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Autore: DanceLikeAnHippogriff    09/03/2020    0 recensioni
"L'inizio che non avrei voluto" o di come un povero e ignaro bardo si è ritrovato alla mercé di un culto di veneratori di draghi, è scampato alla morte e, per la sfortuna delle orecchie del suo pubblico, ha composto la ballata delle sue epiche imprese.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Di draghi e Dragomanni'
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Si risvegliò con un tremito, rabbrividendo di freddo, e flesse piano le dita, sorprendendosi della resistenza che gli opponeva l’aria. Poi si accorse di avere il torso immerso per metà in una pozza d’acqua. Sbatté le palpebre con lentezza, istupidito, e si tirò su a sedere con movimenti cauti; il cambio di posizione, per quanto graduale, non venne accolto comunque bene dal suo corpo martoriato. Rivoli di acqua gelida gli ruscellarono lungo il fianco, inzuppandogli la strana tunica che aveva ancora indosso.  Ricompose nella mente gli ultimi avvenimenti: era stato rapito, torturato, probabilmente usato in qualche strano rituale e poi liberato da un gruppo di stranieri di cui non aveva potuto vedere il volto, a causa della sopracitata tunica. Ricordava di aver anche detto ai quei presunti viaggiatori che aveva sete, ma ficcarlo di testa in una sorgente gli sembrava una reazione un tantino esagerata. Mosse le orecchie con cautela, direzionandole alla ricerca di eventuali rumori nei dintorni.

Niente, a parte il preciso gocciolio dell’acqua.

Si stiracchiò la schiena, indolenzito, e mugolò per la sensazione piacevole che gli percorse le spalle fino ai lombi. Era distrutto e senza forze, ma forse avrebbe ancora potuto lanciare un incantesimo di guarigione sulle sue ferite; almeno quelle più gravi, quanto bastava per zoppicare fuori da quel buco e respirare avidamente aria fresca e pulita. Il calore di quel posto non si era fatto meno soffocante dopo quel bagno in ammollo inaspettato.

Poi, notò che era buio. Aveva passato tutto quel tempo nell’oscurità da essersi dimenticato del fatto che i suoi occhi potevano sondare gli abissi più profondi senza problema. Si piegò leggermente in avanti per permettere alle mani di tastare il ruvido cappuccio che gli copriva il volto, evitando di caricare sforzi inutili sulle spalle. Con un po’ di resistenza da parte dell’indumento, riuscì a sfilarselo, strappandosi qualche ciocca di capelli nel mentre. Sembrava che fosse come incollato alla sua pelle. Passò il palmo sulla superficie ruvida della tonaca e, con suo sommo orrore, notò che il tessuto non si spostava al tocco bensì rimaneva saldamente ancorato al braccio. Come se pelle e vestito si fossero fusi insieme… Decise di spostare la sua concentrazione su altro per non alimentare il panico che l’aveva preso alla gola.

Tenne gli occhi chiusi con forza, percependo il cambio di luce da dietro le palpebre. Non poteva permettersi di aprirli subito dopo che si erano abituati così bene al buio, così schiuse le palpebre gradualmente, gioendo internamente a ogni lama di luce che gli feriva gli occhi, filtrata dalle ciglia, annacquata dalle lacrime, come se fosse la prima volta che li posava sul mondo.

Mise a fuoco l’ambiente che lo circondava. Si trovava in un’ampia stanza di pietra dalle pareti grezzamente lavorate e la volta, da cui si allungavano grappoli di stalattiti, appariva terribilmente lontana alla sua vista ancora sfocata. Al centro di quell’enorme spazio naturale, riconobbe la colonna a cui era stato legato, scorgendone altre tre in fila. Per quanto naturale, quel posto sembrava avere una logica ben precisa. Rabbrividì alla vista dei cadaveri, compostamente stesi al suolo, e strinse istintivamente la mano, dimentico del fatto che le dita non potevano rispondere ai suoi ordini. Gli sfuggì un guaito per il dolore, basso e rauco, che si propagò lugubre amplificato dalla volta della caverna.

Il suono si fece sempre più distorto fino a svanire, ormai più simile a un grugnito.

Aspetta.

Si voltò di scatto, riconoscendo immediatamente quel suono. Era giorni che lo sentiva. La perenne risposta ai suoi tentativi di comunicare con gli altri prigionieri. Il cuore gli batteva all’impazzata. Non era solo. Non era l’unico sopravvissuto. E, forse, quella persona, chiunque fosse, ricordava meglio di lui. La sua unica speranza di sapere cos’era successo e perché. Il suo sguardo si posò immediatamente su una figura poderosa, rannicchiata di spalle vicino alla pozza. Il grugnito doveva essere la conseguenza del suo tentativo di trovare una posizione più confortevole.

Si schiarì la voce, tentando di attirare la sua attenzione. Forse avrebbe dovuto essere più cauto, ma anche il più infame dei tagliagole avrebbe preferito affrontare quella situazione insieme a un compagno piuttosto che in solitaria. Dunque, non avrebbe avuto niente da temere. Perlomeno, era quello che si augurò quando la figura si strappò di dosso il cappuccio e si voltò per piantargli addosso un paio di occhi neri come la pece, osservandolo truce da sotto un paio di sopracciglia cespugliose.

Si squadrarono per qualche istante, e la bestia in fattezze umane o l’uomo sotto sembianze di bestia annusò cautamente l’aria, assottigliando lo sguardo. Il bardo non osò muovere un muscolo, tenendo gli occhi fissi nei suoi e ringraziando qualunque divinità governasse quel mondo di aver camuffato il suo aspetto. Senza orecchie e coda tipiche della sua specie, sembrava un banale umano, forse più affascinante dei più, ma pur sempre un umano. Quel bestione, invece, di umano aveva ben poco; a partire dalle zanne che facevano capolino dalle labbra tese per il sospetto alla matassa irsuta di dread che gli ricadevano a cascata lungo la schiena e fino alla cintola. Le poche parti scoperte del suo corpo presentavano profonde cicatrici, alcune ancora fresche; sentì una stretta all’altezza dello stomaco, rabbrividendo per il ribrezzo e il dolore che gli provocavano solo alla vista.

Si umettò le labbra, e non gli sfuggì il modo in cui le pupille dell’altro si assottigliarono per seguire quel minimo movimento lanciandogli un chiaro messaggio di diffidenza.

“Ben svegliato…” …amico? Compare? Non riuscì a trovare una definizione adatta per completare la frase e gli si spezzò la voce, incrinata in uno strano esordio di falsetto.

Per tutta risposta, l’altro emise un ringhio basso e gutturale, inclinando la testa in avanti per nascondere la gola.

“Ehi, rilassati. Vedo che non siamo partiti con il piede giusto…” Si ingobbì lentamente e abbassò lo sguardo, assecondando l’istinto che gli suggeriva di mostrarsi il meno minaccioso possibile. Per quanto minaccioso potesse sembrare in quel momento, con una veste strappata indosso e il corpo pieno di lividi. Era palese che non fosse uno dei loro aguzzini. Ma si tenne quel pensiero ben stretto, frenando la lingua. “Sei come me, giusto?” Una fiammella di sollievo gli tremolò nel petto quando vide parte dell’ostilità nei suoi occhi scemare. “Voglio dire, sei stato rapito anche tu. Ti ricordi di me? Ero io quello che-”

“Che parlava senza sosta, sì. Ti ho riconosciuto.” La sua voce suonava roca, ruvida e aveva un che di ferale che gli ricordava una persona poco avvezza alla compagnia altrui.

Quella risposta inaspettata lo aveva spiazzato a tal punto da fargli dimenticare le precauzioni che si era autoimposto. “Allora sai parlare…!”

“Certo. Ma quando serve, a differenza tua.”

Si morse il labbro per evitare che la scintilla di esasperazione che avevano acceso in lui quelle parole si trasformasse in un incendio, mandando a monte tutto. Aveva bisogno di lui, non sarebbe riuscito a uscire di lì da solo. Chissà dove si trovava, che cosa avrebbe dovuto affrontare una volta che fosse riuscito a trascinarsi fuori di lì e con che forze. Era un bardo, non un guerriero. Mentre quell’energumeno sembrava molto più versato in combattimento. Doveva tentare di lavorarselo per bene. Entrare nelle sue grazie.

“Potrei parlare per usare i miei incantesimi di guarigione, forse questo potresti trovarlo utile.” Rispose, non velando del tutto quanto si fosse sentito piccato a quell’accusa. “O per presentarmi, dato che a quanto pare non sei disposto a dirmi il tuo nome per primo. O per- ehi, ma dove vai?!” Si sbracciò nella sua direzione, circumnavigando la pozza a carponi. “Non vorrai mica lasciarmi qui!”

L’altro si era rimesso in piedi, non senza un grugnito di dolore, e si stava guardando intorno con circospezione. “Per quanto sia tentato, sto solo cercando di capire chi sia stato qui poco fa. Rilassati e piantala di fare casino. Non fai altro che attirare attenzione su di te, attenzione che potrebbe essere indesiderata.”

“Se ti riferisci al gruppo di viaggiatori che ci ha salvato la pelle,” ribatté il bardo, facendo però attenzione a modulare la voce, “non credo che siano una minaccia. Insomma, ci hanno slegato no?” Fece spallucce, arrivando a fatica vicino all’altro e sbattendo i palmi tra loro per pulirli dalla terra.

“Li hai visti?” Inarcò un sopracciglio, abbassando lo sguardo quanto bastava per lanciargli un’occhiata scettica. “E smettila di fare rumore una buona volta.”

Per tutta risposta, si stampò in volto l’espressione più neutra che avesse nel suo repertorio e batté le mani un’ultima volta con forza. L’eco sembrò amplificare l’irritazione del suo recalcitrante compagno. “No. Ma non sembravano avere cattive intenzioni-”

“Non puoi sapere che intenzioni avessero. Non so te, ma non mi fiderei di qualcuno a cuor leggero, soprattutto non dopo quello che abbiamo passato.”

“Ci hanno salvato…” …bestione? Compagno di dilettevoli torture? “Senti, potresti dirmi almeno come ti chiami? La cosa mi tormenta da un po’.”

L’altro assottigliò lo sguardo e serrò le labbra.

“Va bene, come non detto. Tieniti i tuoi segreti.” Tentò di imitarlo e di tirarsi in piedi, ma senza successo. Si accasciò con un sospiro, sconfitto. “Io sono Horo e almeno la buona educazione non l’ho persa in questo buco di merda in cui siamo finiti.” Incrociò le braccia al petto, stizzito.

“Conosci davvero incantesimi di guarigione? Perché sembra che potrebbero servire più a te che a me.”

“Uh, sì? Sono un bardo, non un bugiardo. E ho più di un trucco dalla mia.”

“E allora faresti bene a rimetterti in piedi e in fretta.” Sentenziò, muovendo alcuni passi verso l’interno dell’ampia stanza di pietra. “Così come sei, non mi saresti altro che d’intralcio.”

“Parla quello che barcolla come un volgare avventore di taverna.” Borbottò, ma quando vide che l’altro continuava a mettere con determinazione un passo incerto dopo l’altro, allontanandosi sempre più in direzione di un’apertura in fondo alla stanza, si sbrigò a mormorare una breve formula per riacquisire l’uso delle gambe. Un piacevole pizzicore si sprigionò dai polpastrelli, propagandosi sotto la pelle e all’interno della gamba, rinvigorendo all’istante i suoi poveri arti inferiori. Scattò in piedi, affrettandosi a raggiungerlo.

“Allora non erano tutte balle.”

“Certo che no! Per chi mi hai preso?! E, aspetta…! Con questo intendi dire che se avessi mentito mi avresti lasciato a marcire di fianco a quella pozza?!” Gli si parò di fronte, costringendolo a fermarsi e guardandolo fisso negli occhi, con sguardo di rimprovero. Poggiò le mani sui fianchi e si sporse leggermente in avanti, ma fu costretto a inclinare la testa all’indietro per mantenere il contatto visivo; il che tolse gran parte della drammaticità alla sua posa. “Non hai cuore?! Che hai da dire a tua discolpa?”

“Mi hai preso per una balia?” Rispose con voce controllata, scoprendo lentamente le zanne.

“Non è questo il punto!” Gli puntò il dito contro con fare accusatorio. “Volevi abbandonare una persona in difficoltà! E io che ti ho pure offerto il mio aiuto…!”

“Ma ora cammini.” Osservò con semplicità.

“Ma mi ascolti almeno?!” Horo lo fissò, allibito, poi abbassò il braccio con fare rassegnato, scuotendo la testa. “Non importa, lascerò correre. Almeno lascia che guarisca anche te, per quanto mi siano rimaste ben poche forze.”

“Dovresti risparmiarle, allora. Non mi sembri un grande combattente.”

“Perché sono un bardo! Non mi ascolti proprio…!”

L’altro alzò gli occhi al cielo. “Sei fottutamente irritante quando ti ci metti.”

Horo lo ignorò e allungò le braccia, tenendole tese di fronte a lui, e prese a mormorare una breve litania, aggrottando la fronte. Poi le riabbassò e fece un lungo sospiro. “Bene, ora almeno potrai difenderti meglio in caso di attacco.”

“Vuoi dire che potrò difenderti meglio.” Sollevò un sopracciglio con fare derisorio. “Ma grazie.”

Horo sbuffò, ma gli rivolse un sorriso soddisfatto. “Figurati, socio. Allora? Partiamo per questa grande avventura? Tipo, dirigendoci fuori di qui?” Calcò con particolare enfasi le ultime parole, puntando verso la parte opposta dell’enorme stanzone. Non gli era affatto sfuggito il fatto che quel bestione si stesse incamminando verso l’interno di qualunque posto fosse quel luogo da incubo e il suo obiettivo non era certo quello di finire tra le braccia dei loro carcerieri. Che sembravano misteriosamente scomparsi. Che i viaggiatori che li avevano salvati si fossero imbattuti nel loro stesso destino? O che se ne fossero tornati da dove erano venuti dopo aver constatato che lì non c’era traccia di tesori?

“No. Saremo più al sicuro all’interno della montagna.”

Horo sbatté le palpebre, confuso. “Punto primo: come puoi sapere che ci troviamo all’interno di una montagna? Potremmo essere ovunque. E punto secondo: perché dovremmo essere in salvo proprio nel posto in cui ci hanno quasi ammazzato?!”

“Fidati del mio olfatto, so quello che dico. E chiunque ci abbia salvato è andato in questa direzione.”

“Pensavo che non ti fidassi di loro.”

“E lo ribadisco.” Emise un ringhio basso, tenendo lo sguardo fisso sulla strada che si snodava all’interno delle viscere del monte. “Ma chiunque fossero, potrebbero avere medicine e cibo.”

Horo scrollò le spalle. “Come dici tu…”

Lo osservò con il cuore in gola mentre si allontanava con passo molto più sicuro verso l’imboccatura scavata nella roccia e, facendosi mentalmente forza, mosse i primi passi, allontanandosi sempre più dal suo sogno di libertà.

  
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