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Autore: fantaysytrash    21/02/2020    4 recensioni
[Steve/Bucky | Multigenre | Song-fic | Raccolta | Missing Moments | What If…? | Multisetting]
Una raccolta di song-fic riguardanti i momenti più importanti della vita di Steve e Bucky, tutti ispirati a diverse canzoni di Taylor Swift.
#1 – Light Pink Sky: “Il cielo rosa pallido del tramonto sancì quell’affermazione che suonava pericolosamente come una promessa.”
#2 – Rosy Cheeks: “Le guance rosee di Bucky si mossero per accomodare un sorriso radiante.”
#3 – Green Light: “Nemmeno il verde acceso dei suoi dipinti donava abbastanza luce a una vita senza Bucky.”
#4 – Ocean Blue Eyes: “Potevano anche aver potenziato i suoi muscoli e le sue prestazioni, ma aveva gli stessi occhi azzurri di sempre.”
#5 – Crimson Red Pain(t): “Il dolore era ancora presente, pulsante e infuocato, che gli bruciava nel petto con un’intensità che non aveva mai provato prima.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’Autrice

Ecco qui una nuova raccolta Stucky riguardante tutti i principali momenti della vita di Steve e Bucky; ogni capitolo è composto da tre brevi flashfics/oneshots ispirate a tre diverse canzoni di Taylor Swift. Anche i titoli dei capitoli sono citazioni di Taylor, incentrate su diversi colori e che rappresentano il tema principale degli stessi. Il titolo dell’intera storia, invece, è parte di un verso preso dalla canzone “Style”. Insomma, c’è tanto contenuto Stucky quanto la presenza indiscutibile della mia cantante preferita.

Originariamente, avevo pensato di pubblicare e aggiornare la storia ogni mercoledì, ma poi ho postato prima senza avere altri capitoli già pronti, quindi non so dirvi con quanta regolarità arriveranno gli aggiornamenti.

Detto questo, spero davvero che vi piaccia!

Federica ♛

 


Rating: Verde

Genere: Slice of Life/Fluff/Introspettivo

Contesto: Pre-Captain America: The First Avenger

Canzoni: It’s Nice to Have a Friend / Long Live / Enchanted

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 


TAKE ME HOME

#1 – LIGHT PINK SKY

 

Something gave you the nerve /

To touch my hand /

It’s nice to have a friend

 

Quando Steve decise di intervenire in difesa dell’ennesima dama importunata dal bullo di turno, non pensava – non veramente, non nel profondo del suo animo – che sarebbe andata diversamente da tutte le volte precedenti.

Sua madre lo rimproverava in continuazione su questo punto, e lui stesso riusciva a cogliere il senso e la necessità delle sue parole, ma restare impassibile di fronte a un sopruso andava contro tutti i principi in cui credeva così fermamente.

Così – sebbene non fosse particolarmente robusto o in grado di sostenere uno scontro fisico contro… be’, nessuno – non ci pensò due volte prima di intromettersi nella discussione accesa e asserire che chiaramente la ragazza non era interessata.

La scena che ne seguì si svolse come in un disco rotto: il ragazzo che lo spintonava, la fanciulla che coglieva l’occasione per svignarsela – il raggiungimento massimo che un intervento così sconclusionato potesse mai concretizzare – e Steve che restava bloccato contro la parete del vicoletto senza poter fare qualcosa oltre a cercare di difendersi malamente dai colpi che gli venivano inferti.

Solitamente, non sarebbe stato causa di particolare sorpresa, ma le percosse ricevute erano più violente e potenti del normale.

“Ehi!” La voce interruppe quella sorta di incantesimo distorto che si era creato, distraendo il bullo abbastanza affinché venisse velocemente allontanato da Steve dalla figura che ora si stagliava tra di loro.

“Perché non te la prendi con qualcuno della tua taglia?”

L’altro non ebbe bisogno di motivazione ulteriore; si scagliò contro il nuovo arrivato e, proprio mentre Steve pensò che lo avrebbe steso senza fatica, lo sconosciuto si mosse leggermente, facendolo sbandare di lato contro il muro.

L’uomo si rimise in piedi velocemente, li guardò per un istante, prima di borbottare un “Checche” e allontanarsi, lasciando gli altri due in un silenzio ronzante.

Il ragazzo più giovane si stagliava ora su di lui, a mala pena disturbato dalla sua stessa azione.

“Stai bene?” chiese, allungando la mano. Quando Steve la prese con cautela, venne rimesso in piedi da una presa salda, calda e sicura.

Sebbene l’occhio sinistro fosse ridotto parecchio male, riuscì a scorgere ugualmente l’aspetto del suo salvatore. Alto, moro e dagli occhi cristallini, sembrava uscito da uno di quei film che non aveva abbastanza denaro per potersi permettere di andare a vedere.

“Io sono James Buchanan,” si presentò con orgoglio. Persino il suo nome si addiceva a una star del cinema, una sorta di Humphrey Bogart proveniente da Brooklyn.

No, Steve si sorprese a pensare, una volta che qualcuno interveniva in sua difesa, non lo avrebbe certo condiviso con il resto del mondo.

“È un nome stupido,” replicò quindi, anche se non lo era davvero. “Ti chiamerò Bucky.”

L’altro esitò solo un attimo, forse per ripetere quel nomignolo nella sua mente, tastarne il suono, prima di irrompere in un grande sorriso.

“Va bene, teppistello, e tu come ti chiami?”

“Steve. Rogers. Steve Rogers,” incespicò malamente.

Bucky sorrise, e Steve poté giurare che il mondo intero rallentò per un istante.

“Bene, Steve Rogers, da oggi noi saremo amici.”

Il cielo rosa pallido del tramonto sancì quell’affermazione che suonava pericolosamente come una promessa.

 

I said remember this feeling /

I pass the pictures around /

Of all the years that we stood there /

On the side-lines wishing for right now

 

Nel corso degli anni successivi, Steve si ritrovò spesso a fissare Bucky.

Dapprima si trattava solo di sguardi fugaci, rubati tra i banchi di scuola o nei lunghi momenti trascorsi insieme. Quando però iniziarono a condividere un appartamento, Steve si fece meno cauto; niente di estremo o troppo rivelatore, giusto un’occhiata fugace qua e là nel corso della giornata che indugiava sul corpo muscoloso dell’altro ogni giorno di più.

Adorava osservarlo al mattino quando, ancora mezzo addormentato preparava la colazione, per poi vestirsi e andare al lavoro che era riuscito a trovare al porto.

Vi era poi una sbirciatina la sera, quando affondava stanco nel minuscolo divano che erano riusciti a recuperare dalla vecchia abitazione di Steve.

E quando arrivava il momento di coricarsi, sebbene la piccola stanza fosse immersa nell’oscurità più totale, Steve cercava sempre di immaginarsi la sua espressione beata, persa nei meandri di sogni irraggiungibili, e sperava di essere presente in alcuni di questi.

Steve non era uno sprovveduto; sapeva bene che quello che provava per Bucky non avrebbe mai avuto modo di nascere e svilupparsi. Nella anche più assurda ipotesi che fosse ricambiato, aveva assistito a troppi arresti, troppe risse per non sapere quale sorte sarebbe stata riservata loro.

Ma spesso, quando si ritrovavano nello stesso letto e Steve doveva obbligare la sua mente a recepire che si trattava solo di una questione di praticità, convenienza e utilità, pensava a come avesse aspettato una persona come Bucky per tutta la vita.

Tutti gli anni passati in disparte, sperando nell’arrivo di un amico sincero, avevano dato i loro frutti e, ora che lui e Bucky erano diventati inseparabili, non l’avrebbe lasciato andare tanto facilmente. Avrebbe combattuto per lui, sempre, contro il resto del mondo se necessario.

Steve passava la maggior parte delle sue giornate disegnando, cercando di guadagnare qualche soldo extra aiutando le vecchie signore del suo vicinato nei più svariati lavoretti e perlustrando la città in caso vi fosse qualcuno in difficoltà. Ma avrebbe abbandonato tutto – persino il suo più grande desiderio di fare la differenza per il suo paese – se solo Bucky glielo avesse chiesto.

C’erano volte in cui quasi sperava che ciò accadesse. Sapeva che un giorno Bucky sarebbe diventato una persona importante – un militare, forse, come pareva esser il suo sogno attuale – ma Steve era già orgoglioso di lui ora, quando, poco più che un garzone qualunque, gli assicurava un tetto sopra la testa e un pasto caldo in tavola.

Un giorno, Steve giurò nel silenzio della loro camera, gli avrebbe ricambiato il favore.

 

There I was again tonight /

Forcing laughter, faking smiles /

Same old tired lonely place

 

L’unico vero lato negativo del frequentare Bucky era la consapevolezza pressoché palpabile di quanto fosse popolare e amato dalle ragazze.

Gli appuntamenti doppi a cui lo costringeva a partecipare si trasformarono presto da leggere seccature a vere e proprie torture. Dover passare un’intera serata non solo guardando il maggiore divertirsi e flirtare con un’altra persona – una donna, per di più – ma trascorrendo del tempo con la povera malcapitata che si era trovata intrappolata nello stesso inghippo non costituiva l’idea che Steve aveva di divertimento.

E, francamente, non ne capiva il motivo. Sapeva che tutte le ragazze del loro quartiere – diamine, forse dell’intera Brooklyn – volevano Bucky. Spesso Steve le immaginava tirare a sorte per scoprire quale delle due avrebbe dovuto intrattenere invece l’amico esile e gracile.

Per Steve, tutto ciò costituiva l’ennesima prova che mai nessuno si sarebbe mai interessato a lui, non con il suo aspetto fisico, non con la sua goffaggine, non con la sua inesauribile necessità di combattere per i più deboli – aveva notato che al massimo poteva essere un elemento di intrigo, ma nessuno si sarebbe mai preso la responsabilità di doverlo curare svariati giorni a settimana. Per non parlare della lista infinita dei suoi malanni e insufficienze sanitarie che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.

In conclusione, Steve Rogers era destinato a rimanere solo. Se n’era fatto una ragione, più o meno, ma questo non significava che il petto non esplodesse in un dolore lancinante ogni volta che si soffermava sul sorriso che graziava il viso di Bucky.

Vederlo danzare con la ragazza della serata – mentre quella con cui sarebbe dovuto uscire lui se l’era già svignata – era una pugnalata al cuore, a discapito di tutte le volte in cui si era ripromesso di non innamorarsi di lui.

Ma forse era stato inevitabile sin dal loro primo incontro, dal loro primo sguardo, dalle loro prime parole.

Steve alzò lo sguardo al cielo, di quel rosa pallido tipico del momento che segue il tramonto, così simile a quello sotto cui si sono stretti la mano per la prima volta. I sentimenti che Steve provava, tuttavia, non sarebbero potuti essere più differenti.

Con l’angolo dell’occhio scorse un movimento alla sua destra, e si voltò giusto in tempo per vedere l’appuntamento della serata – Lucy? O era forse Marie? – strattonare leggermente la manica di Bucky.

“Perché non proseguiamo la nostra uscita al pub qui vicino?” domandò con una voce sognante.

Quando il moro si voltò verso Steve, quasi come a chiedergli il permesso, questi scosse le spalle, fingendo una stanchezza che sapeva già sarebbe tardata ad arrivare, e gli augurò una buona serata.

Per Bucky, avrebbe finto l’ennesimo sorriso.

   
 
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