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Autore: VenoM_S    26/02/2020    1 recensioni
Ronan, uno cavaliere, si ritrova a dover compiere una missione di salvataggio per conto del Re. Sua figlia, infatti, è scomparsa da tempo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al COWT di Lande di Fandom
Settimana: quarta
Missione: M2
Prompt: La Torre
N° parole: 2500
 

La realtà delle cose


Un’aurora rosso sangue si mostrava agli occhi dell’uomo quella mattina. Si era svegliato che era ancora notte fonda, la città dormiva mentre lui compiva un veloce e frugale pasto prima di prepararsi e caricare le diverse bisacce contenenti cibo, acqua e alcuni materiali per il viaggio sul cavallo da soma, che poi aveva attaccato con una fune robusta alla sella del suo imponente cavallo da guerra. Glorion lo guardava come sempre con i suoi occhi scuri e tranquilli, talmente abituati all’orrore della battaglia che praticamente nulla poteva spaventarlo o scalfirne lo spirito. Il mantello bianco dello stallone risaltava alle prime luci dell’alba, screziato di rosso e arancio nei punti in cui il sole nascente si faceva strada tra gli alberi fino a colpirlo direttamente. La lunga criniera nera era stata intrecciata strettamente per non intralciare il passaggio delle redini ed evitare che potesse impigliarsi in rami e cespugli o che qualcuno potesse aggrapparvisi durante una fuga o una battaglia concitata. Quelli dopotutto non erano luoghi né momenti in cui sfoggiare la bellezza del suo destriero, cosa riservata solo alle parate o le sfilate d’onore per le vie della città, quando il popolo lodava la prodezza dei guerrieri tornati vittoriosi da qualche campagna, costretti a sorridere ed esultare mentre erano ancora aperte le ferite sul corpo e nell’anima.
Stavolta però, mentre camminava al passo lungo le strade della città non c’era nessuno che uscisse dalle case al suo passaggio per salutarlo o seguirlo fino alla piazza, per acclamare la sua missione ed augurargli buona fortuna. E come poteva biasimare quelle persone dopotutto. La principessa Seline, che ormai doveva avere quasi diciassette anni, era scomparsa dal regno ormai da tempo, rapita dal castello reale durante la notte da un personaggio di cui ancora non si conosceva la reale identità e di cui si erano quasi subito perse le tracce, e ritrovata diversi mesi dopo relegata in un torrione al centro esatto dell’immensa foresta che si trovava al limite della regione, un luogo ancora non del tutto esplorato e che si diceva nascondesse enormi pericoli ed entità misteriose. Diversi cavalieri avevano provato ad avventurarvisi per salvarla e riportarla incolume dalla sua famiglia, ma nessuno era mai tornato indietro, fagocitato come la fanciulla dalle fauci oscure di quel luogo. Il Re e la Regina, che in un primo momento si erano prodigati nell’inviare uomini valorosi in soccorso alla ragazza, dopo circa due anni avevano ridotto le spedizioni, e ad oggi, dopo ben quattro anni, si erano ormai quasi del tutto disinteressati alla questione, anche grazie al fatto che solo poche settimane prima la Regina aveva annunciato una nuova gravidanza. Nonostante questo, c’era ancora chi desiderava compiere quell’impresa, non solo per assicurare l’incolumità della principessa riportandola nella sua casa natale, ma anche per cercare di accrescere il proprio stato nella società. Era indubbio, infatti, che chiunque fosse riuscito laddove decine di altri avevano fallito sarebbe stato ricompensato con onori e gloria da tutti gli angoli del reame, e non solo dalla famiglia reale. E Ronan si era ritrovato ad essere l’ultimo di questa lunga lista di nomi altisonanti finiti ben presto nel dimenticatoio. Probabilmente dopo di lui non sarebbe più partito nessuno, quindi tutto si riduceva a quell’unico viaggio: morire, oppure tornare con un risultato. Era stato chiamato quasi in segreto, senza fronzoli né paggi riccamente vestiti a consegnargli il messaggio, e nello stesso modo si stava avviando al cancello di ingresso ancora semi immerso nell’oscurità. Davanti alla massiccia porta di legno e metallo, sotto un ampio mantello con cappuccio dall’aspetto logoro ed anonimo, c’era Re Angus in persona. L’uomo gli stava rivolgendo uno sguardo cupo sotto il pesante orlo della stoffa, e le parole che gli rivolse non furono di certo più incoraggianti.

«Ti saluto, cavaliere. So che non è l’accoglienza che immaginavi, né che probabilmente meritavi, ma la mia richiesta è personale e sia che tu fallisca o torni vittorioso rimarrà un segreto per il regno e per mia moglie. Sono l’unico che in questi ultimi due anni ha continuato a chiamare uomini per compiere questa missione, ma ormai anche io ho perso la speranza, quindi tu sarai l’ultimo. Ti chiedo solo di salvare mia figlia, o per lo meno di provarci a qualunque costo»
Ronan sostenne il suo sguardo con forza, cercando di infondervi tutta la sua risolutezza.
«Avete la mia parola, mio Signore, non tornerò indietro fino a che non l’avrò rispettata»
«Grazie, so che sarà così. La strada è molto lunga, farai meglio a partire»

Con queste ultime parole, l’uomo si calò ancora di più il cappuccio sul viso e si girò incamminandosi lungo la strada lastricata che il cavaliere aveva attraversato poco prima, per tornare nel suo palazzo, solo e leggermente incurvato su sé stesso. In un certo senso, Ronan provò compassione per quell’uomo la cui fiducia non aveva mai vacillato, ma che ora si trovava a dover abbandonare anche l’ultimo barlume di speranza.
La prima parte del viaggio non fu particolarmente degna di nota. Ronan attraversò diversi villaggi in cui la tranquillità ed il duro lavoro nei campi la facevano da padrone, rendendo gli abitanti persone alla mano e gentili con il prossimo. Non mancarono le occasioni per consumare un pasto sotto un tetto, nutrire ed abbeverare i due cavalli e concedersi di riposare su un letto di paglia. Il passaggio di cavalieri negli ultimi anni si era molto ridotto, quindi per molti lui si era rivelato una specie di animale raro da osservare e a cui chiedere notizie sulla capitale del regno. Ovviamente l’uomo era ben felice di rispondere alle loro domande, e di far accarezzare Glorion ai bambini che sempre gli si aggiravano intorno sorpresi dall’incredibile possenza di quell’animale.
Un paio di giorni dopo aver lasciato l’ultimo villaggio, il cavaliere arrivò finalmente di fronte alla grande foresta di confine. Alberi alti e ammassati fin troppo vicini gli si paravano davanti, ed il suo sguardo non riusciva ad addentrarsi nella vegetazione per più di una manciata di metri. Un unico sentiero sembrava attraversare quel muro di alberi, stretto e poco curato. Sarebbe stato difficile procedere in sella, quindi scese da cavallo ed iniziò a condurre gli animali a piedi, facendo ben attenzione a dove camminava. Più camminava verso il folto della foresta, più i rami sembravano volersi chiudere sulla sua testa, impedendo ai raggi del sole di raggiungerlo e facendogli in poco tempo perdere il senso del tempo e della direzione che stava seguendo. Più di una volta si ritrovò a doversi fare strada con la spada tra spessi muri di arbusti spinosi che gli tagliavano il passo, nascondendo dietro di loro lo stresso sentiero, ma in nessuna occasione si ritrovò a fronteggiare qualcuna delle creature che si diceva popolassero quel posto. Dopo un tempo che gli parve interminabile, finalmente vide a pochi metri da lui una luce più intensa, e seguendola si ritrovò al limitare della radura che fino a quel momento aveva rappresentato l’obiettivo del suo viaggio. Schermandosi gli occhi con una mano, finalmente la vide.
La torre si stagliava scura e spoglia contro il cielo limpido, come un lungo dito adunco che spuntava direttamente dal terreno. Era leggermente storta in due punti, cosa che faceva assumere alla sua silhouette una particolare forma zigzagante che dava un senso di forte instabilità. A guardarla, in effetti, non sembrava la sistemazione più comoda per una fanciulla di sangue reale, sicuramente cresciuta nell’agio su cuscini di seta. Non sembravano esserci porte né finestre fino a circa metà altezza, da dove invece si aprivano diverse finestrelle fino in cima, alcune delle quali dovevano avere dei piccoli balconcini che però erano crollati o pericolanti. L’unico che sembrava in buono stato era quello più in alto, dove lo sguardo di Ronan non riusciva ad arrivare ma che si allungava sicuramente da una finestra più ampia delle altre, e che era contornato da una bassa ringhiera di pietra ornata da fregi intricati che rappresentavano chissà quale pianta o creatura. Non sembrava esserci traccia di anima viva, e nella radura attorno alla torre non c’erano costruzioni né resti che potessero dare indicazioni su chi fosse stato lì prima di lui e cosa potesse essergli successo: niente resti di fuochi da campo, niente tracce di sangue o colluttazioni, niente equipaggiamento dimenticato durante una possibile fuga. L’uomo scese da cavallo e tirò in avanti le redini, passando dolcemente una mano sul collo muscoloso dell’animale che si stava guardando intorno con fare curioso. Lo portò fino ad un albero nelle vicinanze e lo legò ad uno dei rami più bassi. Il piccolo pony da soma color caramello che invece era legato alla sella di Glorion sembrava molto meno a suo agio, e ogni tanto si scrollava come a cercare di scaricare la tensione, mentre allargava le narici per cogliere il minimo odore sospetto.

«Tranquillo, vedrai che non ti succederà nulla» Ronan sapeva benissimo che l’animale non poteva capirlo, ma sperava in qualche modo che parlargli in modo calmo lo avrebbe tranquillizzato almeno un po’.

Dopo aver tolto le bisacce dal pony, si decise a fare un rapido giro della costruzione prima di organizzare un campo spartano per passare la notte. Era infatti abbastanza sicuro che, almeno in quel poco tempo che gli rimaneva prima che tramontasse il sole, non sarebbe riuscito a trovare un ingresso né ad escogitare qualcosa per arrampicarsi fino ad una delle finestre. Il terreno attorno alla torre era piuttosto brullo, l’erba era rada e non vi erano cespugli, cosa in netto contrasto con la foresta rigogliosa che la circondava da tutti i lati. Ronan appoggiò la mano destra sulla torre ed iniziò a farla scivolare lungo il muro esterno mentre compiva la sua perlustrazione: i pesanti blocchi di pietra che componevano la base erano impilati con precisione, e non sembrava esserci nessun appiglio naturale su cui potersi sostenere per un’eventuale scalata. Questo lo infastidì, perché a dispetto dell’apparenza malmessa quell’edificio era decisamente ben costruito. Se voleva scalare fino alla prima fila di finestre avrebbe dovuto costruire una scala oppure ingegnarsi con una fune bella lunga.

«Le cose non si mettono bene» sospirò tra sé.

Anche la ricerca di una porta o comunque un’apertura fra le pietre non sembrò produrre i frutti attesi. Non c’erano dislivelli degni di nota che potessero far pensare a porte nascoste, né tantomeno segni di qualche natura magica che indicassero l’uso della magia per nascondere l’entrata. Sembrava tutto immobile, duro e resistente come se la torre non fosse mai stata concepita per avere una porta, e questo era davvero arduo da comprendere per il cavaliere. Che razza di creatura poteva aver portato Seline fin lì? E come aveva fatto a rinchiudercela, si era forse arrampicato mediante una scala che era poi stata distrutta oppure era una creatura più mostruosa di quel che si pensava, in grado di artigliare la pietra per scalarla?
Il sole nel frattempo era arrivato a lambire l’orizzonte, ed una calda luce arancione creava ombre e disegni scuri sul terreno e sulla torre silenziosa. Ronan decise che per il momento non poteva fare altro, quindi tornò vicino ai cavalli e si mise ad impilare alcuni rametti per accendere il fuoco. Mentre scendeva la notte, cucinò una zuppa con alcune patate e verdure che gli erano state donate nell’ultimo villaggio che aveva attraversato, ringraziando il fato che gli aveva concesso una serata mite e serena. Dopo aver mangiato e aver controllato un’ultima volta i due cavalli, si stese sulla pesante e morbida pelle che si era portato come giaciglio e si addormentò.

Come se fosse stato risucchiato indietro da una forza sconosciuta, Ronan si svegliò di soprassalto e si rese conto che era notte fonda. Il fuoco era ormai spento e la torre di fronte a lui si stagliava contro il cielo illuminato dalla luna nera come un incubo. C’era qualcosa nell’aria, riusciva a percepirlo: un richiamo cantilenante, sussurrato eppure perfettamente udibile, come una filastrocca per bambini. Stava chiamando proprio lui, pronunciava il suo nome e gli chiedeva di entrare nella torre. Incuriosito, si alzò dal giaciglio e, dopo aver recuperato la sua spada lunga ed essersela assicurata al fianco, si avvicinò all’edificio scuro con circospezione. Una volta lì, si accorse che tra le giunzioni di alcune pietre si era formato un minuscolo spazio, ed in effetti provando a spingere leggermente queste si ritirarono verso l’interno formando una piccola apertura. Nonostante il brutto presentimento, Ronan non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione per entrare, quindi si abbassò per passare oltre la stretta porta e si ritrovò all’interno, in una stanza piccola e buia in cui si intravedeva solo una ripida scalinata che si avvolgeva a spirale verso l’alto. Mentre saliva gli stretti gradini stando attento a non inciampare, l’uomo iniziò a sentire un rumore insistente che si mischiava alla cantilena, come se un animale stesse raschiando le pietre con le unghie, ringhiando sommessamente. Di certo la cosa non prometteva bene, ma doveva concludere quella faccenda ed era pronto a rischiare anche la sua stessa vita per riportare indietro la ragazza, qualunque cosa si fosse trovato davanti in cima a quelle scale. Giunto in cima, si ritrovò di fronte ad una porta di legno scuro, rinforzata con giunture metalliche che la facevano sembrare estremamente resistente, che però era leggermente socchiusa e lasciava filtrare una tenue luce giallastra e tremolante che doveva provenire da alcune candele che si trovavano all’interno della stanza. Senza pensarci oltre, Ronan appoggiò una mano alla porta e la spinse leggermente, alzando la spada davanti a sé mentre faceva il passo necessario ad entrare. Di fronte a lui c’era una creatura alta e magra, ma dall’aria estremamente pericolosa: un lungo vestito viola la copriva fino alle caviglie, lasciando scoperti i piedi scalzi e dotati di lunghi artigli, così come le mani lunghe che grattavano la pietra con insistenza, producendo un suono stridulo e lasciandosi dietro dei segni più o meno profondi dove le unghie erano affondate più volte. Il volto della creatura aveva qualcosa di femminile, ma era sconvolto da un’espressione orrenda mentre la grande bocca costellata di denti acuminati e dalla quale scendevano piccoli rivoli di saliva si apriva e si chiudeva, pronunciando quella specie di filastrocca che aveva convinto Ronan ad entrare, e gli occhi gialli dalla pupilla sottile si muovevano su e giù scandagliando il corpo dell’uomo alla ricerca del primo lembo di pelle da colpire. Lunghi capelli biondi acconciati in una treccia mezza disfatta scendevano fino ai fianchi del mostro, completando quel quadro grottesco e inquietante di una creatura una volta umana, ma ormai divorata da un istinto maledetto.

«Seline»

Gli occhi di quella che una volta era la principessa scattarono all’istante verso quelli di Ronan, come se quell’unica parola le avesse riportato alla mente qualcosa che stentava a ricordare, e per un momento sembrò quasi che la loro espressione mutasse, diventando triste ed impaurita. Ma fu solo questione di un secondo, perché subito dopo Seline lanciò un assordante grido e si leccò le labbra con una lunga lingua scura, accovacciandosi e preparandosi a scattare.

A quel punto Ronan capì in quale modo il Re voleva che salvasse sua figlia.
Doveva ucciderla.
  
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