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Autore: pensierisucarta    18/02/2020    0 recensioni
Larry!AU in due parti di pura introspezione
Se cercate un racconto d'azione o se siete amanti delle storie con molto dialogo, mi dispiace, ma questa fic non è ciò che fa per voi.
Dove Harry è un artista, Louis è un poeta, siamo fuori da uno spazio definito, in un tempo imprecisato, non accade nulla e l'unica cosa che conta è l'amore per l'arte e per quel genere di arte particolare che sono certe persone
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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AUTORITRATTO


Louis si appoggiò al muro grigio della stazione con una sigaretta tra le labbra e la valigia rigonfia ai piedi. Soffiò fuori un po' di fumo per poi aspiralo col naso e cercò di imporsi di stare calmo. Il suo corpo, teso, completamente incordato, l'avrebbe potuto tranquillamente tradire se qualcuno fosse passato di lì; davvero chiunque, anche il più distratto dei passanti, si sarebbe accorto con facilità del suo stato d'agitazione. Non c'era nessuno, comunque, perfino la stazione si era svuotata, e Louis pensò che fosse un bene; non voleva mostrarsi eccessivamente vulnerabile, almeno non più di quanto già facesse col suo lavoro, né debole agli occhi dei suoi vecchi compaesani. Consumò solo metà della sigaretta prima di spegnerla e si affrettò a controllare che ora fosse, seppur inutilmente, perché il suo orologio si era fermato e non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per farlo. Non che sapere da quanto tempo fosse lì ad aspettare gli avrebbe cambiato la vita, certo, ma rinfacciare al suo migliore amico il ritardo avrebbe reso il rientro più dolce. Il viaggio in treno era stato eterno e straziante, e riempirlo con i libri che si era portato dietro non era bastato a renderlo più piacevole. Gli era anche parso strano, perché di norma era una persona molto paziente. Probabilmente, la voglia di rivedere il suo quasi fratellino lo aveva arso da dentro come un combustibile, impedendogli di stare calmo e fermo seduto al suo scomodo posto. Si era sommata poi al suo nervosismo, una volta sceso,  non tanto l'attesa perenne in solitudine, quanto la veloce perdita di sensibilità dovuta al freddo. Alla fine, per guadagnare un po' di calore, decise di sedersi, pur ritenendo la cosa poco elegante, e di aspettare raggomitolandosi su se stesso. Probabilmente l'unico difetto del suo migliore amico era la mancanza di puntualità, tanto che ad un certo punto della loro infanzia aspettarlo era diventata un' abitudine per lui. Erano state le lunghe attese ad avvicinarlo alla scrittura. Le sue giornate avevano ruotato intorno all'amico per gran parte della loro infanzia; Louis evitava con attenzione di farsi trovare in casa all'infuori degli orari dei pasti, andava a correre con quel bambino dalle mani costantemente sporche di colore e giocavano o cercavano di affogarsi a vicenda nel fiume. Era stato divertente per un po'. Louis si passò una mano congelata sulle labbra. Le aveva morse senza un motivo e il vento freddo aveva contribuito a farle sanguinare. Se ne era accorto esclusivamente grazie alle tracce di sangue che erano rimaste sulla sigaretta e aveva pensato che passandoci la mano ne avrebbe avuto la conferma. Il sangue lo disgustava profondamente. Aveva un'avversione così profonda per quella roba che gli scorreva nelle vene da desiderare a volte di poterci far fluire l' alcool al posto del sangue. Ne avrebbe voluto un po' in quel momento di alcool, che almeno lo avrebbe riscaldato. L'idea di alzarsi e andare a cercare un locale o un qualsiasi altro posto al chiuso l'aveva pure sfiorato, ma il suo migliore amico gli era sembrato così entusiasta di andare a prenderlo di persona nella sua ultima lettera che non voleva deluderlo. In tutta sincerità non avrebbe saputo nemmeno come orientarsi da solo, mancava da quel posto da troppo tempo e il suo stato d'ansia nervosa dipendeva proprio da questo. Avrebbe perso completamente la dignità e quel poco di contegno che stava faticosamente tentando di mantenere, piangendo per l'ansia, per il freddo e la stanchezza, se il suo amico non si fosse presentato nel giro di cinque minuti.
La prima cosa che vide di Harry furono le gambe, nascoste dal tessuto nero dei pantaloni e solo in parte coperte da un cappotto che un tempo doveva essere stato della giusta lunghezza. Le osservò avanzare verso di lui senza fretta e non fu tentato né di alzare lo sguardo né di tirarsi in piedi; studiò l'andatura del suo migliore amico e cercò di imprimersela nella memoria. Alzò gli occhi solo quando quelle gambe si fermarono davanti a lui, tanto vicine da poter essere toccate. Harry gli chiese se si fosse addormentato, così, senza nemmeno salutarlo, come se fosse stato un poveraccio ubriaco in cui era incappato per sbaglio. Louis gli allungò una mano per farsi aiutare a tornare in piedi. Entrambe le mani di Harry circondarono la sua; erano grandi, con le dita lunghe e affusolate, le vene leggermente in rilievo e tracce di colore sotto le unghie tenute corte, forse mordicchiate. Una volta arrivati a casa di Harry, ripensandoci, Louis non sarebbe stato in grado di decidere se fosse stata più confortante quella stretta forte e sicura o l' abbraccio fraterno nel quale era stato travolto subito dopo. Harry, o meglio il suo cappotto, odorava di naftalina e pigmenti ad olio. I suoi capelli risentivano del brutto vizio di attorcigliarli intorno alle dita o addirittura ai pennelli e non sembravano minimamente curati, seppur lunghi e belli come l'ultima volta che li aveva visti. Il tragitto verso casa fu silenzioso. Louis continuò a osservare l' uomo al suo fianco pensando di non essere notato; le sue mani, piccole se comparate a quelle di Harry, non smisero nemmeno per un secondo di tremare. Anche Harry l'aveva guardato, studiato, usato, ma con molta più discrezione. Aveva cercato di dare il giusto nome alla sfumatura dei suoi occhi, che pensava di aver dimenticato. Se non avesse indossato un cappotto, probabilmente sarebbe già stato in grado di riprodurre le sue braccia, ogni muscolo, ogni neo sulla sua pelle con precisione. Tuttavia a lui il tragitto, che all'andata era sembrato interminabile, parve stavolta troppo breve, non sufficiente per riabituarsi all'idea di avere l'amico vicino. Harry viveva da solo, ma a Louis la casa non sembrò affatto vuota quando vi arrivarono. Le pareti bianche, spoglie e anche un po' sporche e rovinate a causa dell'umidità contrastavano con le tele del suo migliore amico. Nel lavandino della cucina c'era una pila di stoviglie usate ancora da lavare e cibo mai mangiato. La camera di Harry era la stanza più grande, stipata di lavori in corso, con solo il letto a renderla utilizzabile. Harry fece accomodare Louis nella stanza attigua. Non riusciva ancora a credere che fosse realmente lì, con lui, a respirare la stessa aria, a pregare le stesse muse, a commiserarsi in silenzio e ad imprecare contro l'arte, quella puttana che li aveva infettati con la peggiore delle malattie. Louis mise da parte la valigia senza nemmeno aprirla, si tolse il cappotto e lo gettò sul letto con noncuranza, nonostante continuasse a sentire freddo. Harry rimase sulla porta.
- Sai che ho venduto una tela proprio ieri? Ho sentito una strana fitta allo stomaco quando non l'ho più vista accanto al letto, dovrei smettere di affezionarmi ai miei dipinti. -
- Secondo me, Harry, era la fame -
Louis si sedette sul letto con un leggero sorriso beffardo dipinto sul viso e iniziò a strofinarsi le braccia per scaldarsi.
- Possibile, dipingere non mi fa affatto mangiare -
Harry si decise a fare qualche passo avanti nella stanza e recuperò una coperta dall'armadio vicino al letto.
- Ti ho comprato della carta, comunque. Non voglio vederti scrivere su pezzi di giornale mentre sei mio ospite - 
Lanciò a Louis la coperta, invitandolo con un cenno della testa ad avvolgersela intorno al corpo.
- Cosa ti fa pensare che io abbia intenzione di scrivere mentre sono qui? -
- Tu scrivi sempre ovunque, Louis, è così da quando avevi dodici anni. Oltretutto, nemmeno la poesia fa mangiare molto, non credo tu voglia passare tutto il tuo tempo qui a girare senza una meta spendendo soldi che non possiedi. - Si sorrisero con la consapevolezza di essere tornati ad un' ambigua, agrodolce abitudine di rinfacciarsi anche le cose più infime. Ovviamente, nessuno dei due osò confessare all'altro quanto fosse stata dura la lontananza. Harry consegnò una delle sue chiavi a Louis prima di uscire dalla stanza lasciando la questione della carta in sospeso. Gli disse che doveva terminare un ritratto, ma Louis realizzò immediatamente che stesse mentendo, che in realtà si era solo sentito in imbarazzo, a disagio. Non c'era nessun altro in casa all'infuori di loro due, nessuno che potesse posare per un ritratto. Oltretutto, Harry aveva una strana relazione con le sue tele, questo Louis lo sapeva bene, anche grazie alle lunghe lettere che si erano scambiati. La maggior parte delle volte Harry dipingeva il mare, i fiumi, i laghi, qualsiasi fonte d'acqua gli sembrasse interessante, ma mai era ripetitivo. Aveva un'ossessione per i riflessi della luce sull'acqua e non esauriva mai la voglia di andarsi a cercare una nuova sfumatura di blu da impiegare nei dipinti. Al contrario, si sforzava di fare ritratti solo se commissionati e ogni volta soffriva mentre il pennello accarezzava la tela. Non avrebbe mai voluto vendere la sua arte o piegarla al desiderio altrui, ma davvero con i quadri non si mangiava, e a volte era convinto che bisognasse trovare un compromesso con la realtà per continuare a starne fuori. Louis non aveva questo problema; nessuno gli chiedeva di scrivere qualcosa in particolare e poi c'era sempre almeno una persona che riusciva a sentire quei sentimenti canalizzati sulla carta come propri. Harry lo invidiava da morire, ossessionato dall'idea di prostituire la propria anima e le mani per soldi. Louis, dal canto suo, cercava di confortarlo dicendogli che, in fondo, quando riusciva a pubblicare qualche scritto, anche la sua di anima diventava merce da svendere, ma mai, mai Harry si sentiva suo pari. Per questo, quando era andato a comprare la carta per le poesie di Louis, aveva deciso di fare lo sfacciato per una volta nella vita, e provare ad abbassare quell'uomo al suo livello. Gli aveva scritto un'enorme richiesta su uno dei fogli, con una calligrafia disordinata, giusto per insozzare quella carta, e internamente aveva ordinato, pregato, implorato che Louis la esaudisse una volta letta. E lui l'aveva letta subito, una volta rimasto solo nella stanza. Era lì, sul suo comodino, insieme alle aspettative di Harry. Louis prese il foglio e lo nascose sotto agli altri. Aveva appena fatto ritorno a casa e la sua emotività era già stata messa fin troppo alla prova. Harry avrebbe dovuto aspettare e ripagare con una paziente attesa il ritardo di poco prima.


 

Quando la mattina seguente Louis si svegliò in un letto che non gli apparteneva, la camera era avvolta nel silenzio e nel freddo. Probabilmente era stato proprio il gelo che avvertiva ai piedi e alle mani a svegliarlo; rimase per qualche istante a fissare il soffitto cercando il coraggio di scendere dal letto e sfregandosi la pelle gelata per guadagnare un'illusione di calore. Si strinse addosso la coperta che Harry gli aveva dato la sera prima e si decise finalmente a lasciare la camera. Non aveva ancora del tutto realizzato di trovarsi  sul serio a due passi dal suo migliore amico, nel posto che li aveva visti crescere insieme per un po'. Cercando di non fare rumore si affacciò nella stanza di Harry; la piccola finestra posta sopra al letto del suo amico era socchiusa e lasciava passare insieme al freddo un timido raggio di luce. Louis si avvicinò per chiuderla, non voleva che Harry prendesse freddo mentre dormiva. Il più piccolo si mosse nel sonno, trascinandosi dietro le coperte e scoprendo la guancia sinistra, che fino a un momento prima era premuta contro il cuscino. Aveva il viso sporco di tempera bianca sotto un sopracciglio; Louis poteva immaginarselo la sera precedente mentre si spostava i capelli dagli occhi con la mano destra armata di pennello. Cercò di rimboccargli le coperte poi lasciò la stanza, aveva bisogno di una passeggiata. Recuperò la propria copia della chiave, un foglio, penna e inchiostro e qualche soldo; non era ricco, certo, ma con il ricavato della sua ultima raccolta di poesie poteva concedersi di andare a prendere una cioccolata per colazione. Non c'era molta gente per strada, nessun viso che potesse riconoscere. Louis respirò a pieni polmoni, cercando di cogliere tutti i profumi della via principale. Gli era mancato quel posto, e un po' l'aveva invidiato Harry perché da lì non si era quasi mai spostato, se non per qualche viaggio in Francia o in Italia. Ne aveva vissuto i piccoli cambiamenti attraverso le lettere di Harry, non ne ricordava alla perfezione le vie, ma l'atmosfera pacifica di un paese che sembrava bloccato nel tempo e il fiume che lo attraversava erano sempre rimasti impressi nella sua memoria. Era quel posto che gli aveva ispirato la prima poesia, una composizione orribile che solo Harry aveva finto di apprezzare, ma pur sempre la sua prima. Era quel posto che gli aveva regalato i momenti più belli della sua infanzia, gli unici che avrebbe voluto ricordare per sempre e che invece, piano piano, iniziavano a svanire. Si mise a scrivere seduto sotto ad un albero, ignorando il freddo a cui si sarebbe dovuto riabituare presto. Gambe piegate, schiena poggiata addosso al tronco dell'albero, penna impugnata troppo in basso, tanto che l'inchiostro gli macchiava sistematicamente le dita: così Harry avrebbe potuto ritrarre Louis quella mattina se si fosse svegliato presto e l'avesse accompagnato. Invece, al ritorno, Louis trovò Harry appena alzato, ancora assonnato, ma già circondato dalle sue tele, quei fiumi limpidi, i ponti sospesi nella nebbia, le barche ormeggiate all'ombra di un piccolo molo, i tramonti sul mare. C'era anche un ritratto appena abbozzato relegato in un angolo, ma Louis non avrebbe saputo dire chi fosse il soggetto rappresentato. Harry lo accolse con un bacio delicato sulla guancia. Era un'abitudine inusuale, quella, che si era preso da piccolo, dopo aver costatato che le guance di Louis erano più morbide di quelle di sua madre. Ora quelle guance erano coperte di barba, ma a Harry non importava, gli era mancato baciarle. Louis sorrise spontaneamente; iniziava davvero a sentirsi di nuovo a casa.

 

Stare intorno ad Harry mentre dipingeva era davvero un'esperienza che Louis avrebbe imparato col tempo a gestire con attenzione. Più in generale, vedere qualcuno così immerso nel proprio lavoro al punto da fondersi quasi con esso non poteva che essere di ispirazione per un poeta come Louis. La loro piccola convivenza, quindi, si dimostrò ben presto non solo di matrice fisica, ma anche e soprattutto artistica. Louis si ritagliò uno spazietto nella camera del suo amico, proprio sotto alla finestra che Harry si ostinava a tenere aperta anche di notte. Da lì poteva godere di un'ottima luce e della vista perfetta della schiena di Harry che si muoveva tra le tele, avvolto in una camicia bianca, un po' logora, con le maniche arrotolate malamente fino a metà braccia. Harry non protestò minimamente quando Louis iniziò a sdraiarsi direttamente sul suo letto per scrivere, mentre lui se ne stava in piedi con le mani sporche e piene di pennelli. Riusciva ad avvertire per qualche strana ragione un certo paio di occhi azzurri che lo seguivano per tutta la stanza, staccandosi di tanto in tanto solo per soffermarsi o su un dettaglio dei quadri o sulla carta, ma questo non lo turbava affatto, né gli metteva pressione. Quegli occhi appartenevano a Louis, erano ciò che di più blu Harry avesse mai visto nella sua vita e non potevano in alcun modo mettergli soggezione. Louis aveva sempre incoraggiato la sua passione e Harry ormai si fidava di lui ciecamente, sia dal lato umano che in campo artistico. Era il suo migliore amico e avvertire dopo tanto tempo la sua presenza concretamente non faceva che rendere il lavoro più stimolante e la casa più confortevole. Non sapeva di preciso per quanto tempo Louis si sarebbe fermato a casa sua, ma da una parte preferiva rimanere all'oscuro di ogni cosa, soprattutto per godersi senza angoscia la sua compagnia e tutte le piccole novità che la sua presenza aveva indotto. La prima, la più bella, era stata proprio il lavorare insieme, ma Harry non si era reso minimamente conto di come questa novità, almeno all'inizio, avesse avuto molto più impatto su Louis che su di lui. Lavoravano in silenzio per la maggior parte del tempo, ma l'atmosfera non si faceva mai tesa. Ciascuno dei due sapeva perfettamente quando parlare e come muoversi senza essere di intralcio per l'altro. Sembrava non si fossero mai separati, perfettamente a conoscenza delle rispettive necessità e manie. Louis si meravigliò quasi quando si rese conto di ricordare senza problemi persino in che modo Harry prendesse il tè. Si prese l'abitudine di prepararne due tazze sempre alla stessa ora e portarle in camera affinché Harry potesse bere senza smettere di lavorare. Louis si sedeva sul letto con il suo tè tra le mani, stretto saldamente per scaldarle, e lo guardava rifinire qualche dettaglio, tentando contemporaneamente di non rovesciare il contenuto della tazza sul pavimento. Harry, da parte sua, non faceva che sorridergli. Ogni tanto si girava e vedere Louis sul suo letto, coperto da strati e strati di vestiti pesanti, con la luce che disegnava delle ombre leggere sul suo viso, gli riempiva il cuore di gioia. Non poteva che sorridergli, così, spontaneamente, in maniera del tutto sincera e naturale. Poi, una mattina, tornando dalla sua ormai passeggiata abituale, Louis trovò direttamente i cavalletti girati. Harry, spalle alla porta, ora poteva bearsi del suo viso semplicemente facendo capolino dalle tele. Louis non era più in grado di vedere cosa Harry stesse dipingendo, ma poteva scorgere i suoi occhi brillanti più spesso, e questo gli bastava.

 

Louis usò la maggior parte dei fogli che Harry gli aveva comprato per scrivere lettere alla sua famiglia. La prima, spedita dopo una sola settimana dal suo arrivo, gli era servita per tranquillizzare i suoi familiari e per mandare loro i saluti di Harry. Nonostante fosse stata proprio la famiglia di Louis a separarli, Harry non riusciva a portare alcun rancore nei loro confronti, anzi, li amava quanto sua madre e sua sorella. Aveva sempre chiesto di loro nelle lettere spedite a Louis, e quando quest'ultimo gli aveva dato notizia della nascita di due gemelli, Harry l'aveva presa come se fossero stati suoi fratelli. La sua lettera di risposta era stata prontamente accompagnata da due biglietti d'auguri decorati ad acquerello e da due piccole copertine che sua madre, Anne, aveva cucito nel giro di tre giorni. A Louis mancava un po' avere i gemelli intorno, ma Harry lo faceva sentire veramente a casa, proprio come quando erano piccoli e si spacciavano per fratelli. Se qualcuno gli avesse chiesto di descrivere il loro rapporto, Louis l' avrebbe definito viscerale, senza nemmeno pensarci due volte, cosa estremamente significativa considerando quanto pesasse le parole prima di utilizzarle. Era decisamente meticoloso e puntiglioso in genere, ma Harry era come una goccia cinese per il suo raziocinio, lo torturava con quei suoi modi estrosi ma allo stesso tempo teneri e con quegli occhi enormi che la luce non faceva che rendere più vividi. A volte non sopportava la sua bellezza esagerata, non per invidia o gelosia, ma perché semplicemente si sentiva soffocare di fronte al suo corpo longilineo, ai tratti angelici del suo viso. Gli faceva mancare l'aria, e in tutta onestà si sarebbe sul serio lasciato strozzare senza opporre resistenza se a farlo fossero state le mani di Harry, quelle stramaledette mani capaci di definire un nuovo concetto di profondità. Harry gli aveva chiesto di scrivere dei versi su di lui; aveva messo la sua richiesta per iscritto probabilmente perché si vergognava di formularla ad alta voce o perché così sarebbe rimasta per lungo tempo una tangibile testimonianza del suo impudente e improvviso slancio di egotismo. Ma cosa avrebbe mai potuto scrivere di lui che gli rendesse giustizia? Harry non si poteva raccontare interamente con qualche parola, andava vissuto, toccato, sporcato. Erano le sue mani la vera poesia; Louis aveva paura di svilirlo. Per un momento quella richiesta gli era sembrata quasi un tradimento, l'infrangersi di un patto stretto in silenzio secondo cui lui non avrebbe scritto del suo amico o del loro legame e Harry non l'avrebbe mai ritratto. Poi, però, era finito con il considerarla solo un bisogno di rassicurazioni; la lontananza spesso si porta con sé la paranoia.

 

Non appena le temperature diventarono più tollerabili, Harry propose di andare a lavorare all'aperto. Gli bastò sentire un timido raggio caldo sulla pelle una mattina per convincersi ad accompagnare Louis nella sua solita passeggiata e portarsi il cavalletto al seguito. Dipingere dal vivo era qualcosa che gli richiedeva molta concentrazione e altrettanta velocità; la natura si dimostrava sempre un passo avanti al suo pennello, mutevole e capricciosa, pronta a trasformare ogni riflesso in un'ombra prima che lui fosse in grado di catturarlo con precisione fotografica. Dipingere in studio, invece, gli permetteva una maggiore libertà, perché dietro ad ogni pennellata c'era lo spettro di un progetto meticoloso, di una costruzione attenta di cui solo lui era l'artefice, la divinità creatrice, un demiurgo  in grado di plasmare la materia secondo la propria volontà. Era schiavo di quella sensazione di controllo, gli piaceva poter decidere dove far cadere la luce, dove sfumare i colori, cosa mettere in evidenza e cosa nascondere. Al di fuori delle mura della sua camera, invece, non aveva il controllo su niente, nemmeno sulla sua vita. E l'arrivo di Louis gli aveva fatto chiaramente intendere quanto in realtà fosse debole e spaesato, quanti punti fermi gli mancassero. Si era illuso di avere il controllo su qualsiasi aspetto della propria esistenza e della propria arte, ma in realtà non sapeva tenere a bada nemmeno le sue paure e i suoi sentimenti. L'insolente richiesta che aveva rivolto al suo amico ne era la prova lampante, ma almeno Louis aveva avuto la decenza di non fargliela pesare, evitando del tutto di parlarne. All'inizio Harry aveva pensato che non l'avesse nemmeno letta, ma poi aveva visto di sfuggita Louis fissare quegli scarabocchi con una certa apprensione, e si era subito sentito un vigliacco. Il crescere dell'ansia era stato il passo necessariamente successivo; Harry si era ritrovato improvvisamente davanti alle conseguenze di quel suo capriccio, sospeso nel silenzio e appeso alla volontà di Louis. Aveva pensato di controllarlo e ora si ritrovava controllato; lasciarsi dominare dalla volubilità del tempo gli sembrava dunque il modo migliore per abituarsi a sopportare quella nuova situazione di impotenza e contemporaneamente esercitare la propria mano. Louis non poteva avere idea di quanto stesse accadendo nella mente di Harry, perciò, senza porsi tante domande, approvò con piacere la proposta.

 

Scesero in riva al fiume perché Harry potesse come di consueto dilettarsi a rappresentare l'acqua. Louis aspettò che il suo amico decidesse il punto migliore dove posizionarsi prima di sedersi di fianco a lui. Si ritrovò a fissare il fiume con occhi da bambino. Quando erano piccoli, ogni cosa sul bordo di quel torrente gli appariva enorme, dagli alberi più verdi al sasso più insignificante. Ogni cosa, tranne Harry. Ai tempi poteva vantarsi ancora di essere il più alto tra i due, e ciò sembrava conferirgli perfino più responsabilità di quanto già non facesse l'età. Era il più grande, il più alto e di conseguenza spettava a lui tenere in mano le redini di ogni situazione. Quel sottile squilibrio di potere tra i due l'aveva portato a sviluppare un istinto di protezione nei confronti del più piccolo degno di una leonessa con i suoi cuccioli. Adesso, guardando Harry in piedi lì accanto, si sentiva abbastanza insignificante. Harry gli sembrava più grande, maestoso e soprattutto più bello del solito, e sicuramente non aveva bisogno della sua protezione. Di rassicurazioni sì, come d'altronde le necessita ogni uomo, ma non di protezione. Harry era cresciuto lontano da lui e niente autorizzava più Louis a trattarlo come un fratello minore e a rimboccargli le coperte al mattino perché non prendesse freddo come si ostinava invece a fare da quando era piombato in casa sua. Si chiese per un un un istante se fosse giusta la sua permanenza lì. Quanto conosceva realmente Harry? Quanto di quel bambino che andava protetto era effettivamente presente nell'uomo adulto che gli faceva ombra col corpo? Non che lui stesso non fosse cambiato, per carità, ma la poesia gli permetteva di recuperare quella sensibilità e quella fascinazione per le meraviglie della natura che solo i bambini possiedono prima di trasformarsi in piccoli aguzzini. Louis era rimasto, in un certo senso, il Louis dodicenne che aveva dedicato al suo paesino i primi rozzi versi scaturiti dalla penna. E proprio come il Louis dodicenne, perdendo tempo a fissare Harry non aveva ancora scritto un verso che potesse definirsi tale. Quell'uomo che ancora gli riservava dei baci sulla guancia lo confondeva, gli spegneva completamente il cervello facendogli perdere il senso della metrica, del tempo, dello spazio. Louis realizzò come per epifania che scrivere di Harry in quel momento sarebbe stata pura blasfemia, che non gli sarebbe venuta fuori altro che una preghiera con cui invocare la pietà di quella creatura angelica, divina, affinché gli restituisse le rime che tanto agognava. Non lo stava più guardando con gli occhi del bambino che era stato, né con quelli del Louis che aveva letto le sue lettere o dell'ospite arrivato con il treno della sera; i suoi erano occhi adoranti, gli occhi dell'estasi, quelli ciechi per la fiducia e brucianti per la passione. Peccato non sapere quale nome dare a quella strana passione; è difficile analizzare i propri sentimenti se l'unico modo che si conosce per farlo è esorcizzarli tramite inchiostro e qualcuno ti ha portato via le parole.

 

Se Harry si accorse dello sguardo incantato di Louis, non lo diede a vedere. Impegnato nel suo difficoltoso esercizio di stile, non degnò più di tanto l'amico di attenzioni, anche se decisamente la vista di Louis gli risultava più appagante rispetto a quella del fiume. Quando la pazienza gli venne meno, senza accorgersene neppure, smosse Louis da quella specie di incanto che gli incatenava gli occhi al suo corpo. Il suono della voce di Harry fece quasi trasalire Louis. 
- Sono stanco di lavorare, andiamo a farci un bagno - propose.
Louis alzò un sopracciglio.
- Vuoi prenderti una polmonite? Fa ancora troppo freddo per fare il bagno -
- Debole, vedrai che ci scaldiamo subito - 
- Tu sei completamente matto -
Forse una scintilla di follia c'era davvero negli occhi verdi di Harry, o magari era giusto un pizzico di malizia. Louis li vide brillare alla luce di quel sole tiepido che li aveva stanati quella mattina e dieci secondi dopo era lì che si toglieva la camicia pronto a seguire Harry nell'acqua. 
- Vediamo se riesci ancora ad affogarmi - lo sfidò il più piccolo prima di immergersi. 
Louis entrò in acqua piano, maledicendo la sua poca fermezza. Sentiva il gelo penetrargli fin dentro alle ossa, i brividi aumentare ad ogni passo che muoveva sul letto instabile del fiume. Harry, già del tutto bagnato, gli porse una mano per invitarlo ad andare ancora avanti e la sua stretta, forte come quella della prima sera in stazione, donò a Louis una profonda sicurezza. Senza quasi accorgersene, si ritrovò a sciogliere la presa e a far scorrere la mano lungo l'avambraccio di Harry, beandosi del calore di quel contatto, poi ancora sul braccio e sulla spalla fino ad arrivare all'incavo del suo collo. Harry piegò il viso come in cerca di carezze, poi non seppe resistere alla tentazione di circondare quella mano con la sua e baciarla. Louis sentì un improvviso bisogno di farglisi più vicino e si ritrovò a domandarsi se i brividi sul suo corpo fossero davvero ancora colpa del freddo. Era strana quell'atmosfera; era strano voler disperatamente toccare i capelli di Harry e sperare di sentirli solleticargli i polsi lasciandovi sopra una traccia di goccioline. Era strano avere improvvisamente la salivazione a zero e le gambe poco stabili. Era strano sentirsi il battito del cuore rimbombare nelle orecchie e un'inusuale e angosciosa voglia di piangere. Era così strano da fargli quasi paura. Spinse Harry in acqua. Più tardi, sulla strada verso casa, Harry, sorridendo, lo avrebbe rimproverato di aver giocato sporco.


 

Louis aveva veramente perso il conto dei giorni che erano passati dal suo arrivo, e siccome Harry non gliene aveva fatto pesare nemmeno uno, gli era sembrato quasi che il tempo si fosse congelato. Se non fosse stato per il leggero ma progressivo allungarsi delle giornate e per il sole che usciva allo scoperto più spesso permettendo loro di uscire di casa senza cappotto Louis non si sarebbe accorto nemmeno di aver speso settimane intere insieme ad Harry. Si sentiva ben rinchiuso e protetto nella loro bolla di intimità e tutto intorno a lui gli dava l'impressione di essere così domestico e confortevole da far quasi paura. Prima di partire si era ritrovato un paio di volte a chiedersi se una volta rivisto Harry avrebbe rimpianto il tempo dell'infanzia trovando la situazione troppo imbarazzante, ma una volta piantate le radici in quella casa dalle pareti non più molto bianche aveva capito che, forse, quelli che stava vivendo erano i giorni migliori della sua vita. E Louis non si lasciava andare a pensieri così iperbolici facilmente, no. Louis era quel genere di persona che, pur apprezzando le cose, ne individuava sempre i limiti. Ma Harry sembrava non averne, di limiti, e soprattutto a volte non si rendeva conto di superarne alcuni. Louis si ritrovava di continuo le sue mani delicate sulle spalle e sulla schiena, le sue braccia forti intorno al corpo e le labbra sulla guancia. E sapeva benissimo che in un'altra situazione o con un'altra persona la cosa gli avrebbe dato un fastidio enorme e provocato un forte disagio, ma con Harry semplicemente non succedeva, anzi, sentiva di trovarsi nel posto sbagliato ogni volta in cui le braccia del suo amico non erano lì ad avvolgerlo. Harry faceva apparire tutto così naturale e spontaneo e assolutamente privo di problemi che Louis era tentato di abbandonarsi all'idea che quel tepore non l'avrebbe mai lasciato e che avrebbe trascorso l'eternità a passare le mani tra i capelli del più piccolo sussurrandogli piccoli versi all'orecchio, sentendo il peso e il calore del suo corpo addosso, pulendo via la polvere dalle sue camicie leggermente ingiallite e le macchie di blu dalle sue guance. Dopo quel giorno al fiume, Harry era diventato più fisico, come se nel tocco di Louis lungo il suo braccio avesse trovato un tacito permesso. Louis l'aveva assecondato, ovviamente, imparando a convivere con gli aumenti di calore improvvisi, i battiti accelerati e con la tremarella alle gambe. Le sue poesie avevano cambiato tono e a volte rovesciava per sbaglio il tè sulla sua carta o finiva per ritrovarsi la pelle macchiata di colore, ma era tutto assolutamente idilliaco, quasi onirico, avvolgente, e Harry era bellissimo e non smetteva mai di stupirlo o incatenarlo a sé con lo sguardo e Louis davvero non voleva più andarsene perché ormai quella era casa, e lasciarla sarebbe stato come strapparsi il cuore dal petto.

 

La situazione peggiorò notevolmente una sera al ritorno da un pub in cui avevano speso una fortuna in alcolici; Louis non riusciva a smettere di ridere, ogni cosa era un pretesto per fermarsi in mezzo alla strada in preda alle risa e aggrapparsi ad Harry beandosi del calore del suo corpo e del suo sorriso. Avevano decisamente bevuto troppo, ma non era colpa di Louis se l'unico modo che conosceva per staccare lo sguardo dalle mani di Harry strette attorno ad un bicchiere consisteva nell'attaccarsi ad un boccale di birra. Non voleva davvero passare la serata a pensare a quanto fosse tenero il modo in cui Harry arricciava la punta del naso mentre pronunciava alcune parole strascicate o a quanto morbidi sembrassero i suoi capelli appena lavati. Se le gambe avessero preso a tremargli di nuovo avrebbe potuto incolpare l'alcol senza doversi preoccupare di inventare una scusa che reggesse. Se si fosse ritrovato di nuovo con le orecchie ovattate idem, e Harry non avrebbe potuto dirgli nulla nemmeno se lo avesse beccato ad imbambolarsi ancora una volta, gli occhi fissi su di lui e la testa chissà dove. Louis si stava sul serio sforzando di non dare troppo nell'occhio, ma nonostante l'impegno era palese che qualcosa fosse cambiato nel suo atteggiamento. Se avesse capito subito che Harry non lo reputava necessariamente un cambiamento negativo, probabilmente si sarebbe risparmiato molta fatica e qualche emicrania. Ma Louis era così, estremamente autocritico, forse poco coraggioso, di sicuro non incline ai cambiamenti, e Harry aveva appena compromesso i suoi fragili equilibri, prima insinuandosi nella sua routine, poi direttamente nella sua testa e ora minacciando di prendere possesso anche delle sue poesie. Non poteva che berci sopra, ma non per dimenticare, solo per distrarsi e respirare, perché quei piccoli ma significativi cambiamenti avevano iniziato a donargli un piacere quasi masochistico e se da un lato ne era ancora terrorizzato, dall'altro ci si stava abituando. Aveva solo bisogno di una piccolissima pausa, una parentesi che gli permettesse di fare luce su quanto stesse avvenendo. Sarebbe stato il piano perfetto se solo Louis avesse retto l'alcol come una persona normale. E invece si era ritrovato quasi al buio con la testa pesante e con una delle mani di Harry premuta contro la sua bocca a soffocare le risa per evitare di dare spettacolo in mezzo alla strada, i volti pericolosamente vicini. Gli occhi di Harry erano assenzio liquido. Rimasero a fissarsi per un tempo indefinito, fronte contro fronte; prima che Harry togliesse la mano dalla sua bocca, Louis avvertì le dita del più piccolo indugiare un istante sulle sue labbra e realizzò solo in quel momento di sentirsi tremendamente male, il corpo che iniziava a ribellarsi. Forse non era nemmeno dovuta all'alcol quella nausea che sentiva salire, ma dalla stretta con cui Harry circondò immediatamente il suo corpo quasi avesse avuto paura che Louis potesse scivolargli via da un momento all'altro, il maggiore capì che doveva apparire così pallido, devastato e ubriaco da non sembrare neppure in grado di reggersi in piedi da solo. Mentre Harry copriva gli ultimi metri che li separavano da casa portandolo praticamente in braccio per impedirgli di collassare a terra, Louis non riuscì ad impedire alla sua mente annebbiata di farsi sopraffare dal panico al pensiero che se fino a qualche giorno prima  aveva avuto paura di finire con lo strapparsi il cuore dal petto ora non doveva preoccuparsi più nemmeno di quello, che tanto non era più lui il legittimo proprietario del suo stesso cuore. Harry lo mise a letto, gli rimboccò le coperte e gli lasciò il solito bacio sulla guancia prima di abbandonare la sua stanza. A Louis sembrò di vederlo lanciare anche un'occhiata curiosa e carica di aspettative alle carte su cui stava lavorando, ma la mattina dopo non avrebbe saputo dire con certezza se quella scena fosse stata reale o semplicemente frutto della sua sbronza che si trasformava in sonno. Solo di una cosa effettivamente poteva essere sicuro: Harry non aveva dormito tanto a lungo come lui quella notte, o forse non era andato a letto per niente a giudicare dallo stato delle sue occhiaie e delle maniche della sua camicia già sporche di blu e marrone. Louis si chiese se invece di dipingere con i pennelli Harry facesse direttamente il bagno nei colori visto che finiva per spargerne di più sul suo corpo e sui suoi vestiti piuttosto che sulla tela. 

 

Due pomeriggi dopo, mentre prendevano il tè che Louis aveva preparato per entrambi perché potessero concedersi una pausa piacevole dal lavoro, Harry si fece spazio sul letto stringendosi subito al suo corpo. Louis aveva la schiena appoggiata al muro e la tazza stretta tra le mani; Harry poggiò la testa sulla sua spalla e stese le gambe per rilassarsi. Rimasero per un po' in silenzio a bere e a riscaldarsi le mani con il tè e il resto del corpo con il solo contatto. Louis era convinto che Harry si sarebbe assopito da un momento all'altro addosso a lui e rimase quasi sorpreso quando lo sentì mugolare qualcosa contro la sua spalla.
- Cosa hai detto? - gli chiese
- Che è morto, Lou -
Louis si accigliò un po'.
- Chi è morto, Harry? -
- Il soggetto del mio ultimo quadro. L'ho ucciso.-
Harry doveva aver lasciato andare la tazza vuota sul letto perché ora la sua mano si era posata sul braccio di Louis, ma senza stringere. La voce di Harry gli giungeva sempre più flebile, tanto che per un attimo pensò di aver capito male. Ma - Ho lasciato che affogasse - sussurrò ancora Harry, e non poteva essere una coincidenza.  Louis non fece in tempo a chiedergli spiegazioni in quel momento perché il respiro leggero e regolare di Harry contro la sua spalla gli fece capire che il più piccolo alla fine si era davvero addormentato. Louis ne fu intenerito e cercò di non muoversi troppo per non svegliarlo, rovinandogli il riposo che evidentemente necessitava da un po'. Avrebbe rimandato le domande a quando Harry si fosse svegliato. Lo osservò dormire per un po', cercò di recuperare le tazze in bilico sul letto per metterle al sicuro e poi finì per addormentarsi anche lui in quella posizione estremamente scomoda, ma che in quel momento gli sembrava la più confortevole e giusta mai assunta. Quando Louis si risvegliò era tarda sera e Harry ancora dormiva tranquillo accanto a lui, con la testa sul cuscino, le gambe intrecciate alle sue e un braccio intorno al suo corpo. Aveva un piccolo solco lungo la guancia, segno che fino a qualche minuto prima il suo viso era stato premuto contro la piega della camicia di Louis. Il più grande gli accarezzò senza quasi pensarci  la guancia proprio in quel punto prima di districare dolcemente i loro corpi. Per qualche strano motivo che non era in grado di capire, Louis non aveva la minima voglia di lasciare quel letto sottraendosi al calore del corpo di Harry. Sapeva che era la cosa giusta da fare, ma aveva avvertito una sorta di vuoto anche al solo togliere dolcemente il braccio del più piccolo dal suo fianco. Si sentì sopraffatto da uno strano imbarazzo e ringraziò un dio in cui non credeva più per il sonno pesante di Harry.  Si alzò e recuperò meccanicamente le tazze per portarle  in cucina, ancora con il pensiero rivolto ad Harry e al profumo della sua pelle che gli sembrava ancora di sentire. Non avrebbe minimamente ripensato a quello strano scambio di battute che era avvenuto tra di loro qualche ora prima se, mentre si dirigeva scalzo in cucina, non fosse stato attirato da quella che doveva essere l'ultima tela di Harry, appoggiata in un angolo e a lui ancora sconosciuta. Louis la prese e la girò con delicatezza per non danneggiarla. Un brivido gli corse lungo la schiena. In un mare di blu, come in un'inquietante e scura versione di Ofelia, Harry aveva ritratto se stesso.




















 

  
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