Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Lola1991    15/03/2020    2 recensioni
Storia raccontata in prima persona di un'estate e di un incontro con uomo più grande, incontro che ha caratterizzato una vita intera; one shot scritta di getto e senza nessuna pretesa. ATTENZIONE! I contenuti trattati, seppur non espliciti, sono comunque delicati e parlando di violenza sessuale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

RICORDO DI UN’ESTATE

Nell’estate del 2011, dopo aver terminato faticosamente ma con entusiasmo la prima sessione estiva all’università, la mia migliore amica mi propose un lavoretto per il mese di Luglio. All’epoca lei era iscritta alla facoltà di scienze motorie - era sempre stata atletica e propensa allo sport, tutto il contrario di me - e le avevano proposto di lavorare come animatrice in un campo estivo calcistico su un’isoletta sperduta a largo dell’Italia. La paga era buona per due studentesse, e ci avrebbe permesso di allontanarci due settimane dal caldo opprimente, dai libri, dalle zanzare e dalla nostra campagna isolata dal mondo. Accettai senza sentirlo veramente, come avevo fatto spesso nel corso della mia vita: dire si per paura di perdere le esperienze, di essere lasciata indietro, di non appartenere a nessuno e a niente. Ma già una settimana prima della partenza mi pentii di quella decisione repentina e fu lì per mollare tutto; poi successe che ce ne andammo ad una riunione per conoscere le persone che sarebbero state presenti in quelle due settimane. C’era un uomo, un allenatore, che presentò il programma del campo e che mi piacque subito. Aveva almeno vent’anni più di me e ne rimasi folgorata, di colpo incredibilmente sorridente e pronta a partire. Ricordo che quando il padre della mia amica ci venne a prendere in macchina per riportarci a casa, nel traffico, e ci chiese com’era andata gli dissi tutta contenta: “Benissimo, l’allenatore è un uomo molto bello”. Lui, ridendo bonaccione e facendomi l’occhiolino dallo specchietto retrovisore, rispose: “Non si sa mai cosa potrà accadere”.

Partimmo prestissimo una calda mattina di inizio Luglio, cariche di valigie e con un pò di preoccupazione. Andò tutto bene, fummo accolte con gentilezza e simpatia. Avevamo appena vent’anni, eravamo di bell’aspetto ed avevamo a disposizione due settimane intere di lavoro, certo, ma anche di libertà. Ho ricordi bellissimi di quelle giornate: non ci fu mai un giorno di pioggia, la mia pelle arrivò addirittura a scurirsi - in seguito a diverse scottature disseminate su tutto il corpo - e ci divertimmo come solo in una vacanza ci si può divertire, restando fiere, al tempo stesso, di essere pagate e di guadagnare dei soldi che fossero solo nostri.

All’epoca avevo una specie di fidanzato, un ragazzetto alto e occhialuto, parlava esclusivamente in dialetto; lo conoscevo dai tempi dell’adolescenza, ma avevo iniziato ad uscirci da poco e con poca convinzione. Non lo sentii per niente durante quelle due settimane ma non me ne dispiacqui; da quando misi piede su quell’isoletta i miei occhi si puntarono sull’allenatore, che come scoprii presto aveva diciotto anni più di me, era sposato ma senza figli. Abitava in una grande città, in un appartamento vicino a un bellissimo hotel, mi aveva detto. Me ne infatuai con quella ossessione che aveva sempre contraddistinto le cotte precedenti: all’improvviso mi piaceva il calcio, tutto ad un tratto seguivo i suoi passi ovunque andasse, lo osservavo da lontano, diventavo rossa fino alla punta delle orecchie se ricambiava il mio sguardo o se mi strizzava l’occhio.

La mia settimana di villeggiatura non mi guardò nemmeno; si dimostrò tuttavia molto gentile, ma di quella gentilezza distante, senza nessun interesse. Ovviamente me ne disperai e cercare le sue attenzioni, in qualsiasi momento, divenne il principale scopo di ogni giornata. Qualcosa feci giusto, perché all’improvviso, dalla notte al giorno, cominciò a interessarsi a me: pose domande sulla mia famiglia, sulla città dove abitavo; gli studi che avevo fatto, le amicizie che intrattenevo, se ero fidanzata. Iniziò ad avvicinarmisi in maniera discreta, ora facendomi qualche piccolo scherzo innocuo, ora spaventandomi alle spalle mentre sfogliavo un giornaletto per ragazzine. La mattina del giorno prima di partire chiese a una di noi ragazze di aiutarlo a preparare certi regali per l’ultimo giorno di campus da lasciare ai bambini. Ovviamente ci andai io, tutta rossa in viso. Mi accolse nella casetta che gli era stata assegnata e iniziò a darmi ordini, prendendomi un poco in giro; raccolse il fiore che avevo messi nei capelli e si confuse nelle cose da fare, si scusò, sono agitato, mi rendi nervoso, cosa ti devo dire?; sorridevo impacciata col cuore che mi batteva forte.

Non successe niente; credo che mi ritrassi all’ultimo momento per paura. Tornai insieme agli altri senza dire niente.

Probabilmente lui capì fin dove poteva arrivare: la sera stessa, non so nemmeno io né come né perché, prima di cena mi trovai tra lui e altri due allenatori a brindare prima delle festa finale. Tuttora non so dire esattamente cosa bevvi, o se avessi solo bevuto: sicuramente qualcosa era scivolato nel mio bicchiere.

Uscii di casa insieme a lui, per raggiungere il gruppo. Non ricordo nient’altro.

Qualche ora più tardi mi ritrovai improvvisamente sul suo divano con il suo corpo soffocante sopra di me. Cercai in ogni modo di allontanarmelo di dosso, farfugliai frasi sconnesse e senza senso. Probabilmente ebbe pena di me o si rese conto di stare esagerando: mi lasciò andare dispiaciuto ma sorridente, mi accompagnò alla porta e la chiuse forte dietro di me. Mi diressi barcollante alla mia stanza con la maglietta al contrario e un fortissimo senso di confusione sulla serata appena trascorsa. Non riuscii a chiudere occhio nemmeno un minuto, terrorizzata per quello che era appena successo, ancora di più al pensiero di doverlo rivedere il mattino dopo, il sapere di dover fare finta di niente. Il giorno seguente, l’ultimo delle due settimane, ci evitammo; lo incrociai solo una volta, da soli. Le uniche e ultime parole che mi disse furono: non dire niente a nessuno.

Ovviamente non ne avevo intenzione, piena di vergogna com’ero, ma una volta tornata a casa iniziò un inferno. Passavo le mie giornate a piangere, ora odiandolo ora pensando continuamente a quell’uomo, a quello che mi aveva fatto, ma addirittura con affetto e nostalgia. Mi ero creata in testa una storia, nella quale lui avrebbe lasciato la moglie per stare con me. Me lo immaginavo fuori da casa, in mia attesa: un uomo grande e grosso che si batteva il petto e mi reclavama con violenza, strappandomi dalla mia casa e dagli affetti.

Non dimenticai mai quello che successe quella notte, e ancora oggi, a distanza di anni, ne conservo il ricordo con una punta di amarezza e un tocco di piacevole malinconia. Non pensai mai di aver subito una violenza sessuale: non arrivai mai a catalogare quell’episodio, seppure ne avesse probabilmente i presupposti. Ma io non ero minorenne, e consapevolmente avevo mostrato interesse. E’ un ricordo che mi fa stare male senza preavviso, che entra nella mia testa senza prima bussare; basta una scena alla televisione, una manifestazione femminista, un litigio particolarmente violento per buttarmelo davanti agli occhi. 

Negli anni che seguirono quell’estate e per tutta la mia vita ho continuato a cercare le sensazioni che avevo provato appena ventenne in uomini più grandi di me, amici di famiglia, colleghi di lavoro, superiori. Non ho mai provato le stesse cose per nessun ragazzo della mia età. Ho cercato il mio aggressore negli occhi di uomini sposati, in carriera, studiandoli e portandoli ad interessarsi a me in maniera quasi ossessiva. Prima il mio professore di letteratura italiana all’università, il mio responsabile in azienda, il manager in cravatta e SUV metallizzato della scrivania accanto. Mi infatuavo di loro all’improvviso, con urgenza, come se quella sensazione desse finalmente senso alla mia vita. Non pensai mai fosse pericoloso, né tantomeno portai fino in fondo le mie intenzioni. Quando loro dimostravano di ricambiare il mio interesse, mi invitavano a cena, facevano allusioni sul mio corpo, smaniavano per stare con me, smettevo immediatamente di dimostrare nei loro confronti la benché minima attenzione e li ignoravo.

Non ho mai più avuto nessun contatto fisico con uomini più grandi di me dopo quell’estate.

Quell’uomo non lo seppe mai, ma fu la mia prima e unica volta.

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Lola1991