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Autore: Rosmary    15/03/2020    11 recensioni
{Missing Moments della long Paradiso perduto | Spoiler Alert se non si è arrivati al Capitolo Otto della longfic}
Viversi non è come immaginarsi, una scoperta tanto ovvia da riuscire a travolgere.
Solo questa notte.
Lo ripete a oltranza a se stesso, lo ripete anche lei a se stessa – un mantra per non cedere a illusioni venefiche e frantumare un equilibrio divenuto sottile.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Sirius Potter, Lorcan Scamandro, Rose Weasley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Paradiso perduto'
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Spoiler Alert: il racconto contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Otto di Paradiso perduto.

 

F R A N G I B I L E
 
Agosto 2022
 
Il silenzio non ha mai avuto un sapore tanto seducente – nulla ha mai avuto questo sapore.
Il soffitto incantato che sfoggia la volta stellata illumina un buio solo apparente, la camera annerita dalla notte riesce a brillare di una luce intima, sussurrata, invisibile a chiunque non siano i due corpi sudati tremanti fiaccati che occupano uno dei due letti presenti – le lenzuola tutte sgualcite, l’aria satura di odori nuovi.
Lorcan la osserva senza avvertire il bisogno di dire qualcosa, ma invaso dal desiderio di non lasciarla andare, seguitare a carezzarle la schiena nuda, sfiorarle il naso con il proprio, respirare sulla sua bocca arrossata e schiusa, che osa baciare ancora una volta, soggiogato dalla spontaneità con cui lei si abbandona all’ennesimo assaporarsi, viversi – esserci.
Solo questa notte.
Lo ripete a oltranza a se stesso, lo ripete anche lei a se stessa – un mantra per non cedere a illusioni venefiche e frantumare un equilibrio divenuto sottile.
Le mani di Rose che si arrischiano tra capelli e petto riescono a incastrarlo in uno stato di tensione perenne, obbligandolo a relazionarsi con un’inedita sensazione di eccitata spossatezza.
La bacia a fior di labbra più volte prima di rassegnarsi a salutare l’intimità, tuttavia non rinuncia a incrociarne gli occhi cristallini quando le palpebre si sollevano alla ricerca delle iridi scure.
La guarda cedere alla stanchezza assonnata, abbandonarsi tra le sue braccia, e pensa di non aver mai goduto di un’immagine più bella. Lento, si solleva di poco per scacciare gli umori con la bacchetta e coprire entrambi con il lenzuolo, curandosi di rimboccarlo sulla sua spalla.
Così assurdo – e perfetto.
Sono mesi, ormai, che ha fatto i conti con se stesso, ammesso di non riuscire a guardarla con occhi innocenti da amico, a immaginarla accanto a un altro senza soffrirne, ad averla vicino senza desiderare di più. Mesi in cui s’è detto di non poterlo fare, di non esserne capace, di essere pervaso dalla paura e se l’avesse fatta soffrire, e se lei non vedesse che un amico in lui, e se fosse andata male? Troppi rischi timori incognite per avventurarsi in quella foschia e rischiare di perderla, si sarebbe accontentato di esserle amico e condividere con lei ogni granello concesso.
Ma ora.
Viverla non è stato come immaginarlo, è stato implosivo, un’eccitazione emotiva, fisica, mentale che lo ha travolto sin dentro le ossa. Si è chiesto se l’amore sia questo, specchiarsi e abbandonarsi completamente in un’altra persona – ha scelto di non rispondersi.
La conosce così bene che fatica a crederle, le parole messe in fila per persuaderlo gli sono parse artefatte, maschere di verità taciute. Eppure, un’insicurezza sconosciuta gli impedisce di affidarsi totalmente all’istinto e smascherarla – potrebbe essere in errore, lei potrebbe non volerlo.
S’addormenta con la fronte accostata a quella di Rose, una mano stretta nella sua e l’altra ad avvolgerle la schiena.
È lei la prima a destarsi. L’aria ancora resistente alla calura e il soffitto incantato immerso in una luminosità bianchiccia le suggeriscono che l’alba si sia affacciata da poco sul tetto del mondo.
Così giusto – e bello.
Le labbra corrono a sorridere non appena gli occhi sfiorano il viso a pochi soffi dal proprio. La mano che riposa sul suo petto si muove delicata sino alla mascella e alla guancia e alla fronte, percorrendo quei tratti sopiti e rilassati. Un tremore la sorprende ancora una volta all’idea di essere lì, nel suo letto, stretta a lui, nudi, fuori dal mondo. Si concede un piccolo peccato – l’ultimo si dice – e abbandona un bacio casto sulla sua bocca.
Lo ha immaginato così tante volte che ora le sembra irreale. Irreale che Lorcan abbia accondisceso, che l’abbia desiderata, che l’abbia amata per una notte intera.
Vorrebbe confessargli ciò che prova per lui, il motore che l’ha mossa nella sua direzione, ma non vuole che avverta pressione, costrizione, imbarazzo – non vuole che possa sentirsi in obbligo, incastrato in una relazione né cercata né voluta. In fondo, lei lo sa bene, è sempre stato uno spirito libero, avverso ai sentimenti.
Eppure.
Non ha alcuna esperienza, ma quanto hanno condiviso non le è parso meccanico, arido, un mero sfogo del corpo, le è anzi parso appassionato – e attento e presente e voluto –, e benché ci provi non riesce a evitare di chiedersi se queste sensazioni provate possano indurla a sperare.
Si alza lenta, attenta a non turbare il suo sonno. Quando raggiunge la cucina è ormai trascorsa un’ora, il sole è più alto nel cielo e uno strano vuoto è calato dentro di lei.
Decisa a resistere alla tentazione di sdraiarsi di nuovo accanto a lui e svegliarlo con baci esigenti, sceglie di armeggiare ai fornelli.
Lorcan è lì che la trova quando s’affaccia oltre l’uscio della cucina: le mani impiastricciate, la puzza di bruciato e un caos imbarazzante su ogni ripiano presente. Sorride prima ancora di annunciarsi, si bea del suo corpo avvolto nel leggero abito estivo e infine l’avvicina furtivo per stringerla a tradimento, ridendo quando Rose sobbalza e gli rifila un colpo di mestolo sulle mani allacciate sul suo ventre.
“Perché mi distruggi la cucina?”
“Volevo preparare i pancakes.”
Lorcan amplia il sorriso e le bacia la guancia, esaltato dalla vicinanza ritrovata, dalla sua schiena abbandonata contro lo sterno – decide in fretta che ama ancora di più questa morsa, è intima.
“Vuoi i pancakes?”
“Ci piacciono.”
“Mamma mi ha lasciato i viveri, ci sono anche i nostri pancakes.”
Rose ingoia a vuoto, è sicura di avere il volto arrossato e accaldato – si sprona a focalizzare i pensieri su cose futili, i professori i compiti l’orrendo gnomo da giardino di zia Angelina…
Torna a respirare a pieni polmoni quando Lorcan si allontana e con pochi colpi di bacchetta ripulisce lei e l’ambiente e serve in tavola la colazione. Ma trova il coraggio di incrociarne gli occhi scuri solo quando le tende la mano per invitarla a sedersi assieme a lui.
Istintiva, chiude le dita attorno alla catenina che indossa da poche ore, Lorcan segue il movimento assalito a sua volta da un lieve rossore.
“Sei sicuro? È un regalo di tua madre.”
“Su di te è più bella.”
“Lor...”
“Dolcezza, è tua, non essere petulante.”
Perché vorrebbe chiedergli, ma si limita a sorridergli chinando lo sguardo su dei pancakes non bruciacchiati e non pessimi come quelli improvvisati da lei.
“Stai bene?” chiede Lorcan.
“Sì,” risponde. “Forse sono solo un po’ indolenzita, però...”
“Sono stato brusco,” si accusa precipitoso. “Perché non mi hai fermato?”
Rose un po’ trema nel vederlo così rabbioso con se stesso – i pugni serrati sul tavolo, la mascella contratta. No, non vuole che crei convinzioni fallaci, e corre a stringere quelle mani in tensione e a pretenderne lo sguardo.
“Non sei stato brusco, sei stato… È stato perfetto.”
“Ma sei...”
“Credo sia normale…”
“Ma dove ti fa male?”
“Sono solo un po’ indolenzita.”
Lorcan annuisce e si sforza di rivolgere un sorriso imbarazzato a quegli occhi che tentano di rassicurarlo. È ridicolo che sia lei a doverlo rassicurare, ma il subbuglio dentro di lui è tale da indurlo a oscillare tra senso di protezione e d’appartenenza.
“Non sono pentita,” si sente in dovere di aggiungere. “È stato bello.”
“Lo è stato anche per me.”
Rose si abbandona a un sorriso felice che convince Lorcan a piegare le labbra nella sua espressione sbilenca, tuttavia la giovane capisce in fretta di detestare quest’atmosfera di sospensione e tensione tra loro – inizia a chiedersi se lui non creda di doverle qualcosa, se creda che lei si aspetti qualcosa.
“Non parliamone più,” dice allora. “Siamo sempre noi.”
Lorcan china lo sguardo per un istante, combattendo con se stesso per non cedere alla voglia di dirle di volerne parlare ancora, sempre, perché hanno raggiunto un’intimità che gli appare irrinunciabile – ma le remore della notte appena trascorsa assaltano i pensieri e lo costringono a fare un passo indietro.
“Non parliamone più,” ripete mesto.
Rose ha atteso trepidante le sue parole, e ora non sa se sorriderne rincuorata – tutto come prima – o piangerne frustrata – tutto come prima –, nell’indecisione si dedica ai pancakes e sbircia Lorcan fare altrettanto.
“Non dormivo da quattro giorni,” riprende improvviso lui, deciso a distruggere sul nascere ogni mattone di imbarazzo e distanza. “Che ne dici di trasferirti qui?” aggiunge ironico.
“Forse dovrei, così non pensi al processo.”
“Quale processo?”
Rose, la forchetta ferma a mezz’aria tra il piatto e la bocca, scoppia in una sonora risata che travolge in breve anche Lorcan.
“Sono stata brava, allora,” scherza maliziosa.
“Dolcezza, sei la mia migliore amica, non poteva essere altrimenti.”
Un tono così in bilico tra il serio e il faceto, quello di Lorcan, da convincere Rose a curvare le labbra in un’espressione lusingata in grado di tingere di viva adrenalina gli occhi di lui. Mangiano quei pancakes con dei sorrisi enigmatici in viso, cullati da un silenzio che non sa affatto di mattoni frapposti, ma di un nuovo livello di scoperta.
“Rose.”
“Mmh?”
“Grazie,” dice. “Di essere dalla mia parte, nonostante tutto.”
“Nonostante cosa?”
“Lo sai,” mormora. “Quello che ho fatto, non ne vado fiero.”
La sedia di lei riga il pavimento sino a urtare quella di Lorcan, Rose profitta della vicinanza per sfiorargli il mento in un invito a sollevarlo e gli bacia fugace le labbra, ritraendosi prima che possa cedere alla tentazione di baciarlo sul serio, prima che quegli occhi già sorpresi diventino addirittura increduli.
“Ne abbiamo parlato tante volte, non è stata colpa tua.”
“Ne sei veramente convinta?”
“Se non lo fossi, sarei qui?”
Lorcan le carezza i capelli, il viso e abbandona la fronte contro la sua – si chiede se possa osare anche lui un bacio senza malizia, ma timoroso di vederla allontanarsi si limita a baciarle la guancia e ritrarsi.
“Sei sul serio la mia Peter Pan,” ironizza.
“Sarà, ma tu voli meglio di me,” ribatte a tono.
“Questo è molto vero.”
“Ora non fare l’arrogante!”
“Lo sono, infatti, non mi limito a farlo.”
Rose solleva divertita le sopracciglia e si premura di acciuffare alcuni dei suoi ricci scompigliati ed esercitare una piccola pressione che costringe Lorcan a biascicare un ahi! tra le risate. A sopire l’ilarità è però un’espressione di incredulità imbarazzata che appare sul viso di lei nell’istante in cui gli occhi chiari focalizzano dei segni lividi sul collo altrui.
“Mi hai marchiato,” scherza Lorcan, voglioso di spazzare via il suo disagio.
Rose accenna un sorriso mesto, incapace di replicare il tono giocoso – è imbarazzante, quella pelle mostra tutto il desiderio irruento con cui lo ha cercato e voluto.
“Scusami, so che non ti piace quando ti lasciano dei segni.”
Lorcan serra le labbra e si incita ad addomesticare la propria impulsività: di nuovo, dirle ciò che pensa lo obbligherebbe a giocare a carte scoperte – e a perderla, qualora lo rifiutasse o lui si dimostrasse troppo imbecille per gestire una relazione, troppo rischioso –, ma non vuole neanche che costruisca false convinzioni su loro due – è diversa, almeno questo deve saperlo.
“Con te è diverso,” ammette. “Puoi fare quello che vuoi.”
“E a te va bene?”
C’è incertezza, disagio e vergogna nel tono di Rose, Lorcan coglie ogni sfumatura e decide di volerle scacciare tutte e in fretta, si sporge così verso di lei, le bacia il dorso della mano e ne incrocia gli occhi chiarissimi in cui annegherebbe volentieri.
“Siamo sempre noi, giusto?”
Lei si concede un sorriso e lui la imita svelto.
“E poi mi eccita essere marchiato da te,” ghigna, bevendo la sua risata impacciata – e pensare che solo poche ore prima è parsa la personificazione dell’audacia. “Anche se questo terrà lontane le ragazze.”
“Era il mio piano segreto,” riesce ad accodarsi scherzosa. “Costringerti a tenertelo nei pantaloni.”
“Però stanotte me li hai sfilati con parecchio entusiasmo!”
Rose in risposta si allunga a mordergli il lobo, tremando quando più che un lamento Lorcan emette un gemito. Si allontana frettolosa, un miscuglio male assortito di emozioni a scuoterla – è tutto uguale ed è tutto diverso –, per la prima volta si chiede se questo non possa essere un inizio, il loro inizio, malgrado la strada lastricata di dubbi e paure. Procederà cauta, si dice, un passo alla volta per capire e farsi capire.
Lo osserva in silenzio mentre esegue un incantesimo per camuffare le chiazze, sorriderle complice e abbandonare di nuovo la bacchetta – così non hai più motivo di imbarazzo sembrano suggerirle i suoi occhi.
“Non devi tornare a casa, vero?” chiede Lorcan. “Puoi restare anche oggi?”
È un bussare alla porta che impedisce a Rose di rispondere. Un bussare che, oltre a crepare il loro guscio, la convince a impallidire, ad alzarsi in piedi assieme a lui e a stringergli nervosa la mano.
“Non possono trovarmi qui,” gracchia lei. “Ai miei ho detto che avrei dormito da Allison.”
“Sta’ tranquilla e nasconditi. Chiunque sia, lo caccio.”
Rose sobbalza anziché annuire, perché il bussare diviene più insistente.
“Non può essere papà, è vero che non può essere papà?”
Lorcan inarca seccato le sopracciglia e le afferra il polso per condurla allo sgabuzzino che affaccia in cucina, deciso più che mai a schermarla da qualsiasi problema.
“Entra qui e non preoccuparti, ci penso io.”
Lei annuisce e si rintana nel buio del piccolo abitacolo, l’orecchio accostato alla porta per origliare. Dal canto suo, il ragazzo passa una mano sul viso e impugna nervoso la bacchetta – arma che rinfodera nell’istante in cui cala la maniglia della porta e scorge James.
“Finalmente,” saluta lui. “Eri ancora a letto?”
Lorcan, la preoccupazione svanita, sogghigna e scuote il capo, aprendo la porta dello sgabuzzino per permettere a Rose di sbucare fuori e a lui di capire il motivo dell’attesa – gli occhi di James si sbarrano non appena la vedono.
“Temeva fosse Ron.”
“Hai dormito qui?” chiede invece James, in apparenza sordo alle parole dell’amico e dimentico della sua presenza. “Con lui?”
Rose forza la bocca in un sorriso e gli si avvicina per salutarlo, ma James ne approfitta per trattenerla contro di sé e incrociarne lo sguardo con un’espressione che sa di sospetto e irritazione.
“Sì, ho dormito qui.”
“Nel suo letto?”
“È autorizzata a dormire solo nel tuo?” si intromette Lorcan. “Non rompere il cazzo.”
Le labbra di James tremano di fastidio, ma ritrovano brandelli di quiete solleticando la punta del naso di Rose, avvertendola stringersi a lui prima di allontanarsi.
Lorcan non se ne avvede neanche, dello scricchiolio della propria mascella. In compenso lo sorprende una riflessione mai fatta in precedenza: sono troppo intimi. Quel grado di intimità che lui ha percepito in queste ultime ore con Rose sembra solo una replica di quello che lei condivide da sempre con il cugino – scaccia tutto e in fretta, addossando la colpa di questi pensieri a una gelosia accresciuta che avverte sin sotto la pelle.
“Noi siamo cugini, comunque,” precisa James a distanza di alcuni attimi, quando ormai ha preso posto al tavolo e si è servito un pancake come se fosse a casa propria. “È un’altra cosa.”
“Che sia un’altra cosa è sicuro,” ribatte d’istinto Lorcan.
Rose quasi soffoca con il succo di zucca, soprattutto per l’occhiata attenta che James indirizza prima a lei e poi all’amico.
“Quella non è tua.”
“È un mio regalo,” interviene Lorcan. “Quindi sì, è sua.”
Gli occhi di James indugiano qualche attimo di troppo sul collo di Rose, ma rifiutano domande che potrebbero apparire esagerate.
“Ti ho cercata a casa tua,” riprende, incitandosi a non essere paranoico. “Ma non c’era nessuno.”
“Eri già da Teddy quando ho pensato di raggiungere Lorcan,” spiega. “A casa ho detto che avrei dormito da Allison.”
“Ma perché deve giustificarsi con te?” sbotta Lorcan. “Era qui con me, che ti prende?”
James guarda l’uno e l’altra – ha ragione, che mi prende? chiede a se stesso –, ingoia l’ultimo boccone di pancake e accenna un sorriso di scuse.
“La giornata con Teddy è stata pesante,” si giustifica, seppure un tarlo lo accusi di aver divagato. “Mi ha trattenuto sino alle tre del mattino, ma è stata la sua ultima intromissione, gli ho detto chiaro e tondo di farsi i cazzi suoi. Ha sfidato e oltrepassato la mia soglia di sopportazione in questi mesi.”
Lorcan gli dà una pacca sulla schiena in segno di approvazione, ma Rose lo osserva preoccupata.
“È stato difficile,” considera lei.
James ne incrocia lo sguardo a annuisce, ritrovandosi un istante dopo seduto dietro di lei, il mento poggiato sulla sua spalla. Trascorrono alcuni minuti di totale silenzio, né mattoni né quiete, solo sospensione – di giudizi ipotesi verità –, minuti in cui a spadroneggiare sono il ticchettio dell’orologio e i pensieri in esubero.
“Ora che hai dormito con entrambi puoi rispondere,” parla James, sovrastando il nulla con la voce inaspettatamente tinta di ironia. “Chi è il cuscino migliore?”
“Io, mi sembra ovvio,” risponde per lei Lorcan, rinfrancato dalla curva appena imboccata. “Tu sei roba vecchia.”
Ma Rose, anziché rispondere e fugare ogni dubbio, si abbandona a una risata che trascina anche gli altri due nella giocosa ilarità. Si alza poi in piedi e sbircia il cielo attraverso la finestra schiusa.
“Andiamo al fiume?” chiede a sorpresa.
“È pericoloso tuffarsi,” dice subito James. “E tu vuoi sempre tuffarti.”
“Ci sdraiamo lì, sul prato, l’acqua non ci sfiorerà neanche,” assicura.
“Andiamo,” approva Lorcan. “Nel pomeriggio andrò da Lys.”
“Non devi andarci da solo,” replica James. “Ci siamo noi.”
Lorcan li guarda entrambi, il sorriso che riaffiora. Pochi minuti dopo, quando la decisione di raggiungere la riva del fiume nei pressi di Ottery St Catchpole è presa, si avvicina a Rose prima che riesca a farlo James per offrirsi come compagno di smaterializzazione, e la coglie, l’occhiata di sbieco dell’amico, ma decide di ignorarla e stringere la mano di lei nella propria, incrociarne lo sguardo, avvicinarla a sé, fingere che siano ancora soli – è tutto qui pensa il mondo è tutto qui.
 




 
 

Note dell’autrice: questo momento mancante, lo è letteralmente, non era previsto, ma ho trascorso una notte insonne ed è come se si fosse scritto da solo; il titolo è un riferimento all’equilibrio su cui si reggono i rapporti dei protagonisti. Il nuovo aggiornamento si farà attendere un po’, ormai i capitoli sono molto corposi e la storia ha raggiunto una complessità di trama tale da richiedere più tempo in fase di stesura – mi dispiace farvi aspettare di più, posso solo sperare che l’interesse per il racconto non cali per questo.
Per chi fosse interessato, sono di pubblicazione recente anche i missing moments In equilibrio sul vuoto e Caos (che in realtà si compone di due diverse raccolte di drabble).
Ancora una volta, grazie a chi è giunto sin qui dedicando parte del suo tempo alle mie parole.
   
 
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