Film > Captain America
Ricorda la storia  |      
Autore: Dida77    28/02/2020    3 recensioni
"Come tutte le mattine, allungò pigramente la mano verso destra per accarezzare il compagno che da lì a poche settimane sarebbe diventato suo marito."
Stucky, tematiche delicate
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Questa storia è stata ispirata a questa splendida fan arte di Petite Madame.
Enjoy it.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Steve si svegliò. Si svegliò e sorrise.
Come tutte le mattine, allungò pigramente la mano verso destra per accarezzare il compagno che da lì a poche settimane sarebbe diventato suo marito.
Per un attimo, un piccolissimo meraviglioso attimo, tutto sembrò come al solito.
 
Ma quando la mano, muovendosi verso destra, trovò soltanto lenzuola fredde, la verità lo colpì come un maglio, così forte da lasciarlo stordito.
Un’immagine, un incubo a dire il vero, si fece strada nella sua mente.
Ma non poteva essere vero.
No, non poteva essere vero.
Doveva esserselo sognato… Non poteva essere vero.
La sua testa si rifiutava di prendere coscienza di questa cosa, di questa idea troppo grande, troppo difficile da comprendere fino in fondo.

Ma il corpo aveva già capito ciò che la mente si rifiutava di accettare e una morsa gelida gli strinse forte la bocca dello stomaco. I conati arrivarono subito dopo, costringendolo ad alzarsi e a correre in bagno, appena in tempo per evitare di sporcare ogni cosa.
 
Restò in ginocchio sul pavimento, la fronte madida di sudore gelato appoggiata al gabinetto. In un mondo perfetto Bucky sarebbe corso a vedere cosa stesse succedendo. Bucky gli avrebbe sorretto la fronte massaggiandogli la schiena, gli avrebbe portato un bicchiere d’acqua per sciacquarsi la bocca, Bucky gli avrebbe passato un asciugamano bagnato sulla fronte per portare via il sudore.
 
Ma Bucky non c’era più. No, Bucky non c’era più.
Era morto il giorno prima in quella maledetta missione. Erano stati sufficienti un paio di proiettili speciali, di quelli che bucano le tute di kevlar come se fossero fatte di carta velina.
 
Lo aveva visto cadere in silenzio, non aveva nemmeno urlato per il dolore. Non aveva detto niente.
Nemmeno quando era arrivato da lui di corsa per sostenerlo prima che rovinasse a terra. Nemmeno quando gli aveva accarezzato i capelli dicendogli che sarebbe andato tutto bene. Non aveva detto una sola parola. Non un suono.
Lui aveva capito in un solo istante che erano arrivati al capolinea e che quella era la fine di tutto.
Lo aveva guardato con il sorriso sulle labbra e gli occhi umidi, con quegli occhi blu come l’oceano che avevano sempre avuto la capacità di parlare da soli.
 
Con quell’ultimo sguardo gli aveva detto tutto. Aveva detto addio, aveva detto che lo amava, che sarebbe sempre rimasto al suo fianco, che era orgoglioso di ciò che il piccolo Steve era diventato.
Tutto in uno sguardo. Solo Bucky poteva dire tutto con un semplice sguardo.
 
Ciò che era successo dopo era avvolto in una strana nebbia. Strange aveva aperto rapido un varco per trasportarlo immediatamente in ospedale.
Poi l’attesa, infinita, in quella sala d’aspetto dalle luci troppo forti, con sedie troppo scomode per sorreggere tutta la sua preoccupazione. Allora meglio camminare. Avanti e indietro per la sala, misurandone la lunghezza con lunghi passi cadenzati, senza che nessuno avesse davvero il coraggio di farlo fermare.


Le voci degli altri gli arrivavano ovattate, come provenienti da dietro un muro di nebbia che a lui non interessava minimamente attraversare.
Gli occhi inchiodati a terra ad analizzare il disegno geometrico delle piastrelle, come se in quel momento fosse l'unica cosa che contasse davvero. Qualsiasi cosa andava bene pur di non avere l’ultimo sguardo di Bucky impresso negli occhi.
 
Sperarono per ore. In silenzio. Quasi immobili eccetto che per i passi lenti di Steve.
Perché lui era Bucky. Che diamine! Era sopravvissuto a qualsiasi cosa, sarebbe sopravvissuto anche questa volta.
 
Ma quella era la vita vera, non era un qualche stupido racconto scritto da un fan amante del lieto fine. Quella era la vita vera e Steve lo aveva letto sul volto devastato di Strange quando varcò la soglia di quella maledetta sala. Non aspettò di sentirlo parlare, il suo volto diceva tutto. A quel punto le parole erano inutili. Niente di ciò che avrebbe potuto udire avrebbe cambiato le cose, niente avrebbe colmato quel vuoto o lenito quel dolore.
Si mise la giacca e uscì dalla stanza.
 
Fu Natasha a trovarlo un paio di ore più tardi, sul tetto dell’ospedale, seduto per terra con le gambe piegate e il mento appoggiato sulle ginocchia.
 
Nat non disse niente. Grazie al cielo era una di poche parole. Gli aveva messo in mano due pillole bianche e una bottiglietta d’acqua e lui le aveva buttate giù senza chiedere niente, ma con sguardo riconoscente. In quel momento l’oblio sembrava l’unica opzione sensata. Il mondo si era fermato e lui non aveva più la forza, e tantomeno la voglia, di farlo ripartire. In fondo dormire era l'unica possibilità rimasta: un sonno nero, profondo, senza sogni. Non voleva nemmeno ricordare. Anche ricordare faceva male. Troppo male.
 
Si era risvegliato la mattina dopo, nel suo letto. Non si ricordava di come ci fosse arrivato. E adesso era in bagno, cercando la forza di alzarsi e iniziare a vivere una vita che non aveva più senso di essere vissuta.
 
Natasha lo trovò ancora lì, in ginocchio. Anche stavolta non provò a consolarlo (sapeva che sarebbe stato inutile), a dire che le dispiaceva (non importava, gli occhi rossi parlavano per lei), a dire che ci sarebbe sempre stata (in fondo era lì, nel su bagno, per cercare di rimettere insieme i pezzi in cui si era rotto).
Andò dritta al sodo, come sempre.
“Devi farti una doccia e cambiarti per la cerimonia, Steve.” Gli disse per convincerlo ad alzarsi. Pochi ordini diretti, detti con un tono morbido ma che non ammetteva repliche. Lui fece uno sforzo enorme per voltare la testa e guardarla negli occhi.
 
“Non credo di farcela Nat.”
 
“Certo che ce la fai, Steve. Devi fatti forza e venire a salutarlo un’ultima volta, altrimenti te ne pentirai per il resto della tua vita. Ormai ti conosco…” Una lacrima raminga scese giù lungo le guance della ragazza. Una lacrima che Steve fece finta di non vedere.
 
“E dopo cosa farò?” Fu una domanda piccola, forse stupida. L'unica che avesse davvero senso in quel momento.
 
“Non lo so Steve, ma ci penseremo dopo. Un passo alla volta. Dai, su, adesso alzati di lì.”
 
Venti minuti dopo erano in ascensore per raggiungere il piano dell’Avengers Tower che era stato allestito per la cerimonia. Le porte si aprirono con uno sbuffo, lasciando entrare il brusio di coloro che erano venuti a dare un ultimo saluto al sergente James Buchanan Barnes.
 
Avengers, personale dello S.H.I.E.L.D., personalità illustri, gente comune. Una folla di persone che dette a Steve la sensazione di essere di troppo. Tutte quelle persone che a Steve sembrava di conoscere, ma che niente sapevano del vero Bucky. Del suo Bucky.
Chiuse gli occhi per un attimo e represse un conato di vomito. L'ennesimo.


Non appena varcò la soglia un silenzio carico di cordoglio cadde sulla stanza come una coperta scura. Lui stette lì, in piedi, a guardarli, senza avere la forza di compiere un passo e uscire dall'ascensore.
La mano di Nat sul braccio era l’unica cosa che gli impediva di fuggire di lì.
 
Ad un tratto il volto di Tony si fece largo, silenzioso, tra la folla. In un attimo fu di fronte a lui e lo avvolse in un abbraccio che Steve ricambiò solo dopo qualche istante.
 
“Mi dispiace così tanto Steve…”
 
“Chi sono tutte queste persone Tony?” Una voce piccina, come forse Steve non aveva mai avuto nemmeno da bambino. Almeno non quando c'era Bucky al suo fianco. Anche quando non avevo nessuno avevo Bucky… gli tornò in mente a tradimento. Maledette frasi che tornavano a galla e scavavano voragini nel petto di Steve, là dove lui pensava non ci fosse più niente da scavare.
 
“Persone che volevano salutare Bucky, gente dei nostri, politici, autorità, gente comune…”
 
“Non ce li voglio.” Rispose semplicemente contro la spalla di Tony. "Falli andar via… ti prego." Una supplica, più che una richiesta.
 
“Ok amico. Ci penso io. Dammi solo cinque minuti.” E si staccò da quell’abbraccio voltandosi verso la folla che era rimasta in silenzio a guardare la scena.
 
Aprì le braccia e parlò ad alta voce. “Allora gente, scusateci ma adesso dovete andare. La cerimonia si svolgerà in forma strettamente privata. Vi prego quindi di avvicinarvi rapidamente alle uscite. Grazie.” La folla titubò, in parte delusa per non poter assistere allo spettacolo dell’ultimo saluto che Captain America avrebbe rivolto al suo amico e compagno. Ma lo sguardo glaciale e il tono fermo di Tony costrinsero tutti ad assecondare quella richiesta inaspettata.
 
La folla liberò la stanza in pochi minuti, lasciandosi dietro un silenzio surreale.
 
Una volta che tutti se ne furono andati, Tony raggiunse di nuovo Steve che non si era mosso di un millimetro e guardava fisso ormai da alcuni minuti l’enorme feretro posto su una pedana dalla parte opposta della sala. “Vieni Steve, ti accompagno.”
 
“No Tony, vado da solo. Andate anche tu e Nat.”
 
“Sei sicuro Steve?” La mano di Natasha non aveva mai lasciato il braccio di Steve, come a dargli una conferma concreta di non essere solo e adesso la sua voce faceva trapelare tutta la preoccupazione per il compagno di tante battaglie.
 
“Sicuro Nat. Questa è una cosa che devo fare da solo.” La sua voce era ferma, malgrado tutto. Doveva salutarlo e doveva farlo da solo. Nessuno avrebbe dovuto assistere alla scena. Nessuno avrebbe dovuto udire le loro ultime parole o vedere le loro ultime carezze. Nessuno. Nemmeno due amici come loro.
Steve attese che abbandonassero la sala e poi si incamminò a passi lenti verso ciò che restava dell’amore della sua vita.
 
Bucky indossava il vestito blu che avevano comprato per il loro matrimonio. Erano andati a comprarli insieme, uguali, un paio di settimane prima, accompagnati da Natasha per avere anche un parere femminile. Fu il primo ricordo felice che gli tornò in mente da quella mattina e un sorriso timido gli comparve sulle labbra. Faceva un male cane in mezzo al petto, toglieva il fiato, ma forse ne valeva la pena. Tutto quel dolore non era troppo da sopportare se poteva ancora ricordare la loro vita insieme.
 
Una volta arrivato in cima alla sala, ci mise alcuni minuti prima di salire sulla pedana e avvicinarsi al feretro. Bucky era immobile, bianco come la cera, con le braccia incrociate sul petto, freddo. Un freddo che penetrò sotto la pelle di Steve e che pensò non se ne sarebbe più andato.
 
Allungò la mano per accarezzarlo, ma alla fine non ne ebbe il coraggio e si limitò a prendergli in mano una ciocca di capelli e a sistemarglieli dietro l’orecchio, in quel gesto che era solito fare quando erano soli e potevano abbassare la guardia.
 
Era l’ultima volta. Non gli avrebbe più accarezzato i capelli. Non ce ne sarebbe stata mai più l’occasione.
Prendere coscienza di quel fatto fu l’ultima goccia che fece tracimare un dolore troppo grande. E iniziò a piangere. Con le dita tra i capelli di Bucky per quell’ultima volta, iniziò a piangere. Fino a quando i singhiozzi non gli mozzarono il respiro e gli scossero le spalle.
 
“Steve, ehi Steve. Cosa succede?”
 
Stava impazzendo, adesso sentiva anche la sua voce nella testa.
Bene così, in fondo. Se doveva impazzire per sentirlo ancora vicino, non sarebbe stato poi un grosso problema.
 
“Steve… Ehi Steve…” La voce di Bucky nella sua testa aveva preso una nota preoccupata. “Steve, cosa succede? Guardami… Steve.” Adesso la voce era accompagnata da due mani calde sui suoi polsi che cercavano di scostare le sue che aveva portato al volto senza nemmeno accorgersene. La paura di perdere quella voce nella sua testa gli impedì di muoversi e aprire gli occhi.
 
“Forza Steve, mi stai facendo preoccupare…” A quelle parole cedette. Allontanò le mani dal viso e aprì gli occhi. Ma, invece di trovarsi in quella immensa stanza vuota illuminata dalla luce del mattino, si ritrovò in una stanza buia, rischiarata solo dalla luce fioca della lampada su un comodino vicino al letto. Il suo letto.
 
Bucky era lì, di fronte a lui, con un’espressione tremendamente preoccupata sul viso e le mani attorno ai suoi polsi. “O Dio, meno male. Mi hai fatto preoccupare di brutto stavolta.”
 
Steve sbatté le palpebre più volte, prima di capire cosa fosse successo.
 
Ci mise una manciata di secondi. Era solo un sogno. Solo un sogno. Oh Dio… grazie, era solo un sogno.
Il sollievo gli bloccò il respiro nei polmoni, facendo preoccupare nuovamente il compagno.
 
“Ehi, respira Steve. È tutto ok. È tutto ok…” Gli appoggiò la mano sul petto, come faceva settant’anni prima quando da piccolo aveva gli attacchi d’asma. Ma Steve la spostò bruscamente e gli agganciò le braccia attorno alle spalle, stringendolo in un abbraccio convulso mentre l'aria entrava a strappi nei polmoni.
 
“Sono qui, sono qui. Non me ne vado… Ma dimmi qualcosa. Non farmi preoccupare ancora di più.”
 
“Brutto sogno.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire con le labbra schiacciate contro il collo del compagno e le mani affondate nei suoi capelli.
 
“Ssshhhh… Era solo un sogno. Solo un sogno. Vieni qui, dai. Sdraiati e copriti che sei sudato fradicio. Altrimenti prenderai freddo.” Gli disse spingendolo dolcemente giù sul cuscino e sdraiandosi lì accanto. Poi aprì le braccia e Steve si accoccolò addosso a lui, con la testa sul suo petto ad ascoltare il battito regolare e forte del suo cuore.
 
“Vado a farti qualcosa di caldo?” Gli soffiò Bucky tra i capelli, mentre con la mano gli accomodava la trapunta sulle.
 
“No Bucky, voglio solo restare così per un po’.”
 
“Tutto il tempo che ti serve, Steve. Tutto il tempo che vuoi.” Gli rispose sorridendo e appoggiandogli le labbra sulla fronte. Un sospirò tremulo uscì dalle labbra di Steve, che sorrise stringendo nella mano la maglietta del compagno che da lì a poche settimane sarebbe diventato suo marito.
 
Pochi minuti dopo sorrise nel pensare agli abiti blu che riposavano al sicuro nell'armadio di Natasha in attesa del grande giorno.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: Dida77