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Autore: Lamy_    14/03/2020    1 recensioni
Ernest Hemingway ha scritto “ma noi non eravamo mai soli e non avevamo paura quando eravamo insieme’’.
Thomas e Amabel si sono ritrovati dopo la Guerra, dopo anni di lontananza, dopo le difficoltà che hanno dovuto affrontare. Insieme non devono più temere i nemici, eppure nei vicoli sudici e fumosi di Birmingham si nascondono nuove minacce in agguato.
La città è sull’orlo di una crisi: Amabel contro Evelyn; i Peaky Blinders contro i Birmingham Boys. Non c’è spazio per la paura. E’ arrivato il momento di lottare.
Thomas e Amabel si lasceranno annientare dalla paura oppure la vinceranno?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO: RISORGERE

“He's a god, he's a man
He's a ghost, he's a guru
They're whispering his name
Through this disappearing land
But hidden in his coat is a red right hand.”

(Red Right Hand, Nick Cave and the Bad Seeds)
 
Sei mesi dopo, agosto.
Amabel guidava verso la periferia di Birmingham con le dita che tamburellavano sullo sterzo per il nervosismo. Pochi minuti prima Johnny Dogs l’aveva chiamata in clinica perché raggiungesse il Red Dragon, un enorme magazzino militare abbandonato che i cinesi avevano trasformato in una palestra. Uscita dai confini cittadini, si ritrovò immersa nel buio pesto. I fari illuminavano un sentiero stretto e sterrato che si dirigeva verso la zona nord. La campagna intorno sembrava sterminata e pericolosa, i rami degli alberi simili a braccia rachitiche pronte a ghermirla. Sussultò quando un gufo planò sopra il tettuccio dell’auto. La campagna non faceva per lei. Mezz’ora dopo intravide due pire bruciare e capì che il luogo era quello. Lo spiazzale del magazzino era gremito di persone, uomini ubriachi e sotto l’effetto di qualche droga, giovani ragazzi che brindavano e alcune donne che civettavano fra di loro sedute sui cofani delle auto.
“Ehi, bella signora, cerchi divertimento?” domandò un uomo, accasciandosi contro il finestrino.
“Non ti conviene darmi fastidio.” Disse lei in tono perentorio.
“E perché? Tu chi cazzo sei?”
“Amabel Hamilton Shelby.”
L’uomo si tirò indietro con la paura stampata in volto, nessuno voleva inimicarsi Tommy Shelby.
“Scusatemi, dottoressa. Cercate vostro marito?”
“Ci penso io, Jim. Torna a ubriacarti.” Intervenne Johnny Dogs.
Amabel parcheggiò nei pressi del cancello, lontano dalla folla, e recuperò la valigetta. Johnny le tolse la borsa di mano un po’ bruscamente, sebbene il suo gesto avesse l’intenzione da gentiluomo.
“Che ha combinato questa volta Thomas?”
“Venite con me, dottoressa.”
Amabel fu condotta all’interno del magazzino, uno spazio grande e arredato solo da un ring da combattimento, sacchi e altri attrezzi da allenamento. Tommy stava fumando accanto ad un lottatore col viso insanguinato. Si illuminò quando vide Amabel andargli incontro. I tacchi picchiettavano sul pavimento come se una pistola scaricasse proiettili per terra. Camminava a testa alta e schiena dritta, il portamento di una donna pronta a tutto.
“Bel, eccoti.”
“Sono reduce da un turno di sedici ore in clinica, sono stanca e vorrei tornare a casa dai bambini. Quindi che diavolo avete combinato questa volta?”
Tommy la prese da parte per parlarle lontano da orecchie indiscrete.
“Non avrei voluto trascinarti qui, ma Arthur ha fatto un casino a cui dobbiamo rimediare.”
Amabel avrebbe voluto andarsene seduta stante, era troppo sfinita per sopportare altri problemi, ma Tommy aveva quello sguardo supplichevole che riusciva sempre a convincerla.
“E va bene. Che devo fare?”
“Arthur e Johnny Dogs hanno organizzato un combattimento clandestino con il figlio dei cinesi senza chiedere il permesso a nessuno. Arthur lo ha ridotto male, gli ha spaccato la faccia e non smette di sanguinare.”
“Se il ragazzo muore, i cinesi faranno guerra ai Peaky Blinders.” Aggiunse Amabel.
“Esatto. – disse Tommy – Devi salvare il ragazzo. Non è il momento per una fottuta guerra con i cinesi. E devi farlo prima che il padre e i fratelli lo scoprano.”
“Questo ti costerà caro, Shelby.”
Tommy le prese la mano di nascosto, non voleva che qualcuno lo vedesse compiere un gesto affettuoso.
“Farò tutto quello che vorrai. Ora, per favore, aiutaci.”
Amabel alzò gli occhi al cielo e annuì, non avrebbe mai lasciato la città sull’orlo di un’ennesima diatriba.
“Dov’è il ragazzo? E Arthur sta bene?”
“Quello stronzo di Arthur sta benissimo, ci penso io. Johnny ti porterà dal ragazzo.”
Mentre Amabel seguiva Johnny, scorse Tommy schiaffeggiare Arthur e rimproverarlo per la sua pessima iniziativa.
“E’ qui.” Disse Johnny Dogs.
Amabel varcò una tenda sgualcita e unta ed entrò in una stanzetta che un tempo doveva essere il deposito delle provviste. Il ragazzo in questione stava sdraiato su una brandina malmessa, si lamentava e si dimenava. La sua faccia era spaventosa, una poltiglia di carne massacrata e sangue. La spalla era chiaramente lussata. Dalla maglietta spuntava una costola. Una delle gambe non si muoveva.
“E’ mostruoso.” Mormorò Amabel, turbata da quella vista.
Johnny guardò il ragazzo e scosse la testa, del resto era anche colpa sua se adesso rischiavano una faida con i cinesi.
“Tommy dice che potete aiutarlo. Ce la fate?”
“Forse. In guerra ho curato parecchi soldati conciati peggio di lui, ma allora avevo gli strumenti adatti. Non possiamo portarlo in ospedale o in clinica, perciò non so quanto possa essere d’aiuto il mio intervento.”
“Puoi farcela.” Disse una voce alle sue spalle.
Michael era appena entrato e se ne stava appoggiato alla parete con le mani in tasca. Era da tempo che loro due non stavano insieme nella stessa stanza. Amabel lo ignorò, quindi aprì la valigetta e raccolse il necessario.
“Johnny, prendi un secchio di acqua fredda e degli stracci. Prima pensiamo alla faccia, poi al resto.”
Rimasti da soli, Michael fece un passo avanti e Amabel indietreggiò.
“Tommy ti ordina di starmi lontano?”
“Non essere ridicolo, Michael. Non siamo qui per discutere della tua cotta ma per salvare una vita.”
“La mia non è una stupida cotta.” Replicò lui con disappunto.
Amabel stava per rispondere quando Johnny rientrò con un secchio pieno e una busta di pezze bianche.
“Johnny, ora dovrai gettare l’acqua fredda sulla faccia del ragazzo.”
“Sicura? Non è un po’ … barbaro.”
Amabel inarcò il sopracciglio.
“Sono io il medico. Il sangue va lavato in fretta e una secchiata d’acqua è il metodo più rapido ed efficace.”
Sebbene scettico, Johnny rovesciò l’acqua addosso al ragazzo. Il sangue schizzò sulla parete, sul materasso della brandina e sul pavimento. Il ragazzo imprecò per il dolore, ma Amabel ora poteva costatare per bene i danni.
“L’occhio sinistro è del tutto chiuso, mentre il destro è gonfio. Il labbro e il naso sono spaccati. La mascella è fuori sede. Anche la spalla è fuori sede. La gamba destra, invece, sembra aver perso sensibilità. La costola presenta solo gonfiore ed ecchimosi, per fortuna oserei dire.”
“Cazzo, Arthur lo ha fracassato.” Giudicò Johnny.
“Già. – disse Amabel – E sarà difficile renderlo presentabile per evitare che i cinesi ammazzino Arthur. Mettiamoci al lavoro.”
Michael si levò la giacca e la gettò a terra per avvicinarsi alla brandina.
“Che facciamo?”
“Dobbiamo praticare una riduzione della lussazione, cioè dobbiamo rimettere in sede la spalla grazie alla tecnica di Ippocrate.”
Johnny e Michael si scambiarono un’occhiata confusa, al che Amabel sbuffò.
“La tecnica prevede che io tenga il braccio lussato dal polso per applicare una trazione con un angolo di quarantacinque gradi. Voi immobilizzate il ragazzo sul letto e io applico la manovra.”
Johnny e Michael premettero il ragazzo sul materasso affinché non si muovesse, Amabel gli afferrò il polso e ruotò il braccio come previsto dalla tecnica ippocratea. Il ragazzo lanciò un urlo simile a quello di un toro ruggente.
“Fatto?”
“Fatto. – confermò Amabel – Ora passiamo alla mascella.”
“Ci penso io. Ho rimesso in sesto molte mascelle dei miei uomini.” Disse Johnny, fiero di sé.
Amabel lo lasciò fare e, dopo un rumore strano e un altro grido, la mascella era tornata al suo posto.
“Ottimo lavoro. Adesso io penso alla faccia. Voi trovate qualcosa di non troppo duro per tenere la costola.”
Nella mezz’ora successiva Amabel si affaticò per disinfettare e ricucire le ferite, per aprire l’occhio sinistro ammaccato, per sistemare la costola, per risvegliare la gamba. Tommy la raggiunse mentre stava controllando di aver curato ogni lacerazione.
“Come va?”
“Non tanto bene. La faccia andrà guarendo nelle prossime settimane e la spalla entro due mesi migliorerà, ma temo che la gamba non tornerà a funzionare. Anche la vista all’occhio è decisamente peggiorata, suppongo che vedrà ombre sfocate.”
“Merda. Arthur ha creato un fottuto cadavere!”
Tommy diede un calcio al secchio che si schiantò contro la parete con un forte clangore. Amabel gli cinse il collo con le mani e gli massaggiò la nuca per calmarlo.
“Possiamo risolvere la cosa, Thomas. Ci sono io con te.”
“Questi sono i fottuti casini del cazzo a cui abbiamo rinunciato tempo fa.”
Tommy tentò di scansarsi ma lei lo tenne stretto.
“Lo so, ma la vita è imprevedibile. Arthur ha combinato un disastro e tocca a noi risolverlo. E se pagassimo i cinesi? Il figlio è comunque vivo, magari una bella somma di denaro placherà la loro voglia di vendetta.”
“Tommy, i cinesi sono arrivati!”
Michael irruppe nella stanza obbligandoli a staccarsi. Amabel per qualche assurda ragione si sentì in imbarazzo, non era giusto che Michael soffrisse per colpa sua.
“Arriviamo.”
 
Amabel stava al fianco di Tommy mentre i cinesi entravano nel magazzino. Il padre della vittima, il signor Chang, era un uomo minuto e dal viso rugoso, i suoi occhi a mandorla sprizzavano odio.
“Zingari, voi siete sempre in mezzo. Ah, noto che con voi c’è anche la regina di Birmingham.”
Amabel si morse la lingua per non ribattere e non peggiorare le cose, ma Tommy aggrottò la fronte in segno di fastidio.
“Mia moglie ha salvato tuo figlio, quindi eviterei le battutine del cazzo.”
Il signor Chang sbatté il bastone sul pavimento e si mise a ridere.
“Salvato, dici? Tuo fratello ha ridotto mio figlio ad un cane bastonato. Il mio povero ragazzo non ci vede più da un occhio e ha perso una gamba. Ti sembra che la tua troietta lo abbia salvato?”
Tommy non batté ciglio, si limitò ad increspare le labbra in una piccola smorfia contrariata.
“Ti diverti, stronzo?”
“Sì, mi diverte il fatto che ora ti atteggi a re quando tutti sanno che hai abbandonato il ruolo da leader perché stai in parlamento. Sei un fottuto pagliaccio, zingaro.”
Chang rise di nuovo insieme ai suoi figli, due ragazzi alti e robusti che lo avevano accompagnato. Amabel era stufa di essere insultata perché era una donna e perché era la moglie di Tommy Shelby, e le risate schernitrici dei tre uomini le facevano montare dentro una rabbia feroce.
“Ho salvato l’inutile vita di tuo figlio, direi che dovresti avere almeno la decenza di tacere.”
Chang storse il naso a quell’affronto, nella sua famiglia nessuna femmina si era mai permessa di parlargli con tanta sfacciataggine.
“Tacere, e perché? Solo perché me lo ordina quella che si scopa uno sporco zingaro?”
Fu allora che Amabel strappò la pistola dalla mano di Johnny Dogs e la puntò contro il signor Chang. Tommy non rimase stupito dal gesto, piuttosto fu meravigliato di come la moglie impugnasse l’arma senza tentennare. La sua mano era ferma come quella di un cecchino.
“Smettila di zittirmi con gli insulti, altrimenti ti sparo dritto in faccia. La mia mira è discretamente buona.”
Nel magazzino era calato il silenzio, tutti gli occhi erano fissi sulla dottoressa che sembrava una leonessa in procinto di sbranare la preda. Chang sorrise divertito.
“Sei una donna, non hai le palle di sparare.”
“Lei non ha le palle, ecco perché è intelligente.” disse Tommy, e un certo orgoglio colorava la sua voce.
“Vaffanculo.” Grugnì Chang a denti stretti.
Fu allora che Amabel premette il grilletto. Il proiettile colpì il ginocchio del signor Chang, che cadde a terra lasciando una striscia di sangue sul pavimento lurido.
“Il prossimo te lo ficco in mezzo agli occhi.” disse lei.
Michael abbassò lo sguardo perché non riusciva a riconoscere in Amabel la donna amorevole e gentile di un tempo. Stare con Tommy aveva indurito il suo carattere e l’aveva resa simile a lui.
“Prendi tuo figlio e andate via da qui. Nessuna faida tra di noi. Considera la restituzione di tuo figlio come una tregua.” Disse Tommy, le mani in tasca, la sigaretta tra le labbra.
I figli di Chang raccolsero sia il padre sia il fratello, e soprattutto l’umiliazione della sconfitta.
“Siete dei maledetti.” Biascicò Chang, il viso bianco dal dolore.
Tommy sorrise, un ghigno che somigliava a quello che Lucifero doveva aver sfoggiato prima di cadere.
“Va in città e dì a tutti che Tommy Shelby è tornato.”
 
Amabel se ne stava seduta sul cofano della macchina, sventolandosi con un ventaglio che Diana le aveva portato dalla Grecia. Era pieno agosto, faceva caldo, ma soprattutto a disturbarla era l’afa soffocante.
“Bel.”
Tommy stava fumando mentre camminava verso di lei, il passo sicuro di un re che sa di aver conquistato ancora una volta il proprio regno.
“Michael prima ha distolto lo sguardo dopo che ho sparato.”
“Ti importa il giudizio di Michael?”
Amabel giocava con la fede, una vecchia abitudine ormai, e sospirò.
“Ho sparato ad un uomo senza alcun timore. Non ho provato pietà o senso di colpa neanche per un istante. Sono forse diventata un mostro?”
“No. Sei diventata una donna consapevole. Non sei solo un medico, una moglie e una madre, sei una donna che sa quello che vuole ed è disposta ad affrontare chiunque pur di far prevalere la propria persona. Hai sparato ad un topo di fogna, non ad un innocente. E poi hai colpito il ginocchio, io l’avrei colpito quantomeno nelle palle.”
Amabel rise e si morse il labbro perché avrebbe dovuto meditare ancora sulla faccenda, invece Tommy aveva già disciolto ogni dubbio.
“Grazie, Thomas.”
“Grazie a te per risolvere i casini della fottuta famiglia Shelby.”
“Sempre.”
“Torniamo a casa?”
Tommy tese la mano e Amabel l’afferrò con un sorriso.
 
Tre mesi dopo, novembre.
Tommy scrutava la folla mentre lo champagne gli rinfrescava la gola secca. Si trovava al party che Amabel e Ada avevano organizzato per inaugurare il ‘Laboratorio delle donne’, il centro per insegnare un mestiere alle donne di Birmingham e dintorni. Il laboratorio si ubicava nei pressi della chiesa di Saint Chad in modo che tutti potessero fare un’offerta oppure spargere la voce. Si sa, i parrocchiani hanno la chiacchiera facile. Amabel stava parlottando con suor Anne, una giovane donna che era ben disposta ad insegnare il ricamo in laboratorio.
“Ehi, cazzone.” Esordì Arthur, già al terzo bicchiere di chissà cosa.
“Arthur. – lo salutò Tommy – Che vuoi?”
“Ti ho visto col musone e ho pensato di farti compagnia.”
Diana e Finn ridevano così forte da far girare tutti gli invitati, ma nessuno osava spezzare la gioia di una giovane coppia. Charlie giocava con Karl a nascondino. Octavia, invece, sonnecchiava fra le braccia della madre. La bambina aveva i capelli castani della madre e le sue lunghe ciglia, ma aveva gli occhi azzurri del padre, un segno distintivo che fosse una Shelby.
“Non ho il musone.”
“Quelle due si faranno ammazzare. Tutti odiano le donne intelligenti.” Disse Arthur.
Tommy già ci aveva pensato che Ada e Amabel stavano per diventare un bersaglio. Molte delle donne che avrebbero ospitato potevano essere le figlie, le sorelle e mogli di uomini disposti a tutto pur di mantenere il controllo.
“Lo so.”
Arthur si lisciò i baffi, non vi erano residui di polvere bianca, ma il suo alito sapeva di alcol.
“Avresti dovuto impedirlo a tua moglie.”
“Se tu passassi cinque minuti con Amabel, capiresti che fermarla è impossibile. Parla sempre dei diritti delle donne, dell’indipendenza femminile, di libri e citazioni colte che a volte capisce da sola. Non posso fermarla, Arthur. Lei è il tipo di persona che serve a Birmingham. Amabel e Ada sono davvero in gamba, e impedire loro di fare qualcosa equivale ad affrontare la loro ira.”
Arthur ridacchiò, sapeva bene che Ada avrebbe puntato i piedi e avrebbe strillato fino a quando non sarebbe stata accontentata.
“E come pensi di proteggerle?”
Tommy finì lo champagne in una sola sorsata, il suo sguardo fisso su Amabel che sorrideva.
“Con i Peaky Blinders.”
“Ma non ti eri tipo ritirato?”
“Non in via definitiva. Sai che fine ha fatto Michael?”
Arthur si oscurò in viso, spense il sigaro nel posacenere e raccattò un altro bicchiere di champagne.
“E’ partito stamattina per New York.”
“Meglio così. Una nuova città lo aiuterà a schiarirsi le idee.” Disse Tommy, la sigaretta tra le dita.
“Non pensi di esagerare, Tom? Cazzo, Michael è uno di famiglia. Non vale la pena litigare col tuo stesso sangue per una donna.”
“Non si tratta di una donna qualunque. Si tratta della mia Amabel. E nessuno, tantomeno mio cugino, può rovinare il mio matrimonio.”
“Tom …”
Tommy liquidò il fratello con una pacca sulla spalla e si allontanò dal bancone, non aveva voglia di ribadire sempre lo stesso concetto, ovvero che sua moglie sarebbe rimasta sua fino all’ultimo respiro.
“Mi concedete questo ballo, signora Shelby?”
Amabel sorrise e si voltò verso Tommy che le stava porgendo la mano. Octavia ora giocava col figlio di Arthur, quindi accettò l’invito del marito senza remore.
“Ma che galanteria, signor Shelby. Voi riuscite sempre a stupirmi.”
Iniziarono a ballare sulle note del pianoforte che Diana stava suonando per deliziare gli ospiti. Amabel sentiva la mano calda di Tommy accarezzarle piano la schiena e si abbandonò a quel momento di pace, uno dei pochi nelle loro vite frenetiche. Posò la guancia contro la spalla del marito mentre continuavano ad ondeggiare a suon di musica.
“Cosa c’è che non va, Thomas? Lo percepisco che sei preoccupato.”
Quando Amabel sollevò il mento per guardarlo negli occhi, Tommy ne approfittò per rubarle un bacio.
“Niente. Sono solo stanco.”
“Non è vero, ma ne discuteremo a casa.”
Tommy d’istinto rafforzò la presa intorno al corpo di Amabel, voleva sentirla vicina il più possibile.
“Non è serata, Bel. Lascia perdere.”
Amabel avrebbe voluto insistere, ma lo sconforto negli occhi di Tommy la fece desistere.
“Va bene. Però ricordati che io ci sono sempre.”
“Lo so, amore. Lo so.”
 
Due mesi dopo, gennaio.
Quella domenica mattina Amabel si svegliò alle sei e mezzo del mattino. Era ancora piuttosto buio, fuori pioveva e sembrava che durante la notte avesse anche nevicato tanto era gelida l’aria. Tommy stranamente dormiva ancora, ciò significava che doveva essere rincasato tardi. Si infilò la giacca da camera e andò a controllare i bambini. Charlie dormiva con la boccuccia semiaperta e i capelli sparati sul cuscino, mentre Octavia dormiva a pancia in giù e col ciucciotto stretto fra le dita. Le venne in mente di regalarsi un bagno caldo, quindi baciò la fronte dei bambini e si chiuse in bagno. L’ultimo anno era stato frenetico tra il lavoro in clinica, il Laboratorio, il trasferimento di Diana e Finn in Galles, e di certo non era facile tenere a bada i Peaky Blinders.
Amabel si immerse nell’acqua calda e lasciò che ogni preoccupazione abbandonasse la sua mente.
“Bel.”
Riconobbe quella voce roca all’istante, l’avrebbe riconosciuta fra mille. Tommy la fissava dalla soglia del bagno, la sigaretta all’angolo della bocca, una tazzina di the fumante fra le mani.
“Thomas, buongiorno. Già fumi? Sento i tuoi polmoni maledirti.”
“Non sono di certo i primi a maledirmi.”
Amabel sorrise, quell’uomo aveva sempre la risposta pronta, ed era un aspetto che ammirava di lui.
“Vuoi unirti a me?”
“Speravo che me lo chiedessi.”
Tommy chiuse gli occhi quando il suo corpo spossato venne a contatto con il calore dell’acqua, voleva godersi quella sensazione gradevole. Amabel iniziò a massaggiargli i muscoli rigidi delle spalle, e ogni tanto ci scappava anche un bacio. Lui sospirava pesantemente a quelle attenzioni, solo Amabel sapeva come farlo sentire meglio.
“Dovresti farti controllare quella spalla, sento che il muscolo è troppo teso. Forse si tratta di un’infiammazione.”
“Tra il medico e la moglie la linea è sottile.” Disse Tommy, divertito.
“Simpaticone. – replicò lei – Io lo dico solo per il tuo bene.”
Amabel gli baciò un paio di cicatrici mentre faceva scorrere le dita fra le ciocche nere. Tommy odorava di fumo e whiskey combinati alla colonia, un odore che lei aveva imparato ad apprezzare col tempo. Tommy le accarezzò la coscia muovendo il dito come se componesse una parola.
“Eternamente tuo.” Sussurrò, posandole un bacio sul ginocchio.
Amabel lo abbracciò incrociando i polsi sul suo petto e gli sfiorò il lobo dell’orecchio con la bocca quando gli parlò.
“Maledetti siano i vostri occhi: m’hanno stregata e m’hanno diviso in due. Una metà di me è vostra, l’altra metà è ancor essa vostra.”
“Shakespeare. – disse Tommy – Lo hai letto il mese scorso.”
“Siete un ottimo osservatore, signor Shelby.”
Tommy sorrise e la guardò negli occhi, poi si avvicinò per baciarla. Fu un semplice tocco di labbra, una frase incompiuta ma in grado di comunicare molto.
“Osservo solo ciò che mi interessa.”
“Ah, quindi state ammettendo che siete interessato a me?”
Amabel adorava giocare, quel sorrisetto furbo sulle labbra, il sopracciglio flesso, e Tommy si faceva sempre coinvolgere.
“Sì, lo ammetto. Anzi, addirittura ammetto di essere innamorato perso di voi.”
Amabel aprì la bocca simulando una fasulla sorpresa e si portò le mani sul cuore, teatrale come solo lei sapeva essere.
“Signor Shelby, voi mi fate battere il cuore con simili parole!”
Tommy le prese la mano per baciarne il dorso delicatamente.
“Allora siate mia, signorina Hamilton.”
“Provate a prendermi.”
Amabel in una manciata di secondi uscì dalla vasca, indossò l’accappatoio e fuggì via. Tommy la trovò in cucina con un ghigno dipinto sulle labbra.
“Siete una preda difficile, signorina.”
“Oppure voi siete troppo lento.”
Amabel studiò la figura di suo marito, i capelli bagnati, le goccioline che scorrevano sul petto, l’asciugamano appoggiato intorno ai fianchi, e quell’espressione di sfida che lo caratterizzava.
“State mettendo a dura prova la mia pazienza. Se vi prendo, non ci sarà alcuna pietà per voi, signorina Hamilton.”
Tommy rise quando Amabel scappò di nuovo, ed era certo che l’avrebbe trovata in soggiorno. Infatti, sua moglie lo aspettava accanto al camino, ma balzò in piedi quando stava per prenderla.
“Non sarà così facile catturarmi, signore!”
“Avete intrapreso una strada tortuosa, mia cara.” Disse Tommy, e non smetteva di sorridere.
La risatina di Amabel riecheggiò mentre gli sfuggiva ancora una volta. Tommy andò nel suo studio, sicuro che lei fosse lì, e si sentiva come un adolescente alle prese con la prima cotta. Lei era capace di farlo sentire ancora felice, leggero, e soprattutto lo faceva sentire soltanto Thomas. Varcata la porta, vide che Amabel si era seduta sul divanetto e sorrideva. Tommy le mise le mani sulle spalle e le baciò i capelli bagnati.
“Trovata.”
“Tu mi troverai sempre, Thomas.”
Amabel lo attirò a sé per baciarlo con passione, ormai il tempo dei giochi era finito. Tommy la fece posizionare sul proprio bacino e le abbassò l’accappatoio sulle spalle per baciarle il collo. Uno si spingeva contro l’altro perché la brama di sentirsi vicini li consumava. Ben presto furono nudi, le mani che imprimevano carezze di fuoco, labbra che mordevano e succhiavano, e tutta pelle accaldata che si mescolava. Lo studio si riempì di gemiti mentre loro perseveravano in quell’abbraccio languido.
“Amabel.”
Amabel si spaventò quando Tommy usò il suo nome completo, lo faceva solo nelle occasioni disperate. Difatti, nei suoi occhi azzurri vagava un sospetto sentimento di paura.
“Sì?”
“Tu mi ami, vero?”
In quelle semplici parole c’era tutto il peso di un uomo schiacciato dal tormento, torturato dai propri demoni, e che ogni giorno faticava per restare vivo.
“Certo che ti amo.”
Amabel gli diede un bacio carico di dolcezza, voleva fargli sentire il proprio sostegno. Tommy avvinghiò le braccia intorno a lei come fosse l’unica speranza di vita. Sembrava un bambino terrorizzato.
“Resta con me.”
“Sono qui. Sono sempre qui.”
Amabel lo strinse come avrebbe fatto con i figli, un abbraccio materno che a Tommy mancava da anni. Lei non era soltanto sua moglie, era l’unica persona in grado di scorgere le sue crepe e di ripararle. Ma per riparare ai danni di Tommy c’era bisogno di una mole spropositata di pazienza e amore, e Amabel temeva di non riuscire a tenere il passo.
“Sono un fottuto casino, Bel.”
“Sì, sei un casino enorme, però sei anche un casino piuttosto affascinante.”
“Ah, grazie.”
Finalmente Tommy ridacchiò e Amabel gli stampò un bacio sulla bocca.
“Sei tanto bello quando ridi, Thomas.”
“Tu, invece, sei bella sempre.”
“Le senti le farfalle che sbattono le ali nel mio stomaco?” scherzò lei, scatenando una risata generale.
“Dirò ad Arthur di non farti più bere whiskey.”
Amabel gli fece la linguaccia e poi scoppiò a ridere.
“Sei un guastafeste! Comunque, che ne dici di fare colazione?”
Tommy controllò il pendolo che segnava le sette e cinque, era ancora presto e loro potevano ancora approfittare di quei momenti di solitudine.
“L’unica cosa che voglio adesso è stare in mezzo alle tue gambe.”
“Thomas!” lo rimproverò lei.
Tommy trovava ilare che sua moglie provasse vergogna, ma del resto era pur sempre una donna dabbene cresciuta nell’alta società e non era avvezza a quel tipo di espressioni.
“Sta zitta e baciami.”
Amabel non se lo fece ripetere due volte e ingaggiarono l’ennesimo bacio passionale. L’ora successiva trascorse tra risatine, confessioni e gemiti.
 
Un mese dopo, febbraio.
Diana stava servendo dei crostini preparati da Jalia con il sorriso più cortese di cui disponesse. L’intera famiglia Shelby, i Lee, Jalia, la signora Miles e qualche altro amico di famiglia si erano riuniti all’orfanotrofio per festeggiare il primo compleanno di Octavia. Amabel pensava che fosse giusto portare un po’ di festa anche tra i quei bambini.
“Ciao.”
Voltandosi, Diana incontrò il sorriso di Milos. Non si vedevano da tempo ormai, ma il ragazzo non era affatto cambiato, eccezione fatta per i capelli più lunghi.
“Ciao anche a te. Sei qui con Johnny?”
“Sì. Non vuoi avermi tra i piedi?”
La ragazza arrossì per l’imbarazzo. Milos non aveva perso la cattiva mania di guardarla con quei suoi occhi magnetici.
“Vuoi un crostino?”
“No, grazie. Senti, Diana, lo so che le cose tra di noi sono andate … male, però vorrei che non ci fossero rancori.”
“Nessun rancore. Anzi, ho sbagliato io a farti credere che ci fosse qualcosa tra di noi.”
Milos sorrise, ma non sembrava compiaciuto come suo solito.
“Lo sapevo. Si vedeva chiaramente che sei innamorata di Finn. E’ un ragazzo fortunato ad averti.”
“G-grazie.” Balbettò lei, vergognosa.
“So che vi siete trasferiti in Galles. Com’è?”
“E’ bellissimo. Mia zia ha un casolare stupendo e Finn si sta adoperando per renderlo un maneggio adatto ai cavalli. Io sto studiano veterinaria a Londra, quindi faccio su e giù tra il Galles e l’Inghilterra.”
“Sembri molto felice.” Disse Milos, e una vena di tristezza gli pungeva la gola.
“Sono felice.” Lo corresse Diana.
“Diana, vieni a darmi una mano!” la richiamò Lizzie dalla cucina.
“Va pure. E buona fortuna per tutto.”
Diana serrò le dita intorno ai manici del vassoio e sorrise con la convinzione di chi ha solo da guadagnarci dalla vita.
“Grazie, Milos.”
Amabel dondolava Octavia sulle ginocchia mentre fissava con insistenza l’ingresso dell’orfanotrofio. Tommy era in ritardo. Arthur era lì, perciò lui doveva trovarsi da solo chissà dove.
“Arriverà.” Disse Polly, seduta accanto a lei con un bicchiere di champagne.
Come se fosse stato evocato, Tommy superò il portone e salutò Charlie che stava giocando con alcuni bambini. Amabel andò dritta verso di lui con la preoccupazione che si dibatteva in lei.
“Thomas, stai bene?”
Tommy la ignorò del tutto, prese Octavia in braccio e la strinse a sé.
“Buon compleanno, stellina.”
La bambina lo abbracciò a sua volta, gli occhi azzurri che guardavano il padre con tutto l’amore del mondo. Amabel sorrise d’istinto.
“Possiamo parlare?”
Tommy consegnò Octavia alle cure di Polly e seguì Amabel in giardino, al riparo dalla curiosità degli ospiti.
“Che succede? Perché sei venuto in ritardo?”
Sul balcone faceva freddo, Amabel tremava e Tommy le accarezzò le braccia per scaldarla.
“Perché ho visto un medico. Sono andato dal terapeuta che mi hai consigliato.”
“Senza di me? Credevo che volessi andarci insieme.”
“No. – disse Tommy – E’ una cosa che devo fare da solo. Ho bisogno di farla da solo. Devo fare un po’ di ordine nella mia testa prima di condividere la cosa con te. Mi capisci, vero?”
Amabel annuì, benché piuttosto delusa per essere stata messa da parte, ma sapeva che in fondo era giusto così.
“Certo che ti capisco. Per me conta solo che tu stia bene.”
“Grazie.”
Tommy ora la guardava con una strana luce degli occhi tanto da farla arrossire.
“Perché mi guardi così, Thomas?”
“Perché ho una moglie splendida.”                                                             
Amabel si strinse nelle spalle, sia per il freddo sia per l’imbarazzo, e scosse la testa.
“Mi sa tanto di sviolinata prima di annunciare una catastrofe. Che hai combinato?”
 Tommy l’afferrò per i fianchi e l’avvicinò per stamparle un bacio sulla bocca.
“Niente. Sono solo felice di averti con me.”
Amabel stava per ribattere quando il suo sorriso si spense di colpo. In giardino, appena sceso da un’auto, c’era Oliver con un mazzo di rose in mano.
“Oh, cielo!”
 
Oliver era appena giunto a destinazione su invito di Polly e Ada. Le due donne lo avevano tartassato di lettere e telefonate per persuaderlo ad essere a Birmingham per il compleanno di Octavia. E lui alla fine aveva ceduto perché la voglia di rivedere la sua migliore amica superava l’orgoglio. Dopo aver fatto i primi due scalini, vide Amabel camminare verso di lui con passo lento. Sul volto della donna si alternavano stupore e paura.
“Oliver, tu … che ci fai qui?”
“Sono venuto per Octavia, so che oggi compie un anno. Oh, queste sono per te!”
Amabel accettò le rose con un cenno del capo, non riusciva a spiccicare parola tanto era forte l’emozione.
“Mi manchi tanto, Amabel. So di averti ferita e non me lo perd- …”
Oliver fu bloccato dalle braccia di Amabel che lo avvolgevano in un caloroso abbraccio. Si erano mancati a vicenda.
“Ti voglio bene, Olly. E ti perdono tutto. Ti prego di perdonare anche me.”
“Sei perdonata. Ti voglio bene anche io, amica mia.”
Tommy, i gomiti posati sulla balaustra, si accese una sigaretta mentre osservava i due amici ricongiungersi.
“Sembra che quei due non riescano a stare lontani.” Commentò Polly, palesandosi al suo fianco.
“Almeno ora Bel ha il cuore in pace. Stava male per la perdita di Oliver.”
Polly gli aggiustò il colletto della giacca con fare materno, stessa azione che ripeteva da quando lui era piccolo.
“E tu come stai?”
Tommy gettò un’occhiata a Charlie e Octavia che mangiavano la torta, ridevano allegramente.
“Io me la cavo. La vita mi ha dato Bel, Charlie e Octavia, quindi direi che sta bilanciando la merda della guerra. Non posso perdere la mia famiglia.”
“Lo so, ed è per questo che dovrai rigare dritto. Se Amabel ti pianta, Thomas morirà per sempre. Negli ultimi tre anni ho rivisto il ragazzo di un tempo, quello prima della Francia. Ti ho visto ridere di nuovo, scherzare, aprire il tuo cuore ad una donna, e ho visto che i ricordi della guerra ti fanno meno male. Io conosco il vero Thomas e sono felice che stia tornando pian piano.”
Era proprio questo il miracolo che si era compiuto in quegli anni: il Thomas sepolto dal dolore stava emergendo, stava lottando per tornare ad essere il ragazzo di una volta, quello che imitava le voci, che sapeva ridere, quello che sapeva vivere. E Amabel riusciva a tirare fuori il meglio di lui. Eccetto la sua famiglia, soltanto Amabel lo conosceva davvero. Conosceva i suoi abissi e vi navigava senza timore.
“Tommy Shelby non mi lascerà mai, ma almeno a porte chiuse Thomas potrà esserci.”
Polly gli baciò la guancia e gli sistemò una ciocca di capelli, l’affetto che provava per suo nipote era pari a quella che provava per suo figlio.
“Bravo il mio ragazzo.”
 
Amabel si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Aveva il respiro accelerato come se avesse corso per chilometri. Invece, aveva fatto un incubo in cui stava scappando dalle bombe. Il letto era vuoto, Tommy doveva essersi svegliato tempo prima. Decise di andare a dormire nella stanza dei bambini in modo da riempirsi la testa con i loro visini dolci per spazzare via l’angoscia del brutto sogno. Si allarmò quando si accorse che Octavia non era nella culla, mentre Charlie sonnecchiava abbracciato al suo orsetto di peluche. Si precipitò al piano di sotto per avvisare Tommy, ma si commosse quando vide che padre e figlia dormivano sul divano. Si sedette sulla poltrona per ammirare quella scena assai tenera: Octavia dormiva con la schiena contro il petto di Tommy e la sua manina stringeva il dito del padre.
“Bel.”
Tommy sbatté le palpebre e nell’oscurità scorse l’ombra di sua moglie. 
“Scusa. Siete così belli e non volevo svegliarvi.”
“Tranquilla. Quando mi sono alzato Octavia cercava di uscire dalla culla, quindi l’ho presa per farla addormentare.”
“Tua figlia è ribelle come te.” disse Amabel sorridendo.
Tommy si mosse con cautela, anche se la bambina aveva il sonno profondo, e si mise seduto sul bracciolo del divano.
“Tu perché sei sveglia?”
Amabel si agitò sulla poltrona, di solito era lui ad avere gli incubi e lei lo consolava.
“Brutto sogno.”
“La guerra?”
“Sì. – ammise lei – Nel sogno scappavo dalle bombe. Correvo su un campo minato. Però adesso è passato, sto bene.”
Tommy conosceva la sensazione di stravolgimento causato da un incubo, ecco perché non credette a quella bugia. Amabel si inginocchiò accanto a Octavia per accarezzarle la guancia paffuta, sembrava un angelo mentre dormiva tutta rannicchiata sotto la copertina.
“Noi non stiamo bene, Bel.”
“Shh, non dire così. Abbiamo Charlie e Octavia, quindi stiamo più che bene.”
Tommy si spostò nello studio per fumare, aveva bisogno di allentare l’improvvisa tensione che gli gravava sulle spalle. Era così perso nei suoi pensieri da non accorgersi di Amabel che lo abbracciava da dietro.
“Che hai, Thomas?”
Tommy si stropicciò gli occhi arrossati dalla stanchezza. Neanche il fumo era d’aiuto.
“Oggi il terapeuta mi ha fatto parlare di Grace, come mi fa sentire averla persa. Mi è capitato di sognarla ultimamente.”
Amabel ghiacciò sul posto. Lo costrinse a voltarsi e nel suo sguardo lesse una determinazione irremovibile.
“Perché non me lo hai detto? Avrei potuto aiutarti magari.”
“Perché mi sembra brutto parlare con te di Grace. Con quale coraggio dico a mia moglie che sogno una donna che ho amato?”
Tommy si scostò e si appoggiò allo scrittoio con i pugni, era sfinito e la sua mente non voleva dargli tregua. Amabel gli accarezzò la schiena nuda con dolcezza.
“Thomas, va tutto bene. Noi non siamo una coppia normale, abbiamo sfide da affrontare che gli alti non hanno e va bene così. Grace non è solo la donna che un tempo amavi, è anche la madre di Charlie. E io amo quel bambino come se fosse mio, quindi è bene parlarne.”
“Polly mi ha detto tutto. Mi ha detto che hai paura di essere la brutta copia di Grace e che io possa ancora essere innamorato di lei. E’ vero?”
Amabel sospirò e annuì, anche se lui le dava ancora le spalle.
“E’ vero. Tu e Grace siete stati una bella coppia, vi siete mollati e ripresi, ancora mollati e ripresi, e certi amori non si dimenticano. Per di più è stata la prima donna a darti un figlio.”
Tommy allora si voltò e il suo sguardo si addolcì nel vedere Amabel stretta nelle spalle, con l’espressione di una bambina spaurita.
“La mia storia con Grace è stata importante, ci siamo amati e odiati ma siamo sempre stati insieme. E sì, è stata la prima a rendermi padre. Non potrò dimenticarla mai perché è stata una parte fondamentale della mia vita.”
“Lo so. – interruppe Amabel – Io non ti chiedo di dimenticarla, non potrei mai. E’ solo che … che …”
“Che hai ancora paura.” Concluse Tommy.
Amabel si appoggiò allo scrittorio passandosi le mani fra i capelli, era ancora turbata dall’incubo e quella conversazione stava peggiorando le cose.
“E’ solo che ti amo troppo per perderti, Thomas. Non posso stare con te se il tuo cuore pensa ad un’altra donna.”
“Non c’è nessun’altra donna. Ci sei tu, Bel. Ci sei sempre stata. Greta è stato il mio primo amore, giovane e allegro, e dopo di lei credevo che non avrei mai più amato. Poi ho conosciuto una ragazzina che faceva la dottoressa e mi ha salvato la vita, dandomi la speranza di andare avanti. E’ stato allora che ho capito che in qualche modo io e te ci saremmo ritrovati. E mentre ti aspettavo ho incontrato Grace, ci siamo innamorati e abbiamo avuto un figlio. Cose che capitano di continuo.”
“Non direi proprio.” Ridacchiò Amabel.
Tommy le sfiorò la fronte con le labbra e le prese le mani.
“Ho amato molto Grace, davvero molto, e la sua morte mi ha distrutto. Però oggi sono qui, vivo, con due splendidi figli. E sai perché? Perché io stavo aspettando te, Amabel. Io ho sempre aspettato che quella dottoressa tornasse per salvarmi di nuovo. Sei arrivata, mi hai stravolto e sono diventato tuo marito. Tu non sei la brutta copia di Grace perché di Grace c’è n’è una sola. Tu sei Amabel Hamilton, sei unica e sei la donna della mia vita.”
“Oh, Thomas …”
Tommy le sollevò il mento con le dita e le stampò un bacio sulla bocca.
 “Stasera Polly ha detto che finalmente riesce a vedere il vecchio Thomas. Grazie a te sono tornato a ridere, a vivere decisamente meglio, e mi rendi felice. Tu e i bambini avete migliorato la mia vita di merda.”
“E hai paura di perdere tutto.” continuò Amabel per lui.
“Stasera alla festa ho capito che io non valgo niente senza di voi. Sento di nuovo di essere Thomas e non voglio che questa sensazione se ne vada.”
Amabel provò un moto di tremenda dolcezza per Tommy. Per quanto agli occhi della città fosse un uomo spietato, per lei restava quel ragazzo ammiccante che aveva conosciuto dieci anni prima. Era palese che la seduta col terapeuta stesse facendo emergere le sue paure ed era una cosa che detestava perché sentiva di star perdendo il controllo.
“Tesoro, tu non perderai me e i bambini. Noto che la tua mente è stata messa a dura prova e ora la terapia porta a galla le tue emozioni. Stai solo reagendo alla terapia. Anche io mi sentivo così quando Oliver era il mio psicologo, e fa parte del processo di guarigione. Tu hai bisogno di guarire, Thomas.”
Tommy posò la fronte sulla spalla della moglie e inspirò il suo profumo, un miscuglio di lavanda e crema per bambini.
“Sì, hai ragione. Ho bisogno di guarire.”
“E per la questione di Grace, ti prometto che non avrò più alcun timore. Mi fido di te.”
Tommy per un istante rivide la ragazzina di venti anni che lo aveva curato, giovane e intimorita, ma pur sempre salda nelle sue scelte.
“Bene così.”
“Dovremmo andare a dormire. Octavia non può passare la notte sotto quella copertina leggera.” Disse Amabel.
Fece per alzarsi quando Tommy le avvolse le braccia intorno ai fianchi. Le diede un bacio sul ventre che fece rabbrividire Amabel.
“E se riportassi Octavia in camera sua e poi tornassi qui?”
Tommy si era già abbassato a baciarle il collo mentre le sue mani vagavano sotto la camicia da notte per toccare le cosce della moglie.
“Mio marito ha in mente qualcosa?”
“Ti voglio addosso per tutta la notte.”
Bel lo attirò un bacio passionale, mordendogli il labbro e accarezzandogli le spalle muscolose.
“Allora ti aspetto.”
Tommy le regalò un sorriso colmo di malizia prima di tornare in salotto per occuparsi della bambina.
 
Tre mesi dopo, maggio.
Amabel si riparò gli occhi dalla luce mentre tentava di leggere il telegramma speditole da Diana. Era un sabato mattina soleggiato, faceva abbastanza caldo, e il rumore del mare era un suono piacevole. Tommy aveva deciso di portare la famiglia ad Exmouth per trascorrere una giornata lontano dalla clinica e dal parlamento, e soprattutto dai Peaky Blinders. Octavia e Charlie costruivano castelli di sabbia con l’aiuto del papà, che sembrava piuttosto bravo nella realizzazione delle torri.
“Diana scrive che all’università sta andando bene e che Finn si impegna molto per il maneggio. Scrive anche che ad agosto verranno a trovarci per comunicarsi una notizia importante. Secondo te hanno già comprato un cavallo?”
Tommy lanciò un’occhiata obliqua a sua moglie, alle volte sapeva essere davvero ingenua.
“Si sposano.”
“Come, scusa?”
“Due settimane fa ho beccato Finn a Londra che girovagava tra le gioiellerie. Abbiamo comprato insieme un anello di fidanzamento, quindi suppongo che quella sera stessa le abbia fatto la proposta.”
Amabel lo colpì alla nuca con il cartoncino del telegramma.
“Due settimane?! Finn vuole chiedere la mano di Diana e tu non me lo dici? Miseriaccia, Thomas!”
“Non prendertela con me. Finn mi ha fatto giurare di non dirti niente perché temeva che tu glielo avresti impedito. E non dire di no! Lo sappiamo tutti che per te lo studio viene prima di tutto, soprattutto del matrimonio.”
“Papà!” esclamò Octavia tuffandosi fra le braccia del padre.
Charlie, dal canto suo, andò a farsi coccolare da Amabel.
“Diana ha solo diciannove anni! Il matrimonio è alquanto precoce!”
“Bel, il fatto che tu ti sia sposata a ventinove anni non implica che anche per tua sorella sia così.” Disse Tommy.
Amabel si fece abbracciare da Charlie per trovare conforto.
“Stai dicendo che mi sono sposata da vecchia? Ti ricordo che tu hai trentasette anni!”
“Questo che diavolo c’entra? Stai accampando scuse stupide per non far sposare tua sorella.”
Octavia si staccò dal padre e tornò a giocare con la sabbia, subito seguita anche da Charlie. Amabel si alzò e si scrollò i granelli dalla gonna con fare nervoso.
“Non ti avvicinare a me, Shelby! Traditore!”
Tommy rise per quell’indole infantile della moglie che riusciva ad oscurare anche quella dei figli.
“Ah, sì? Eppure l’altra notte mi pregavi di avvicinarmi tra un gemito e l’altro.”
“Thomas! Ci sono i bambini!” lo incalzò lei, schiaffeggiandogli il braccio.
Tommy le tirò un lembo della gonna per gioco, era divertente prenderla in giro.
“Quanto sei carina con le guance arrossate!”
“Smettila! Ti picchio con il rastrello!”
Amabel raccattò il rastrello dei bambini e lo brandì come fosse un’arma mortale.
“Provaci!”
Tommy incominciò a indietreggiare fino a quando si mise a scorrazzare verso la riva. Amabel lo rincorse ridendo a crepapelle, si sentiva più piccola di Charlie. Difatti, anche i bambini si misero a strillare e a correre per tutta la spiaggia. Amabel inciampò e cadde addosso a Tommy. Si ritrovarono l’uno sopra l’altro con le onde che gli coprivano d’acqua.
“Mi hai preso.” Disse Tommy, sorridente.
Amabel si sistemò a cavalcioni e gli puntò il rastrello alla gola, ma continuava a ridacchiare senza sosta.
“Sei mio prigioniero.”
Octavia e Charlie si buttarono su di loro, le loro risate cristalline creavano una perfetta sintonia con il mormorio delle onde. Tommy fu sopraffatto dalla felicità in quel momento, con la sua famiglia riunita, con il divertimento come motivo-chiave di quella giornata.
“Gelato! Mamma! Gelato!” strillò Octavia indicando un carretto dei gelati.
“Volete il gelato, piccoli? Andiamo!”
Tommy riuscì ad alzarmi e Amabel gli spazzolò la camicia per eliminare i residui di sabbia, però restavano comunque bagnati e spettinati. I bambini si stavano già incamminando verso il carretto mentre decidevano quale gusto scegliere.
“Credi che Diana mi chiederà di essere la sua testimone di nozze?” domandò Amabel.
Tommy le circondò le spalle con il braccio e le baciò la tempia, poi fece incastrare le loro dita.
“Credo di sì. Allora, gelato al gusto nocciola?”
“Mi conosci troppo bene, Thomas.”
 
 
Un anno dopo, marzo 1926.
Amabel stava scribacchiando degli appunti sul nuovo paziente arrivato in clinica. Aveva passato la giornata al Laboratorio con Ada per conoscere le nuove donne iscritte e per salutare quelle abitudinali, e poi in tarda serata era andata in clinica per il consueto giro di visite. Al suo ritorno, all’incirca le nove di sera, Jalia aveva già messo a letto i bambini. La ragazza era la governante della casa e la tata di Charlie e Octavia, Amabel aveva piena fiducia di lei ed era bello ritrovare un’amica dopo una lunga giornata. Tommy le aveva addirittura comprato un piccolo appartamento a pochi isolati da casa loro per dimostrare a Jalia che lei prima di tutto era una di famiglia.
Amabel trasalì quando scattò la serratura della porta principale. La testa di Tommy fece capolino un secondo dopo.
“Bel, sono l’una e un quarto del mattino. Lavori ancora?”
“Anche tu lavori ancora. E poi volevo aspettarti.”
Tommy si liberò del soprabito, si sbottonò il panciotto e la cravatta, e si versò del whiskey. Era stata una giornata tremenda, di intenso lavoro e ricca di pranzi di affari. Voleva solo dimenticare tutto e riposare. Appena si sedette sul divano, Amabel prese posto sulle sue gambe e lo intrappolò in un bacio famelico.
“Ti sono mancato così tanto?”
Tommy le diede una pacca su sedere che fece sussultare la moglie, ma questa volta non lo rimproverò.
“Sai giorno è oggi? Intendo dopo la mezzanotte.”
“Sì, oggi è l’undici marzo. Non capis … oh, certo. E’ il nostro anniversario ufficiale.”
“Ci siamo conosciuti esattamente dieci anni fa.”
Tommy lasciò il bicchiere sul tavolino da caffè e avvolse le braccia intorno ad Amabel per sentirla vicina. Si allungò per frugare nella tasca interna della giacca e tirò fuori il fazzoletto ricamato che Amabel gli aveva donato anni prima.
“E che vi dice che io non sia un cavaliere? E voi, voi siete sicura di non essere una donzella in pericolo?”
“In pericolo vi troverete voi se non terrete quella bocca chiusa, sergente maggiore Shelby. Sono una donna, mica una stupida.”
“Siete una splendida donna.”
Gli occhi di Amabel si fecero lucidi perché quelle erano le prime battute che si erano scambiati dieci anni prima.
“Ci contreremo ancora, dottoressa?” aggiunse Tommy, replicando la stessa domanda.
“Chissà.”
Anche Tommy aveva gli occhi che pizzicavano per l’emozione. Per un istante furono di nuovo in Francia, lei giovane dottoressa inesperta e lui soldato spericolato, due mondi opposti che collidevano inaspettatamente.
“La mia donzella.”
Amabel scacciò le lacrime con una risata, sebbene un groppo in gola le impediva di parlare.
“Ehm … prima stavo leggendo il diario di mia madre che Diana mi ha portato a Natale. All’ultima pagina c’era una nota scritta di pugno suo: ricordate che al tramonto segue sempre una nuova alba, perché non c’è oscurità che riesca ad annullare la luce.
“Tu sei la mia luce, Bel?”
“Solo se tu sei la mia, Thomas.”
Si baciarono con un tale sentimento che avrebbero fatto impallidire l’amore decantato per secoli dai poeti.
“Ti amo.” Disse Tommy.
“Ti amo anche io.” Disse Amabel.
E per quanto Birmingham fosse tenebrosa, loro avrebbero sempre trovato conforto l’uno nella luce dell’altra.
 
 
 
Salve a tutti! ^_^
Eccoci giunti alla fine di questa avventura.
Ho voluto mostrare chi è davvero Tommy aldilà del gangster. Credo sia stato giusto far vedere la sua parte più umana, quella che è morta in Francia e che io ho voluto recuperare perché questo personaggio è quello che è grazie alla sua fragilità. Alcuni di voi potrebbero trovare il mio Tommy diverso e opposto a quello della serie tv, ma in verità ho voluto scrivere del Tommy prima della guerra perché è un argomento che ha suscitato il mio interesse.
Detto questo, GRAZIE A VOI CHE SIETE STATI CON ME E AVETE SEGUITO LA STORIA.
Un grande abbraccio,
La vostra Lamy__
 
PS. HO INTENZIONE  DI TORNARE CON UNA NUOVA STORIA  SU PEAKY BLINDERS (STO GIA’ LAVORANDO ALLA TRAMA), NON VI LIBERETETE DI ME! SPERO CHE CI SARETE ANCORA.
 
 
 

 
  
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