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Autore: Harriet    03/03/2020    2 recensioni
"Un secondo, e tutti i suoi progetti erano andati a farsi fottere. Eppure lo sapeva, che il mare era più feroce del solito, sul limitare della città, e che la Zona Spenta era pericolosa con il sole, figuriamoci dopo il tramonto."
Il guerriero Ayld Sarran, membro di uno dei clan più nobili e feroci della città, si ritrova bloccato in una zona altamente pericolosa insieme al criminale che stava inseguendo, un giovane vigilante un po' sfrontato e fin troppo attraente.
L'unico modo per sopravvivere è mettere da parte la rabbia e l'orgoglio tipico del suo clan, e accettare la mano tesa dal nemico.
[Misteri sovrannaturali, strane tecnologie e mostri.]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dietro le quinte della rivolta'
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Partecipa al COW-T 10 di Landedifandom, Missione 3 "Una ricostruzione impegnativa". Il prompt lo scrivo alla fine.
Wordcount: 3997
Il Team Kulutrek è bello! <3




Canzoni contro la nebbia
 
 
            Continuava a rivedere l’onda.
            Come aveva potuto essere così stupido da rimanere bloccato dentro la Zona Spenta, con la nebbia tutt’intorno? Eppure lo sapeva, che il mare era di cattivo umore e che avvicinarsi a quei maledetti scogli poteva costargli caro. E invece, testardo idiota, aveva continuato a correre, rincorrendo quel brigante fin lì.
            Lo aveva preso. Era basso e piccolo, e gravato da un’ampia gonna e una cappa pesante. Non poteva competere con un uomo alto quasi due metri e robusto come lui. Gli aveva preso un braccio, così esile che avrebbe potuto spezzarlo con una stretta un po’ più forte. L’altro era inciampato sui suoi stessi piedi. Allora Ayld, sempre tenendolo, gli aveva strappato di dosso la cappa e l’aveva gettata via (una cosa decisamente stupida, a pensarci col senno di poi.) Si aspettava di vedere una ragazzina, si era trovato davanti un viso dai tratti dolci, capelli neri e mosso, occhi neri e allungati con un po’ di trucco sopra. Un viso giovane. Un corpo esile e muscoloso, e probabilmente maschile. Non lo aveva mai visto prima. A dire il vero, per quanto dessero la caccia agli Aedi da anni, non era mai riuscito a vederne uno in faccia, da vivo. Una cosa era certa: più che vigilanti, sembravano attori girovaghi, di quelli che si riempiono di trucco la faccia e si mettono addosso più stracci possibile, per fare le loro sceneggiate nelle piazze e agli angoli delle strade.
            Aveva guardato il brigante per qualche momento, poi aveva sfoderato il pugnale per minacciarlo e consigliargli di non fare stronzate.
            E poi, l’onda.
            Un secondo, e tutti i suoi progetti erano andati a farsi fottere. Eppure lo sapeva, che il mare era più feroce del solito, sul limitare della città, e che la Zona Spenta era pericolosa con il sole, figuriamoci dopo il tramonto. Ma aveva pensato che ce l’avrebbe fatta. Era veloce. Il più veloce tra quelle teste di cazzo dei suoi fratelli, che lo sfottevano perché non ammazzava lo stesso quantitativo di gente che sterminavano loro. Beh, però lui non si era mai fatto beccare da una freccia, un proiettile, un sasso, un pugnale da lanciatore di coltelli – cazzo, glielo aveva rinfacciato per un mese, a Xyel: un pugnale da saltimbanco! Che idiota!
            Lui non mieteva nemici (o gente che passava di lì per caso. O familiari dei nemici) come il resto della sua famiglia o del suo clan, ma era veloce e non si era mai fatto prendere da niente.
            Niente tranne quell’onda.
            Era altissima, gelida e verdastra, e quando l’acqua gli era andata in bocca, aveva avuto l’impressione di bere del muschio raschiato via dalla chiglia di un relitto di un secolo prima. Aveva tossito, provato a urlare, cercato di vomitare e bevuto di più. Non aveva mollato la presa sul braccio dell’altro. L’onda li aveva presi entrambi e li aveva scagliati molto più in là, proprio al centro della Zona Spenta, tra gli scogli più infestati di quel maledetto pezzo di mondo in cui avevano avuto la sfortuna di nascere.
            Quando l’onda spettrale si era ritirata e Ayld aveva ricominciato a respirare, si era reso conto di una cosa. Era salita la nebbia. Tutt’intorno all’area degli scogli c’era quella nebbia ripugnante, densa come latte, pericolosa come un morbo.
            Aveva acchiappato il suo nemico, sì, ma era anche rinchiuso lì con lui.
            Gli ci vollero almeno tre minuti per calmarsi abbastanza da cominciare a pensare cosa potesse fare per non morire come un cretino. Perché la Zona Spenta di notte e con la nebbia non era uno scherzo.
            «Non è stata una grande idea.» La voce del suo prigioniero interruppe il flusso dei suoi pensieri.
            «Cosa?»
            «Inseguirmi qui a quest’ora.»
            «Non è stata una grande idea nemmeno scappare qui.»
            «No, hai ragione. È che stavo cercando di tenerti lontano da una persona e mi sono perso, mentre ti portavo fuori strada.»
            «Chi stavi difendendo?»
            «Un altro membro del mio gruppo.»
            Ayld squadrò l’altro, senza mollarlo. Realizzò che parlava di sé al neutro.
            «Cosa sei, esattamente? Perché non parli come un uomo?»
            «Parlo come quello che sono.»
            Ayld ebbe uno sbuffo di riso. Suo padre, uno dei suoi fratelli o uno qualsiasi degli uomini del suo clan avrebbero avuto l’insulto perfetto, per quelli come la persona che aveva davanti. Lui non era mai stato bravo, negli insulti.
            «Cosa stavate facendo, al Mercato di Lun?»
            «Un banale furto.»
            «Non dire stronzate! Gli Aedi non si muovono per dei banali furti. Avete sempre qualcos’altro, in mente. In genere per danneggiare il governo o i Clan.»
            «Ti sei mai chiesto se siamo noi, a danneggiare loro, o se sono loro a cercarsela?»
            L’espressione sfacciata. Il freddo sempre più forte. Il fatto che, sì, cazzo, se l’era chiesto fin troppe volte. Tutto concorse a riempirlo di una foga furiosa che esplose nel suo braccio destro, quello libero. Lo sollevò fulmineamente e colpì l’altro con un manrovescio che lo fece gemere e vacillare.
            «Sono già abbastanza incazzato. Non peggiorare la situazione.»
            L’altro sollevò il viso e tornò a guardarlo, e questa volta aveva un’aria un po’ più guardinga. Qualcosa Ayld gli aveva insegnato, oltre che spaccargli il labbro inferiore.
            «Posso chiederti una cosa?»
            «Cazzo vuoi?»
            «Perché un pezzo grosso del clan Sarran era al Mercato di Lun a caccia di Aedi?»
            «Mettere fine alle vostre pagliacciate è una delle priorità dei Clan. Dovresti saperlo. I Sarran hanno già ammazzato alcuni dei tuoi.»
            «Sì, lo so che i Sarran sono sulle nostre tracce da un bel po’. Ma non il figlio del capoclan. O almeno, non in un posto così poco importante.»
            «Stai insinuando qualcosa?»
            L’altro aggrottò le sopracciglia e scosse la testa.
            «No. Ti sto facendo una domanda sincera. Non capisco davvero.»
            Ayld non rispose ma strinse di più il braccio del suo prigioniero, fino a strappargli un lamento. Aveva un’improvvisa e violenta voglia di sfogare su di lui quel grumo di rabbia che gli ardeva nelle viscere da quando suo padre lo aveva degradato e spedito ai confini di Adraen a sbrigare le faccende di minor importanza.
            Fu davvero sul punto di colpirlo di nuovo. Di sbattergli la faccia contro gli scogli. Di dirgli: lo so, che sei una fottuta faccenda di poco conto e che valgo meno dell’ultimo mercenario che si fregia del nome del mio clan, agli occhi di mio padre. È inutile che me lo ricordi, con le tue domande furbe. Il solo pensiero mi fa morire di rabbia, anche se un mese fa volevo lasciare il clan, e oggi sono qui, in questo casino, perché volevo catturare un Aedo e portarlo in dono ai Sarran.
            Cosa voglio?
            Cosa sono?
            Non lo sapeva, cos’era, però, come un lampo candido e doloroso tra i pensieri, gli arrivò la consapevolezza di cosa non era. Non era uno che picchiava un prigioniero per sfogare il nervoso. Quella era roba che lasciava al primogenito del capoclan, o a un paio di suoi cugini.
            Trasse un lungo respiro e allentò un po’ la presa sul braccio dell’altro.
            «Quando pensi che si solleverà, la nebbia?» domandò.
            «Non prima di domani a mezzogiorno, se avremo fortuna. Senti, quello che ti dirò non ti piacerà, ma per favore, posso parlare, prima che tu decida di prendermi a botte per il solo fatto di aver aperto bocca?»
            Come per dimostrare all’altro (o a se stesso) di non essere così stronzo, gli lasciò il braccio ma sfoderò una delle spade e l’appoggiò contro il petto del suo prigioniero, sfregando sopra la lama il bracciale che portava al polso sinistro: il metallo si accese del lucore dorato del composto che rendeva le spade dei Sarran tossiche per chi si limitasse anche solo a toccarle.
            «Conosci la Zona Spenta?»
            «So quello che serve.»
            «Bene. Perché non è un posto piacevole. E noi ci dobbiamo passare un po’ di tempo. Ti faccio una proposta: diamoci una mano. È probabilmente l’unico modo che abbiamo per sopravvivere. Quando usciremo da qui, se vorrai, potrai cercare di catturarmi di nuovo. Ma per il momento, abbiamo bisogno di una tregua e una collaborazione.»
            «Cercherai di scappare non appena avrò abbassato la guardia.»
            «Sarei un idiota. Non posso sopravvivere da solo qui dentro. Soprattutto se la nebbia dovesse durare più di un giorno. Avremo bisogno di acqua e cibo, se la permanenza si prolungherà. E turni di guardia, se vogliamo riposare.»
            «Sembri tranquillo, per essere uno che parla di pericoli e sopravvivenza.»
            «Non sono tranquillo. Me la sto facendo sotto. Una volta sono rimasto incagliato tra questi scogli su una nave: ho ancora gli incubi.»
            «Cosa succede qui, di così tremendo?»
            «Non avevi detto di conoscerla, la Zona Spenta?»
            Di nuovo l’impulso di fargli male, solo perché riusciva a scovare le sue menzogne. Ma si trattenne e si limitò a imprecare sotto voce.
            «So quello che serve: bisogna starne lontani.»
            «È una zona infestata, anche se nessuno sa bene da cosa. Tutta la città e i dintorni hanno problemi di spiriti e creature non ben identificate, questo penso tu lo sappia, visto che in teoria i Clan dovrebbero essere i difensori della gente da questo genere di minacce. Non è per questo che avete le spade luccicanti e le pistole speciali?»
            «Sì, è così.»
            «Si dice che nella Zona Spenta ci siano echi di altri mondi e altri tempi. Una cosa certa è che questa un tempo era una discarica di tecnologie perdute, e che le bestie di questa zona, mutate grazie ai veleni della nebbia, sono diventate strani ibridi che hanno inglobato parti meccaniche.»
            «Mostri ibridi? E qualcuno ci crede?»
            «Non è una leggenda. Esistono. Lo sai come lo chiamano, questo posto, alcuni personaggi loschi di Adraen, dotati di senso dell’umorismo? Il negozio di animali. Gente più folle di noi viene qui a caccia di mostri, per prenderne parti utili a vari scopi. Sacche di veleno, per esempio, o i pezzi meccanici che li compongono. Fidati, ho visto roba del genere, ai mercati illegali.»
            «Quindi dobbiamo stare qui ad aspettare i mostri?»
            «Io direi andare a cercare qualcuno dei ruscelli che sboccano in mare da queste parti, in modo da dissetarci.»
            «Se ti venisse in mente di cercare di uccidermi mentre ho la guardia abbassata…»
            «Ti sembrerà strano, ma preferisco non uccidere proprio nessuno. E comunque, sei il doppio di me e fai parte del clan di guerrieri più preparati di Adraen. Sarei veramente un imbecille, a cercare di sopraffarti.»
            Ayld annuì e lentamente abbassò la spada e la rimise nel fodero. Rimase fermo per qualche istante, per capire cosa intendesse fare l’altro. Lo vide muovere le mani verso la gonna che indossava e subito gli afferrò i polsi, impedendogli i movimenti.
            «Cosa vuoi fare?»
            «Togliermi questa. Mi impedisce di muovermi bene. E temo che il freddo aumenterà, quindi potremmo usarla come coperta.»
            Lo lasciò andare e lui fece esattamente quel che aveva detto: si tolse la gonna, di una pesante stoffa rosa scuro, e rimase con un sottogonna bianco corto fino alle ginocchia e sottile. Sopra indossava solo una camicia bianca smanicata.
            «Facciamo che mi dici quello che stai per fare» borbottò.
            «Ti devo dire ogni singola azione prima di compierla?»
            «Sì.»
            «Va bene. Posso tenere la gonna in mano o preferisci averla tu? Poi vorrei togliermi le scarpe: sono robaccia, sono semidistrutte e rischio solo di inciampare.»
            «Fai quel che devi. Quel coso tienilo tu.»
            Così iniziarono a camminare tra gli scogli, sul suolo sabbioso punteggiato di sassi, mentre tutt’intorno a loro il buio si faceva sempre più profondo. L’unica, paradossale fonte di luce era la nebbia, che riluceva della sua insana luminescenza giallastra. E il freddo sembrava aumentare a ogni passo.
            «Ehi. Come ti chiami?»
            «Chiamami come ti pare.»
            «Non hai un nome?»
            «Non uno che ho voglia di rivelare in questo posto.»
            Camminarono in silenzio per un tempo indefinito, finché l’altro si fermò all’improvviso.
            «Che c’è?» La mano di Ayld scattò sull’elsa.
            «Tranquillo. È solo acqua. Abbiamo trovato un ruscello.»
            Gli mostrò la sua scoperta tra gli scogli.
            «Sicuro che l’acqua sia buona?»
            «Lo spero.» Si inginocchiò e bevve. Ayld lo osservò con attenzione. Aveva un corpo estremamente proporzionato e aggraziato. Gli ricordò i corpi dei danzatori che aveva visto tutte quelle volte in cui era fuggito dai suoi doveri per mischiarsi alla folla di qualche festival per le strade.
            «Voi Aedi siete davvero degli artisti di strada o qualcosa del genere» osservò.
            «L’acqua è buona, o così sembra. Bevi, che non sappiamo quando ci ricapiterà. Come mai dici questa cosa?»
            «Hai i muscoli di un danzatore.»
            L’altro sorrise ma non diede spiegazioni. Ayld si chinò a bere: il sapore era petroso, ma sano.
            «Direi di fermarci qui in zona, comunque.»
            «Ad aspettare i mostri?»
            L’altro rise.
            «Hai proprio voglia di vedere i mostri, eh? No, Sarran: ad aspettare che la nebbia vada via. Che ci sia dell’acqua non contaminata è un buon segno. Forse questo posto è meno compromesso del resto.»
            «Va bene. Solo una cosa: non chiamarmi Sarran.»
            «Volevo evitare di dire il tuo nome qui dentro.»
            «Lo conosci?»
            «Te l’ho detto: so che sei il quarto nato del capoclan. Sono informato sulle persone importanti della mia città.»
            Sedettero sugli scogli. Ayld stava rabbrividendo ma cercò di non darlo a vedere. L’altro usò la pesante gonna rosa come un mantello, dopo averne scucito un lato.
            «Se hai freddo, dimmelo. Possiamo condividerla.»
            «Non ci penso nemmeno.»
            «Credi che cercherei di farti del male con una gonna?»
            Non rispose. Rimasero seduti accanto a lungo, immersi nel silenzio così profondo da diventare spaventoso, mentre il freddo umido strisciava loro addosso, infilandosi sotto le loro difese di stoffa e allungando le sue dita congelate fino a raggiungere le ossa.
            «È un’impressione o la nebbia è più vicina?» domandò Ayld.
            «Penso tu abbia ragione.»
            Ayld sfoderò la spada ma l’altro scosse la testa.
            «Non farla sentire attaccata.»
            «Che dici?»
            «Provo a fare una cosa.»
            Dischiuse le labbra e lasciò andare una melodia semplice e coinvolgente, prima vocalizzata, poi con parole dolcissime e antiche. Aveva la voce di qualcuno che aveva cantato per tutta la vita. Di qualcuno nato per cantare. Cantò e cantò, e la nebbia pian piano si fece indietro.
            Ma ormai il problema non era più la nebbia. Il problema era quello di Ayld con la gente che cantava. Ce lo aveva sempre avuto, e forse era quello che gli aveva rovinato la vita. Era più forte di lui: il canto lo strappava via alla realtà e gli mostrava profondità, dentro di sé, che non avrebbe mai creduto di avere. E fu così anche quella volta, anche in mezzo alla nebbia assassina, alla mercè dei mostri e in compagnia di un nemico.
            Aprì la bocca e non era più un nemico. Era solo un giovane uomo che cantava e teneva a bada la nebbia.
            Infine tacque e sbadigliò.
            «Per te va bene, se chiudo gli occhi per un po’? Dopo puoi dormire tu.»
            Ayld annuì. L’altro si accoccolò sullo scoglio, si rigirò un po’ per trovare una posizione e infine, dopo un lungo sospiro, chiuse gli occhi. Ayld rimase a studiarne i lineamenti. Per riconoscerlo, si disse, se in futuro dovessi di nuovo incrociare la mia strada con la sua, nel caso che io non riesca a catturarlo e portarlo a casa, quando saremo usciti da qui.
            Erano lineamenti dolci, ma con una vena di sfrontatezza. Le sopracciglia disegnavano uno splendido arco. Le labbra erano particolarmente belle. Ayld si sentì avvampare, a quei pensieri. Aveva giurato di non inseguirli più. Di abbandonare quell’abitudine vergognosa di guardare gli uomini. Lo aveva promesso a suo padre. (No, glielo aveva fatto giurare suo padre, e non con le buone.) In città c’erano uomini che non si facevano molti problemi, se desideravano un uomo, ma i Sarran non erano così.
            Lui era un Sarran, quindi non era così.
            Oppure, lui era così, quindi non era un Sarran.
            Si svegliò forse un paio d’ore dopo. Si mise a sedere e si stropicciò gli occhi in una maniera molto infantile. Studiò il viso di Ayld per qualche momento e gli sorrise.
            «Riposati.»
            «Non ho molto sonno.»
            «E dai. La nebbia è aggressiva. Risucchia le energie.»
            Ayld non rispose, ma quella spiegazione lo fece sentire sollevato. Aveva l’impressione di essere pressato in una morsa di ferro e credeva di trattasse di paura. Non era molto bravo a tollerare di aver paura. Si distese tra gli scogli, e con fatica trovò una posizione accettabile. Non aveva intenzione di dormire, solo di chiudere gli occhi per un po’. Non si fidava dell’altro.
            Lo svegliò un grido dell’altro. Quando riuscì a essere del tutto sveglio e lucido, l’entità del problema gli fu chiara.
            Era enorme, e solo parzialmente visibile, perché la nebbia ne inglobava alcune appendici, rendendo impossibile stabilirne le reali dimensioni. Aveva un grosso corpo marrone scuro, con alcune parti traslucide sotto le quali si intuivano liquidi in movimento. Somigliava a un insetto, ma non a uno che Ayld avesse mai visto. Quella che doveva essere la testa era un incubo di puntini guizzanti, i suoi occhi, e sotto aveva delle mandibole nere e lunghe che si muovevano ritmicamente, come se stesse masticando qualcosa di invisibile. Una sola antenna dondolava sulla sommità della testa. Lunghe ali lattiginose gli partivano dal dorso, perdendosi nella nebbia. Le zampe erano sei, grosse come colonne. Sul retro aveva una lunghissima coda con un pungiglione, come quella di uno scorpione. Lungo tutto il corpo e la coda l’essere aveva degli inserti che sembravano metallici: frammenti e placche di vario materiale e colore si erano aggrappati alla bestia e si erano stanziati nel suo corpo, trasformandolo in una mostruosità ibrida.
            L’essere si muoveva caracollando, e lanciava stridii possenti che assordavano, nel silenzio ovattato creato dalla nebbia. Davanti a lui si ergeva il compagno di disavventure di Ayld, con una grossa pietra nella mano destra. La bestia gli si avvicinava con le mandibole spalancate e lui tentava di spaventarla agitando la pietra.
            «Togliti da lì!» urlò Ayld, sfoderando le spade. Si scagliò contro l’essere senza troppi calcoli, caricato con tutta la sua rabbia e la sua foga, puntando all’addome della creatura. Le lame s’infilarono in profondità in un tessuto molle, quasi liquido, e lui continuò a spingere.
            «Attento!» urlò, disperata, la voce dell’altro. Ayld aveva ancora le spade infisse nel ventre dell’essere e non riuscì a focalizzare il pericolo. Se ne rese conto troppo tardi: la coda di scorpione si stava muovendo verso di lui: si era allungata a dismisura e puntava contro la sua schiena indifesa. L’altro la stava bersagliando di sassi, ma non pareva ottenere niente. Ayld cercò di strappare via le sue spade per difendersi, ma all’improvviso la consistenza della bestia si fece dura come roccia, imprigionando le sue lame. Non poteva lasciarle: non avrebbero avuto più alcuna difesa. La punta della coda era a un soffio da lui.
            L’altro lanciò un grido e saltò addosso alla coda, abbracciandola. La bestia iniziò a mulinarla selvaggiamente, mentre quel pazzo vi restava attaccato. Ayld avvertì una certa ammirazione per quella follia. Continuò a tirare: gli parve di essere riuscito a smuovere perlomeno una delle spade. Intanto la coda sbatté con forza contro gli scogli: l’altro mollò la presa e si ritrovò faccia a terra, ma questo non lo fermò: si rialzò e corse di nuovo verso la coda.
            Poi tutto si fece caos.
            Ayld sentì la spada cedere, così ignorò il resto e si concentrò su quella.
            Uno spostamento d’aria alle sue spalle.
            «No!»
            Qualcosa gli arrivò addosso e non fu la lunga appendice della bestia. Quel pazzo totale, incapace di fermare il movimento della coda, si era buttato addosso ad Ayld, forse per spostarlo dalla traiettoria, forse per istinto. La coda però aveva messo a segno il suo colpo: Ayld lo vide crollare a terra, ferito alla schiena dal pungiglione.
            Ayld tirò ancora: una spada venne fuori dal ventre dell’insetto. Lui si voltò di scatto e tranciò di netto la coda con il pungiglione, prima di diventarne preda.
            Finalmente, ondeggiando pericolosamente, l’insetto cominciò a ritrarsi nella nebbia. Ayld tentò il recupero della sua seconda spada e miracolosamente ci riuscì prima che l’avversario sparisse dentro la caligine giallastra.
            Ayld crollò a terra e strisciò verso il corpo dell’altro, riverso sugli scogli. Aveva la schiena sfregiata dal colpo del pungiglione. Strappò via la stoffa macchiata di fango e sangue della camicia e osservò bene la ferita: era lunga e gli attraversava tutta la schiena, ma non sembrava troppo profonda. Sperò solo che non fosse infetta. Corse al ruscello vicino e riempì d’acqua il recipiente metallico d’emergenza che portava nella bisaccia. L’attrezzatura in dotazione ai membri del clan gli sarebbe stata fondamentale, se intendeva salvare l’altro.
            Sul perché intedesse farlo, si sarebbe interrogato in un altro momento.
            Lavò la ferita e la medicò con un unguento che aveva con sé, nel quale c’era anche un antidoto per i veleni. Mentre lo medicava, notò la quantità di orribili cicatrici che ricoprivano la pelle del giovane. Lunghi solchi lasciati da una frusta, ustioni, sbrani mal rammendati, forse provocati da qualche uncino. Era stato vittima di tortura. Avrebbe voluto davvero sapere chi fosse e come fosse diventato un vigilante.
            Rimase seduto accanto al suo prigioniero, con le spade a portata di mano. L’altro si riprese dopo almeno un’ora.
            «Come stai?»
            «La schiena brucia, ma è sopportabile. Suppongo di doverti ringraziare.»
            «Anch’io ti devo ringraziare. Però tu sei completamente pazzo.»
            L’altro sospirò.
            «Non avevo molte opzioni.»
            Ayld prese le spade ed esaminò le tracce viscose rimaste sulle lame.
            «Che razza di mostro era?»
            «Forse lui si sta chiedendo la stessa cosa di noi.»
            «Sbaglio o sembri impietosito da quello schifo?»
            «È solo che probabilmente gli animali che vivevano qui prima della nebbia non avrebbero mai voluto finire così.»
            Ayld voleva fare un commento sarcastico ma non trovò nulla da dire. Però si rese conto che la loro mefitica compagna si stava di nuovo stringendo intorno a loro.
            «La nebbia si è avvicinata.»
            «Provo a farla andare via.»
            Ayld scoprì che stava aspettando con ansia di sentirlo di nuovo cantare. Una canzone, poi un’altra e un’altra ancora, e il tempo era fermo e tutte le cose danzavano sulle labbra del giovane e sulle vibrazioni della sua voce limpida e sapiente. E la nebbia si allontanava.
            «Perché non fai l’artista, invece del vigilante?»
            L’altro rise e non rispose.
            Nessuno dei due dormì più. Ayld aveva del cibo di emergenza nella bisaccia e lo condivise. Mangiarono, attesero, ci furono altre canzoni. Poi, ore dopo, il tempo incagliato ricominciò a muoversi e la nebbia a diradarsi.
            Finché un pallido raggio solare riuscì a passare la nebbia e giungere fino a loro.
            «Siamo liberi» disse l’altro. «O almeno, tu. Io… Farò del mio meglio per esserlo.»
            Ayld si sentì stringere la gola. Non capiva perché.
            Finalmente la Zona Spenta tornava a respirare, almeno per un po’. C’era un cielo conosciuto, sopra di loro, e il mare non era più di quel verde smorto che metteva i brividi.
            «Credo che possiamo andare» disse Ayld. «Si vede la strada.»
            «Mi dai un po’ di vantaggio? Sono ferito.»
            Ayld sospirò e si passò una mano tra i lunghi capelli rossi e scarmigliati.
            «Vattene e basta. Sono abbastanza onorevole da sapere cos’è la riconoscenza. Se mai ti ritroverò, però, saremo pari e allora saremo nemici.»
            «Per quanto mi riguarda, non saremo mai nemici. Anzi, se mai volessi lasciare i Sarran, gli Aedi ti accoglierebbero volentieri.»
            «Vuoi reclutarmi?»
            «Sì. Ci facciamo sempre trovare, da chi ci cerca in maniera onesta. Addio, Ayld Sarran. Sei un uomo migliore di tutti quei malati di potere e arroganza del tuo clan. Voi avete le spade grosse, noi abbiamo le storie migliori e la musica.»
            Gli volse le spalle e cominciò a camminare con sicurezza e rapidità sugli scogli.
            «Ehi! Aedo! Come ti chiami?»
            Gli rispose solo una risata. Lo vide ancora per un secondo: quasi nudo, con la ferita scura che spiccava contro la schiena candida, scalzo, i capelli neri e mossi che ondeggiavano sulle spalle. Poi più niente.
            Nella testa di Ayld era rimasto il ritornello di una canzone.
 





***
Grazie per essere qui!
I personaggi di questa storia torneranno. Non crederete che sia il loro ultimo incontro, vero?
Questa storia fa parte di una serie, che racconta (in disordine cronologico, però) le vicende del misterioso vigilante senza nome e di come riuscirà a creare intorno a se una rete di persone fedeli e capaci per stravolgere la vita politica e sociale della sua stagnante città, il tutto in un mondo dove si mischiano steampunk, sovrannaturale e mostri.
Il prompt usato è "Negozio di animali Amici a sei zampe", ed è uno dei negozi dell'ambientazione del COW-T 2 (vi rimando a Lande di Fandom, per saperne di più.) Il prompt poteva essere usato a piacimento e liberamente, per cui ho effettivamente ambientato la storia in un posto considerato un "negozio di animali", con la presenza ingombrante di un amico a sei zampe.





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