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Autore: Asia Dreamcatcher    15/03/2020    2 recensioni
[Storia partecipante alla challenge "Pagine di una storia infinita" indetta da molang sul forum di Efp]
Ogni capitolo un personaggio diverso, ogni personaggio racconta una storia: la sua, mai facile, mai semplice ma sempre in lotta contro il Destino o la propria natura.
Venite a conoscere quegli sbandati de "I Figli della Notte", creature tanto potenti quanto precarie, fatte di sangue, carne e lacrime.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Oc-Afi

2. La Sognatrice di ghiaccio


Le persone danneggiate sono pericolose:

sanno di poter sopravvivere.”

~ J. Hart



Una folata di vento, più forte delle altre, distrasse Afi Kunene dall'atmosfera meditabonda in cui si era inconsapevolmente immersa.

Gli occhi grigi, dal taglio allungato, erano spalancati e attenti come quelli di un gatto. Il ramo della quercia strusciò sull'ampia e alta finestra del soggiorno e per un attimo Afi scorse il proprio volto riflesso.

«Tra non molto nevicherà. È opera tua, Afi?»

Una donna apparve riflessa accanto a lei, aveva un fisico asciutto e era elegantemente vestita, il viso dai lineamenti aristocratici, malgrado il naso aquilino, aveva assunto un'espressione dolcemente divertita. Le passò una tazza di tè.

«No. Immagino che la Cailleach1 abbia deciso di dare un senso a quest'inverno. - bevve e restò in silenzio per qualche istante – In ogni caso non ho un tale potere» continuò stringendosi le spalle con indifferenza. Guardò fuori, il vento gelido imperversava scuotendo con forza tutta la natura circostante, si mordicchiò compulsivamente le labbra piene. La sua bocca, così come il colore della sua pelle, bruciata dal sole, indicava origini africane, eppure i suoi lineamenti erano troppo levigati, troppo distinti per provenire dal continente nero.

«Ma ne hai a sufficienza» replicò la donna osservandola con attenzione.

Afi non rispose, alzò però gli occhi al soffitto sentendo diversi tonfi risuonare attutiti dal piano di sopra.

«Leggero come passo» osservò con fredda ironia «I necromanti non dovrebbero essere solitari e amare il silenzio?» un altro tonfo e le sue labbra si tesero in una smorfia infastidita.

«Sii buona Afi. I necromanti come lei hanno a che fare con la morte, non sono morti» la rimbrottò bonariamente la donna con una scintilla allegra nello sguardo.

«Se lo dici tu Sabine» disse lei atona.

La giovane si alzò dalla comoda poltrona e si diresse, con passo felpato, verso la finestra e vi poggiò la fronte spaziosa, come fosse spossata.

I suoi occhi, nel vedere i fitti fiocchi di neve, rilucerono di un bagliore singolare e assunsero la trasparenza opalescente del vetro. Durò qualche istante, decise poi di uscire, non aveva addosso che una semplice maglia a collo alto, troppo leggera per proteggerla dalle intemperie, ma lei sapeva che quella tempesta non le avrebbe mai fatto del male. Afi guardò in alto nel cielo nero, quasi avesse risucchiato tutti i colori; cristalli d'acqua le caddero sul viso e sui vestiti sciogliendosi su di lei come una dolce carezza.

Ciao mamma.”


Fino all'età di quindici anni, Afi non aveva mai saputo cosa fosse la neve. Non l'aveva mai vista, ne toccata, ma solo sognata tantissime volte. Poteva quasi dire che la prima immagine che le aveva delineato la sua mente fosse proprio la neve, ancora prima del volto di suo padre. Lei non sapeva dare un nome a quei cristalli dalle forme bizzarre ma magnifiche e eleganti, nei suoi sogni le cadevano attorno e basta.

Afi viveva in Namibia da sempre, anche se suo padre le aveva raccontato che lei non era nata in quella terra rossa e polverosa, ma in un altro luogo totalmente opposto a quello: verdissimo e attraversato da corsi d'acqua.

Suo padre, Zifa Kunene, era un drammaturgo piuttosto rinomato, non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Grazie a enormi sacrifici era riuscito a frequentare l'università a Pretoria e addirittura vincere una borsa di studio e studiare a Edimburgo. Fu in quel luogo, così diverso da tutto ciò che aveva conosciuto fino a quel momento, che conobbe la sua mamma.

La donna più bella che avesse mai incontrato o sognato, le diceva spesso lui; aveva addirittura scritto una piece teatrale su di lei.

Zifa le raccontava che i suoi occhi, così rari fra la loro gente, li aveva presi proprio da sua madre, tali e quali. Da quel momento Afi non si era più vergognata del colore lunare dei suoi occhi, erano l'unico segno che sua madre aveva impresso su di lei, anche se non l'aveva mai conosciuta, anche se suo padre non le diceva mai del tutto la verità, anche se non avrebbe mai potuto raggiungerla.


Afi viveva in un piccolo villaggio di pastori non lontano dagli antichi altopiani, sul limitare del deserto costiero. La famiglia di suo padre apparteneva all'etnia Himba2. Viveva principalmente con il nonno paterno, l'unico che fosse riuscito ad accettarla veramente, il resto della sua famiglia, compreso il fratello maggiore di suo padre, e il villaggio la tollerava. Zifa viaggiava molto e ci teneva che la figlia vivesse il più genuinamente possibile la sua cultura, rare erano le volte in cui Afi andava con lui.

Malgrado a Afi piacesse la vita semplice e tranquilla del villaggio, non poteva fare a meno di sentirsi fuori posto, distante, era come se il suo centro fosse irrimediabilmente spostato; dove? Lei non sapeva dirlo.

Inoltre sentiva che qualcosa in lei era diverso, non sapeva descrivere questa sensazione appieno. A volte avvertiva il proprio corpo pizzicare, come se una forte tensione le montasse dentro e le punte delle dita prudevano, quasi qualcosa le si fosse accumulato interiormente e le dita fossero il punto estremo dove quest'energia potesse espandersi. Nessuno riusciva a trovare pozze d'acqua tanto abilmente e facilmente quanto lei, sapeva predire con accurata precisione l'inizio della stagione delle piogge. A volte vedeva cose che nessun altro riusciva a vedere; dove lei scorgeva paesaggi silenti e immacolati, gli altri non osservavano che terra brulla, rossastra e polverosa. Ammirava uccelli solcare il cielo che però sfumavano fra le bianche nubi come miraggi inafferrabili. Quando lo raccontava a suo padre e a suo nonno, loro sorridevano. Il nonno la baciava sulla fronte e non diceva nulla.

Lei ancora piccina, accettava il loro sereno silenzio con un pizzico di perplessità, d'altronde ciò che vedeva non la spaventava, erano immagini suggestive, bellissime che in un modo a lei sconosciuto la cullavano. Il resto dei suoi coetanei, così come gli adulti la chiamavano “La Sognatrice”. Sempre più spesso quell'epiteto evocativo divenne una presa in giro, un insulto quasi.

Afi all'età di quindici anni era la stramba, la paria, la Sognatrice.

Le sue coetanee l'emarginavano alimentate dalle maldicenze degli adulti, invidiose della sua bellezza, dei suoi occhi argentini, felini, limpidi, integerrimi. Gli anziani del villaggio la osservavano intimoriti e sprezzanti, lo sciamano l'additava come maledetta dagli spiriti.

Fu allora che successe. Afi si trovava al pozzo, quando un gruppetto di suoi coetanei giunse e inevitabilmente iniziarono le prese in giro, lo scherno, le cattiverie delle ragazze; i ragazzini sanno essere spietatamente cristallini nella loro crudeltà. Uno dei ragazzi più grandi le fece lo sgambetto, Afi cadde rovesciando la preziosa acqua sulla brulla terra; non un fiato proruppe dalle sue labbra, possedeva un gelido contegno, uno sguardo affilato e freddo che conteneva una furia glaciale e temibile nelle sue profondità. Un sasso la colpì alla tempia e quando la sua mano si macchiò di sangue, gli argini – che per tanto tempo aveva eretto con cura – si frantumarono. Il suo corpo si irrigidì improvvisamente, una sensazione mai provata prima le crebbe dentro riempiendola fino alle punte delle dita, il famigliare pizzicore stavolta durò solo un istante prima che una grande energia si liberasse da lei, non c'era calore ma solo un freddo pungente che avvolse lei e coloro che le erano attorno. Lei, al contrario dei suoi coetanei, non ne rimase ferita. Si rialzò in piedi, le mani tese, aperte come a schermarsi. Lei non stava soffrendo, i ragazzi invece erano accasciati a terra, rannicchiati in posizione fetale, cercavano di scaldarsi strofinando le mani sulle braccia e gridavano per la paura, per il freddo che li stava avvinghiando da dentro. I loro corpi erano rivestiti da un sottile strato di polvere opalescente.

Afi capì che il freddo proveniva da lei, se nel suo intimo c'era una forza che ardeva ciò che lei proiettava era gelo. Resasi conto di ciò iniziò a tremare sconvolta, si voltò e corse, fuggendo via da ciò che aveva provocato. Cadde a terra, la testa le girava e il suo corpo continuava a tremare violentemente, l'energia che aveva emanato si era sopita e lei si sentì spossata, le membra e i muscoli le dolevano come se avesse compiuto uno sforzo sovraumano. Si trascinò ancora per qualche metro, poi svenne.

Fu il forte odore d'incenso misto a quello rugginoso del sangue a ridestarla. Provò a muoversi ma scoprì con orrore di non riuscirci, era legata: corde spesse le stringevano il torace, le mani costrette dietro la schiena. Nonostante la testa che vorticava si rese conto di essere in piedi, legata ad un palo. Avvertiva delle voci attorno a sé, pareva intonassero una litania ma non riusciva a intuire le parole. I ricordi le soggiunsero alla mente, i ragazzi a terra congelati, l'energia che aveva sprigionato, i volti terrorizzati; un conato di vomito la colse.

Sentiva caldo, troppo caldo, la vista ci mise qualche momento a tornare, quando mise a fuoco vide le fiamme del falò davvero troppo vicine, tanto da scottarle la pelle. Lo sciamano danzava intorno a lei, salmodiando e fustigandola con rami imbevuti di qualche sostanza che evidentemente la stava indebolendo. Comprese che la stavano purificando.

Un terrore nero l'assalì, si agitò sul posto ma le corde erano strette, in particolare sul torace causandole difficoltà a respirare.

«Vi prego!» implorò con voce arrocchita dalla paura «Non volevo! Lasciatami in pace, vi supplico non volevo!», lacrime di rabbia e angoscia iniziarono a riversarsi brutalmente sul volto accaldato e sconvolto.

«Lasciatela andare! Vigliacchi, non sapete ciò che fate!».

La voce dolce e sofferente del nonno la fece tendere verso di lui, lo cercò fra la folla e quando lo vide trattenuto con forza da due uomini, urlò disperata.

Il canto non accennava a scemare, anzi stava giungendo all'apice, il fumo e l'odore acre la fecero tossire sempre più forte, la testa le girava senza sosta il suo corpo non riusciva più a sostenerla. Desiderò morire; “Voglio che finisca. Basta, non ce la faccio più. Voglio che tutto finisca”.

Mentre la coscienza la stava abbandonando, percepì un suono strano dentro di sé: un forte 'crac', sentì come se una potente pressione avesse frantumato qualcosa. Il suo cuore? Per un momento le parve che il tempo si fermasse e tutto fosse sospeso. Poi lo avvertì, un'energia incredibile – la riconobbe – le montò dentro, iniziò a battere i denti, il suo corpo tremò come se avesse freddo, una furia distruttrice e glaciale fuoriuscì da lei, l'iride mutò colore e divenne chiara come l'opale. Il fuoco si spense e l'intero villaggio fu colpito da un freddo che mai aveva conosciuto, brina si depositò sui corpi, sulle capanne e sulla terra. Le nuvole si addensarono e fiocchi gelidi e cristallini iniziarono a cadere, proprio come in uno dei suoi innumerevoli sogni.

Le corde che la tenevano legata ghiacciarono e lei riuscì a liberarsi facilmente, quasi in trans si diresse dal suo amato nonnino, l'unico non toccato da quel gelo. Suo nonno le toccò il volto con dolcezza, la sua pelle era fredda come l'acqua mai toccata dalla luce del sole.

In mezzo a quel vorticare di fiocchi candidi e impalpabili, gli occhi cristallini di Afi scorsero qualcosa. Una figura impalpabile e eterea – forse un illusione – stava davanti a lei. Era bellissima, di una bellezza trascendentale, i lunghi capelli candidi le danzavano con sottili fili di ragnatela attorno al volto, il viso era levigato, sferico e perfetto, e pallido come la luna. Gli occhi erano gli stessi di Afi argentei, stesso taglio, stessa curvatura delicata delle ciglia; il suo sguardo era dolce, materno.

«Mamma–», un sussurro fragile come una bolla di sapone in bilico nell'aria abbandonò le sue labbra.

La bocca esangue della donna si tese impercettibilmente verso l'alto, in un delicato sorriso d'assenso.

Quello fu il primo e unico incontro con sua madre.


Era letteralmente fuggita dal suo villaggio, suo padre era arrivato e l'aveva portata via senza dire una parola. Una volta lontana da ciò che era sempre stata la sua vita, le aveva raccontato tutta la storia, la storia di un amore impossibile, di un sentimento che poteva vivere solo nel silenzio del cuore e non poteva esistere se non nel mondo dei sogni, e di una principessa nata da un fugace attimo di contatto di corpi e anime. Quando suo padre aveva terminato di dirle la verità, Afi aveva versato lacrime per quella triste fiaba. Era l'ultima volta che aveva pianto.

Si era trasferita da Sabine – un'amica di vecchia data di suo padre -, nella terra di sua madre.

Nonostante il suo villaggio l'avesse tradita, umiliata e ferita nel peggior modo, una cicatrice che mai si sarebbe rimarginata completamente, c'erano momenti in cui l'Africa le mancava: i colori, i profumi, suo nonno – che si era trasferito a Pretoria insieme a suo padre, che andava e veniva -, altre volte ciò che aveva subito bruciava troppo e lei si sentiva arida come la brulla terra. Verso sua madre provava sentimenti contrastanti, eppure ogni volta che un fiocco di neve scendeva su di lei sentiva che le dedicava dell'affetto, l'avvertiva vicina a sé. A nessun altro permetteva di starle così vicino, ne a Sabine, ne a suo padre.

«E così tua madre è la Cailleach, la “Regina dell'inverno”?», il dialogo a senso unico con sua madre venne bruscamente interrotto dalla voce squillante della Necromante.

Afi si voltò, rivolgendo un'occhiata vaga alla ragazza che era comparsa al suo fianco.

«Già, anche se non sono certa di poter definire madre una donna che ho visto solo una volta» replicò con freddezza sostenuta.

«Mia madre è morta dandomi alla luce», disse Dominique svagata – quasi con noncuranza «L'unica volta che l'ho incontrata, un principe degli Inferi mi accecato l'occhio per punizione».

Se Afi rimase colpita da quelle parole non lo diede a vedere, fece una smorfia a metà tra il caustico e il malinconico.

«Il villaggio in cui sono cresciuta ha cercato di uccidermi perché aveva paura di ciò che sono» ribatté incolore. Dominique iniziò a ridacchiare con una vena d'isteria, «Certo che siamo messe bene tu e io,» tese la mano «Senti io sono Dominique de Azara comunque», Afi levò aristocraticamente un sopracciglio verso l'alto, sbuffò «Afi Kunene».

___________________________________________________Asia's Corner

1-Cailleach: nella mitologia scozzese (e irlandese) è nota anche come Beira, Regina dell'inverno. E' nota anche come Strega delle Tempeste, vista come personificazione degli elementi della natura, nel loro aspetto più distruttivo. La Cailleach ha molti tratti di una personificazione dell'inverno: pascola cervi, combatte la primavera e il suo bastone gela il suolo. E' visto come divinità o spirito delle stagioni, a lei sarebbe demandata la stagione invernale tra Samhain (1° novembre) e Beltane (1° maggio).

2-Himba: sono un gruppo etnico che risiede nella Namibia settentrionale, sono un popolo di pastori nomadi.



   
 
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