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Autore: killer_joe    05/03/2020    3 recensioni
"Giovanni" rispose lui, sicuro. Tanto la sigaretta l'aveva già accesa, non aveva nessun motivo per farsi benvolere da una sconosciuta.
Lella alzò un sopracciglio, scrutandolo per bene. Giovanni si sforzò di non abbassare lo sguardo.
"Piacere Giovanni". Così, senza nemmeno un commento. Senza una domanda. Come fosse normale.
Normale; che bella parola.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Cattivi ragazzi

 

Giovanni arrancò attraverso la marea di gente che riempiva il binario, cercando di non perdere di vista la sua famiglia davanti a lui, e di non sbattere contro troppi ostacoli il suo orribile trolley rosso. Decise, per essere sicuro, di puntare lo sguardo sulla camicia a fiori di pessimo gusto di sua sorella.

"Luisa, non rimanere indietro" sentì chiamare sua madre, che se ne andava impettita nonostante incespicasse ogni due passi su quei ridicoli tacchetti che si ostinava a portare. Odiava quel nome.

"Gioia, io e vostro padre andiamo a prendere un caffè. Tu e tua sorella fate un giro per la stazione, ci vediamo tra quaranta minuti al binario dodici, per prendere la coincidenza".
'Fratello, non sorella' pensò con astio Giovanni, calcandosi il berretto di lana sulla fronte e tirandosi su i pantaloni, troppo larghi in vita. Gioia gli diede un'occhiata inorridita e prese il volo, avvicinandosi al primo negozio di trucchi disponibile e schiacciando il naso sulla vetrina, il tutto confezionato da schiamazzi incomprensibili su come fossero eccitanti le nuove parure della KIKO.
Come se a Giovanni potesse fregargliene qualcosa.
Si avvicinò comunque alla sorella, solo perché sapeva che i loro genitori non volevano che stessero soli in stazione e nessuno dei due era ancora maggiorenne. Giovanni non vedeva l'ora che arrivasse, quella benedetta maggiore età, assieme alla patente e alla libertà.
Gioia fece un commento su come un colore d'ombretto sarebbe stato bene su di lui, per via degli occhi, e Giovanni sentì crescere la rabbia.
"I maschi non si truccano" sbottò con fastidio. Glielo aveva già detto, più e più volte. Gioia mise su la sua faccia affranta delle grandi occasioni.

"Tu non sei un ragazzo, sei una ragazza. Mia sorella. E sei anche fuori di testa". Giovanni alzò gli occhi al cielo, le fece un gestaccio e girò sui tacchi, diretto al binario. Che se ne andassero tutti a quel paese, lui aveva chiuso.

Adocchiò un posticino tranquillo, fuori dalla via più trafficata, e fece per sedersi. Non era niente di speciale, un gradino sul basamento di un pilastro, ma almeno avrebbe goduto trenta minuti privi di attacchi alla sua personalità. Stava per infilare le cuffiette alle orecchie quando un signorotto in abiti da ufficio lo spinse di lato per farsi strada. Giovanni lo guardò con fare aggressivo, ma il tipo si stava già dileguando e lui decise di lasciar perdere. Nell'urto aveva fatto cadere le cuffiette e girò lo sguardo per vedere dove fossero finite. Non si aspettava che si trovassero nella mano di qualcun altro, esattamente sotto al suo naso.

"Ti sono cadute queste". Era una ragazza, di qualche anno più grande di lui, con un enorme trolley nero gonfio di roba e un sorriso spontaneo. Giovanni si sentì arrossire. "Grazie, io..." cominciò, senza un'idea di come avrebbe voluto continuare il discorso.
"Lascia perdere, il mondo è pieno di gente insopportabile" rispose la ragazza, estraendo dalla tasca un pacchetto di sigarette. Giovanni le guardò con malcelata bramosia, e la ragazza lo notò.
"Ne vuoi una? Ma ce li hai diciott'anni?". Prima che Giovanni potesse rispondere alla scomoda domanda, però, la ragazza gli porse il pacchetto, che lui accettò con gratitudine.
"Io sono Raffaella, ma puoi chiamarmi Lella. Tu sei?".
"Giovanni" rispose lui, sicuro. Tanto la sigaretta l'aveva già accesa, non aveva nessun motivo per farsi benvolere da una sconosciuta.
Lella alzò un sopracciglio, scrutandolo per bene. Giovanni si sforzò di non abbassare lo sguardo.

"Piacere Giovanni". Così, senza nemmeno un commento. Senza una domanda. Come fosse normale.

Normale; che bella parola.
Fumarono insieme, in silenzio, per qualche momento. Nella testa di Giovanni stavano passando miliardi di pensieri al secondo, senza che lui avesse coraggio di rompere il perfetto stato di quiete in cui si sentiva in pace, come non ricordava di essere mai stato.
"Allora Giovanni cosa ci fai a quest'ora, di domenica, in stazione?". Giovanni riuscì ad abbozzare un timido sorriso.

"Sono in viaggio con i miei" rispose, lanciando uno sguardo in direzione dei negozi per assicurarsi che nessuno lo vedesse con la sigaretta in mano. Aveva già abbastanza problemi così, grazie tante.
"Tu?" chiese, per continuare la conversazione.

"Torno in università. Purtroppo anche quest'estate è passata" sospirò Lella con una certa dose di rimpianto, dando una pacca al trolley accanto a lei. La situazione era talmente surreale che Giovanni non riuscì più a reggerla.
"Non ti stupisco neanche un po'?". Forse non era il modo migliore per esprimere un concetto tanto delicato, ma Lella sembrò capire al volo perché gli rivolse un sorriso. Un vero sorriso, privo di malizia, scherno o pietà; la pietà Giovanni la odiava in modo particolare.

"Dovresti? Mi sembri un ragazzo normale, anche se un po' piccolo per fumare" rispose lei. Ancora quella parola, normale; sembrava il filo conduttore di quell'incontro.

"Perché gli altri non sono come te?" si ritrovò a mormorare Giovanni, racchiudendo parenti, amici e compagni di scuola in una sola, tremenda locuzione. Lella tirò una boccata di fumo, che rilasciò come un nastro grigio nell'umida serata di settembre.
"Potrei raccontarti una balla, e dirti che sono migliore di loro. Più tollerante, magari, o semplicemente più buona. Invece la risposta è semplice: ho imparato ad ascoltare".
Giovanni rifletté su quelle parole, trovandoci un fondo di verità. Non riusciva a ricordare l'ultima volta che sua madre, suo padre o Gioia fossero stati ad ascoltarlo; non riusciva a ricordare nemmeno una prima volta, in effetti. Si girò di scatto verso Lella.
"Mia madre dice che sono egoista. Che non capisco quanto dolore provochi a chi mi sta intorno. Mio padre invece pensa che il mio sia un modo malsano per cercare attenzioni. Mia madre dice che sono... cattiva. Una 'cattiva ragazza'" si sfogò, senza sapere nemmeno lui il perché. Un flusso di coscienza senza capo né coda, probabilmente, ma il semplice fatto di aver trovato un orecchio disponibile a starlo a sentire, senza giudizi o moralismi, era stato sufficiente.
Lella gli lanciò uno sguardo in tralice. "Tua madre si sbaglia". Boccata, nastro verso il cielo. "Semmai sei un cattivo ragazzo".
Giovani sbatté le palpebre, improvvisamente muto. Cos'altro c'era da dire sull'argomento, in fondo? Lella buttò la cicca per terra e la calpestò con il tacco. Giovanni non si era nemmeno accorto che quella che aveva tra le dita era ormai un mozzicone. Lo lasciò cadere a terra anche lui.

"Il mio treno è in partenza. Stammi bene, Giovanni, è stato un piacere". Lella gli strinse la mano in una presa sicura, che Giovanni non era certo di voler lasciar andare.

"Anche per me..." sussurrò, guardandola mentre si allontanava.

Rimase qualche minuto fermo, contemplando il cielo sempre più scuro. Si sentivano le voci meccaniche degli annunci della stazione e, in lontananza, i clacson e le sirene del traffico cittadino. Una domenica sera assolutamente normale.

Normale; bellissima parola.


Buonasera a tutti/e! Questa è la prima volta che mi addentro nella sezione 'originali', tentando una storia creata dal nulla, senza personaggi codificati e mondi già sviluppati da autori molto più in gamba di me.
E' una prova di scrittura, e una prova di coraggio. Per capire se le mie creazioni hanno un valore.
Ringrazio chi ha letto fino alla fine, e chi mi vorrà lasciare un commento per aiutarmi a migliorare.

killer_joe

   
 
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