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Autore: Miryel    29/02/2020    51 recensioni
Una raccolta di One Shot ispirata alle Gemme dell'Infinito.
1. Gemma dello Spazio.(1/6) (Tony/Peter) ○ 4. Gemma del Potere. (4/6) (Tony/Peter)
2. Gemma della Mente. (2/6) (Tony/Peter) • 5. Gemma della Realtà. (5/6) (Tony&Peter)
3. Gemma del Tempo.  (3/6) (Tony&Peter) ○ 6. Gemma dell'Anima (6/6) (Tony/Peter)
► Tony Stark x Peter Parker/Tony Stark & Peter Parker - Raccolta di One Shot - Introspettivo ◄
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ' It Wasn't Easy To be Happy for You'
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nfinity • tone





 



«You make me feel like the one Make me feel like the one
The one I don't know where we are going now
So take a look at me now»
• Dakota – Stereophonics

 

 
1. Gemma dello Spazio
 

             A Peter hanno insegnato che lo spazio è il vuoto che esiste tra i corpi celesti. Eppure – lui lo sa bene – definirlo tale è un po’ riduttivo. Lo spazio contiene, al suo interno, una bassa densità di particelle, e dunque niente, ma proprio niente, può essere considerato davvero privo di contenuto. Nemmeno l’anima lo è. Non è un'intercapedine vuoto, ma una fiamma che campeggia tra le pareti della carne e delle ossa. Qualcosa che non si spegne mai, nemmeno quando non la si sente più bruciare. Una fiammella che è lì, debole a volte, ma che non smette mai di scaldarlo. 

Come quando Tony non lo guarda; si sente meno vivo, è vero, ma questo non significa che non lo sia davvero. A volte lo avverte, quel muro che li divide, che divide lo spazio che li circonda ma non lo sono mai davvero. Non lo sono mai, perché quando poi gli occhi di Iron Man si posano sui suoi, c’è sempre un sorriso a solcargli il volto maturo. Come se, in qualche modo, lo ringraziasse involontariamente di qualcosa. Forse di esistere. Forse di far parte di quello spazio – il suo – colmandolo con qualcosa di concreto. Manipolandolo, ma Peter non sa neppure come ci riesce. Sa solo che lo vede, quell’astratto movimento della realtà che si ingarbuglia intorno a loro e apre uno spiraglio; nasconde il resto. Non c’è semplicemente. Si chiede se sia l’amore, a comandare lo spazio. Si chiede se siano quelle farfalle bollenti nella pancia, a sprigionare — dal battito delle loro ali, quella polvere magica che rende tutto dannatamente incantevole. Si posa una mano sul cuore, mentre Tony fa un gesto ai ragazzi dell’Internship dando loro appuntamento a più tardi. Forse non li ha liquidati perché lo ha visto lì, ad aspettarlo sulla soglia, in quella che è una visita inaspettata. Forse semplicemente pensa sia cortese avvicinarsi e salutarlo, nulla più. Eppure Peter ci spera, che ci sia altro, nascosto dietro a quella camminata sicura e a quel sorriso stupito, che gli sta rivolgendo. Come se, all’improvviso, fosse spuntato il sole nel grigiore di quei macchinari e di quelle pareti un po’ spente. 

Deglutisce aria, e ricambia quel distendersi di labbra, quasi meccanicamente. Ha le mani dietro la schiena e dondola sui piedi. Si sente stupido come un bambino che deve consegnare una lettera d’amore, ma non può non ammettere che, quelle sensazioni, gli fanno bene al cuore. Lo strappano, lo tirano, lo pugnalano, lo strizzano come uno straccio pieno di lava incandescente, ma lo stomaco è colmo di note musicali, suonate da un violino struggente che gli fa tremare la pelle. Tony è così vicino che l’odore della sua colonia lo inonda. Vorrebbe chiedergli la sua giacca, per portarla a casa e dormirci abbracciato. Si sente così stupido, eppure non gli importa niente.

«Parker», lo chiama il signor Stark, e lui sbatte le ciglia; lo mette a fuoco, come se non fosse abbastanza nitido, da quella distanza. Come se ogni cellula che compone la sua persona avesse bisogno di attenzione chirurgica, attraverso le sue pupille dilatate dai sentimenti, «È una visita di piacere o qualcuno ti ha mandato a babysittarmi?»

Peter ride appena. Smette di dondolarsi sui piedi e li punta a terra, intenzionato a non dimostrarsi infantile, anche se sa di esserlo. Vorrebbe che il signor Stark la notasse, la sua maturità; che vedesse oltre le cazzate che fa e che dice, continuamente. Come se non ci fossero divergenza d’età, o differenze caratteriali così grandi da dividerli. A volte senza che lo vogliano e Peter sa che anche per l’altro è così. Lo sente. Sono i suoi sensi e quell’empatia che lo caratterizza da sempre.

«Passavo di qui e ho pensato: chissà che combina il signor Stark! E ho anche pensato che magari le facesse piacere, fare due chiacchiere», dice, e quella confidenza gli esce fuori dal cuore. Non è mai così sfacciato – se quella la si vuole chiamare sfacciataggine – ma oggi si sente diverso. Sente che lo spazio gli sta dando dei segnali, e sta agendo solo ed esclusivamente mosso dall’istinto. È uno di quei rari giorni in cui si sente che tutto andrà bene e che, i pianeti, si sono allineati per regalargli qualcosa in cui credere. Ci vuole credere, non sa a cosa, ma vuole farlo. 

Tony sbuffa una risata. Si posa una mano sul mento e lo squadra da capo a piedi. Si sente esposto e protetto dallo sguardo genuino che l’altro gli posa addosso. Sarà che Tony ha sempre quel lato gagliardo e prepotente, addosso, rivolto al resto del mondo – ma mai a lui – che ora è mutato in una morbida tenerezza che sa di premura e che lo fa sentire importante. Troppo. Forse Peter vede cose che non ci sono, in quegli occhi brillanti, che si spengono un po’ quando il sole non gli bacia più la faccia. Forse i pianeti non sono poi così allineati come pensa. Forse lo spazio tra di loro è ancora diviso da un muro costruito da troppe cose lasciate dietro a facciate fasulle. Tipo la sua ammirazione che in realtà è amore. Come la premura paterna di Tony, che magari non è altro che un sentimento specchio del suo. Si sente importante e non dovrebbe. Si sente una cosa a parte, ma forse non lo è. Si sente fluttuare, ma forse cadrà e si farà tanto male da non riprendersi più. Si sente prigioniero dell’amore, rinchiuso in una gabbia aperta dal quale non vuole fuggire. 

«Se mi hai portato un caffé sarà una visita più che gradita.» 

«Ho immaginato che ne avesse già presi abbastanza, siccome sono le sei del pomeriggio. Quanti? Cinque? Sei?» 

Tony alza le sopracciglia. «Ci sei andato vicino. Sono a quota sette, ma sono pronto per l’ottavo», decide.

«Signor Stark…», sospira Peter, ma trattiene sul viso una polvere di argento vivo. Gli sta chiedendo del tempo insieme e lo fa – come sempre –  a modo suo. Gli chiede di condividere il suo spazio, senza mai chiederglielo davvero. I silenzi, i gesti e le figure retoriche sono veli che coprono la verità, che dopotutto alla fine è palese e cristallina. Fa male e bene. Lo fa fluttuare più in alto di così. Difficile sentire il pavimento sotto i piedi, quando accade la magia dei non detti.

«Che c’è? Non mi piacciono i numeri dispari!», si giustifica e, posandogli una mano sulla schiena, lo invita a defilarsi dalla stanza, facendo cenno agli altri che tornerà presto, bofonchiando parole incomprensibili che suscitano l’ilarità generale; anche quella di Peter. Si sente di nuovo importante, e non sa quanto la cosa possa essere positiva o distruttiva.

Si ritrovano sulla terrazza dell’edificio, con bicchieri di carta bollenti tra le mani e il manto scuro e stellato di un cielo privo di nebulosa bianca e soffice, a coprirli. Le stelle sono puntini disegnati da una stilografica intinta in un inchiostro puro e candido. Sono buchi nel cielo che risucchiano via le brutture del mondo. Chiuse all'addiaccio del firmamento, esplodono a milioni di anni luce da lì, e creano la magia di una notte singolare e che sembra essere da sempre attesa. Da una vita intera. Momenti che si sa arriveranno, ma non si sa mai quando. È questo. Il momento è questo. 

«L’internship la impegna un sacco», dice Peter, all’improvviso, quando quel silenzio è troppo familiare per non accorgersi che qualcosa si è distorto, nel loro spazio; non sa se in positivo, o se in negativo. 

«Tutto mi impegna un sacco», controbatte Tony, ridacchiando, con quel suo solito, fastidioso, irresistibile bisogno di lamentarsi di ogni cosa, rimanendo comunque il finto spocchioso di sempre. «Se la mia Internship fosse come la tua, mi divertirei di più.» 

«La mia finta Internship¹», sorride Peter, affogando lo sguardo nel suo cappuccino bollente, con un velo di malinconia sulle labbra. Finge di farne parte, solo per nascondere Spider-Man dietro a una bugia sensata. Eppure vorrebbe parteciparvi davvero, a quel tirocinio; un po’ perché lo ha sempre sognato, un po’ perché vorrebbe che il suo spazio coincidesse con quello del signor Stark, più spesso di quanto gli è concesso. Si sente di nuovo stupido. Ma essere Spider-Man gli piace, dunque va bene così. Non ha nulla di cui lamentarsi. È più fortunato di molte altre persone. Specie ora, che il signor Stark ce l’ha a due battiti di ciglia, e che lo guarda luminoso come quella luna impertinente che si affaccia senza vergogna nel cielo.

Si sente succube del magnetismo lunare; vittima di un elastico che lo tira vicino all’altro, senza che lui possa farci niente. 

Il signor Stark ha appoggiato i gomiti alla ringhiera di ferro. Tiene ancora stretta tra le dita la carta, non più bollente, di quel bicchiere di caffé. Sorride, quando Peter alza la folta corolla di ciglia perché si è sentito osservato. Affusola le labbra, e con un leggero diniego della testa, gli chiede cosa ci sia che non va. Tony si avvicina e gli tocca la spalla con la sua. Niente, non c’è niente che non vada, gli dice con quel gesto, e poi beve il suo caffé, con un sorrisino nascosto dietro al nero più cupo di una bevanda amara. 

Non sono mai stati così vicini come ora. 

«Come siamo assorti! A che pensi?», gli chiede poi Tony, e attira la sua attenzione con una piccola gomitata che lo fa sussultare, e sorridere. 

«All’immensità dello spazio. Alla sua rappresentazione reale, fatta di meteoriti, massi lunari, esplosioni e buio; poi c’è quello che vediamo noi, che sembra quasi una sorta di racconto romanzato della realtà.» 

«Quando vedi le cose da una certa distanza, non le vedi mai come sono davvero. Sembrano prive di difetti. Solo che non è così, sono pallide bugie», gli risponde il signor Stark, quasi prontamente. Poi alza gli occhi al cielo, oscilla la testa e sorride tra sé e sé. «Non sempre, almeno. Io sono perfetto, per esempio. Da lontano e da vicino.» 

«Non sono nessuno per infrangere i suoi sogni, signor Stark», ridacchia Peter e si guadagna un’altra gomitata, poi tornano seri e alzano la testa, tutti e due, verso il cielo. «È assurdo pensare a quanto sia distante, lo spazio.»

«È più vicino di quanto tu possa credere.»

«Lei c’è stato?», chiede, e si gira a guardarlo con gli occhi colmi di ammirazione e stupore, che scemano di fronte alla luce che prima albergava le sue iridi castane, ora velata da qualcosa che a Peter sembra paura. 

«Una volta².» 

«E… com’è stato?» 

«Affascinante e terribile allo stesso tempo. Un incubo ricorrente», ammette, poi gli punta un dito addosso e Peter indietreggia leggermente, preso alla sprovvista, «Però ho salvato il mondo. Ho quasi rischiato di rimanere imprigionato nello spazio ma tutto è bene ciò che finisce bene, sono qui a raccontarlo, no?» 

«Ne parla come se salvare il mondo fosse un lavoro di tutti i giorni!», ridacchia, un po’ per smorzare la tensione, un po' per il nervoso; la paura di aver fatto scattare qualcosa.

«Per uno come me lo è», asserisce, fingendo un tono indignato che un po’ gli appartiene e un po’ no, «Sarà la mia condanna, questa mia dote naturale di mettermi nei guai, salvando comunque sempre la situazione», dice, concludendo con un arrochito sigh.

«Mi vuole rubare il ruolo di combinaguai?»

«Anche volessi, non ci riuscirei, Parker. Tu sei un vero disastro!», esclama, e Peter è contento di vedere che la luce che pulsa di energia, è tornata sul margine acquoso delle sue pupille, e non è più arida come la sabbia. Vorrebbe dirgli che, certi momenti, desidererebbe non finissero mai. Vorrebbe dirgli che si sente importante, quando riesce a risvegliare la fiammella che a volte si affievolisce, nell’intercapedine della sua mole. Vorrebbe dirgli che è tanto innamorato da sentirsi morire, ma che sa fin troppo bene che non è possibile che la cosa sia ricambiata, ma che gli basta questo: parlare su una terrazza, lasciando andare, di tanto in tanto, qualche confidenza che poi torna a nascondersi dentro al pozzo nero del cuore. Vorrebbe dirgli che per lui ci sarà sempre, anche se non ha la pretesa di essere indispensabile, solo vuole esserci. Tutto qui. 

Ha di nuovo abbassato gli occhi sul suo cappuccino. La crema galleggia, e man mano affoga nella bevanda ormai fredda. Quando è con il signor Stark si dimentica persino di mangiare, di bere, di sbattere gli occhi. Se il cuore non fosse un muscolo involontario, si dimenticherebbe persino di farlo battere. Sospira amaramente, ma è convinto di poter sopportare quel dolore, di poterci convivere, perché la preferisce una vita priva di un sentimento ricambiato, a discapito di una dove Tony Stark non ne fa parte. Si sente chiuso in una torre costruita con mattoni di confusione e occasioni perse. Poi sente i suoi occhi addosso – quelli del signor Stark. Si volta lentamente a guardarlo. Gli sta lasciando ammirare un sorriso che sa di tenerezza e di qualcos’altro. Peter sa cos’è, ma non lo dice; nemmeno a se stesso. Si muove leggermente sul posto. Lo spazio intorno a loro si restringe ancora e si riempie. Lo spazio non è mai vuoto, ma ora sta esplodendo di consapevolezze. Trasudano, trasbordano, soverchiano di tanti non detti, sparati via come pallottole dagli occhi, che colpiscono la testa e finiscono con un bacio. 

La risposta a tutto, quando non si ha il coraggio di ammettere al proprio cuore e a quello dell’amato, che lo spazio è elastico e che a volte ha posto solo per due. Il bacio che nasconde cose, e ne rivela altre. Il bacio che è un solo, delicato, tocco di labbra, che sa di caffé amaro e di bugie raccontate sempre a fin di bene. Peter arriccia la bocca e registra i sapori dell’altro. Tony gli appoggia la fronte alla sua e gli lascia un altro bacio sulla guancia. Poi, come se non fosse successo nulla – o come se, invece, fosse sempre successo e non fosse una novità – tornano a guardare le stelle, in tacito silenzio. Peter poggia la tempia sulla sua spalla e sospira, ringraziando l’allineamento dei pianeti, che sembra aver reso le cose più facili. Naturali. Come se le cose non sarebbero potuto andare diversamente. L’amore è complicato. È convinto che non lo capirà mai davvero, e allora ridacchia. 

Poi lo spazio si ferma, e accostarlo al vuoto diventa una sinestesia, una metafora, una poesia, una figura retorica; forse la realtà per qualcun altro, ma non per loro. 

«Va bene?», chiede, ad un tratto e Tony si volta a guardarlo e alza entrambe le sopracciglia. Pare non aver capito, poi invece sorride. Ti vado bene? E la vera domanda che si nasconde dietro all'ennesimo non detto.

Tony esplode in una risata e poi gli bacia la fronte. «Va bene, va bene!» 

 

Fine

 
 

¹ la finta Internship di Peter, che racconta di frequentare per nascondere in realtà le sue attività da Spider-Man (per esempio in Homecoming) 

² non so se serve che lo citi, ma lo dirò comunque: parlo di "Avengers", quando Tony entra nello spazio per deviare il missile spedito per uccidere i nemici – ma che attenta alla vita di civili – e lo usa per colpire la nave dei Chitauri, rischia di rimanerne imprigionato, quasi accettando  quel suo destino, ma riesce inaspettatamente a tornare e a oltrepassare il portale, prima che si chiuda. Un trauma che ha causato un bel po' di turbe, nella mente di Tony.

 




 


 

♥ Note Autore ♥


 
Salve a tutti! Questo progetto non era tra quelli già in lavorazione e, a differenza del solito, questo verrà pubblicato in corso d'opera – cosa che mi rende anche un po' più libera dalle scadenze, siccome si tratta di una raccolta di One Shot scollegate tra loro. 
Ebbene di cosa si tratta? Lo so, ho inserito le Gemme Dell'Infinito, gli ho dato un titolo un po' austero, ma le Gemme servono pretamente per analizzare, ancora e ancora, il rapporto tra questi due maledettissimi stronzi che mi stanno rovinando ancora la vita. E dunque perché non rovinare anche la vostra, scrivendo altro senza sosta e appestandovi la vita? Lo vedo un buon compromesso u.u In sostanza, a parte le cazzate, ogni capitolo prenderà il nome di una Gemma e, come avete potuto constatare da questo qui, siamo partiti dallo Spazio. Non vi dirò l'ordine che userò, siccome sta tutto alla mia ispirazione del momento e, gli argomenti...? Qui si parla di spazio in chiave reale e metaforica, più o meno farò lo stesso con Tempo, Realtà, Anima, Mente e Potere. Vedremo cosa ne verrà fuori!
Ringrazio tutti per essere arrivati fin qui, sperando che il progetto abbia stuzzicato il vostro gusto, vi invito a lasciarmi un commentino o mipiacciarla tutta, questa piccola storia ♥
Poi volevo ringraziare la mia Guascosa _Lightning_ per avermi dato le tre parole che hanno generato tutto questo e la canzone che mi ha passato ♥ Grazie Guascosa ♥
Alla prossima, dunque,
La vostra amichevole Miryel di quartiere.

 



 
 
   
 
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