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Autore: Estel_naMar    24/02/2020    27 recensioni
Esiste qualcosa di più affascinante degli individui? E qualcosa di più originale e coraggioso della loro quotidianità? Mi chiamo Abigail e vi presenterò delle persone, degli istanti delle loro vite cristallizzati in un peculiare infinito.
Le ho incontrate per strada, nell'attesa della metro, sulla terrazza di un albergo, lungo un viale alberato e in mezzo alla natura. Le ho incontrate per caso e loro, in preda a una gentilezza inconscia, mi hanno ceduto una parte delle narrazioni che li riguardavano e li abitavano: a me non resta che fare altrettanto e condividerle con ognuno di voi.
Mi chiamo Abigail e questi sono solo dei racconti sull'eccezionale ordinarietà di una vita qualunque come potrebbe essere la tua, la mia o la nostra.
Mi chiamo Abigail e queste sono le narrazioni che mi hanno sconvolto e rivoluzionato l'esistenza.
✠ Il capitolo "Max e Annie" è vincitore del contest "Attraverso i tuoi occhi (II edizione)" indetto da Milla4 sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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ANDREA
  

 
 
A S. e O.,
per darvi il finale che non potete avere,
per porvi di fronte alla scelta che vi meritate.
A voi,
che ogni tanto vi distanziate,
ma che non smettereste mai di ricercarvi.
 



            «Beh, ma quindi sei tornata stabilmente in città, o sbaglio? Sono già dei mesi, no?», constatò Alessio, rivolgendosi ad Andrea, «E per favore, dai, non guardarmi così. Sai che lavorando fuori non sono mai qui e sono un po’ estraniato dal mondo!»
«Ah, io l’ho sempre detto che non sei mai stato abbastanza al passo col mondo, altrimenti non me lo chiederesti. Sì, confermo di sì. D’altronde, direi che essere stata via tre anni, tornando mediamente un paio di volte ad anno, sia stato più che sufficiente. Purtroppo, era proprio giunto il momento di riprendere e concludere finalmente i miei fantomatici studi. Quando sono partita li avevo messi in pausa, seppur durante i primi anni di università fossi partita in quarta. Quante cose sono cambiate, eh? Ti ricordi quanto ero presa e soddisfatta quando ho iniziato? E poi, chissà cosa è accaduto…», sorrise l’altra, voltandosi poi a guardare l’amico.
«Ah, beh… la vita chiaramente è accaduta, che altro sennò?», scherzò di rimando lui, sfregando il proprio gomito su quello di lei.

Era una classica serata estiva in un comunissimo paese sulla costa, la luna che rifletteva nel mare, a solo poche decine di metri di distanza dal muretto su cui i due erano appoggiati. Se c’era qualcosa del suo luogo natio che era mancata ad Andrea erano decisamente quelle serate in compagnia dei suoi amici nel loro pub preferito e la complicità che le caratterizzava, nonostante non fossero mai accompagnate da chissà quali strabilianti eventi. In particolare, però, le era mancato Alessio, una delle persone a cui maggiormente era rimasta legata; d’altro canto non avrebbe potuto essere diversamente: dieci anni di profonda e sincera amicizia non sono qualcosa che si dimentica facilmente.
«E comunque ti vorrei ricordare che qualcuno, qualcuno a caso eh, all’inizio, te lo aveva fatto presente che era una grandissima stronzata partire e che lo facevi solo perché avevi una paura pazzesca di affrontare le cose che avevi deciso di lasciare. Pff, dai, cos’è quella faccia? È la verità. Tanto ormai è andata e, in fin dei conti, è pure andata bene, no? Quando sei tornata ti ho vista tipo… totalmente rivoluzionata. Mi sei piaciuta ed era palese quanto anche tu ti fossi piaciuta, e sono stato felice per te, forse come mai prima. Ciò nonostante, però, ho il vago presentimento che ci sia qualcosa che non va e che non mi stai dicendo, ma ti conosco troppo: te lo leggo in faccia quanto in realtà tu voglia farlo.», Andrea si sentì colpita: era evidente quanto la distanza e gli anni non fossero stati sufficienti a cancellare la loro sintonia.

            
           «Dico davvero: ti va di parlarne?», aggiunse, poi, cogliendo un velo di rammarico nello sguardo dell’altra.
«Non c’è molto da dire, in realtà. Avevo trovato tutto, a Torino. Per permetterti di capire, anche se te l’ho detto innumerevoli volte: la sensazione era che quella città fosse stata creata a immagine mia, ed io a immagine sua. Mi sono sentita libera, finalmente, e, obiettivamente, sono sbocciata. Ho perfino trovato una compagnia di persone che avrebbero perfettamente potuto sostituire te e tutti gli altri.», ironizzò spintonandolo un po’ con la spalla, «Poi, all’improvviso è arrivato Gabriele e mi ha praticamente travolto e stravolto l’anima. Tu, che ormai sono anni che stai con Isabella, dovresti ben sapere di cosa parlo.», affermò Andrea guardando Isa in lontananza, che era seduta sui bancali in spiaggia, qualche metro più avanti, insieme con il resto della loro compagnia.
«Cioè, tipo… BOOM. È stato… aaah, non ho parole per descriverlo. È come se mi avesse messo nelle condizioni di smettere di avere paura, di vivere la mia relazione con tranquillità, di vivere appieno la gioia di amarsi e condividersi e soprattutto di non sentirne mai, mai, mai il peso. Uno scambio continuo e reciproco di opinioni, emozioni, tutto. E non mi sento nemmeno di dire che fosse troppo: eravamo semplicemente perfetti. È strabiliante: non lo avrei mai creduto possibile. Siamo pure riusciti senza alcuna difficoltà a districarci tra i nostri mille impegni, amicizie e via discorrendo. Ed ora, sebbene sia passato del tempo, a pensarci, continua a sorprendermi l’affinità che man a mano che ci conoscevamo e scoprivamo è stata nostra e ci ha profondamente caratterizzati.»
«Beh, sì, in pratica è come se avesse cancellato tutto quello che c’era stato prima. Che tra l’altro: ormai da quant’è che state insieme? Almeno un paio di anni, no?»
«Allora, devi tener presente che io mi sono trasferita a Torino durante settembre ed io e Gabri ci siamo conosciuti e iniziati a frequentare verso giugno dell’anno successivo. Inoltre, sono rimasta su per circa tre anni e qualche mese, in fin dei conti, anche perché poi il contratto di lavoro mi è scaduto a gennaio di questo anno. Questo per dire che in teoria ad agosto sarebbero tre anni, sostanzialmente.»
«Beh, cavolo. Inizia ad essere già una buona dose di tempo! Io e Isa stiamo insieme da cinque, non troppi di più, insomma.»
«Sì, però siete qui insieme; io sono qui da sola, come avrai potuto notare.»
«Sbaglio o qualche mese fa era sceso qua? E poi insomma: smettila di girarci intorno e di’ quale è il problema tra voi.»
«Forse il problema sta proprio nel fatto che per la prima volta in tutta la mia vita mi sono completamente lasciata andare. Tu lo sai molto bene: io sono una persona totalmente e costantemente trattenuta. Eppure, in questa relazione, sono riuscita a lasciarmi e smollarmi un po’. Mi sono abbandonata nelle braccia di qualcun altro: lasciata cadere senza appigli, senza sapere dove sarei finita. Ed ora sono qui... e mi sento completamente… svuotata, come se questa relazione mi avesse aspirato via tutta l’anima ogni qualvolta che ne cedevo un pezzo a lui.»
Alessio poteva vedere gli occhi della sua migliore amica farsi lucidi. «Il fatto è che ho dato così tanto… ed ora mi sento così sola, spezzata. Ho dato tutto quello che avevo, tutto quello potevo dare… ed ora… ora non ho più niente.»
  

Pausa. Paura. Paura. Pausa.
  

Un lungo intervallo di trenta secondi che ad Andrea erano parsi non finire mai, e poi il calore, quello di un amico che vede una delle persone che più amava rompersi dinnanzi a lui. L’abbracciò forte, con tutto il conforto che poteva trasmetterle, come se tentasse di ricomporre le sue fragilità, ma nessuno ne aveva la capacità, né nessuno avrebbe mai davvero voluto… nemmeno lei stessa. Andrea, come mai prima, aveva imparato ad apprezzarle, consapevole che quelle erano anche la sua più grande bellezza e qualità.
«Sai di avere la facoltà e l’opportunità di scegliere, vero? E sai che se scegli te stessa, anziché voi, non farai un torto a nessuno né farà di te una brutta persona?»
«Sì, ovviamente, ma… ho ed abbiamo lottato così a lungo per arrivare all’apice, per essere quelli che eravamo, che adesso ho solo il timore di lasciare tutto solo perché, come ho sempre fatto in tutta la mia vita, non ho davvero il coraggio di viverlo, di vivere la felicità che mi merito e che ho trovato in lui, in noi e nella persona che sono stando insieme… troppo spaventata dal perderla, cosa che di fatto sta accadendo.»
«Oh, Andrea! Smetti di fare la stupida ragazzina. Sei andata a Torino che eri un piccolo animaletto sperduto (nessuno lo negherebbe) e pieno di remore, ma avevi una serie di certezze che per te erano imprescindibili, e lo sai bene. Perciò smettila perché davvero: lo sai, lo sai che non lo hai raggiunto né lo raggiungerai mai quell’apice, che nessuno lo raggiungerà. Così come sai che quella felicità potrebbe non essere per sempre, perché il per sempre non esiste nell’avanzare del tempo, bensì nell’istante, in quel singolo e circoscritto istante. Perciò non credere, neanche per un momento, che decidere di chiudere questa relazione, perché in questo momento quello che ti provoca è sofferenza, possa in qualche modo cancellare o rimuovere la felicità che avete vissuto. E dall’altra parte non puoi neanche intestardirti con questa serie di interrogatori per cui “eh, ma se ci dividiamo perché ho paura di star bene?” e via discorrendo, perché se tu stessi così bene non te li porresti. Non ti balenerebbero neanche lontanamente in testa: saresti troppo impegnata ad essere felice. Con questo non voglio dirti che dovresti chiamarlo e lasciarlo, né voglio influenzarti. Semplicemente esigo, come tuo amico e come persona stanca di vederti star male, che tu compia una scelta consapevole, dove la consapevolezza è solo ed esclusivamente legata a ciò che tu stessa hai conosciuto ed imparato, negli anni prima di Gabri ed in quelli con lui. Ho il dovere di ricordarti della persona che sei, anche quando te la dimentichi, anche quando ti metti da parte.»
Lei si voltò a guardarlo. Qualcun altro al suo posto avrebbe fatto una qualsiasi cosa: dal mettersi a piangere, dall’urlargli la propria rabbia in faccia, tirargli un cazzotto o fuggire via, per quelle parole così taglienti in un momento così poco adatto, ma non Andrea. Lei lo guardò con gli occhi di chi voleva dargli ragione e al contempo mostrargli quanto distante fosse dalla realtà: «Non ho dimenticato, Ale. Una come me, una persona che affronta la vita con la stessa intensità e debolezza e forza che ci metto io, non può dimenticarsi la persona che è e le idee che hanno portato ad esserla. E non posso permetterti di sbagliare su questo. E dopo cinque anni con Isa dovresti sapere di non poter dare per scontata la felicità, né guardarla con così tanta superficialità: lo sai benissimo che non si può scappare semplicemente perché in parte ci fa anche soffrire. E poi sì: io credo fermamente nell’idea che spesso non riusciamo a vivere la nostra serenità solo perché si ha paura di farlo. Non so, adesso, se questo sia davvero il caso, ma so che nella mia vita questa sensazione l’ho vissuta in più e più occasioni. In ogni caso, credo di sapere cosa farò con Gabri, ma non devi preoccuparti. So che la perfezione che con Gabri abbiamo avuto resterà lì, indelebile per entrambi.»
«Allora non aver più paura del vuoto che senti perché non sarà mai davvero tale.»
«Sai, nei mesi che passavano ho sempre tentato di rimanere concreta e realistica rispetto alle nostre prospettive future ed effettive. Ho sempre cercato di rammentarmi, di tenere a mente la vita che Gabri ha scelto e quella che ho scelto io scegliendo lui. Non credo che per lui sia più semplice che per me, anzi, probabilmente si porta anche appresso un non indifferente – seppur infondato – senso di colpa per questa situazione che sono sicura stia provando anche lui.»
«Ci siamo così amati, ci stiamo così amando… Eppure, è da quando sono tornata qui che ci sentiamo così poco, che manca quella parte di scambio reciproco che credo sia fondamentale nelle relazioni (o che, se non altro, lo era nella nostra). Non parliamo più granché e questo ci fa soffrire. Questa lontananza neanche troppo involontaria, ci fa soffrire. Il fatto di scegliere quotidianamente di non parlarci è l’emblema della nostra condizione: quasi come se fosse un vano tentativo di abituarci pian piano ad una distanza che prima o poi sarà totale.»
«D’altronde, questa distanza tangibile che stiamo mettendo tra noi provocherà pur sempre meno dolore della distanza a cui comunque non possiamo prescindere durante il nostro sforzo di sentirci vicini.», concluse amaramente Andrea, facendo segno ad Alessio di dirigersi verso gli altri: non voleva rovinargli il venerdì sera assillandolo con i suoi problemi e in più anche lei aveva bisogno di mettersi in pari con una buona dose di superficialità che solo l’alcol avrebbe potuto procurarle.

  
           Come spesso era capitato, la serata aveva preso la solita piega: un gruppo di amici, seduti sulla sabbia fresca di una notte estiva, i piedi scalzi che più di tutti ne assaporavano l’essenza, le birrette bionde del supermercato, dapprima, i superalcolici e le foglie di menta al loro interno, poi, e le canne che sempre giravano – perché si sa: se si fuma in compagnia, tutti i compagni devono fare almeno un tiro – e la chitarra, creatrice di colonne sonore di tutta una vita. E poi le risate nei loro vani tentativi di improvvisare o intonare una qualche melodia mentre erano palesemente troppo alterati per farlo. E Andrea, che ne stava lì a sorridere e scherzare, nel silenzio attonito della sua mente troppo sovraccarica e stanca per riuscire davvero a partecipare. Il tempo dentro sé che stava scorrendo ad una frequenza differente da quella della realtà e lei che si stava facendo cullare da quella sensazione soprannaturale, nella ferrea decisione di non volersi davvero risvegliare.
Ma poi si voltò perché, sebbene in ritardo, anche lei poté percepire quel frastuono legato ad un vociare esterno e lontano, da cui avrebbe preferito non farsi avvicinare, perché nonostante tutto, nonostante non fosse o volesse essere presente, lo era ed aveva visto, nella penombra, da cosa proveniva.

Andrea e Gabriele si erano conosciuti casualmente a Torino perché lui aveva partecipato ad un servizio fotografico tenuto dal capo di lei, un fotografo di fama internazionale, per il quale lavorava. Gabriele posava per una rivista italiana: ne era il volto, in quella copertina del mese di giugno di qualche anno prima. Egli, infatti, aveva studiato recitazione in una università inglese e dopo una serie infinita di provini, c’era stato quello giusto, ed era stato preso nel ruolo di co-protagonista in una serie tv britannica. Era partito dall’Italia alla ricerca di un luogo nel quale realizzarsi ed era uno di quelli che ci era riuscito, e poi aveva conosciuto lei qualche anno dopo, proprio quando, sulla cresta della fama che lo aveva coinvolto, si era giocato tutto in progetto nella sua amata città, Torino: quello che aveva agito era stato un all-in, e gli anni a venire avevano confermato che lui aveva vinto la sua personale partita.
Da quel momento, alcune delle loro abitudini erano dovute cambiare, banalmente per preservare la libertà con la quale avevano imparato a vivere la loro relazione – inizialmente, infatti, la fatidica serie di lancio non era stata mandata in onda Italia, motivo per cui ancora non lo placcavano ovunque egli andasse.
Ma non era per questa nuova assenza di privacy o per il cambiamento della loro routine che il loro rapporto si era inceppato. Era, piuttosto, per il troppo amore, un amore la cui lontananza li stava consumando dentro ed Andrea non riusciva più a sostenerlo. Riponeva la più totale fiducia e la più grande stima in Gabriele e provava nei suoi confronti dei sentimenti tanto profondi da non riuscire a sopportarne il peso effettivo.
Andrea si voltò e d’improvviso realizzò che forse avrebbe dovuto aprire i messaggi che aveva ricevuto nell’ultima settimana, anziché ignorarli. Si voltò e vide un uomo sorridente posare gentilmente e con sincera disponibilità per un’orda di sconosciuti che lo avevano assalito; si voltò e vide un uomo che, nello sbadato tentativo di non sembrare maldisposto nei confronti delle persone che lo circondavano, cercava un qualche sguardo conosciuto. E che, nel girarsi nell’unica direzione davvero plausibile, il mare, finalmente lo aveva potuto trovare.

Senza smettere di fissarlo, con il battito accelerato, il respiro che si era fatto affannoso, la brillantezza nel suo volto e le gambe tremanti, Andrea si alzò e barcollante si diresse verso di lui. Gabriele, dall’altra parte, si scusò con le persone che gli bloccavano assiduamente il passaggio e si mosse, senza smettere di fissarla, col battito accelerato, il respiro affannoso, la brillantezza nel suo volto e le gambe tremanti, verso di lei.
Arrivati l’uno dinnanzi all’altra, Gabriele capì di aver bisogno di sorreggere la debolezza di Andrea e Andrea di avere la necessità di sostenere quella di Gabriele. Si osservarono come si osserva qualcosa di nuovo e curioso, qualcosa di prezioso e raffinato e delicato. Erano due cristalli che si erano levigati assieme fino a divenire sottili e gracili, al punto di rischiare di rompersi e non potersi ricomporre più.
Niente esisteva intorno al fuoco che formavano e all’energia che sprigionavano: le persone erano divenute spettatrici di qualcosa che non conoscevano, ma che potevano avvertire dalla loro gestualità impercettibile e implacabile. Si sfiorarono le dita, quasi per errore, e le ritrassero nel timore di non potersi permettere più neanche un secondo, ma le avvicinarono di nuovo, quasi a sfidare le ostilità, quasi a sfidare loro stessi, fino a legare le loro mani e i loro sentimenti. Nel silenzio dei loro sguardi carichi di emozioni e nella gentilezza dei loro tocchi, finalmente si aprirono alla consapevolezza del loro peculiare “per sempre”.

 Si baciarono, di nuovo, e si strinsero in uno dei loro immensi abbracci e furono felici, almeno per un’altra volta.

 



 

LOOK AT ME!

Salve a tutti. In primo luogo una precisazione: il mio nome non è Abigail, lei è una persona fittizia a cui lascerò scrivere questa serie di racconti,
ma esiste solo nella mia mente e nella mente di chi legge.

Entrando nel merito dei racconti, come preannunciato nella descrizione, tratteranno di persone comuni. Le loro storie saranno narrate secondo gli occhi che ho donato ad Abbie e quindi secondo le sue personali interpretazioni, più che dai miei.
Sono persone che io, nella mia vita "reale" o lei, nella sua personale, abbiamo incontrato o immaginato di incontrare.
Persone i cui sguardi ci hanno narrato una storia nella sua semplicità e che, in virtù di questo, ho ritenuto valesse la pena raccontare.
Fatti accaduti o meno, sono solo spiragli delle loro vite e dei loro "tutto".
Di ognuno di loro non verrà aggiunto niente in più a ciò che è descritto nel singolo capitolo.
Non posso dare un seguito a vite che non conosco e che non mi hanno lasciato intravedere nulla in più di ciò che mi sono permessa di scrivere.
Come per questo primo racconto, Andrea, capiterà spesso che il finale di ognuno di essi sia aperto:
quel "poi" che c'è, ma di cui io non tratterò, è solo negli occhi di chi legge, quindi è a discrezione vostra.

Come forse avrete notato, non solo è il primo racconto che pubblico, ma è anche la prima storia. Questa raccolta fa parte di un piccolo mondo di vite comuni che ho creato nella mia mente e di cui anche Abbie è parte integrante.
Spero di avere il tempo e la costanza di aggiungere tutto ciò che lo riguarda e spero che vogliate seguirmi in questo percorso.

Per il momento, sarei molto felice di ricevere delle recensioni/opinioni esterne, fondamentali per uno scrittore o candidato tale, al fine di migliorarsi sempre e apprendere quanto più possibile da ogni cosa che ci venga offerta.

Se siete giunti fin qui, un particolare grazie.
 Bongi.


Edit: visto che sono un po' pigra e lenta nella vita, scrivo direttamente qua, perché non mi è dato sapere quando riuscirò a rispondere a tutti!
Per coloro che abbiano fatto presente un uso non adatto del linguaggio nei dialoghi: è una cosa perfettamente ponderata :)
Difatti, mi piace pensare - ed in realtà ho la conferma del fatto che questo può tranquillamente accadere - che ci siano occasioni nelle quali si possa lasciare spazio a riflessioni non necessariamente colloquiali e anzi: tanto più può succedere quanto più è profondo il rapporto tra due persone. I dialoghi narrati qui, infatti, sono dei dialoghi che le mie orecchie si sono trovate ad ascoltare innumerevoli volte, soprattutto nei casi in cui avessimo alzato un po' il gomito e la sbronza ci avesse spinto verso una delle varie riflessioni sui massimi sistemi o sull'esistenza tutta :P 
Quindi insomma, è stata una scelta consapevole e cercata :)

 

   
 
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