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Autore: fiore di girasole    12/03/2020    10 recensioni
[scritto a quattro mani con Old Fashioned]
I Rammstein, esasperati dalle attenzioni dei fan, cercano rifugio in una cittadina fuori dal mondo. Pensano di aver trovato la loro oasi di beatitudine, invece…
Prima classificata (pari merito) al contest "Feat. Masters" indetto da Soul_Shine sul forum di efp
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti. Questa è la prima volta che pubblico una storia scritta a quattro mani, nella fattispecie con Old Fashioned, che è un autore molto più bravo di me e uno degli amici più cari. Io, oltre ad essere emozionata, ho una grande responsabilità a postare sulla mia pagina. E lui con me ha avuto una pazienza sconfinata.
Chi ci conosce entrambi poteva, forse, indovinare l'argomento che avremmo scelto. Vi aspettavate un'original, vero? :P Invece dovevate immaginare che, ad unire le nostre forze (e le nostre demenzialità), non potevamo tirare fuori una storia seriosa. Ma poi con tutti i drammi di cui scriviamo in solitaria, non potevamo maltrattare i personaggi anche stavolta o comincerete a vederci come torturatori di pg!
Entrambi speriamo che risulti una lettura piacevole per chi non si farà intimorire dalla lunghezza, ma serviva una OS e non potevamo suddividere il testo.

Grazie a Old, per me è stato un piacere scrivere con te. ^_- Grazie ai Rammstein che con la loro muscia sono un'impareggiabile fonte d'sipirazione per entrambi; e ovviamente grazie a Soul per aver creato il contest "Featuring Masters" al quale questa storia partecipa. 

 



INVASION OF THE SATANIC NAZI SODOMYTES






Passò una macchina solitaria. Dalla pompa di benzina al limitare del paese, un uomo grande e grosso, in salopette blu, la seguì con lo sguardo fino a che essa non scomparve dietro il municipio, quindi disse: “È passata la signora Mennart, pa'. Oggi è un po' in ritardo.”
Sotto la tettoia della stazione di servizio, un vecchietto incartapecorito interruppe il movimento della sedia a dondolo, si aggiustò la tesa del cappello e rispose: “Per me si è alzata tardi, Junior.” Lanciò un preciso sputo di tabacco contro una lucertola che passava, facendola fuggire con un fruscio.
“Credo anch'io, pa'.”
Un cane attraversò senza fretta la strada deserta. “Ehi, vecchio Blue,” lo salutò il benzinaio, “lo sa il tuo padrone che sei in giro?”
“Ai miei tempi i cani non se ne andavano in giro senza collare,” sentenziò il vecchietto.
L'animale, una specie di grosso segugio a pelo raso, con le orecchie che gli arrivavano fin quasi a terra, diede due colpi di coda, poi proseguì per la sua strada senza minimamente mutare l'andatura.
Il ticchettio ritmico degli unghioli si perse nel silenzio.
Il vecchietto riprese a dondolarsi.
Passò un'altra macchina.
Di nuovo il movimento della sedia a dondolo si interruppe. “E questa volta chi è, Junior?”
“Era il reverendo Springle, pa'.”
“Passa un po' troppo spesso, ultimamente.”
“È passato due volte in tre giorni.”
Il vecchietto lo fissò risentito, quindi brontolò: “Beh, se vuoi saperlo, a me le novità non piacciono, Junior. Non mi piacciono neanche un po'.”
“Qui a New Nazareth non succede mai niente,” fu la replica, proferita con un sospiro.
“Ed è così che deve essere. Qui ci sono solo le buone vecchie cose di una volta e la gente non ha grilli per la testa.”
 

§


Lindemann scostò la tenda che oscurava il finestrino del pullman e disse: “Ma tu guarda ‘sti stronzi.”
Sul piazzale dello Sheraton c’era il delirio: gente assiepata ovunque, addirittura arrampicata sui lampioni o appollaiata sui tetti delle macchine. Un tizio aveva la faccia imbiancata con la biacca e quattro ganci metallici che gli stiravano all’indietro le labbra, in un’imitazione della copertina di 'Sehnsucht'. Un ragazzino si era legato sulla schiena un paio di estintori, ma la corporatura da videogames lo rendeva più simile a un asmatico con le bombole dell’ossigeno che a un ex campione di nuoto con un lanciafiamme in spalla.
Passò una ragazza a petto nudo, con una scritta in rosso sulle tette. “Ci sono anche le femen?” borbottò Lindemann, già paventando interventi di attiviste esagitate. Poi guardò meglio: in un tedesco approssimativo, la scritta diceva: “Till, scopami!”
Alzò gli occhi al cielo.
Il pullman frattanto procedeva a passo d’uomo, fendendo con fatica la folla riluttante. Le mani brancicanti dei fan fuori dai finestrini facevano pensare a un’apocalisse zombie.
Il cantante si appoggiò all’indietro sul sedile ed emise uno sbuffo infastidito. All’inizio dei tour non gli dispiacevano quelle manifestazioni di apprezzamento. Lo galvanizzavano, anzi. Gli davano allegria.
Poi pian piano, concerto dopo concerto, albergo dopo albergo, lo stuolo di fan osannanti cominciava inesorabilmente a trasformarsi in un branco di stronzi rompicoglioni.
Ormai era arrivato allo stadio in cui avrebbe fatto intervenire la polizia con gli idranti.
Alla fine dello show uno aveva solo voglia di andare a farsi la doccia e poi a letto, no? E invece quelli si ostinavano a stargli addosso. E autografi, e foto insieme, e beviamo qua, e facciamo là, e la maglietta, e il gadget…
Ricordò con un moto di fastidio la rissa che si era scatenata nelle prime file per il possesso di una bottiglia di plastica che lui aveva vuotato e buttato.
Uno era saltato su come una scimmia e l’aveva afferrata al volo, poi si era dileguato con dietro una muta di assatanati pronti a tutto pur di fregargliela.
“Idioti,” borbottò.
Kruspe, intento a consultare il telefonino, senza nemmeno sollevare lo sguardo chiese: “Hai detto qualcosa?”
“Ho voglia di farmi una doccia e andare a letto.”
L’altro alzò le spalle. “Non se ne parla: cena con i vip e intervista.”
“Fanculo ai vip,” brontolò Lindemann.
“Fa parte dello show.”
Il cantante brontolò qualche altro insulto, quindi si chiuse in un silenzio cupo. Fuori frattanto branchi di esagitati vestiti di cuoio e borchie sventolavano bandiere con il loro logo e intonavano strofe delle loro canzoni. Uno provò a tirare fuori un paio di fumogeni colorati, ma fu immediatamente agguantato da un paio di sbirri e portato via.
Sul cassone di un pickup, un gruppetto di ragazze mimava atti erotici agitando dei dildo rosa trasparenti.
Doctor Flake, che sembrava addormentato, di colpo si animò, seguì per un po’ la scena con lo sguardo poi disse: “Stanno usando quelli dell’edizione deluxe di Pussy.” Il tono aveva un che di compiaciuto.
Lindemann incrociò sul petto le braccia ancora annerite dai trucchi di scena. “Ho una gran voglia di tornarmene a casa mia,” brontolò.
“Vuoi tornare a intrecciare cestini?” gli chiese Schneider con un sorrisetto.
“Voglio poter uscire al mattino, andare a comprare il giornale come chiunque altro e non avere nessuno che mi salta fuori da dietro un albero con la pretesa di farsi un selfie con me.”
“Non esattamente come chiunque altro,” disse Schneider, “dal momento che di solito ci vai con addosso una vestaglia viola.”
Piccato, Till replicò: “Sarà successo al massimo due o tre volte.”
“Facciamo due o trecento.”
Tutti ridacchiarono.
Il pullman nel frattempo aveva raggiunto l'ingresso dell'hotel. La porta laterale si aprì su due cordoni di polizia da sommossa ottocentesca. Alle spalle degli agenti ribolliva la frangia più esagitata dei fan: emuli di ogni membro della band; gente con il loro logo tatuato sulle tette, sulle chiappe o sul petto, e debitamente esposto; ragazze discinte che proclamavano la loro disponibilità a ogni genere di pratica... Di quando in quando, dalla folla principalmente nera e color metallo si alzavano fiammate, perlopiù prodotte dalle pistole per flambare che vendevano tra i loro gadget. I flash delle macchine fotografiche sbrilluccicavano ovunque.
“Che palle,” sospirò Lindemann che, fermo sull'ultimo gradino della scaletta, ingobbito per passare attraverso la porta, sembrava un orso da circo in equilibrio sullo sgabello del domatore.

La reception li accolse come un'oasi di pace. Da dietro le porte a vetri serrate giungeva l'urlio attutito dei fan, come un documentario sulla fauna amazzonica proveniente da un'altra stanza.
Nella hall invece c'erano una discreta musichetta di sottofondo, un vago odore di colonia e un rinfresco servito da camerieri in guanti bianchi.
Lindemann chiese una birra, la tracannò d'un fiato, emise un sospiro di sollievo e annunciò: “Io vado a farmi una doccia.”
Senza attendere risposta si fece consegnare la chiave della camera, fece cenno di non muoversi al cameriere che si accingeva ad accompagnarlo e si diresse verso l'ascensore.
Salì fino al piano delle suites, percorse il corridoio, aprì la porta della camera: moquette, letto enorme, un bagno che prometteva di essere faraonico. Illuminazione soffusa, oggetti d'arte disseminati qua e là, un frigo bar grosso come un furgone.
Il cantante fece qualche passo nella suite, lasciò cadere il giubbotto di pelle su una sedia, si stirò emettendo un grugnito di soddisfazione.
Aprì un armadio a muro alla ricerca di teli e accappatoi e un improvviso lampo di luce lo fece sussultare e poi barcollare all'indietro.
Mentre, strofinandosi gli occhi, imprecava sentitamente in madrelingua, udì una voce proporre: “Facciamo un selfie insieme?”
 

§


Seduto a un tavolo del ristorante, un'enorme mappa della zona spiegata davanti a sé, Till rimuginava immerso in un silenzio cupo, nella più totale indifferenza per le occhiate perplesse che gli altri membri della band da un po' gli stavano rivolgendo.
Alla fine, puntò solennemente il dito in quello che sembrava il bel mezzo del nulla, e disse: “Qui.”
Kruspe si protese a guardare, aggrottò le sopracciglia, si girò verso di lui e ripeté: “Qui?”
Il dito non si mosse. “Esatto.”
“Ma non c'è niente.”
Un mormorio dubbioso attraversò anche gli altri membri della band. “Niente,” confermò Oliver in tono cupo.
Lindemann fece scorrere uno sguardo circolare sui compagni, quindi disse: “C'è la pace.”
“Eh?”
Sempre immobile col dito puntato, Till proseguì: “Lo sapete cos'è successo prima? Vado su, entro in camera, apro un armadio e c'era nascosta dentro una stronza che mi aspettava per farsi un selfie con me.” Fece una pausa carica di significato, quindi concluse: “Mi è toccato di farle un occhio nero.”
Al racconto seguì qualche secondo di silenzio, poi Doctor Flake in tono cupo confermò: “Sono dappertutto. Ieri un tizio dell'albergo ha cercato di intascarsi le mie mutande sporche.”
“Manco fossi una liceale giapponese,” brontolò Olli.
“Io sono molto meglio di una liceale, per tua norma e regola, ma ugualmente non mi va che mi freghino le mutande.”
Di nuovo Lindemann fissò uno per uno gli altri membri della band, quindi disse: “Abbiamo bisogno di un paio di notti in un posto dove non ci conosce nessuno.”
“Cioè in Corea del Nord?” propose Schneider.
Till sollevò finalmente il dito dalla carta, rivelando un minuscolo centro abitato perso tra ettari ed ettari di campi. Kruspe si chinò a fissarlo. “New Nazareth?” chiese perplesso.
Il cantante annuì. “È un posto sperduto, mi gioco le palle che gli abitanti considerano già troppo moderni i successi di Buddy Holly.”
A quel punto il tour manager, che fino a quel momento se n’era stato in disparte a controllare le mail sul telefonino, mollò l’apparecchio sul tavolo e disse: “Ehi, aspettate un attimo. Signor Lindemann, aspetti, non è che si può deviare così dal programma, è già tutto prenotato, ci sono gli alberghi...”
Con la pacatezza del Dalai Lama, Till rispose: “Le prenotazioni si possono disdire.”
“Allo Sheraton?”
“Certo.”
“Sì, ma...” Il tour manager esitò, si passò due dita nel colletto della camicia. “Ma, signor Lindemann, tutti conoscono i Rammstein.”
“Scommetto che a New Nazareth non ci hanno mai sentiti nominare.”
L’altro assunse l’espressione del naufrago che vede l’ultima scialuppa aggirarsi intorno al relitto della nave. “Ma i fan vi verranno dietro,” tentò, “vi seguiranno in massa.”
“No, se non sapranno dove andiamo.” Lindemann lo fissò truce, quindi con un sorrisetto soggiunse: “Manterremo segreta la nostra destinazione, ci andremo con un pulmino qualsiasi, verde a fiorellini rosa magari.”
“E una volta là?”
Il cantante alzò le spalle. “Facile: diremo che siamo un gruppo country alla ricerca di ispirazione.”
“Di ispirazione?”
Intervenne a quel punto Kruspe: “La campagna, le vacche… Ci può stare, no? E noi intanto ce ne staremo in pace, senza pazze nascoste nell’armadio, senza cameriere che mi fregano lo smalto nero e se lo rivendono, senza ladri di mutande usate.”
 

§


Nell'unico albergo di New Nazareth, una piccola pensione dal poetico nome di Desert Rose, ferveva l'attività.
“Forza, forza!” disse per l'ennesima volta il gestore. “Più lucidi, quegli specchi, li voglio molto più lucidi.”
“È la terza volta che li pulisco,” protestò Esther, la più giovane delle cameriere.
L'uomo scrutò gli immacolati cristalli, quindi in tono critico proferì: “Sembra che qualcuno ci abbia strofinato sopra delle fette di lardo.”
“Ma signor Ebenezer!”
“Olio di gomito, ragazza mia: i vetri non si lustrano da soli.” Poi, rivolto a tutti: “Dobbiamo mostrare agli ospiti l'eleganza del Desert Rose, che – vi ricordo – è il nome perfetto per un gioiello in mezzo al nulla.”
Esther smise di lustrare. “Che ospiti, signor Ebenezer?”
L'uomo prese un'aria di estrema importanza. “Ospiti di riguardo,” specificò.
“Quelli della Fiera della Pannocchia?”
L'albergatore scosse la testa con fare misterioso.
La ragazza alzò gli occhi al soffitto e per un po' rimase a cogitare assorta. “Le signore della gara di torta di mele?” azzardò poi. “Chissà quanta torta di mele ci porteremo a casa!”
L'uomo scosse di nuovo la testa. “Macché torta di mele. Una band,” si decise a rivelare. “Un vero, autentico gruppo country, qui al Desert Rose!”
La rivelazione si lasciò dietro un silenzio basito. Alla fine, Esther balbettò: “Sul serio arriva una band? Una vera band musicale?”
Modesty, l'altra cameriera, con fare sognante commentò: “Che meraviglia, sentiremo musica dal vivo.”
Un fattorino di nome Andrew intervenne: “Anche al Corn Delight fanno musica dal vivo.”
“Che c'entra,” protestò Esther, “quelli sono i ragazzi della parrocchia, li conosciamo tutti.” Emise un sospiro sognante, poi soggiunse: “Questa invece è una vera band. Scommetto che saranno tutti bellissimi...”
A quel punto, l'albergatore richiamò tutti all'ordine: “Basta, ragazzi, ora voglio che vi diate da fare per tirare a lucido la pensione. Esther, su quegli specchi ci hanno cagato i piccioni, per caso? E tu, Modesty, lustra bene quel pavimento. Quello della stalla di Jedediah è meno sporco.”

Erano tutti impegnati nelle pulizie quando arrivò Eve, la cameriera addetta alle stanze. La donna aveva l'aria di essere appena sfuggita a un maniaco: ansimava con gli occhi fuori dalle orbite e i capelli scarmigliati le ricadevano sul viso.
Si abbandonò su una poltrona e scoppiò a piangere.
Tutti si scambiarono occhiate stupefatte. L'albergatore fissò alternativamente Esther e Modesty, come per accertarsi che non ci fossero in ballo questioni da donne, ma le due si strinsero perplesse nelle spalle.
Infine l'uomo si avvicinò e, ostentando la massima tranquillità, chiese: “Che c'è, Eve, non ti senti bene?”
La donna sollevò su di lui uno sguardo spiritato. “Non sapete cosa sta succedendo,” disse cupa.
“Oh, io lo so,” s'intromise Esther. “Viene un gruppo musicale famosissimo a suonare da noi. Scommetto che sono i Country Brothers, o magari gli Heart for the Countryboys.”
A quella rivelazione, Eve rispose con un nuovo accesso di pianto. Tutti si scambiarono occhiate perplesse. Infine, Esther chiese: “Che c'è, cara, non ti piace il country?”
La donna sollevò il volto che fino a quel momento aveva tenuto nascosto fra le mani, poi disse: “Sì, pensate alla vostra musichetta, certo, molto bravi. Pensate solo a divertirvi e intanto non sapete cosa sta succedendo.”
Ebenezer le porse un bicchiere d'acqua, si accertò che ne bevesse qualche sorso. “Perché, cosa sta succedendo?” le chiese poi.
“Satanisti!” proferì allora la donna, e il suo sguardo si fece più spiritato che mai. “Adoratori del Demonio, seguaci di Hitler, pervertiti.”
Di nuovo tutti si guardarono, cominciò a serpeggiare qualche dubbio sulla salute mentale di Eve. “Ne sei certa?” le domandò Ebenezer.
“Come di chiamarmi Eve! Mia cugina mi ha detto che l'ha saputo dalla sorella di una compagna di scuola di sua figlia, che è nipote di Zacharias Belsley. Lui li ha visti.”
Chi ha visto, Eve?”
Per tutta risposta, la donna disse: “Sono brutti, grossi, tutti vestiti di nero, pieni di borchie e catene dappertutto. Hanno le croci naziste, sono adoratori di Satana e si accoppiano contro natura. Lui ha detto che arriveranno presto, e siccome siamo religiosi faranno una strage e metteranno New Nazareth a ferro e fuoco.”
 

§


Qualche giorno prima...

Joshua si guardò intorno per accertarsi che non ci fossero presenze moleste, quindi si piegò verso il compagno di banco. “L'ho trovato,” gli rivelò in tono da cospiratore.
L'altro spalancò gli occhi. “Sul serio?”
Me l'ha procurato Matt. Suo fratello studia al college e là si trova di tutto.” Aprì lo zaino. Al suo interno, mimetizzato fra libri e quaderni, c'era un DVD. Sulla custodia erano raffigurati dei sinistri figuri vestiti di nero, pieni di borchie e catene, con croci e svastiche dappertutto. Il titolo recitava: “Invasion of the satanic nazi sodomytes.”
Quando lo guardiamo?”
Joshua abbassò ulteriormente la voce. “Stasera. I miei vanno al bingo e saremo da soli.”
Figo, non vedo l'ora!”

Zacharias pensò che almeno per una cosa nel matrimonio era stato fortunato: sua moglie andava pazza per il bingo e ogni volta che il reverendo organizzava una serata lei era in prima fila.
Ringraziò mentalmente il reverendo Springle, perché quando Judith era impegnata a disporre fagioli su una scheda non gli rompeva le palle e lui aveva la possibilità di andare al bar di Enoch e bersi qualche cicchetto in santa pace.
Posò l'ennesimo bicchiere vuoto e disse: “Sarà meglio che vada. Tra un po' la mia vecchia ha finito e se non mi trova a casa mi fa due palle così.”
Sicuro che ce la fai?” lo schernì uno degli avventori.
Zacharias lo fissò piccato. “Certo, mi prendi per un pivello che non sa reggere un po' d'alcol?”
Ti prendo per uno che ha bevuto un po' troppo.”
L'uomo fece un gesto di diniego, quindi uscì con andatura incerta.
La notte gli parve particolarmente oscura, le strade più vuote del solito. Non che in genere ci fosse chissà che movimento, soprattutto a quell'ora, ma in quel frangente non c'era in giro nemmeno un gatto. I suoi passi echeggiavano sinistri.
Quand'ecco, gli parve di udire delle grida. Si avvicinò alla provenienza del rumore, e al vociare si sovrapposero spari e sirene della polizia.
Che cazzo succede?” borbottò. Fece qualche altro passo e si accorse che i clamori uscivano da una finestra aperta. Sbirciò dentro e vide due ragazzini che stavano guardando la televisione. Si avvicinò alla chetichella: sullo schermo scorrevano le immagini di una città devastata. C’erano la polizia in assetto antisommossa, gente che scappava e orridi figuri vestiti di nero, pieni di borchie e croci, che si aggiravano con aria feroce.
Venne inquadrato uno speaker, che in tono concitato disse: “Mio Dio, sono i sodomiti nazi-satanisti, e sono ovunque! Moriremo tutti!”
Zacharias dovette farsi forza per non dare segno di sé: non sapeva da dove stesse parlando il cronista, ma era chiaro che se lo dicevano già al telegiornale la questione doveva essere seria.
La prima cosa che gli venne in mente, nonostante il discreto numero di cicchetti al suo attivo, fu che doveva avvertire sua moglie.
Partì barcollando in direzione del bingo.
 

§


Eve stava ancora ansando in preda al panico. Bevve un altro sorso d'acqua, poi ripeté: “Zacharias li ha visti con i suoi occhi. Ha detto che sono brutti, grossi, vestiti di nero e pieni di croci dappertutto. Parlano solo in tedesco. Come faremo se arrivano?”
“Mia sorella Ruth l'ha studiato a scuola,” rispose premurosa Esther.
La nuova arrivata alzò gli occhi al cielo e gemette: “Sono adoratori di Satana, sono nazisti... non si parla con gente del genere! Si può solo scappare!”
“Ma no,” minimizzò l'albergatore, che vedeva già andare in fumo il soggiorno del famoso gruppo country, “sapete anche voi com'è fatto Zacharias...” Mimò il gesto di bere, quindi soggiunse: “Sarà stato ubriaco e avrà visto chissà cosa.”
“Judith ha detto che gli crede,” asserì Eve categorica.
“Li ha visti anche lei?”
“È sicura che ci siano. Ha sognato la sua povera zia e quando la sogna succede sempre qualcosa di brutto.”
L'albergatore scosse la testa. “Ora basta, ragazze,” proclamò categorico. “Si dà il caso che i Country Brothers stiano per arrivare qui. Vogliamo farli alloggiare in una topaia polverosa?”
A malincuore, Eve si risolse a indossare il grembiule e a tirare fuori dallo sgabuzzino il carrello delle pulizie. Pur lavorando di buona lena come sua abitudine, ogni tanto si interrompeva e lanciava a porte e finestre occhiate cariche di preoccupazione, come temendo che i sodomiti nazi-satanisti potessero arrivare da un momento all'altro.
 

§


Tarda notte. Il silenzio della hall era rotto solo dal monotono ticchettare di una pendola e dal fruscio che di quando in quando l'albergatore produceva sfogliando una rivista.
L'uomo guardò l'orologio: mezzanotte passata e i Country Brothers non si erano ancora fatti vedere. Si chiese se avessero avuto qualche contrattempo. Certo, ragionò fra sé e sé, la gente famosa non era libera di gestire la propria esistenza come gli abitanti di New Nazareth. Immaginò che la band avesse perso tempo a firmare autografi, a fare fotografie o in generale a fare tutte le cose che la gente famosa faceva.
A quel punto udì il rumore di un motore. Sollevò la testa e vide che nel piazzale si stava fermando un pulmino Volkswagen verde a fiorellini rosa. Dapprima rimase perplesso, ma la perplessità si trasformò rapidamente in preoccupazione e poi in vera e propria paura: dal veicolo stavano uscendo uno dopo l'altro dei figuri alti, grossi, vestiti di nero. Erano pieni di borchie e catene e avevano delle croci dappertutto.
“Non è possibile...” mormorò mentre sentiva le gambe farsi molli.
Si guardò intorno all'istintiva ricerca di una via di fuga, scattò per aggirare il bancone, ma a quel punto la porta si aprì e i sinistri individui entrarono nella hall.
Rimase congelato sul posto. Dal gruppetto si staccò il più grosso e il più brutto di tutti, un tizio coi capelli neri e la faccia da ergastolano. Raggiunse il bancone.
L'albergatore deglutì. “Desidera...?” gli chiese con voce tremula.
Il nuovo arrivato scandì: “Puona zera. Nostre kamere, preco.”
Ci fu un istante di un'immobilità cristallizzata, nel quale il gestore del Desert Rose realizzò con orrore che anche l'ultimo tassello era appena andato al suo posto: quei tizi parlavano come i tedeschi dei telefilm di guerra!
Stabilì che la cosa migliore sarebbe stata assecondarli, per evitare che gli distruggessero l'albergo, vi celebrassero messe nere e inneggiassero a Hitler mentre ballavano nudi.
Raccolse le chiavi di tutte le stanze e gliele sciorinò davanti. “Camere? Ma certo, signori, scegliete pure quelle che volete, sono tutte libere. Tutte per voi!”
Si chiese fugacemente cos'avrebbe fatto all'arrivo del gruppo country, ma stabilì che la priorità era salvarsi la vita.
La voce del tizio brutto e grosso lo richiamò alla realtà: “Kuali zono nostre kamere, preco?”
“Quelle che volete!” esclamò l'uomo. Raccolse una chiave. “Questa è la camera Mimosa, molto carina, con vista sulla...” Si interruppe prima di dire 'chiesa'. “Con vista sulla piazza,” si corresse. “Oppure la camera Lillà. Da questa si vede il lago...”
“Ach, c'è laco?” considerò il nazi-satanista e forse anche sodomita, assumendo un'espressione sinistramente soddisfatta. “Molto pene, piace molto peskare.”

L'albergatore emise il sospiro attonito di chi è scampato a un disastro. Si voltò verso le scale di legno, su cui gli anfibi dei sodomiti nazi-satanisti stavano producendo il tuonare cupo di una mandria al galoppo. Attese che il rumore si affievolisse, quindi afferrò il telefono e freneticamente, con dita tremanti, compose un numero.
L'apparecchio dovette squillare un bel po' prima che un'assonnata voce femminile pigolasse: “...Pronto...?”
“Eve!” esalò l'uomo.
La voce femminile si fece concitata: “Che c'è, Ebenezer, è successo qualcosa?”
“Eve, sono loro, sono arrivati!”
“Ma chi?”
“I nazi-satanisti! Sono tutti qui nell'albergo! Sono brutti come il Demonio, pieni di croci, tutti vestiti di nero. Scommetto che staranno già bestemmiando il Signore e facendo delle orge fra di loro. Bisogna avvisare il reverendo, bisogna nascondere i bambini, perché quella è gente che fa i sacrifici umani!”

Nel frattempo, Till ammirava il corridoio su cui si affacciavano le camere: pavimento di legno lucido, carta da parati sui toni pastello, un gradevole aroma di lavanda e fiori di campo ma, soprattutto, silenzio.
“Ah, che meraviglia!” esclamò. “Che pace, che tranquillità. Avete notato quanto era gentile quel tizio alla reception? Si è fatto in quattro per accontentarci.”
“Spero che ci sia il bagno nelle camere,” brontolò Richard alle sue spalle.
Till fece un gesto di noncuranza, poi disse: “Mi ricorda la casa di mia nonna.” Soppesò la manciata di chiavi che l'albergatore gli aveva consegnato e ne estrasse una. “Chi vuole la suite Petunia?”
“Cos'è una petunia?” chiese Landers.
“Che ti frega?” rispose Oliver, “L'importante è che si possa stare in pace, no?”
“Vada per la Petunia.”
Lindemann scrutò di nuovo le chiavi. Aggrottò le sopracciglia e disse: “Qui abbiamo... Zinnia? Che cavolo è una zinnia?”
“Un fiore?” propose Schneider.
In tono sarcastico, Till rispose: “Ah, ma guarda. Io pensavo che fosse una specialità gastronomica.” Poi, dopo una pausa: “Comunque: chi vuole la Zinnia?”
Kruspe alzò la mano dalle unghie laccate di nero. “A me.”
“Ora abbiamo... peonia. Chi vuole la Peonia?”
Le camere furono distribuite. Till entrò finalmente nella sua – Viola del pensiero – e per prima cosa emise un sospiro di soddisfazione. Subito dopo si avvicinò alla chetichella al grande armadio di noce che troneggiava in mezzo a una parete, lo spalancò di colpo ma vi trovò dentro solo grucce tintinnanti, un profumatore alla lavanda e due trapunte patchwork accuratamente piegate. “Niente rompicoglioni,” stabilì soddisfatto.
Si distese a stella marina sul letto, assaporando l'arredamento da telefilm sulla casa nella prateria, il silenzio, la pace e soprattutto l'assenza del branco di scimmie urlanti che regolarmente dava l'assalto ai loro alberghi. “Fanculo allo Sheraton,” concluse, poi scivolò nel sonno dei giusti.
 

§


Per l'ennesima volta, Ebenezer tese l'orecchio, cercando di interpretare il lieve tramestio che proveniva dal piano superiore. Era stato tutta la notte ad ascoltare, un po' perché glielo imponevano le sue mansioni di albergatore e un po' per accertarsi che nelle camere non si svolgessero orge sodomitiche in cui si invocavano Satana e Hitler, ma nemmeno un fiato aveva turbato il perfetto silenzio dell'hotel.
Solo verso la tarda mattinata – o quella che a New Nazareth era considerata tarda mattinata, cioè circa le nove – aveva cominciato a sentire vaghi cigolii di molle e qualche passo. Concentrandosi al massimo era anche riuscito a percepire qualche vaga eco di frasi, sicuramente blasfeme e inneggianti al Führer.
A parte ciò, tutto sembrava tranquillo.
La porta della hall si schiuse, facendolo sussultare. Spuntò da dietro l'anta il volto preoccupato di Eve. “Dove sono?” chiese la donna circospetta.
Ebenezer si limitò a fare un cenno della testa in direzione della scala che conduceva alle camere.
“Sono là sopra?”
L'albergatore annuì grave.
“Sarebbe il caso di far venire il reverendo,” disse l'altra. “E lo sceriffo, magari, così se ne occupa lui.”
L'uomo si strinse nelle spalle. “Per ora si stanno comportando bene.”
“E questo che significa?” lo rimbeccò la nuova arrivata, raggiungendo con passo deciso il bancone. “Vogliamo stare a guardare quando metteranno New Nazareth a ferro e fuoco? Vogliamo girarci dall'altra parte quando uccideranno i nostri bambini? L'hai detto tu, sono satanisti e nazisti...”
“E sodomiti,” precisò Ebenezer.
Eve ebbe il fiato mozzo per il raccapriccio. “E tu hai dato loro delle camere?” esalò inorridita.
“Non potevo fare altro,” si difese l'uomo, “sono arrivati in branco, di notte. Prima che potessi fare qualsiasi cosa, mi erano già tutti addosso.” Fece una pausa densa di ricordi angosciosi, poi soggiunse: “Quando ripenso a quella parlata spaventosa...”
“Satana è fra noi,” proclamò solennemente Eve. Gli porse il telefono e gli ingiunse: “Chiama il reverendo Springle, è l'unica cosa da fare.”

Nel frattempo, Till si stava asciugando dopo essersi lavato in una vecchia vasca smaltata, di quelle con i quattro piedini di leone. Dato il suo metro e novanta abbondante aveva dovuto far penzolare fuori le gambe, ma il bagno era stato ugualmente suggestivo.
Si vestì senza fretta, già pregustando la passeggiata nel grazioso paesello e successivamente una rilassante giornata di pesca all'aria aperta. Sospirò soddisfatto al pensiero di essersi liberato almeno per un po’ dei fan che saltavano fuori dai luoghi più impensati con la pretesa di interagire con lui nei modi più insulsi.
Uscì dalla camera e bussò allegramente alla porta degli altri cinque, scatenando cori di proteste risentite.
“Sveglia, ragazzi!” tuonò allora. “Ci attende una bella colazione!”

Alla reboante esortazione di Till, alla reception ci fu un dardeggiare di occhiate sgomente. Il reverendo, che nel frattempo era arrivato insieme allo sceriffo, gettò uno sguardo verso le scale e a basa voce chiese: “Sono loro?”
Ebenezer annuì.
“Cos’ha detto?”
L’albergatore alzò le spalle. “Non lo so, è tedesco.”
“È la lingua di Satana,” berciò Eve. “Del resto si sa: i nazisti erano tutti satanisti, l’ho visto in un documentario di History Channel.” Fece una pausa densa di oscuri presagi, quindi ridusse gli occhi a due minacciose fessure e sibilò: “Quanto pensate che ci metteranno prima di cominciare a distruggere la nostra città?”
“Non glielo permetterò!” scattò lo sceriffo in tono reboante.
In quel momento cominciarono a provenire dalle scale i ben noti tonfi degli anfibi chiodati. Tutti si irrigidirono.
Sbucò il tizio alto e moro con la faccia da ergastolano. “Puon ciorno!” salutò allegro. “Molto pella ciornata, ja?”
Alle sue spalle, gli altri satanisti sodomiti e adepti del Reich distribuirono sorrisi.
Gli astanti risposero con vaghi grugniti. L’albergatore rivolse allo sceriffo la muta richiesta di prendere in mano la situazione.
Questi allora si erse in tutta la propria altezza, arrivando più o meno al naso di Lindemann, quindi in tono professionale rispose: “Buon giorno a lei, signore.” Si portò due dita alla tesa del cappello in segno di saluto. “Posso sapere cosa fa qui a New Nazareth?”
“Fakanza,” rispose pronto il figuro nerovestito. “Riposo, pace. Ja?”
“Vediamo un po’ di documenti,” fu la scarna replica.
“Dokumenti…? Ausweis?” Attimo di pausa. “Ach, ja! Certo, dokumenti.”
In quella sua lingua satanica e malvagia, l’uomo passò voce ai suoi accoliti e sei passaporti si ammucchiarono sul bancone. Lo sceriffo li aprì e lesse con serena indifferenza nomi che generalmente scatenavano isterie collettive. Infine sollevò lo sguardo verso il figuro e chiese: “Tedeschi?”
“Ja.”
“E ha detto che siete in vacanza?”
“Posto molto trankvillo.”
“Va bene...” Spinse i passaporti nella sua direzione. “Va bene, buona giornata.”
“Danke schön,” rispose compito il tizio con la faccia da ergastolano, poi si rivolse all’albergatore: “Preco...”
L’uomo quasi sussultò. “Sì?”
“Preco, può trofare per me kanna da peska?”
“Eh? Una canna da pesca?”
L’altro annuì energicamente. “Ja, preco. Piace molto peskare. Molto entspannend… rilassante.”

Usciti i sinistri ospiti, reverendo, albergatore, sceriffo e signora delle pulizie rimasero a guardarsi in silenzio.
Infine, in tono di vago rimprovero Ebenezer disse: “Se ne sono andati.”
“I documenti erano tutti in regola,” replicò lo sceriffo, “e non stavano facendo niente di male. Purtroppo non ho potuto fare altro che lasciarli andare via.”
Altro lungo silenzio.
Eve gettò una significativa occhiata alla porta da cui i sei erano usciti e disse: “Cosa diremo ai nostri figli? Che non c’erano motivi per trattenerli? Che avremmo potuto fermarli ma non l’abbiamo fatto?”
“Veramente, la Legge non avrebbe consentito di fermarli,” puntualizzò lo sceriffo.
La donna allora si rivolse al reverendo: “E Dio? Perché Dio non li ha fermati?”
Il religioso si strinse nelle spalle e farfugliò qualcosa a proposito del libero arbitrio.
“Vedrete!” vaticinò allora Eve. “Presto quei satanisti seguaci di Hitler cominceranno a massacrare i bambini!” Si interruppe qualche istante, flagellò ognuno dei presenti con uno sguardo carico di riprovazione, poi in un tono cupo e carico di minaccia recitò: A mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d'Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero nel carcere sotterraneo, e tutti i primogeniti del bestiame...”
Premurosamente, Esther le fece notare: “Sono appena le nove, cara.”
 

§


“Sono proprio delle brave persone,” disse Till mentre prendeva posto nel furgoncino, dal lato passeggero. “È commovente vedere quanto si interessano a noi.”
“E niente squinzie a saltarci addosso. Una pacchia!” aggiunse Oliver, seduto al volante. Anche per lui trovare posto dietro era complicato.
Gli altri esultarono a loro volta, scambiandosi il cinque, e intonarono una delle loro canzoni. Si prospettava una giornata divertente.
Flake a un certo punto provò a dire che secondo lui la gente li guardava male, ma Lindemann rivolse un cenno di saluto a un paesano, che subito si affrettò a svoltare per una via laterale, e rispose: “Nah, saranno solo stupiti dal furgoncino. Non ne devono vedere molte, di Mistery Machine, da queste parti.”

Ebenezer aveva appena salutato sceriffo e reverendo quando dai piani superiori, dove Eve ed Esther stavano rassettando le stanze, provenne un urlo agghiacciante.
Mollò immediatamente quello che stava facendo e si precipitò su per le scale.
La porta della Petunia era spalancata. Appoggiata allo stipite, rossa fino alla radice dei capelli, Esther aveva l’espressione di chi ha appena visto dodici fantasmi che fanno il trenino cantando ‘Banana Boat’.
“Sono tornati?” le chiese l’albergatore, dimenticando nella concitazione del momento che se fossero tornati sarebbe stato lui il primo a vederli.
La cameriera si limitò a indicargli la scrivania. Egli vi si chinò sopra e a sua volta rimase annichilito dall’orrore.
Da una cartella in cui Esther, sicuramente ispirata dal Signore, aveva curiosato, erano uscite delle fotografie spaventose: in una c'erano due di quegli uomini che si baciavano sulla bocca e un terzo che sventolava la bandiera dell'orgoglio gay; in un'altra quello più grosso, vestito da cuoco e sporco di sangue dalla testa ai piedi, cuoceva qualcuno in un pentolone gigante; in un'altra ancora sodomizzava il più magro dopo averlo messo carponi.
Ebenezer si sentì le guance in fiamme. Ordinò a Esther di rimettere via le foto e si fece il segno della croce.
Eve, che era comparsa sulla porta, disse: “Non fanno niente di male, dite? Non hanno cattive intenzioni? Bisogna fidarsi del libero arbitrio? Guardate lì!”
Nessuno guardò, probabilmente anche solo la vista di certe cose avrebbe spalancato loro le porte dell’inferno.
“Ora abbiamo la certezza che si tratta di criminali pervertiti,” riprese la cameriera, “ora sappiamo la verità.”
Ebenezer annuì. “Quei nazisti adoratori di Satana sodomiti e cannibali ci hanno provato a prenderci in giro, ma con l’aiuto di Dio non ci siamo fatti fregare!”
Ancora addossata alla porta, ansante, Esther pigolò: “Cosa facciamo?”
“Avviserò la tavola calda,” sospirò l’albergatore, “al momento non possiamo fare altro.”
“Possiamo pregare,” intervenne Eve. “Il Signore ci aiuterà.”

I Rammstein, dal canto loro, si godevano la mattinata. Scherzavano fra loro, si indicavano l’un l’altro gli scorci più interessanti del luogo e scattavano foto ricordo da non pubblicare su internet per nessun motivo.
In pochi minuti giunsero alla tavola calda, dal suggestivo nome di ‘Corn Delight’, e vi entrarono scambiandosi commenti su come l’atmosfera del locale ricordasse telefilm di altri tempi.
Al loro apparire, nella sala calò un silenzio da mausoleo. Chiunque puntò lo sguardo su di loro, una cameriera sussultò e fece cadere il vassoio che aveva in mano.
I Rammstein si scambiarono occhiate dubbiose. “Che ci abbiano riconosciuti?” buttò lì Schneider.
Riedel scosse la testa. “Più facile che ci abbiano scambiati per una banda di motociclisti metallari.”
“Beh, metallari lo siamo, in effetti,” disse Till con noncuranza, quindi si diresse verso un tavolo libero.
Le cameriere, che si erano raccolte in un gruppetto sospettoso sulla porta della cucina, si scambiarono qualche frase a bassa voce. Una scosse energicamente la testa, ma fu spinta avanti dalle altre, che subito dopo sciamarono via verso altri tavoli.
La ragazza si avvicinò con l’andatura che avrebbe tenuto sull’asse del galeone pirata, stringendosi al petto il blocchetto delle ordinazioni come un missionario circondato da cannibali incazzati avrebbe fatto con la bibbia. “Cosa posso portarvi?” chiese con voce tremula.

Till elencò un buon tre quarti del menu. La cameriera scrisse tutto più in fretta che poteva, quindi schizzò in cucina come un razzo.
Oliver la guardò allontanarsi, quindi si girò nuovamente verso la band e in tono cupo disse: “È quella che ha fatto cadere il vassoio.”
Serafico, il cantante rispose: “Un momento di disattenzione può capitare a chiunque.”
“Ci guardano come gli stranieri che entrano nel saloon.”
Lindemann alzò le spalle. “Sarà perché siamo stranieri.” Fece una risatina.
Caparbio, Riedel insisté: “Ci guardavano male anche per strada.”
“Ma no, è una tua impressione, sei sempre troppo sospettoso.”
“E quelli che si facevano il segno della croce?”
“Sai come sono questi paeselli,” replicò Lindemann con la massima tranquillità. “È gente molto religiosa, magari è il loro modo di augurarci buona giornata.” Si guardò intorno, rivolse un cenno di saluto a un tizio che da un po' li stava fissando. Questi rinculò precipitosamente e si affrettò a uscire dal locale.
“Avrà avuto fretta,” concluse Till stringendosi nelle enormi spalle.
“Per me ce l'hanno con noi,” intervenne Schneider, e subito Kruspe confermò: “Anch'io ho avuto quell'impressione. Per me non ci vogliono in giro.”
Doctor Flake scambiò un'occhiata con Landers, quindi confermò: “Ci guardano male.”
A quelle parole, il cantante fece girare lo sguardo sulla sala. Notò che qualcuno li fissava di sottecchi, ma perlopiù la gente teneva lo sguardo ostinatamente incollato al piatto. “Non ci sta guardando nessuno,” concluse, poi si stirò soddisfatto e soggiunse: “Godiamoci questa pace, ragazzi, perché al prossimo Sheraton ci sarà di nuovo l'assalto degli esagitati.”
“Pace?” fece eco Landers, “Non mi stupirei se arrivasse un ragazzino ritardato con la pretesa di fare un duetto di banjo e chitarra insieme a me.”
“Esagerato! Hai visto l'albergatore com'era gentile? E anche il poliziotto. Tutti si stanno facendo in quattro per noi.” Till adocchiò un palco sul quale verosimilmente qualcuno suonava la sera, quindi con una risatina soggiunse: “Se ci chiedono un pezzo country potremmo fare 'Te quiero puta', che ne dite?” Fece girare lo sguardo sugli altri, che però si limitarono a fissarlo muti. Al che, il cantante proseguì: “No, avete ragione, qualcuno potrebbe riconoscerci e tutta la rottura di palle ricomincerebbe.”
 

§


Mentre i Rammstein consumavano la loro sostanziosa colazione, nella hall del Desert Rose si stava svolgendo un consiglio di guerra in piena regola.
Ebenezer fece girare lo sguardo sugli astanti, ovvero il reverendo, lo sceriffo, le cameriere dell'albergo, Zacharias e sua moglie Judith, i gestori della pompa di benzina, la maestra elementare e un certo numero di agricoltori della zona, qualcuno già munito di falci e forconi.
Dopo alcuni secondi di silenzio, in tono funesto disse: “La situazione è grave.”
Tutti annuirono. Si udì qualche mormorio di disapprovazione. “Lo dicevo, io!” sentenziò il vecchietto del distributore. “Troppe novità, era evidente che il Demonio stesse preparando qualcosa. Non ho ragione, Junior?”
“Sì, pa'.”
“Beh, ai miei tempi non si stava tanto a parlare, si agiva! Una volta arrivò in paese un branco di quei pacifisti fannulloni con le chitarre, e volete sapere cos'abbiamo fatto?”
Nessuno rispose. La vicenda degli hippy, svoltasi non meno di cinquant'anni prima, era già stata raccontata in una miriade di versioni, la più fantasiosa delle quali comprendeva anche l'intervento della Guardia Nazionale a cavallo. Ogni tanto il vecchio Jacob sosteneva che alla guida dei cavalleggeri ci fosse anche un angelo con una spada fiammeggiante, ma la creatura celeste normalmente saltava fuori non prima del terzo bicchiere di bourbon.
“Volete saperlo?” insisté il vecchietto.
Con voce flautata, Esther gli rispose: “Lo sappiamo bene, signor Ewert: arrivò la Guardia Nazionale a cavallo.”
“Tu non ti intromettere, donna!” fu l'astiosa replica. “Qui si parla di adoratori di Satana nella nostra città. Non è così, reverendo Springle?”
“Certo, signor Ewert,” si affrettò ad assentire il sacerdote.
“E quindi? Non avete intenzione di fare nulla?” Il vecchietto dardeggiò tutt'intorno uno sguardo carico di riprovazione.
Lo sceriffo a quel punto intervenne: “C'è la Legge, signor Ewert, e la Legge dice che...”
Chi ha inventato la Legge?” lo interruppe l'omino, sputacchiando nella concitazione schizzi di tabacco un po' dappertutto. Prima che chiunque potesse pensare ad articolare una risposta in grado di tacitarlo, l'anziano benzinaio saltò su dalla sedia e proclamò: “Dio l'ha inventata! E Dio ci dice che gli adoratori di Satana devono essere scacciati.”
“Io voto per il vecchio Jacob!” esclamò a quel punto con veemenza l'albergatore, “Via da New Nazareth quei pervertiti nazisti! Via Satana e i suoi adoratori!”
“Signori...” tentò lo sceriffo, ma la sua pur autorevole voce fu subissata da una cacofonia di versetti biblici, frasi patriottiche e qualche stralcio di inno sacro.
“Bisogna ucciderli!” strillò Eve in preda al furore mistico.
“Al rogo!”
“Via il Male dalla nostra città!”
Nel generale casino sopraggiunse Abigail, la legnosa moglie di Ebenezer, con un vassoio in mano. “Biscotti per tutti?” propose garrula.
 

§


“Sono a casa!” annunciò in tono di sollievo Sarah, cameriera del Corn Delight.
Dalla cucina giunse la voce della madre: “Così presto, tesoro?”
“Enoch ha chiuso il locale, ha detto che doveva andare da Ebenezer a parlare.”
“Da Ebenezer? Perché mai?”
Sarah tentennò. Se avesse detto alla madre che erano arrivati in città gli adoratori di Satana nazisti – qualunque cosa significasse nazisti – di certo non l'avrebbe più lasciata uscire. “Credo che vogliano organizzare una festa,” rispose.
La testa della donna spuntò dalla cucina, l'espressione era quella dell'inquisitore che rivolge le domande preliminari a un albigese accusato di stregoneria. “Una festa?” ripeté.
Sarah ebbe il colpo di genio: “Sì, ha detto che sarebbe andato anche il reverendo Springle.”
I lineamenti della signora si distesero come per incanto. “Ah, il caro reverendo,” flautò.
“Ha detto che ci sarebbe stato anche lui. Ora vado a cambiarmi, mamma.” Senza attendere risposta, Sarah sgattaiolò verso le scale che conducevano al piano di sopra.
Percorrendo il corridoio che portava alla sua camera passò davanti a quella di suo fratello. Da dietro la porta socchiusa provenivano dei clamori orribili e la ragazza stabilì che doveva trattarsi di uno dei film che Joshua era solito guardare.
Si affacciò e trovò il giovanotto assorto nella visione di una cosa molto strana: in mezzo ad allestimenti pseudo-industriali con fumi, fiammate e catene, sei figuri vestiti di nero, tutti pieni di croci e borchie, stavano suonando, se la cacofonia infernale che producevano si poteva definire musica. Il più grosso e il più brutto di quei tizi cantava in una lingua che evocava il latrato di cani molto grandi e molto cattivi.
Come in preda a una strana fascinazione, Sarah per un po' rimase a fissare le evoluzioni dei sinistri personaggi, poi disse: “Io quelli li ho già visti.”
Senza nemmeno girarsi, Joshua rispose: “Lo credo bene che li hai visti: sono i Rammstein.”
“I chi?”
“Rammstein,” scandì il fratello. “Sono un gruppo metal famosissimo.”
“Sono qui a New Nazareth.”
“Non dire stronzate.”
“Stamattina ho servito la colazione a quello lì grosso.”
Joshua abbandonò il divano. Fissò negli occhi Sarah, ancora temendo uno scherzo del cazzo da sorella maggiore, quindi la provocò: “Ti sei bevuta il cervello, per caso?”
La ragazza scosse la testa.
 

§


Esther, spedita a fare il palo durante il veemente conciliabolo, a un tratto avvertì: “Arrivano!”
Di colpo nella hall dell'albergo calò il silenzio, tutti si finsero assorti nelle più varie occupazioni. Il pulmino Volkswagen dei sodomiti nazi-satanisti, verde a fiorellini rosa, entrò lentamente nel cortile.
Nessuno emise un fiato. Persino il vecchio Jacob, che fino a quel momento aveva tuonato contro gli adoratori del Demonio con tale foga da far temere l'arrivo di qualche accidente cardiovascolare, mantenne un cauto silenzio.
I sei pervertiti seguaci di Hitler uscirono uno dopo l'altro, ridendo e scambiandosi battute.
“Guarda quanto se la godono, quei bastardi,” ringhiò lo sceriffo, “lo sanno che la Legge non può toccarli.”
Alla frase fece seguito qualche grugnito di disapprovazione, poi il più brutto dei satanisti entrò nella hall. “Puon ciorno!” salutò, e a tutti parve che quell'ostentata allegria fosse una provocazione nei loro confronti. “Kolazione perfekta, puonissima.”
“Mi fa piacere,” rispose Ebenezer, con il tono di chi sta constatando che un meteorite da sei tonnellate gli ha appena centrato la macchina nuova.
Si fece avanti a quel punto lo sceriffo, che salutò con le consuete due dita alla tesa del cappello e chiese: “Siete in partenza, signori?”
“Nein, non ankora,” gli assicurò premuroso il satanista. “Kvesto posto molto pello, molto trankvillo. Silenzio, kantare di uccellini, persone molto centili.”
I locali si scambiarono occhiate sgomente.
“E quanto...” cominciò lo sceriffo, ma l'altro adocchiò l'albergatore e immediatamente dedicò a lui tutta la sua attenzione. “Mia kanna da peska, preco? Oggi pellissima ciornata per peskare.”
 

§


Il lago era uno specchio turchese, incastonato in un lussureggiare di alberi secolari. L'acqua era così trasparente che si poteva senza fatica vedere il fondo, sul quale pigre alghe si agitavano adagio. Pesci argentei guizzavano rapidi, generando qualche volta increspature sull'immobile superficie.
Till inspirò con voluttà la brezza carica di profumi, rimase immobile per qualche istante e poi espirò adagio, godendosi il calore del sole sulla pelle, lo stormire lontano delle fronde e il cinguettio degli uccelli.
Non una voce, non un rumore a parte i suoni della natura.
Si avventurò su un vecchio molo di legno consumato dalle intemperie, e quando fu alla sua estremità si guardò intorno: nessuno in giro. Pace, tranquillità, solitudine.
Solitudine, soprattutto.
Decise che si sarebbe concesso di pescare come era abituato a fare a casa sua. Cominciò a togliersi i vestiti.

Dopo un tempo imprecisato, Till cominciò a percepire vaghi clamori alle sue spalle. Qualcosa come un vociare confuso, che ricordava la masnada dei fan intorno agli alberghi attraverso i doppi vetri antirumore delle camere.
Per un attimo fu colto dall'orribile sospetto che una talpa avesse rivelato a qualcuno il loro luogo di villeggiatura, e che un branco di esagitati fosse in arrivo, avido di autografi e foto.
Fissò pensoso il mucchio dei vestiti e si chiese se fosse il caso di nasconderlo da qualche parte, onde sottrarlo alla rapina dei cacciatori di souvenir.
I clamori si fecero più forti. Lindemann si decise a posare la canna da pesca da una parte, si girò e gli occhi gli si dilatarono per lo stupore.
L'imprecazione che proferì fece levare in volo uno stormo di uccelli, che si allontanarono gracchiando.
Subito dopo calò un silenzio siderale.
All'imboccatura del molo c'era una folla da cui spuntavano bibbie e forconi. Qualcuno aveva anche delle fiaccole.
In testa al gruppo c’era il prete, con in mano una croce che sembrava quella di van Helsing.
Lindemann si alzò in piedi, dimenticando peraltro l’insignificante particolare di essere completamente nudo.
Alla vista di cotanta virilità ci furono strilli inorriditi, qualche deliquio fra le signore e un generale imbarazzo nel genere maschile. Il reverendo fece addirittura un passo indietro.

Till, al contrario, fece un passo verso di loro. Per la verità gli parevano tutti matti, ma magari avevano detto o fatto qualcosa che per i bigotti della provincia americana era un’offesa imperdonabile, un po’ come il tale che, disegnando un panda con gli occhi verdi, aveva fatto incazzare l’intera Cina.
Restava un piccolissimo problema: come avrebbe fatto a farsi comprendere da una cittadinanza inviperita al completo?
Nel dubbio, gli venne spontaneo alzare le mani in segno di resa, col risultato che mise maggiormente in risalto la sua nudità. Gli abitanti del luogo probabilmente si aspettavano che si coprisse, non che esponesse ulteriormente i gioielli al sole, e di nuovo successe il finimondo: donne che strillavano, insulti verso di lui, versetti della bibbia... Si prese più acqua santa di Linda Blair ne L’Esorcista.
“Cos’è, una cazzo di candid camera?” chiese guardandosi intorno.
Nessuno rispose.
A quel punto, Lindemann si chiese se ci fosse di mezzo qualcuno che ce l’aveva con loro, e che magari nascosto da qualche parte stava facendo un filmino, che sarebbe finito su Youtube con una sfilza infinita di visualizzazioni e migliaia di dislike alla band.
Abbassò le braccia, provocando un nuovo precipitoso arretramento dei paesani, e mosse un cauto passo.
I tizi arretrarono. Il reverendo gli mostrò la croce, e lui di rimando gli mostrò il dito medio, quindi esibì un palmo di lingua a una delle pinzochere più esagitate e strabuzzò gli occhi come quando era sul palco.
La folla si aprì in due tipo Mar Rosso.
Qualcuno provò a minacciarlo, ma gli bastava un’occhiata storta per fare arretrare chiunque.
Continuò ad avanzare.
Dietro l’assembramento comparve il pulmino verde e rosa. Oliver abbassò il finestrino del guidatore e gli urlò di correre. Till non se lo fece ripetere. Scattò in avanti, spintonando con malagrazia quanti si ostinavano ancora a sbarrargli il passo e, nudo com’era, saltò a pesce sul veicolo. “Ce ne andiamo!” esclamò, “Fanculo alla tranquillità, lasciamo questi matti a marcire in mezzo al nulla.”
 

§


Nella hall del Desert Rose c'era un clima di grande soddisfazione, tutti ridevano e parlavano ad alta voce, scambiandosi pacche sulle spalle e rievocando con entusiasmo gli ultimi avvenimenti.
“Mancava solo la Guardia Nazionale!” esclamò il vecchio Jacob, poi lanciò un preciso sputo di tabacco verso la pattumiera, in cui Esther, dopo aver indossato un adeguato paio di guanti, aveva ficcato tutto ciò che i sodomiti nazi-satanisti si erano lasciati dietro andandosene.
Eve rivolse al bidone lo sguardo che avrebbe riservato a un barile di scorie radioattive, poi disse: “Questa roba andrebbe bruciata, per il bene dei nostri figli.”
“La bruceremo,” le assicurò Ebenezer. “Bruceremo tutto. Questi adoratori del Demonio hanno fatto scappare anche la band che aspettavamo. Ci godono, a rovinare la vita agli altri.”
Esther fissò stupefatta l'albergatore, poi chiese: “Come hanno fatto a farli scappare?” Rivolse una fugace occhiata al reverendo, come aspettandosi che questi le dicesse che avevano evocato delle creature infernali e le avevano scagliate addosso ai Country Brothers.
“Si sarà sparsa la voce,” ringhiò cupo Ebenezer, che di certo aveva scacciato i satanisti, ma di sei camere prenotate non aveva visto un soldo. “Nessuno va dove c'è gente che fa sacrifici umani.”
“Fanno sacrifici umani?”
“Tutti i nazisti li fanno.”
“Davvero?”
“Lo sanno tutti.”
Lo scambio fu interrotto da un frenetico tramestio di anfibi chiodati, accompagnato da un tintinnare metallico tipo slitta di Babbo Natale.
All'udire l'esecrato rumore, tutti si irrigidirono. Le risate cessarono come per incanto, ogni sguardo si volse verso la porta.
“Dio, fa che non siano loro...” pigolò qualcuno nel generale silenzio.
L'anta si spalancò, un figuro nerovestito, pieno di croci e catene, saltò nella sala ed esclamò: “Dove sono?”
“Sono tornati!” berciò il vecchietto. “Io lo dicevo, che ci voleva la Guardia Nazionale. Non è vero che lo dicevo, Junior?”
“Sì, pa'.”
“Dove sono?” ripeté il nuovo arrivato.
A quel punto, tutti tirarono un sospiro di sollievo. “È solo il figlio di Jedediah,” disse Abigail, col tono della morte scampata.
Ebenezer scrutò critico il ragazzo, si pose i pugni sui fianchi e chiese: “Joshua Fisher, lo sa tuo padre che vai in giro vestito in quella maniera?”
Il ragazzo ignorò la domanda. “Dove sono i Rammstein?” ripeté. Fece girare tutt'intorno uno sguardo carico di aspettativa.
L'albergatore aggrottò le sopracciglia. “Chi?”
“La band.”
L'uomo scosse la testa. “Non è arrivata nessuna band,” brontolò, “solo dei satanisti nazisti brutti che parlavano in tedesco.”
“E dove sono?” boccheggiò il ragazzo.
Ergendosi fieramente, Ebenezer rispose: “Li abbiamo cacciati via.”
La tremenda rivelazione si lasciò dietro un mezzo minuto di silenzio, durante il quale tutti annuirono compiaciuti.
Infine Joshua si passò una mano sgomenta sul viso e in tono incerto ripeté: “Via?”
“Non c'è posto per certa gentaglia a New Nazareth.”
“Oh, cazzo.”
“Non ti permettere di usare certe parole, giovanotto! Guarda che non ci metto niente a telefonare a tuo padre.”
“Cazzo,” ripeté il ragazzo imperterrito. “Ma lo sapete chi erano quelli?”
“Dei satanisti pervertiti adoratori di Hitler!” s'intromise Eve.
Joshua scosse disperato la testa. “Quelli erano i Rammstein. Sono un gruppo famosissimo.”
Ebenezer aggrottò le sopracciglia. “Un gruppo di che?”
“Una band!”
“Country?”
“Macché country, sono un gruppo metal, sono famosissimi, sono conosciuti in tutto il mondo. Se solo penso che sono stati qui e voi li avete mandati via...”
A quelle parole, l'albergatore si grattò pensoso la testa. “Oh, merda,” borbottò infine.
Nessuno intervenne a contraddirlo.
 

§


Lindemann scostò la tenda che oscurava il finestrino del pullman e disse: “Ma tu guarda che simpatici!”
Sul piazzale dell'Hilton c’era il delirio: gente assiepata ovunque, addirittura arrampicata sui lampioni o appollaiata sui tetti delle macchine. Una ragazza di colore si era costruita una specie di armatura con il cartone dorato; un'altra tizia, mulatta e con un bikini di perline, si portava dietro due bambini biondi con un camicione bianco e gli occhi dipinti di nero tipo panda.
Till salutò agitando il braccio, ma nessuno parve farci caso.
“Ci sono i vetri oscurati,” gli ricordò Kruspe.
Il cantante lo fissò costernato. “E perché mai?”
“Li hai voluti tu, ricordi? Hai detto che non sopportavi più la gente che cercava di guardare dentro.”
“Ma no.” Lindemann scosse la testa bonario. “No, poverini, no. Guarda come saltano per cercare di vederci. Ehi, ragazzi? Ciao!” Diede qualche colpetto con le nocche contro il vetro. “Non si può aprire questo finestrino?” chiese poi.
Una fila di sedili più indietro, Flake si voltò verso Landers, si picchiettò la tempia con l'indice e scosse la testa. L'altro si limitò a stringersi nelle spalle.
Il pullman raggiunse l'entrata dell'albergo, Lindemann scese dal veicolo. Dietro il cordone di polizia che tratteneva la folla adocchiò un ragazzino con il cellulare in mano. Si fermò. “Facciamo un selfie insieme?” gli propose.
Al ragazzino quasi venne un colpo apoplettico.

“Non ti riconosco più,” disse Oliver quando furono nella hall.
Till, abbracciato a una cameriera per un altro selfie, chiese: “Perché?”
“Di solito te ne stai sulle tue.”
“Se non eravamo svelti a scappare, quel branco di stronzi ci faceva fare la fine delle streghe di Salem. Questi qui almeno ci vogliono bene.”
“Già.”
“Mai visto tanto casino per un uomo nudo, comunque.”
“Da quello che berciavano, penso che ci credessero dei satanisti o dei nazisti.”
Lindemann scosse la testa costernato. “Chissà come gli saranno venute in mente stronzate del genere.”
“Boh.”
Lo scambio fu interrotto dal direttore dell’albergo, che con discrezione fece sapere a Lindemann che qualcuno chiedeva di lui.
 

§


Il sindaco di New Nazareth si rivolse allo sceriffo: “Pensa che ci riceveranno?”
“Lo scopriremo.”
Guardandosi intorno sbigottito, Ebenezer disse: “Ancora non riesco a credere che siamo riusciti a entrare.”
Lo sceriffo batté due colpetti soddisfatti sulla stella che portava sul petto, poi con sicumera rispose: “Questo è un grimaldello che apre tutte le porte.”
Si fece udire a quel punto la voce del reverendo: “È Dio che apre tutte le porte. È stato lui a ispirarci.”
“Amen,” disse il sindaco, poi in tono più pratico soggiunse: “questa è gente che deve essere piena di soldi, averli a New Nazareth sarebbe una benedizione. Immaginate i fan, l’aumento delle vendite, l’economia che gira...”
“Potremmo far rifare il tetto della chiesa,” disse il reverendo con aria sognante.
Lo sceriffo aggiunse: “Io potrei cambiare macchina.” Non specificò se stava parlando di quella di servizio o della sua.
Ebenezer a quel punto borbottò: “Non saprei. Non è che siamo stati proprio… molto gentili, ecco.” Fissò i suoi accompagnatori, poi soggiunse. “Voglio dire, non so se accetteranno, dopo...”
“Dopo l’intervento di Dio!” lo interruppe categorico il reverendo. “È stato Dio a ispirarci, e chi siamo noi per opporci al volere di Dio?”
“Sì, ma...”
La replica dell’albergatore fu troncata dal rumore di una porta che si apriva. Tutti si girarono in quella direzione e videro entrare uno dopo l’altro i sodomiti nazi-satanisti, ancora più brutti, più grossi e più cattivi di come li ricordavano.
“Puona zera,” li salutò al solito il più grosso e il più brutto di tutti, fissandoli con aria torva, “folete fare kaccia di eretiko anche kvi?”
Intervenne il sindaco: “No, ecco... credo sia stato tutto un grandissimo malinteso.” Fece una risatina, alla quale il satanista oppose un’espressione impenetrabile. “Uno stupido malinteso, davvero. Permette che mi presenti? Sono Lemuel Asbury.” Tese la mano, che l’altro si limitò a fissare come se fosse stata un pesce morto.
“Preco, kosa folete?” chiese poi il sinistro figuro.
“Potreste... magari riconsiderare un soggiorno nella nostra cittadina?”
L’altro alzò le sopracciglia con fare divertito. “Cittadina di Salem, con puritani pazzi? Nein, danke.”
“Ma ecco… noi facciamo le nostre scuse. Sceriffo, non è vero che ci scusiamo?”
“Certo, sindaco Asbury.”
Il satanista a quel punto annuì grave e un brillio sinistro gli animò lo sguardo color ghiaccio. “Ach so, foi fi skusate,” disse.
“Facciamo ammenda.”
“Molto pene.” Si girò a parlamentare coi suoi, e alla fine della discussione uno di essi uscì per tornare dopo poco insieme a un tizio dall’aria leggermente più civile, in giacca e cravatta. “Ja?” chiese il nuovo arrivato.
Il lugubre figuro parlamentò un po’ anche con lui, poi tornò a dedicare la sua attenzione alla cittadinanza di New Nazareth: “Foi folete noi in fostra pikkola cittadina, ja?”
“Oh sì, sarebbe molto bello,” gli assicurò il sindaco con calore.
“Allargheremmo i nostri orizzonti,” si sentì in dovere di aggiungere il reverendo.
Il satanista annuì soddisfatto. “Ja, io credo proprio che sarà kosì.” Poi, in tono formale: “Foi firmate kvesto?”
I paesani si scambiarono occhiate perplesse. “Che cos’è?”
“Ke foi offrite a noi posto in fostra cittadina.”
Altro giro di occhiate, panoramica sul lusso sfrenato dell’Hilton. Fama, soldi, affari a gonfie vele...
“Ma certo che firmiamo!” esclamò il sindaco.
A quelle parole, l’uomo in giacca e cravatta tirò fuori un documento e lo pose sulla scrivania. Distribuì Mont Blanc d’oro.
Quando l’ultima sigla fu apposta, il satanista allargò il suo ghigno in una franca risata e disse: “Molto pene! Possiamo finalmente girare di nuovo ‘Mann gegen Mann’, fostro albergo è perfekta ambientazione. Ma kvesta folta... senza censura!”
 

§


Qualche settimana dopo...

Due culturisti giganteschi, uno bianco e uno di colore, completamente nudi e unti d'olio, sedevano sulla panchina davanti al Desert Rose fumando una sigaretta. Un altro, ancora più grosso dei primi due, rasato a zero e con un serpente boa tatuato intorno all'uccello, stava telefonando appoggiato allo stipite della porta.
Nella hall, una torma di uomini enormi, tutti nudi come vermi, sudati e appiccicosi, si stava avvinghiando in modi che sfidavano ogni legge della fisica e della biologia.
Una troupe filmava con professionale distacco.
Lindemann, a sua volta completamente nudo, con l'eccezione di una lunga parrucca nera e un paio di stivali col tacco a spillo alti fino alla coscia, si rivolse al reverendo, che stava fissando attonito la scena, gli indicò la mostruosa orgia sodomitica e gli disse: “Fuole fenire anke lei, padre? Dopo lei sikuro allarga suoi orizzonti... e non solo kvelli!”




 

  
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