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Autore: Napee    08/03/2020    2 recensioni
[KageHina] [Tengu!AU]
***
Hai mai rinunciato a tutto per amore?
Hai mai rinunciato al tuo sogno per la persona che ami?
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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6.      Sulla strada del ritorno.





Come già preannunciato dal cielo plumbeo che quella mattina lo aveva accompagnato, il temporale scrosciò fragrante sulla sua testa zuppandolo da capo a piedi.
L’ombrello che Hinata gli aveva prestato era stato utile quanto un alito di vento per estinguere un incendio: dopo nemmeno venti metri si era ripiegato al contrario facendolo zuppare d’acqua completamente. Kageyama non si era risparmiato in maledizioni e imprecazioni a bassa voce che di fatto non erano servite a niente, ma lo avevano aiutare a sfogarsi un po’.
Non anelava affatto una corsa perdifiato per le vie di Sendai sotto a quel diluvio, ma dinanzi a lui non si prospettarono tante altre alternative in effetti.
Sbuffó annoiato maledicendo la sfortuna che pareva volerlo perseguitare, si mise l’ombrello rotto e inutilizzabile sotto all’ascella ed iniziò a correre come un pazzo.
Si appuntò mentalmente di tirarlo in faccia a Hinata il giorno seguente quando si sarebbero rivisti. Quel dannato ombrello non era servito ad un accidente! Era stato inutile quanto il proprietario.
Arrestò la sua corsa dopo qualche metro quando la potenza del suo pensiero lo colpì dritto come uno schiaffo in faccia.
Si sarebbero rivisti il giorno dopo?
Non lo sapeva, non avevano deciso niente… si erano congedati con la promessa di sentirsi con qualche sms e nulla di più.
Ma lui voleva rivederlo… sotto a quel temporale scosciante, carezzato dagli sguardi curiosi dei passanti, Kageyama realizzò di volerlo rivedere ancora e ancora, di passare del tempo insieme come avevano fatto quella mattina e di sentirlo parlare all’infinito del suo mondo.
Non per la mera curiosità, quella era stata dissipata quasi subito in effetti. Bensì era la pura voglia di passare del tempo con qualcuno che gli sembrasse vero e genuino a smuoverlo.
Sentì lo stomaco accartocciarsi su sé stesso ripensando alle ali di Shoyo. Non gli piacevano poi così tanto… non erano belle, grandi e possenti, ma piccole e timide. Si ripiegavano appena sulla sua schiena quasi come due braccia che lo abbracciavano da dietro. Le piume invece avevano attirato la sua attenzione fin da subito. Erano nere, lisce e lucide. Un nero intenso e oscuro che cangiava quando sul viola e quando sul blu cobalto a seconda della luce che le colpiva. Erano… intriganti.
Se non si muovessero quasi di continuo, Tobio sarebbe stato quasi tentato di toccarle per saggiarne la consistenza. Sembravano piccole lame ed era quasi curioso di scoprire se lo avrebbero ferito o se invece gli avrebbero scaldato il palmo della mano come se l’avesse affondata nel soffice cotone.
Poi ripensò alla sua ala sinistra, dove sulla sommità faceva bella mostra di sé una ferita davvero brutta e quel sangue rappreso che aveva fatto perdere la lucentezza alle piume. Si sentì un verme e niente di meno. Anche se si era scusato, anche se non avesse mai potuto immaginarlo che sulla schiena quel piccoletto potesse nascondere un paio d’ali corvine, sentiva che non era abbastanza.
Si erano feriti a vicenda, sia fisicamente che emotivamente. Almeno, Kageyama aveva fatto di tutto quel pomeriggio a scuola pur di farlo soffrire. Con cognizione di causa. Certo, era arrabbiato da impazzire, furioso per certi versi e quel martellante dolore al polso non faceva che impensierirlo ogni secondo che passavano nel corridoio. Aveva lasciato che fossero i suoi sentimenti a parlare, aveva lasciato la lingua a briglia sciolta e poi aveva affondato il fendente. In quel momento non voleva Hinata intorno a sé perché la sua sola presenza lo infastidiva. Ma adesso, a giorni di distanza, con un polso fasciato per qualche settimana a confronto con un’ala spezzata, il suo carattere burbero non ne reggeva il confronto.
Non voleva fargli del male. Non in quel modo, non così tanto. Lo aveva voluto per qualche secondo quel pomeriggio, non poteva negarlo. Ma era indubbio che adesso se ne stesse pentendo come il più miserabile dei peccatori.
Riprese a camminare che il diluvio altro non era che una fitta pioggerella. Era zuppo dalla testa ai piedi ma gliene importava poco in effetti.
Aveva acquisito una nuova consapevolezza di sé e dei suoi sentimenti. Aveva scoperto un nuovo specchio di essi che non sapeva di possedere. Ed era uno specchio ricco, cromatico, pieno zeppo di colori sfavillanti che si accostavano al buio che da sempre gli era familiare.
Era vero, c’era dolore, rabbia, e senso di colpa, ma scomparivano dinanzi alla sfavillante luce della vera amicizia.
Sentiva di aver trovato qualcosa di completamente a lui in Shoyo. Una creatura così diversa, sia fisicamente che caratterialmente. Così opposta a lui, così solare e luminosa che le sue tenebre rifuggivano da lui e i suoi demoni lo abbandonavano quando era con Shoyo.
Un sorriso tremolante fece capolino sulle sue labbra timide e sempre imbronciate.
Percepì le guance scaldarsi e qualche lacrima formarsi sulle ciglia scure e restarvi impigliata.
Le asciugò lesto con il braccio e filò dritto a casa a testa bassa. Non sapeva perché gli fosse venuta voglia di piangere, ma sapeva che tutto quel turbinio di emozioni nuove che provava erano dovute tutte a Shoyo.
Imboccò il vialetto di casa con il cellulare in mano.
Aprì la casella dei messaggi senza sapere davvero cosa scrivere. Forse il contenuto non era poi così importante… era la voglia di sentirlo ancora, la voglia di azzerare di nuovo quella distanza che si era esaurita quel pomeriggio a muoverlo. Alzò lo sguardo verso il portone di casa sua e sua madre svettava lì davanti minacciosa. Sembrava furiosa come mai l’aveva vista e solo in quel momento si ricordò di aver marinato la scuola. 
“Vieni dentro, non voglio disturbare i vicini.” Sibilò spregevole, con un tono talmente intimidatorio che Tobio si ritrovò a rabbrividire.
Era in guai davvero seri e ci si era ficcato solo per il gusto di poterlo fare e farla incavolare di più. Proprio come un marmocchio infantile. Forse Hinata aveva ragione quando gli diceva che era uno scemo.
Digitò lesto sulla tastiera prima che sua madre lo folgorasse ancora con i suoi occhi ardenti.
 
Il tuo ombrello è una merda.
 
Inviò il messaggio e inserì il silenzioso prima di entrare definitivamente in casa, dove il suo personalissimo inferno lo attendeva.
 
La sfuriata di sua madre fu terribile esattamente quanto aveva preannunciato sulla soglia di casa. Aveva passato venti minuti ad urlargli contro su quanto fosse sconcertata e delusa dal suo comportamento riprovevole. Poi si era dovuto sorbire altri 15 minuti di urla da parte di suo padre via Skype e infine i suoi avevano concordato una punizione estesa fino a data da destinarsi. E considerato che di lì a breve ci sarebbero stati gli esami che sarebbero andati male come sempre, praticamente la punizione era stata estesa ad un simbolico per sempre.
Tobio non proferì parola riguardo al suo comportamento. Dopotutto sua madre aveva ragione: aveva sbagliato a marinare la scuola solo per dispetto.
Quello che lo infiammava e lo infastidiva oltre ogni dire era però il fatto che avesse scomodato persino suo padre per fargli la ramanzina.
Questo era inaccettabile. Quell’uomo non sapeva niente di lui, era certo che a stento ricordasse il suo nome! Come si permetteva di sgridarlo e arrabbiarsi? Per cosa poi? Non era nemmeno in casa per poter dire la sua sul suo comportamento.
Si faceva vivo solo per tirargli i bidoni, rimandare incontri e quando sua madre lo chiamava per essere spalleggiata.
Sdraiato sul suo letto, Tobio portò le braccia dietro alla testa e sospirò cercando di calmarsi.
Non sopportava suo padre, qualsiasi cosa lo riguardasse lo mandava in bestia. Se solo avesse potuto, lo avrebbe cancellato dalla sua vita con un colpo di spugna senza pensarci due volte.
Odiava quella situazione tanto quanto odiava la sua presenza autoritaria in casa anche se non c’era davvero.
E non solo per lui, ma bensì per tutto!
Lui e sua madre dovevano essere una squadra e per la maggior parte delle volte lo erano. Si supportavano e si aiutavano per tirare aventi. C’erano sempre l’uno per l’altra, ma quando lui si rifaceva vivo per rimandare l’ennesimo incontro, ecco che sua madre cambiava squadra e lo abbandonava.
Con questa volta, sembrava schierata completamente dalla parte di quell’uomo che aveva lasciato un fantasma in casa. E Tobio poteva trattenersi quanto volesse, poteva ingoiare quel boccone amaro di rabbia e risentimento con indifferenza, ma non poteva mentire a sé stesso e lasciar correre.
Si sentiva uno schifo e il senso di tradimento e abbandono erano solo la punta di quell’iceberg di brutte emozioni.
Prese il telefono dal comodino al suo fianco solo per controllare l’ora e si stupì non poco di trovarci un messaggio di Hinata.
Drizzò seduto sul letto e si catapultò a leggere con il cuore in gola.
Chiedeva cosa ne era stato del suo ombrello e se stesse bene. Un timido sorriso gli increspò le labbra e quella sensazione di leggerezza che aveva provato con lui quella mattina, tornò a sollevarlo dal malumore.
Possibile che Hinata avesse anche qualche strano potere oltre alle ali?
Digitò la risposta lesto, spiegando di come il suo ombrellaccio maledetto avesse deciso di fare la capoeira e di come aveva dovuto correre sotto l’acquazzone e inzupparsi da capo a piedi.
Inviò sentendo il malumore correre via da lui sempre di più.
Arrivò un altro messaggio di Hinata dove lo scherniva giocosamente  e gli dava dello scemo.
Si sentì quasi felice di sentirsi offendere. Non era mai stato così sereno nel parlare con Hinata e gongolando di sciocchezze varie, le prime cose che gli passavano per la testa, la pallavvolo ovviamente, i suo polso, le sue ali, la sfuriata di sua madre e chi più ne ha più ne metta.
E Tobio scoprì incredibilmente facile aprirsi con Hinata, sfogarsi e parlargli liberamente. Anche se non erano insieme di persona, poco importava. Era un mero filtro il cellulare, solo uno strumento, ma la sensazione di benessere e leggere che Hinata riusciva a trasmettergli era vera e autentica.
Fu costretto ad interrompere quella sequenza infinita di sms solo quando sua madre lo chiamò avvisandolo che la cena era pronta.
Mise il cellulare in carica e salutò Hinata con la promessa di risentirsi più tardi.
Scese in cucina e l’aiutò ad apparecchiare. La donna lo osservò incuriosita dal suo comportamento così leggero e incurante. Si sarebbe aspettata di trovarlo ancora scontroso e irato, invece quello che aveva davanti era un Tobio che rare volte aveva avuto la fortuna di vedere.
Si sedettero a tavola consumando la cena quasi in silenzio: solo le voci provenienti dalla tv riempivano la stanza con un ronzio di sottofondo.
Tobio non si accorse dello sguardo attendo di sua madre con la quale lo andava studiando con discrezione.
“Non avevi mai marinato la scuola prima.” Iniziò la donna testando il terreno e cercando di instaurare un dialogo con suo figlio ora che gli sembrava quantomeno bendisposto.
Lo vide irrigidire la schiena e le spalle all’istante. Le sue sopracciglia si aggrottarono leste e il suo sguardo volò alla televisione posta sul mobile nell’angolo.
Ecco la sua reazione di difesa… fuggiva invece che affrontare la questione in modo civile. La donna percepì il nervosismo pungerle le mani, ma cercò di lasciarlo da parte.
“C’è un motivo particolare dietro?”
“No.”
“Posso sapere dov’eri allora?”
“Da nessuna parte.” Rispose Tobio senza nemmeno guardarla. Ad ogni domanda che lei poneva, il figlio faceva muro.
Sospirò arrendendosi. Che senso aveva provare a cavare sangue da una rapa?
Avrebbe anche potuto provarci per mesi o anni, ma Tobio non avrebbe mai aperto una breccia nella sua muraglia protettiva.
“Tesoro mio…” iniziò la donna con tono greve.
“Mi sono preoccupata tantissimo quando la scuola mi ha chiamata. Vorrei solo sapere se eri al sicuro.”
Tobio spostò lo sguardo su di lei per un secondo soppesando se risponderle con la verità o meno. Indubbiamente si era preoccupata un sacco, poteva anche aver fatto finta di niente, ma aveva visto subito i suoi occhi gonfi di pianto quando era tornato a casa.
“Ero da… un amico.” Rispose vago, forse troppo vago. Vide sul viso di sua madre formarsi tutti i filmini mentali più tragici e drammatici del caso.
“Un compagno di squadra malato, niente di che.” Aggiunse allora e vide subito i suoi lineamenti rilassarsi e le sue spalle scendere verso il basso insieme ad un sospiro di sollievo.
“Va bene se vuoi andare a trovarlo, ma avvisami la prossima volta. Così se chiama la scuola posso inventarmi una scusa qualsiasi.” Rispose lei e Tobio si aprì nella sua espressione più sorpresa.
Davvero gli stava dicendo una cosa del genere? Praticamente lo stava autorizzando a marinare la scuola e se lei ne era al corrente andava bene?
“Davvero?” Si sforzò di chiedere una conferma, anche se sapeva benissimo che lei non avrebbe mai smascherato una trappola con così tanta facilità.
Era troppo astuta purtroppo per lui.
“Sì dai… infondo siamo stati tutti innamorati! Però ora dimmi come si chiama lei che sono curiosa!”
Tobio avvampò di  vergogna al sol udire quelle parole.
Balbettò sconclusionato che si trattava davvero di un ragazzo, che non c’era nessuna ragazza e che non era innamorato. Asserì un sacco di altre cose e il ghigno di sua madre si ampliò sempre di più, dopo ogni sua parola.
Si alzò dal tavolo e se ne andò in camera sua conscio di essersi rovinato con le sue stesse mani.
Adesso sua madre sospettava che avesse una ragazza quando a lui le ragazze non erano proprio mai interessate.
Perfetto. Bel lavoro.
 
Tornò ai suoi messaggi con Hinata e prima che potesse rendersene conto si erano fatte le ventitré.
Dal salone non proveniva più alcun rumore e nessuna canzone pop rock che sua madre amava cantare a squarciagola. Chissà da quanto era andata a letto senza che lui se ne accorgesse.
Come quel pomeriggio, Hinata e i suoi sms lo avevano assorbito completamente facendogli dimenticare del resto del mondo.
Si ritrovava così, steso sul letto con un sorriso da ebete stampato sul viso e il telefono poggiato sul petto dove, al suo interno, il suo cuore batteva sfrenato.
Il groviglio di emozioni che provava era talmente fitto e difficile da sciogliere che nemmeno aveva intenzione di provarci. Ma gli piacevano, quelle sensazioni. Gli piaceva un sacco sentirsi così strano e felice e confuso allo stesso tempo.
Era bello, per una volta, distrarsi e non essere sempre dominato dalla rabbia e dal rancore.
Era come stendersi al sole d lasciarsi scaldare dai suoi raggi. E in effetti Hinata era un po’ come un piccolo sole personale. Sempre così allegro, sempre così vivo e energico che non stava fermo nemmeno per un secondo.
Il telefono vibrò sul suo petto ancora una volta.
Tobio aprì il messaggio di Hinata e un sorriso ancor più ebete si formò sulle sue labbra.
 
Sono stato bene con te oggi. Torna a trovarmi quando vuoi, sono sempre solo a casa e mi annoio a morte.
 
Il cuore gli galoppò nel petto sfrenato, tanto che Tobio temette che potesse sfondargli la cassa toracica e uscire via.
Non aveva mai avuto un amico, ma se era quello ciò che si provava ad averlo, allora gli piaceva un sacco!
Digitò la risposta lesto, con le dita che tremavano d’impazienza.
 
Dovrei essere in punizione, ma posso chiedere a mia mamma il permesso di tornare.
 
Inviò il messaggio e si rimise il telefono sul petto.
Non era certo che sua madre gli avrebbe concesso un altro giorno di assenza da scuola, ma poteva sempre provare chiedendole qualche ora del pomeriggio invece.
Come quando aveva il club di pallavolo.
Anche l’altra volta si era mostrata molto interessata quando gli aveva accennato del suo amico che, in effetti, alle sue orecchie doveva suonare quasi utopistico che suo figlio avesse finalmente trovato qualcuno che lo sopportasse. Magari la fortuna si sarebbe mostrata al suo fianco in quell’ardua impresa e lei gli avrebbe concesso una tanto sospirata concessione.
Sperava davvero tanto di sì… gli piaceva un sacco parlare con Hinata e sentirsi così leggero e spensierato, come se la rabbia ed il rancore fossero sfumati via da lui come un un’ombra scura che fugge via dalla luce.
Il vibrare del telefono lo riportò al presente.
 
Posso chiedere al Professor Takeda se ti incarica di portarmi i compiti se può esserti più comodo.
 
Lesse e rilesse il messaggio trovandola un’idea davvero geniale. Shoyo non era scemo come pensava allora… o forse lo era ma ogni tanto aveva degli sprazzi di intelligenza.
 
Sarebbe meglio in effetti… già pensa che abbia una fidanzata, altrimenti mi darà il tormento!
 
Le parole gli stonavano mentre le scriveva ma inviò il messa ugualmente.
Non era mai stato interessato alle ragazze e non perché non le trovasse attraenti, ma bensì perché non erano la pallavolo. E tutto quello che gli interessava in effetti verteva proprio sulla pallavolo o nei dintorni di essa.
Non aveva mai pensato sul serio a trovarsi una ragazza e corteggiarla. Persino Shimizu senpai che faceva strage di cuori, ai suoi occhi, appariva priva di interesse.
Vedeva in lei una bellezza quasi regale, avvalorata soprattutto dal suo carattere taciturno e quieto e dal portamento elegante, ma niente di tutto quello lo attraeva. Né sentimentalmente, né fisicamente e né in nessun altro modo in cui si possa essere attratti da una ragazza.
E a dirla tutta, non ci si era neppure mai visto al fianco di una ragazza. Non aveva immaginato il suo futuro o la persona che avrebbe voluto al suo fianco.
Dopotutto la solitudine era l’unica entità che conosceva ed era difficile immaginarsi senza essa.
Tuttavia si ritrovò a pensare che quello che condivideva con Hinata non gli sarebbe dispiaciuto che continuasse a lungo.
Si addormentò con il cellulare sul petto e la testa piena di un futuro radioso dove lui e Hinata erano così amici da dividere la stessa casa e passare ogni momento insieme giocando a pallavolo.
 
  
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