disperazione, niente di niente, nessun fottutissimo sentimento!- esclamò. -Sono incinta di otto mesi, otto! E non sento assolutamente nulla! Questo bambino è l'unica cosa che mi tiene ancora in piedi perché da quando mi hai guardata quasi schifata quando ti ho rivelato la cosa, dentro di me qualcosa si è spezzato irrimediabilmente. Dopo settimane di depressione per il tuo fottuto rifiuto, per essermi sentita presa in giro e usata, è arrivata la rabbia, ti odiavo come non ho mai odiato nessun altro in vita mia. Perché tu, soltanto tu, sei riuscito a distruggermi dall'interno in questa maniera. E sono stata io a permettertelo fidandomi di un miraggio che probabilmente era soltanto quello, un miraggio. Te ne sei fregato fin da subito e ora vieni qui a pretendere che io ti risolva i tuoi cazzo di problemi di concentrazione!? Sai quanto me ne frega! Se ti sei fissato con me sono cazzi tuoi, non mi riguarda e anche se fosse non m'interessa. Per quanto mi riguarda puoi considerarla la punizione adeguata per il tuo comportamento nei miei, anzi, nei nostri confronti. E ora puoi anche andare fuori di qui.- 
Vegeta rimase lì a fissarla, immobile travolto dalla quantità di parole che gli aveva vomitato addosso in pochi secondi. Colpa sua, lei aveva detto, di quell'apatia che la circondava quando gli era vicina. Colpa sua, del gelo che aveva spento la luce che brillava nei suoi occhi.
Colpa sua, di quella gravidanza indesiderata che si ritrovava a portare avanti da sola.
Colpa sua, del suo dolore e del proprio.
Colpa sua, di tutto quello che stava vivendo.
Come un pugno al centro dello stomaco, la consapevolezza di essere il colpevole della maggior parte dei problemi di entrambi lo colpì. Si erano ritrovati incastrati in quel gioco di sguardi e sentimenti soffocati finché era diventato tutto troppo forte per lui ed era fuggito. Da lei, da sé stesso. 
Strinse i pugni cercando di cacciare via quella sensazione che gli urlava contro di essere stato un codardo. Lui non era fuggito! Né da se stesso tanto meno da lei, doveva allenarsi per essere più forte, per raggiungere il suo obiettivo e quegli occhi azzurri non facevano altro che distrarlo. Non sopportava più di averli addosso con quella loro costante richiesta implicita di essere guardati, studiati, di perdecisi dentro, di cedere alla tentazione di lasciarsi andare a ciò che il suo cuore aveva iniziato a provare. 
Non poteva rimanere ancora lì. 
Eppure, adesso che quelle iridi cerulee avevano smesso di emanare tutto quello ne sentiva la mancanza, tanto da infuriarsi con lei pur di non ammetterlo.
Incrociò le braccia al petto e guardò la ragazza dall'alto in basso.
-Le tue turbe mentali non m'interessano, tanto meno del bambino che porti. Di certo non è colpa mia se ti sei infilata a letto con me.- disse velenoso.
Mentre dentro sé tutto gli urlava di star dicendo un mare di cazzate si accorse a mala pena dell'oggetto che gli sfiorò la faccia andandosi a conficcare nel muro dietro con forza. Si portò una mano alla guancia che gli pulsava inspiegabilmente e la ritrasse sporca di sangue. Si voltò di scatto per osservare il coltello da cucina che lei gli aveva lanciato oscillare infilato fino a metà lama nella parete. aveva abbassato la guardia per un solo secondo e quelli erano i risultati. Ringhiò infuriato contro quella effimera debolezza che solo quando era con lei si manifestava, se voleva raggiungere i propri obbiettivi doveva sbarazzarsene. Tornò ad osservare la ragazza appesantita dall'enorme pancione che aveva ancora il braccio teso.
-Vai a farti fottere, Vegeta. Fuori di qui prima che metta di nuovo alla prova la mia mira.- lo minacciò.
Il Saiyan non fiatò nè si oppose, le voltò le spalle e sparì oltre l'uscio sbattendo la porta. 
Quando Bulma rimase da sola, con il fiato corto e il braccio ancora teso verso la porta chiusa, le ci volle qualche attimo per rimettere insieme le idee. Vegeta si era dimostrato, ancora una volta, un perfetto stronzo egoista, non esisteva nient'altro che se stesso e ogni tentativo di metterlo al corrente che non era così era ovviamente fiato sprecato. Testardo e menefreghista, proprio del peggio del peggio si doveva innamorare, non le era bastata la batosta presa con Yamcha, si era andata ad invischiare in una situazione ancora più complicata. Oltretutto incinta.
Si prese la testa tra le mani lasciando cadere il libro a terra chiedendosi se potesse esistere qualcosa di più straziante di quella situazione. 
Dopo quella litigata Vegeta era scomparso dalla faccia della Terra, non si era più fatto vedere né da lei né dai suoi. Si era chiesta più volte dove fosse andato a finire, se sarebbe tornato prima o poi o se quella fosse stata l'ultima volta che lo avrebbe visto. E per quanto cercava di non pensarci non riusciva a toglierselo dalla testa. La monotonia delle giornate tutte uguali cominciava a farsi sentire ma non ebbe il tempo di farci caso che il suo bambino decise di venire alla luce poco prima del termine prestabilito. Durante la corsa in ospedale e il travaglio smise di pensare finalmente a Vegeta per concentrarsi sulla vita che stava per mettere al mondo. I Saiyan, però, essendo una razza creata per combattere fino alla morte non era decisamente docile e i mezzosangue non facevano eccezione. Bulma se ne accorse quando anche il secondo tentativo di alleviare quei dolori assurdi fallì miseramente, sentiva come se il bambino volesse uscire per affari suoi usando le unghie e i denti. Non aveva idea di cosa stesse combinando ma sapeva che se lo avesse lasciato fare probabilmente non sarebbe sopravvissuta. Puntò i piedi sul pavimento e strinse con forza la pediera del letto, era sola, non aveva voluto nessuno con lei. Nemmeno sua madre che l'aveva pregata di farla entrare per assisterla. Testarda come un mulo aveva rifiutato e con lei c'era soltanto l'ostetrica che la fissava spaventata ma professionale pronta a ricevere il neonato non appena fosse uscito. Le avevano proposto di fare un cesareo dati i dolori lancinanti e la lentezza con la quale procedeva il parto. 
-Lui sta bene?- aveva chiesto.
L'ostetrica l'aveva guardata stralunata.
-Allora!?- aveva chiesto di nuovo.
-Sì il bambino sta bene ma...- 
-Allora non ho bisogno di fare un cesareo.- aveva ribattuto azzittendo il medico.
Per colpa della sua testardagine si ritrovava in preda a dolori mai provati quando poteva aver già partorito almeno un'ora prima senza patire. 
Respirò a fondo tra una contrazione e l'altra, sentiva le gambe deboli ma non aveva nessuna intenzione di arrendersi.
-Scordatelo che te la do vinta, voi Saiyan siete un ammasso di egoisti ma devi uscire da me e deciderò io come e quando!- sbottò.
Si chiese perché non aveva chiesto informazioni a Chichi sul parto di un mezzosangue. Si rispose che probabilmente la donna avrebbe iniziato a farle domande a cui non voleva rispondere sulla propria relazione con Vegeta, unico Saiyan ancora in vita a poter intraprendere un qualche tipo di legame con l'azzurra. Era stato meglio evitare il discorso a priori.
-Okay, Bulma, con la prossima contrazione puoi iniziare a spingere.- le disse l'ostetrica aiutandola a sdraiarsi e a posizionarsi comodamente per l'ultima fase del parto.
L'azzurra tirò internamente un sospiro di sollievo a quella notizia, quel dolore la stava uccidendo e il bambino non collaborava. Per sua fortuna bastarono poche spinte per far uscire il neonato, impaziente di venire al mondo per mostrarsi a tutti. Quando le venne messo in braccio ancora sporco di sangue e con il cordone attaccato sentì qualcosa dentro di lei spezzarsi per poi ricomporsi, in maniera diversa. Avvertì le lacrime pizzicarle gli occhi mentre, con il timore di fargli male, gli accarezzava una guanciotta morbida. Iniziò a piangere senza neanche saperne il perché quando la lunga codina marrone le si attorcigliò al polso, era la cosa più bella che avesse mai visto. Sentiva il cuore esplodere di gioia, un groviglio di sentimenti così forte da farle girare la testa le attanagliava lo stomaco. Strinse a sé quell'esserino minuscolo e piangente sentendosi felice come mai prima d'ora, quel bambino sarebbe stato quanto di più bello la vita potesse donargli. E in quel momento, dopo tante ore in cui la sua testa era stata lontana concentrata su altro, mentre stringeva a sé quella creaturina che urlava a pieni polmoni la sua disapprovazione nell'essere stato tirato fuori, il suo pensiero corse al principe dei Saiyan, Vegeta, grazie al quale le era stato possibile dare vita a quel bambino. Suo figlio. 
Chiuse gli occhi esausta stringendo a sé il piccolo che continuava a piangere. Sentiva la testa leggera però era così felice.
-Signorina?! Bulma mi senti? Stai perdendo molto sangue, svegliati tesoro non addormentarti!- 
Avvertì appena le urla dell'ostetrica che cercava in ogni modo di fermare l'emorragia in corso. Si sentiva strana e non riusciva a capire la gravità della situazione, avvertì qualcuno toglierle il bambino dalle braccia prima di svenire.
Riaprì gli occhi con lentezza, stordita, chiedendosi quando si fosse appisolata. La testa le pulsava e il mondo circostante era un po' appannato, così come i suoni circostanti. Avvertiva qualcosa sul viso e provò ad alzare un braccio per toccarlo ma era troppo debole. Riuscì però a voltare la testa di lato, scorgendo la figura sfuocata della madre in piedi sulla soglia della stanza.
-Mamma?-
La propria voce le sembrò lontana, come proveniente da un'altra dimensione, e piuttosto flebile. Ma sua madre riuscì a sentirla dato che si voltò di scatto mostrandole oltre al proprio interlocutore anche la preoccupazione stampata sul viso sempre sorridente. 
-Oh, kami! Bulma per fortuna ti sei svegliata! Eravamo così preoccupati, temevamo di averti perso!-
Perso? E perché mai?
Non ricordava quasi nulla, non si era neanche resa conto di essere svenuta. Tentò di alzarsi ma i muscoli non le rispondevano come avrebbe voluto. 
-Cos'è successo?- chiese faticosamente.
L'allegra signora bionda tirò su con il naso asciugandosi le lacrime. A Bulma faceva strano vederla in quello stato, era sempre sorridente ed ottimista. Persino quando le aveva comunicato di essere incinta, che il padre del bambino fosse Vegeta e che molto probabilmente non gliene sarebbe importato nulla aveva reagito con estrema gioia e positività. Doveva essere successo qualcosa di brutto. 
-Sei rimasta incosciente per tre giorni, hai perso un sacco di sangue e ti hanno dovuta operare urgentemente. Il bambino deve aver lacerato qualche vaso principale mentre usciva e il tuo corpo ha quasi ceduto, ti hanno dovuta rianimare due volte in sala operatoria e l'emorragia sembrava non volersi fermare. Sei rimasta lì dentro per ore e quando ti hanno portata fuori non respiravi neanche autonomamente.- singhiozzò la donna, affiancata e consolata dal marito che le si era avvicinato.
-Ci siamo spaventati tutti, abbiamo temuto che potessi non svegliarti più. Anche i medici erano scettici.- asserì il dottor Brief sfiorando la fronte della figlia.
Bulma rimase sconcertata nell'apprendere tale notizia, aveva rischiato di morire per una complicazione del parto. I suoi genitori si erano spaventati parecchio a giudicare dalle loro espressioni nel raccontare quanto avvenuto. Si sentiva debole e stanca, doveva aver lottato parecchio, il suo corpo, per non cedere e riportarla tra i vivi. 
-Dov'è il bambino?- soffiò con un filo di voce.
-Sta bene, è al nido al piano di sotto in ottima salute.- la informò la madre.
-Voglio vederlo.- asserì sforzandosi per tirarsi su a sedere.
I genitori si allarmarono vedendola compiere tale gesto, doveva riposare non sforzarsi.
-Bulma, dovresti riprenderti prima, per vedere il bambino ci sarà tempo.- le disse il dottor Brief cercando di rimetterla giù.
L'azzurra lo fulminò con lo sguardo, il suo corpo sarà anche indebolito ma la sua perseveranza era ancora intatta. Si tolse la maschera dell'ossigeno di dosso e si mise seduta con enorme fatica.
-Voglio vedere mio figlio, ora.- disse come un ordine la giovane.
I coniugi Brief la guardarono storto.
-Non è il caso di intestardirti, hai bisogno di riposo in questo momento. Hai una vita per stare appresso a tuo figlio.- 
-Non m'interessa cosa pensi tu o chiunque altro. Voglio vedere mio figlio e se non me lo portate voi me lo vado a prendere!- sbottò con il fiato corto.
Moglie e marito sapevano benissimo che la figlia sarebbe stata in grado di alzarsi e recarsi al nido sulle proprie gambe se nessuno l'avesse ascoltata. Quanto appena passato non l'avrebbe fermata dal farlo, la sua testardaggine era molto più forte del suo corpo. 
Bunny guardò suo marito che sospirò arrendevole per poi uscire dalla stanza, alla ricerca di un infermiera che potesse portargli il neonato prima che Bulma desse di matto.
-Tesoro dovresti sul serio riposare.- cinguettò la bionda decisamente più sollevata.
-Voglio vedere mio figlio, punto e basta.- chiuse il discorso lei.
Bunny sospirò rallegrandosi però di quel modo di fare della figlia, quantomeno si era ripresa abbastanza da puntare i piedi come suo solito. 
Dopo meno di venti minuti, un'infermiera piuttosto giovane entrò nella stanza spingendo una culla in metallo con appeso un cartoncino blu incompleto. A Bulma venne in mente che ancora non aveva scelto un nome per il bambino, ma ci avrebbe pensato successivamente. Si sforzò di posizionarsi meglio mentre la ragazza le si avvicinava con la culla. Prese il bimbo dalla culla e lo porse alla giovane madre.
Bulma lo prese quasi tremante, faceva fatica a sostenere persino il peso esiguo di quel batuffolino ma non lo diede a vedere. Sorrise al suo bambino quando poté osservare per bene il suo viso rilassato, dormiva tranquillo con la boccuccia dischiusa e le manine strette a pugno. Le lacrime le uscirono prima che potesse anche solo rendersene conto, lacrime di gioia, di amore e di felicità. Emozioni incontenibili che avevano come valvola di sfogo il pianto. 
Cullò appena il suo bambino stringendoselo al petto più che potè senza paura di fargli male. La coda che se ne stava posata tranquilla sul proprio ventre era la prova inconfutabile della razza a cui apparteneva per diritto di nascita, non doveva temere per la sua incolumità. Almeno finché non si fosse retto sulle proprie gambe e avesse seguito le orme paterne. 
-Somiglia un sacco a Vegeta, non trovate anche voi?- disse il dottor Brief attirando l'attenzione su di sé.
Il neonato non aveva ancora aperto gli occhi facendo rimanere sconosciuto il colore delle sue iridi, però anche da chiusi si poteva benissimo vedere il taglio netto e squadrato oltre all'espressione leggermente corrucciata. Il visino era paffuto come quello di ogni bambino mentre il corpo, da sotto la tutina, appariva decisamente più asciutto e atletico dei normali neonati terrestri. 
Bulma lo cullò per quanto le sue misere forze glielo permettessero osservando incantata quell'esserino che aveva creato, sentiva il cuore esplodere di gioia e tutte le paure erano, per lo meno momentaneamente, sparite lasciando il posto a una serie di emozioni a cui non riusciva a dare una spiegazione. 
-Dovresti riposare, tesoro.- affermò la bionda neo nonna osservando con premura la figlia.
-Sto bene- sospirò. - Voglio solo coccolare mio figlio.- 
I coniugi Brief non dissero altro limitandosi ad osservare madre e figlio in completo silenzio.
-Signori, mi dispiace ma dovete uscire, l'orario delle visite è terminato. I pazienti hanno bisogno di riposare- asserì un'infermiera bussando appena alla porta aperta.
Bulma era stata messa in una stanza singola molto grande e non aveva una compagna di stanza. Oltretutto l'ala in cui erano era quasi vuota quindi si chiesero come mai li mandassero via allo scoccare del minuto invece di attendere un po' di più. Probabilmente c'erano casi più gravi o semplicemente dovevano far rispettare le stesse regole a tutti, indifferentemente dal ceto sociale di appartenenza. Perciò non fecero storie, salutarono la figlia raccomandandosi di chiamarli in caso di qualsiasi problema e lasciando una carezza al bambino dormiente. 
L'azzurra si rifiutò di restituire il bimbo alle addette del nido e s'impuntò per farselo lasciare tutta la notte, nonostante le avessero fatto notare di non essere nel reparto più adatto per un neonato. A lei non importava e per evitare di farla affaticare con una discussione le fecero fare come voleva. 
Il bimbo si mise a piangere affamato neanche un'ora dopo e, per quanto le scocciasse farlo, dovette richiamare le infermiere per farsi aiutare. Non aveva idea di come attaccare il bambino nè la forza per starci a combattere. Per fortuna si attaccò senza problemi iniziando a ciucciare voracemente dal seno materno. Non era esattamente lo sforzo migliore da fare dopo aver rischiato di morire ma Bulma strinse i denti, sopportò il dolore e continuò ad allattare il bambino al seno nonostante le poche forze. Osservò le guance gonfiarsi e mostrare due piccole fossette sui lati, le sfiorò chiedendosi da chi le avesse riprese. Gli accarezzò il viso con tenerezza fin quando non si staccò sazio. Riuscì a rimetterlo nella culla di metallo, avvicinata precedentemente al letto, per poi lasciarsi cadere sul materasso esausta. 
Il sonno del neonato durò però ben poco e dopo appena un paio d'ore Bulma dovette prenderlo dalla culla per quietare il suo pianto disperato. Gli cambiò il pannolino e lo cullò un po' cercando di farlo calmare. Sbadigliò esausta, quella giornata sembrava non finire più. Giocò un poco con le sue manine e si ritrovò a fissare il cartoncino semi vuoto con su riportata solo la data e l'ora di nascita. Neanche il cognome era riportato, avrebbe dovuto dargli il proprio?
Un suono proveniente dalla finestra attirò la sua attenzione costringendola a mettersi sul chi va là nonostante fosse in una struttura ben più che sicura. Non aveva le forze di alzarsi quindi si limitò ad allungare il collo per osservare la finestra richiudersi lenta. Eppure era sicura di averla lasciata chiusa e di certo non si apriva da sola. Magari qualcuno di sua conoscenza che non amava l'utilizzo delle porte aveva deciso di palesarsi. Scosse la testa cacciando quella speranza prima che le riempisse il cuore. Ora doveva pensare soltanto al suo bambino, il resto veniva dopo. Si voltò per premere sul campanello e chiedere che le chiudessero le finestre. Quasi le venne un'infarto quando si trovò di fronte il principe dei Saiyan calzato nella solita divisa.
-Vegeta! Che diavolo ci fai qui!?- sbottò. -Mi hai spaventata!-
-Dov'è?-
-Dov'è chi?- gli chiese lei sul piede di guerra.
Vegeta portò lo sguardo su di lei facendo roteare le iridi scure nelle sue.
-Mio figlio. Ho sentito la sua aura, dov'è?- chiese incrociando le braccia al petto.
Bulma lo guardò storto per niente intenzionata a fare quanto da lui richiesto. Incrociò anch'ella le braccia al petto e lo fissò con sfida. Se pensava che gliel'avrebbe fatta passare liscia si sbagliava di grosso.
-Ora è tuo figlio? Fino a ieri neanche ti importava di lui.- gli rispose.
-Non ho detto che m'importa.- sentenziò l'altro spostando lo sguardo altrove.
Aveva avvertito quella flebile eppure intensa aura tutto d'un botto, come se prima non esistesse e poi fosse comparsa dal nulla. Era piccola e piuttosto debole quindi era stato difficile all'inizio isolarla per comprenderla al meglio. Ma quando era riuscito a concentrarsi abbastanza l'aveva analizzata scoprendola assai simile alla propria ma diversa, un mix tra la sua e quella di Bulma eppure differente da quella di entrambi. Non ci aveva pensato due volte a seguirla comprendendone l'origine eppure una volta arrivato davanti l'edificio aveva indugiato per un tempo interminabile. Insomma se sul serio non gli importava perché era lì?
-E allora cosa vuoi?- gli chiese sulla difensiva.
Era sparito per mesi, l'aveva a malapena guardata da quando era rimasta incinta, se ne era fregato totalmente della gravidanza e del bambino che le cresceva dentro. E ora, dopo che lei aveva fatto tutto il lavoro da sola, lui voleva vedere suo figlio? Senza che tra l'altro gli importasse di lui stando alle sue parole.
Vegeta continuò a non guardarla preferendo prestare attenzione al cielo stellato oltre la finestra. Quella sera d'autunno non c'era una nuvola in cielo, il leggero venticello frizzantino scuoteva le chiome degli alberi attorno all'ospedale. Era ormai iniziata la stagione delle piogge ma alla nascita di quella nuova vita il tempo aveva deciso di essere clemente.
-Dov'è?- chiese ancora.
Bulma moriva dalla voglia di tirargli uno schiaffo, urlargli di andare a fanculo per poi cacciarlo dalla stanza. Non meritava neanche di avere il più piccolo sguardo dal bambino a cui aveva dato vita. Ma si trattenne ripetendosi di essere paziente, che se aveva espresso la volontà di vederlo sicuramente gli importava, che comunque avrebbe potuto farlo mentre lei dormiva senza chiederle nulla, invece si era esposto aspettando che si svegliasse. 
-Davanti al tuo naso.- gli disse abbassando gli occhi sul neonato.
Vegeta la imitò squadrando appena la figura piccola e apparentemente fragile di quello che era suo figlio, sangue del suo sangue. Sembrava più un terrestre che un Saiyan raggimitolato su un lato dormiente. Innoquo. Se non fosse stato per la coda e l'aura che sentiva sprigionargli avrebbe dubitato fortemente fosse veramente suo figlio.
-Hai finito di guardarlo in cagnesco?- lo rimproverò. 
Il Saiyan fece una smorfia infastidito dal suo tono iroso ma non fiatò. Spostò gli occhi su di lei che neanche lo guardava.
-Ora che l'hai visto puoi anche tornare da dove sei venuto.-
-Mi stai cacciando?- le chiese sulla difensiva.
Bulma lo guardò con la coda dell'occhio poi riportò lo sguardo sul suo bambino che, finalmente, aveva aperto gli occhi rivelando un paio di iridi blu stupende. Non azzurre, blu. Un paio di tonalità più scure delle sue, probabilmente derivante dall'altra metà del corredo genetico che si portava dietro. Non seppe dire se la cosa la infastidiva o le faceva male.
-Non mi sembra tu sia interessato a me o a lui, non so neanche per quale motivo tu sia qui, quindi ora che hai appurato con i tuoi occhi che, sì, ho partorito tuo figlio puoi anche andartene.- sentenziò fredda. Il Saiyan non fiatò, per secondi interminabili rimase in completo silenzio. Fuori un tuono risuonò annunciando l'arrivo di un temporale.
-Non ho mai dubitato che fosse mio figlio.- 
Bulma rise appena, una risata amara.
-Già, tuo figlio. Soltanto perché hai involontariamente contribuito alla sua creazione hai tutti i diritti che ho io su di lui. Nonostante poi non te ne freghi nulla.- scosse la testa divertita. -Certo che la natura è bastarda, io rischio di morire dandolo alla luce e tu lo rifiuti. Però abbiamo lo stesso identico valore.-
L'azzurra lo vide sussultare appena, un movimento quasi impercettibile accompagnato da un altrettanto leggero sbarramento degli occhi scuri. Allora qualcosa gli faceva effetto, non era un pezzo di marmo come voleva farle credere. Sorrise sotto i baffi.
-Hai rischiato di morire?- 
Bulma riuscì a mettersi seduta, la stanchezza andava scemando ma i punti di sutura tiravano perciò lasciò le gambe distese lungo il materasso. Prese il neonato e sorreggendogli la testa se lo mise di fronte osservando i grandi occhi blu spalancati restii a far tornare il piccolo proprietario nel sonno. 
-Già. Uscendo deve avermi lacerato qualche vaso importante e ho rischiato la vita per un'emorragia. Neanche il tempo di venire al mondo che voleva già distruggere tutto. - disse sfiorandogli il nasino con un dito. - Però stavolta ho vinto io.- 
-Non potevi aspettarti che fosse semplice, è un Saiyan anche se solo per metà- sentenziò il guerriero tornando alla sua solita compostezza. Non che Bulma si aspettasse chissà quale interesse nei suoi confronti ovviamente.
L’azzurra non gli rispose preferendo concentrarsi sulle iridi del suo bambino, ora era lui tutto il suo mondo. Seguirono minuti di silenzio rotto qua e là da qualche tuono, era autunno inoltrato un temporale era più che prevedibile per quella stagione. 
I due neo genitori non si parlarono nè guardarono nella stessa direzione e probabilmente i loro pensieri non si avvicinavano neanche lontanamente. Bulma si chiese quanto ancora il guerriero sarebbe rimasto lì in piedi a fissare il nulla prima di sparire di nuovo. Non voleva niente da lui, sapeva benissimo quali fossero le sue priorità e quel bambino che avevano generato assieme non ci rientrava. Si era preparata fin dall’inizio alla consapevolezza di doverlo crescere da sola, allo stesso modo di come aveva affrontato l’intera gravidanza. Avrebbe contato sui suoi genitori che le avrebbero volentieri dato una mano facendo i nonni e viziando il nipotino a più non posso. Poteva farcela.
-Vuoi prenderlo?- chiese d’improvviso lei.
Vegeta sussultò di nuovo, in modo più evidente sta volta, ed indietreggiò di un passo allontanandosi fisicamente da quell'idea assurda. Che diavolo aveva quella donna? Prima lo cacciava e ora gli chiedeva di prendere in braccio il bambino, i farmaci dovevano averle dato alla testa.
Bulma non avrebbe saputo spiegare il perchè di quella richiesta, l’aveva fatto e basta. Dopotutto era sempre suo figlio, come da sua stessa affermazione, ed era arrivato fin lì da chissà dove soltanto per vederlo. Doveva essersi aperto un qualche spiraglio in quella stupida corazza d’odio che si porta dietro, altrimenti non si sarebbe presentato.
-Sta calmo, non ti mangia.- gli disse osservandolo irrigidirsi.
Vegeta osservò il bambino come se potesse seriamente fargli del male. Anche a distanza poteva quasi sentire l'amore incondizionato che quel bambino emanava. Non aveva neanche un giorno di vita eppure sembrava voler catturare tutto ciò che di più oscuro il suo cuore nascondeva. Fece un altro passo indietro. 
-Non credevo avessi paura.- gli disse rimettendo il neonato nella culla.
Il Saiyan fece una smorfia. 
-Io non ho paura.- 
-Di lui no. Ma dei sentimenti che ti scatena dentro sì.-
-Tch!- 
I tuoni fuori si susseguirono riempiendo il silenzio venutosi a creare. Lo scroscio della pioggia annunciò loro che il temporale era iniziato e che la tregua in quel giorno di nascita era terminata. 
-Hai intenzione di riconoscerlo?- chiese l'azzurra.
Vegeta continuò ad osservare fuori più interessato alla pioggia che alla domanda di lei. I lampi gli illuminavano il viso mettendo in risalto la mascella squadrata e gli zigomi alti. Le labbra piegate all'ingiù come se fosse sempre in disaccordo con qualcosa. Bulma si chiese se avesse mai sorriso in vita sua. Gli occhi scuri fissi sulle gocce che cadevano sempre più fitte e veloci emettendo un fruscio per molti rilassante, nella penombra la giovane donna fece fatica a scrutarli per bene. 
-Non ti senti minimamente scosso da quello che è successo? Insomma sei diventato padre e anche se apparentemente non t'interessa...-
-Hai detto bene. Non m'interessa.-
Bulma avvertì l'ennesima stilettata al cuore già abbondantemente ferito. Credeva di essere riuscita a superarlo in quei mesi, di aver chiuso quell'organo in una scatola inaccessibile a lui e alle sue parole d'odio. Credeva di non essere più così coinvolta emotivamente. Credeva forse troppe cose. La realtà era una stronza e le si schiantò addosso con la forza di un treno in corsa. 
Si fissò i piedi nascosti sotto le coperte con espressione sofferente. Non pianse, aveva terminato le lacrime ormai giorni prima. Sentiva solo un grande dolore, proprio accanto alla gioia per la nascita di suo figlio. La sua rinascita era durata poco, il principe era ripiombato nella sua vita lacerando ancora la sua anima. Avrebbe mai smesso di fare così male? 
Il silenzio tornò ad avvolgerli, pesante, colmo di sofferenza e di rabbia. 
Bulma si chiuse in se stessa come faceva ormai troppo spesso da quando lui era entrato nella sua vita e si chiese se tutta quella sofferenza ne valeva la pena. Per l'ennesima volta aveva voglia di strapparsi il cuore con sentimenti annessi e lanciarlo lontano, bruciarlo o seppellirlo pur di farlo smettere di sanguinare. Sospirò.
-Okay.- disse.
Vegeta mosse appena gli occhi nella sua direzione.
-Hai vinto tu,Vegeta. Tu e il tuo muro d'odio in cui tu ostini a rinchiuderti.- continuò tornando a sdraiarsi. Si girò su un fianco dando le spalle al Saiyan. -Ti sono stata dietro per un'infinità di tempo, cercando di buttarlo giù e farti capire che non c'è un mostro al di fuori pronto a divorarti vivo. Ma tu non vuoi quindi, okay. Va bene, hai vinto tu. Mi arrendo.- 
Le distruggeva il cuore quella decisione, le lacerava l'esistenza e spalancava ancor di più quel vuoto ma in quel momento aveva bisogno di concentrarsi su altro. Doveva essere psicologicamente forte per poter crescere quel bambino nel migliore dei modi e non poteva permettersi di continuare a correre dietro a qualcuno che non voleva essere aiutato. Era ora di staccare la spina, chiudere la porta e mettere via la chiave.
-Potrai sempre tornare alla Capsule Corp se ne sentirai il bisogno, nessuno ti caccerà. Quella è anche casa tua ormai.-
Vegeta non parlò né si voltò ma a Bulma non interessò. Stava facendo una fatica abnorme a non voltarsi per guardarlo e non sentire i suoi occhi addosso le dava una mano a non cedere. 
L'azzurra non aggiunse altro, la pioggia continuava a cadere riempiendo la quiete ora più leggera. Meno fitta e carica di rabbia. 
Vegeta non disse nulla, probabilmente chiuso in chissà quali pensieri. Poi si avviò lentamente verso la finestra, con il chiaro intento di uscire da lì nonostante il temporale. Si bloccò però appena prima di uscire e voltò appena la testa.
-Come si chiama?-
-
Ancora non ha un nome.- disse alzando le spalle. -Hai idee?- 
Il Saiyan lanciò una veloce occhiata alla culla dove il figlio riposava sereno, ignaro dei problemi che la sua nascita aveva involontariamente creato nei suoi genitori. Non poteva dargli la colpa per ciò che era successo, lui al massimo ne era la conseguenza. Non sapeva perché le avesse chiesto il nome, né perché lei gli avesse rigirato la domanda -in teoria non dovrebbe importargli, no?- e non gli importava saperlo. Tornò a guardare fuori.
-Trunks.- disse poco prima che un lampo gli illuminasse il viso e il fragore del tuono esplodesse nella stanza.
-E "Trunks" sia.- mormorò la scienziata.
Il Saiyan spiccò il volo e ciò che le rimase fu soltanto la scia del suo odore. La finestra rimase aperta mentre si raggomitolava il più possibile su se stessa cercando di prendere sonno mentre la consapevolezza di non rivederlo ancora prima dell'avvento del nemico le strazziava il cuore. 


AngoloAutore:
Era tipo troppo tempo che non entravo sul sito e pubblicavo qualcosa. Però sono viva e non vi ho abbandonati, tranquilli ho solo avuto un mezzo blocco dello scrittore (come sempre). Ma sembra che piano piano io mi stia riprendendo e che la fantasia di scrivere stia tornando. Perciò mi metterò presto a scrivere il capitolo della long che ho lasciato a marcire in un angolo per mesi- Ormai dovreste averlo capito che "incoerenza" è il mio secondo nome, no? Invidio parecchio quegli autori che riescono a pubblicare con regolarità *sigh*
E niente, vai di angst perchè non c'è gioia senza sofferenza. Non so se sono stata perfettamente IC sta volta con Vegeta, la sua caratterizzazione di questo periodo è un po' contorta peggio di quella Post-Cell. Vi pregherei di farmelo notare se ci sono stati dei punti in cui i personaggi vi sono sembrati OOC C:
Bene, spero che la prossima volta che entrerò sul sito sarà per pubblicare il capitolo e non l'ennesimo sproloquio che mi passa per la testa.

See ya soon ~

 
  
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