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Autore: Bledyn    19/03/2020    0 recensioni
A volte è così difficile prendere una decisione, si è indecisi tra ciò che è giusto per noi e cosa lo è per gli altri, e come se vi fossero delle onde che si infrangono contro le pareti del nostro petto - contro le pareti della nostra anima e coscienza - proviamo dolore, stringiamo i denti e compiamo la nostra scelta.
A volte porta alla salvezza, altre alla morte, ma non è tanto la fine l'importante, quanto il modo in cui la raggiungiamo.
Genere: Angst, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crashing Waves
 
Scappare non sarebbe servito a niente, ma perdere una persona amata è sempre difficile, soprattutto se quest’ultima è la propria figlia. Non biasimava sua madre, nonostante tutto.             
 
 Il rumore dei propri stivali che le atterravano accanto dopo essere stati lanciati strappò Ermione per la prima volta dalla vista che la finestra dava del mare, che in quel momento rifletteva dolcemente il colore del sole, intoccato dalla loro disperazione. 
                                                                           
«Muoviti a indossarli, Ermione, il sole sta tramontando».

Sua mamma non si lasciava mai accecare dalle emozioni, aspetto del suo carattere che era stato sempre utile nei momenti di bisogno, ma in quel momento avrebbe solo voluto avere le sue braccia a circondarla e la sua voce a canticchiarle melodie a bocca chiusa, come era sempre solita fare quando era piccola.

«Mamma, sai che non servirà a niente» sospirò Ermione con voce dolce, come quando una dei suoi fratellini non riusciva a capire perché non potesse venire dalla nonna con lei e doveva spiegarglielo.

Tirando su col naso sua madre strinse le labbra fino a formare una line sdegnata, poi sbuffò forte la propria rabbia e con occhi ardenti se ne andò a passo militare fuori dalla camera, con un semplice «Ti aspetto sul retro» ad accompagnarla.

Ermione guardò gli stivali, li prese in mano e delicatamente li rimise nella cassapanca ai piedi del letto, scuotendo nel contempo la testa.
Anche in una situazione del genere sua madre non smetteva di cercare di impedirle di camminare scalza e questo aveva un sapore di quotidianità talmente acre da farle bruciare gli occhi di lacrime bollenti.

Accarezzò con lo sguardo la finestra un’ultima volta, per dare un arrivederci alle onde che si intravedevano tra le tende e, stringendo forte la conchiglia che aveva al collo, chiuse lentamente la porta dietro di sé.

Era stata sua nonna a donarle quel ciondolo perlaceo, ammonendola dal perderlo e ripetendole di prenderlo in mano ogni qualvolta avesse sentito le emozioni stringerle il cuore e sbattere contro il petto come onde agitate, così da permettere alla magia – compagna di tutte le avventure avvenute nei suoi fanciulleschi giochi d’immaginazione – di inglobare tutto in quel pezzo minuscolo, che molti avrebbero visto solo come un inutile gioiello.
Ricordava ancora come allora, quando apparteneva a lei, nonna Inès ne avesse tracciato il contorno con sguardo perso e malinconico, come ricordando vecchi tempi ormai andati, e avesse iniziato con voce placida una delle sue lezioni sul mondo in fondo al mare.  
                                          
«Loro non permettono a nessun mortale di pronunciare i loro veri nomi. È infatti un nome troppo potente per permettere che venga liberato nel vento sconsideratamente, quindi non lasciano quasi mai avvicinare oltre il consentito i pochi che si ritrovano alla loro entrata, spaventati da quello che potrebbe accadere. Ma quando un umano viene ritenuto meritevole di fiducia, la loro voce viene rinchiusa insieme al loro nome, strappando quest’ultimo dal possessore, il quale dona – ed è questo l’unico verbo che ritengo sia utile e giusto usare – la propria essenza e la propria anima» aveva terminato con un sorriso, guardando la sabbia che copriva loro le dita dei piedi.

«E dove lo rinchiudono, nonna?» aveva chiesto la piccola Ermione assai curiosa, guardandola con gli occhi luccicanti e l’immaginazione galoppante.

«In tutto ciò che il mare offre loro.» Aveva sorriso lei guardando la bambina con i capelli bruni gonfiati dal vento e all’improvviso una luce strana le  si era accesa nello sguardo «In piccole casse del tesoro che solo i più saggi, forti e temerari possono proteggere. E sai, credo di aver bisogno che qualcuno custodisca il mio, di nome. Sono così anziana che un giorno potrei dimenticarmelo, mi servirebbe proprio un paladino pronto a tenerlo al sicuro».

Ricordava come a quelle parole si fosse alzata in piedi tirando indietro le spalle e avesse annunciato «Nonna, voglio essere io il tuo cavaliere!»

E lei aveva riso, togliendosi nel mentre la collana dal collo, e legandolo poi al suo, lisciandole i capelli neri con affetto.
«Sono sicura che servirà più a te che a me, pesciolina. Sarai di sicuro un paladino migliore di chiunque altro, ma ricorda: come tutte le cose che arrivano dagli abissi, è magico.»

E ora che stava camminando con passo lento verso la porta, Ermione non poté fare a meno di stritolarla, sperando così di riuscire a restare calma fino alla fine.

Si fermò solo per dare un bacio sulle testoline addormentate di Jackie e Freddie, i suoi due fratellini, per poi riprendere ad andare avanti fino a dove la madre la stava aspettando.
«Devi andare a ovest, verso i piedi della montagna che vedi laggiù e» iniziò in un sussurro appena la vide, «continuare fino a raggirarla. Dovresti trovare un paesino proprio verso la fine, restaci per non più di due giorni. Poi continua sempre così, finché non sarai arrivata abbastanza lontana. Io-» la vide trattenere il fiato e stringere nel pugno il grembiule sporco di terra.
Sapeva che stava per dirle che avrebbe fatto finta di non sapere nulla, che avrebbe mentito e dato false indicazioni, confondendo le guardie e le ricerche, rischiando di venire uccisa per alto tradimento dal re in persona.

Ma fece finta di nulla, perché sapeva cosa fare.

«Ti voglio bene, mamma. Cerca di perdonare la nonna.» Le diede un bacio sulla guancia e si voltò verso il cavallo che la aspettava, decisa nella sua decisione.
«Stai attenta. Noi ce la caveremo.» Fu l’ultima cosa che sentì dalla madre prima che questa chiudesse la porta alle sue spalle.

Accarezzò il muso di Derk e gli diede un bacio in segno di saluto, poi gli montò in groppa e strinse le redini.
Doveva essere forte.             
«Forza, Derk! Ci aspettano.» Gli urlò Ermione, prima di iniziare a galoppare verso la spiaggia gremita di persone, lasciando che la foresta ai piedi della montagna si allontanasse alle sue spalle.
 
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Tempo dopo, lontane chilometri dalla casa che Ermione aveva lasciato, rabbiose e violente onde sferzavano la chiglia di una nave, come se il mare stesso stesse cercando di frenare ciò che ogni sette anni veniva compiuto, urlando e mostrando il disgusto per quella violenza che lo sporcava inesorabilmente di rosso, senza il suo consenso.
Non era solo la ciurma a dover subire quella rumorosa protesta, correndo incessantemente da poppa a prua, cercando in un modo o nell’altro di riparare ogni minimo danno a cui la “Marguerite” doveva inevitabilmente far fronte, ma in un angolo isolato e buio, rinchiuse da delle sbarre di ferro ed al freddo, otto ragazze urlavano e piangevano il loro terrore, la paura per il presente e – soprattutto – per l’orribile futuro che le attendeva.

Tra i sibili del vento in burrasca, i gemiti delle travi di legno e i singhiozzi, Ermione fissava incessantemente una bottiglia di vetro scuro che rotolava verso il basso, quasi toccandole la mano protesa all’infuori, per poi ritornare a cozzare contro la parete, producendo così un leggero e continuo toc.

Una ruga si era formata da tempo in mezzo alla fronte scurita dal sole ed il naso si arricciava a cadenza regolare, come seguendo un pensiero ostico che però continuava a sfuggirle.

«Quando potrò vedere la mia mamma? Non voglio stare qui! Non voglio stare qui!» aveva iniziato a urlare una bambina di poco più di nove anni, che scossa dal pianto tremava e tirava su col naso, sbattendo i pugni contro le gambe sottili.
«E credi che noi vogliamo, stupida?» aveva iniziato a strepitare una ragazza accigliata, con la bocca riversa verso il basso e le guance asciutte. «Se ci bastasse urlare e piangere e invocare la mamma» continuò lei, terminando con la voce grondante ironia e veleno, «lo faremmo tutte. Ma siamo rinchiuse qui e non possiamo farci nulla, quindi smettila subito. A meno che tu non voglia morire ancora prima di trovarci fuori di qui.»
La bambina aveva inspirato con forza, gli occhioni celesti languidi e spaventati, due lacrime a bruciarle le guance già rosse.
«Perché ci stanno facendo questo?»
Era stata una delle ragazze più giovani a parlare, con la voce tremante e le dita che le raschiavano via l’epidermide a furia di grattarsi ansiosa.
«Davvero non lo sai?» aveva esalato stupefatta Nija, l’unica a essersi presentata prima che calasse il silenzio. «Sono passati sette anni dall’ultima danza delle luci. Qualcuno sa cosa significa?»
Nessuno si accorse di come lo sguardo di Nija fosse scivolato furtivamente sulla figura seduta di Ermione, tranne forse la diretta interessata; dopotutto Ermione non era altri che la nipote della sacerdotessa Inès, ponte tra gli abitanti della loro isola e quelli del mondo degli abissi, le cui parole avevano avvertito il loro popolo che il momento del sacrificio era giunto.
«Va bene così, se volete, ve ne parlerò io. Sedetevi tutte qui, su.» Inspirò ed espirò profondamente, come cercando la forza che le mancava in quel tumulto che era la sua anima.

Ermione aveva per contro iniziato a fissare le braccia della ragazza che continuava a grattarsi disperatamente, seguendo sempre con un orecchio il rumore della bottiglia che continuava indisturbata a sbattere contro le travi.

«Come già sapete, sul fondo del mare vivono esseri di ogni genere, pesci di ogni specie e colore, calamari giganteschi quanto lo stesso Kraken e squali dai denti a sciabola, e una volta tutto questo non ci era precluso, anzi, era tutto sotto il dominio dei nostri predecessori. Governavamo i mari e gli abissi e il mondo, ma un giorno si scoprì che esseri simili a noi vivevano lì, e così iniziò una convivenza pacifica ma tesa, poiché la paura dello sconosciuto incendiava gli animi di tutti. Quegli esseri, detti Chasm, fecero di tutto per iniziare una guerra, arrivando persino ad accusare i nostri antenati di aver manipolato la loro principessa e di averla uccisa!».

La mano della ragazza senza nome continuava a muoversi sull’arto già martoriato, iniziando quasi a scavare con le unghie mangiate fino all’osso il braccio, come se l’idea della morte avesse incendiato qualcosa dentro di lei.

«E iniziò la guerra, e ci fu un gran numero di perdite da entrambe le parti, ma quando sembrava che stessimo vincendo-» e qui Nija si fermò e sembrò come se si stesse mordendo la lingua, quasi non volendo permettersi di continuare.
«E quando stavamo per vincere tutto, una stupida ragazza, un’imbecille senza cervello, si mise in mezzo e ci tradì, facendoci perdere e, come se già non avesse fatto abbastanza danni, uccise il comandante che ci aveva portato tanta gloria, morendo persino nel mentre!» Ringhiò con forza la ragazza che prima aveva ripreso la bambina piangente.

Stavano iniziando a uscire gocce di sangue vermiglio dai graffi rosa e bianchi della ragazza che Ermione non aveva mai smesso di osservare, le quali iniziarono a scendere rapidamente verso il polso di quella, gocciolando verso il pavimento.

«Sally, non urlare in questo modo.» La rimproverò Nija con ostilità, mostrando di conoscere la compagna di prigionia. «Comunque, per colpa di quella guerra, ogni sette anni siamo costretti a immolare sette membri della nostra comunità, e in memoria delle scabrose gesta di quella ragazza, questi sette sono e saranno sempre ragazze, come se così facendo riuscissero a punire in qualche modo quella traditrice attraverso di noi.»

Il silenzio riempì la stanza, e solo il clangore della bottiglia, che si muoveva a causa dello sbattere delle onde contro la nave, teneva le menti delle otto ragazze ancorate a quel momento.

«Ma allora perché siamo otto?» disse velocemente la ragazza dalle braccia martoriate, stringendosi queste ultime intorno allo sterno e imbrattandosi i vestiti ed il resto delle braccia del sangue uscito dai graffi.
Sally ghignò perfida, leccandosi le labbra spaccate come pregustandosi quello che sarebbe seguito. «Perché sette di noi saranno rapite e uccise, mentre una rimarrà illesa e potrà tornare a casa, dimenticandosi di qualunque cosa sia accaduta».

Un silenzio tombale seguì le parole di Sally, la quale col suo sguardo ardente mostrava chiaro e tondo che avrebbe fatto qualunque cosa per sopravvivere, anche gettarle una a una tra le grinfie dei mostri che presto avrebbero dovuto affrontare.
Ermione alzò lo sguardo verso il soffitto, sentendo tra i forti toc della bottiglia di vetro il rumore dei passi e degli stivali in avvicinamento, e mentre aspettava l’arrivo dei loro carcerieri, si lasciò andare al ricordo di quello che sua nonna le aveva invece raccontato sul passato della loro gente.

Era stato esattamente sette anni prima, quando aveva visto dalla finestra della cucina la ragazzina odiosa che viveva accanto a casa sua essere trascinata via da due guardie, lasciandosi alle spalle i genitori in lacrime, la madre che si stringeva al marito.                                                                                                                                        Non molte ore dopo era corsa dalla nonna, turbata da quella vista e dal senso di colpa che le soffocava la gola. Ricordava come avesse spalancato la porta della stanza di astronomia della propria nonna, incespicando nelle gambette basse che possedeva e saltellando per un sassolino che, infido, le si era conficcato nella pianta nuda del piede.
«Nonna, nonna!» aveva chiamato, sia per la ferita che in realtà non sentiva che per quel rimorso che sentiva nel cuore.
«’Mione, vieni dietro il paravento, sto già preparando le pinzette!» aveva risposto la nonna, abituata ormai alle ferite superficiali della nipote.
Come afflosciata, Ermione si era avvicinata al paravento, mostrandosi col capo chino alla nonna sorridente che la aspettava come ogni giorno, e prendendo un respiro profondo si ritenne pronta per ammettere le proprie colpe.
«Nonna, devo essere rinchiusa in prigione e scontare la mia pena». Aveva sputato con le guance rubiconde e gli occhi lucidi, tenendo le spalle all’indietro e le gambe unite.
«Cosa? E quale disdicevole scelleratezza avresti mai commesso, pesciolina?» Ritenne opportuno informarsi Inès e la bambina sul momento pensò che volesse sentire ciò che aveva fatto per sapere cosa dire con esattezza dinanzi al giudice quando ad Ermione avrebbero mozzato la lingua per tutte le bugie che aveva proferito – da piccola aveva un’immaginazione molto cruda, spinta dai libri di cavalieri e guerre che leggeva all’insaputa della madre.

«Ho mentito e ora Ursula sarà punita al mio posto.» Gli occhi di Inès si erano improvvisamente spalancati a quel nome.                                                                                      «Mi aveva chiamato in un modo orribile e imbarazzante e mi aveva spezzato il ramo che stavo usando mentre giocavo ed io mi sono vendicata. Mentre non guardava, le
ho staccato degli abiti dal filo della biancheria, così che i genitori si arrabbiassero pensando che fosse stata colpa sua; ma stamattina delle guardie sono venute a prenderla per questo ed io non posso macchiarmi di codardia oltre che di menzogna, non potrei mai diventare un cavaliere in quel caso!»
La bambina prese fiato all’improvviso, sfinita dal fiume di parole che le era uscito di bocca, e continuò imperterrita, non facendo caso al corpo pietrificato della nonna. «Ursula è cattiva e malvagia e sono sicura che sotto sotto sia una megera, di quelle cattive che strappano la voce alle sirene e se ne appropriano per manipolare cavalieri innamorati, ma non posso lasciar correre e vederla imprigionata per un mio crimine! Anche se prima di ritrovarmi con la lingua tagliata potrei dire qualche parola al giudice, spiegargli la situazione in cui tutti i ragazzini si trovano per le sue angherie e potrei vedermi ridotta la pena e forse potrei persino ricevere un premio o un riconoscimento o…» e prima che potesse continuare a ruota libera, Inès le mise una mano dinanzi alla bocca per fermarla e la guardò negli occhi con uno sguardo triste e rammaricato.
«Ermione, la tua vicina non è stata mandata in prigione» Fu tutto quello che disse, una nota spezzata nella voce.

«E allora perché mai l’hanno presa?» Fu tutto quello che la bambina chiese, un cipiglio a scurirle il visetto rotondo.
«Volevo raccontarti questa storia solo tra qualche anno, quando saresti stata pronta, ma credo di non poter attendere oltre».
                                                                                                                                                                                                                                                                                    Detto questo, Inès prese la mano della nipote tra le sue e la tirò con sé verso la sedia accanto alla libreria, quella su cui si sedeva sempre prima di raccontarle una delle sue storie sulla magia e sul mondo nel fondo del mare.

Accarezzò la conchiglia che le aveva donato solo l’anno prima e con una piccola smorfia iniziò a narrare una delle storie più tristi che Ermione avesse mai ascoltato.

«Molti secoli fa, quando gli abitanti della nostra isola credevano di essere i soli a governare i mari e i pirati ancora avevano la libertà di viaggiare indisturbati, una ragazza curiosa si spinse con la sua zattera oltre il limite concessole dai genitori e si ritrovò spinta dalla marea verso una grotta che mai nessuno aveva visto. Le pareti erano screziate da mille colori, specchio delle gemme e delle pietre posate sul fondo dell’acqua, e una dolce melodia le arrivava dal fondo del tunnel. La ragazzina, Yume, aveva molta paura, era terrorizzata, ma la sua curiosità vinse su tutto e iniziò a spingersi verso quella musica, ritrovandosi dinanzi una ragazzina come lei, che aveva però la magia del mare nelle vene. Fu così che gli umani e i Chasm scoprirono per la prima volta l’esistenza l’uno dell’altro.»
Ermione era rimasta a bocca aperta, stupefatta e attratta al contempo da quella visione cheaveva in mente, creata e plasmata dalle parole incantate della nonna; le chiese quindi di continuare. «Le due ragazze iniziarono a conoscersi e a fare amicizia, curiose per quel qualcuno di nuovo che avevano dinanzi, e la ragazza, con il passare degli anni, si meritò l’affetto sincero e la fiducia della Chasm. Sai cosa significa questo, vero?» Inès scoccò quindi uno sguardo verso la bambina ai suoi piedi.
«Ebbe in dono il suo nome?» sopirò stupefatta Ermione, ricordando ancora per filo e per segno quello che la nonna le aveva narrato l’anno prima.
«Esatto. Ma la ragazza era troppo fiduciosa nel prossimo ed amava immensamente il proprio padre, tanto da raccontargli tutto su quell’amicizia clandestina che stava portando avanti, poiché quest’ultimo le aveva annunciato le imminenti nozze combinate che l’avrebbero strappata da quelle terre per sempre. Lo fece per paura di perdere quel legame che lei e la sua amica Chasm avevano creato, arrivando persino a rivelargli del dono ricevuto. Ma il padre aveva fame di potere, usò l’informazione a suo favore, convinse il popolo che quella creatura avesse cercato di fare del male alla sua bambina ed uccise la Chasm indifesa. Fu così che si scatenò la guerra e fu solo per l’atto disperato di quella ragazza che perdemmo».
Ermione ricordava come la sua mente da bambina avesse registrato un silenzio pregno di attesa e come fosse rimasta ad aspettare trepidante che sua nonna finisse il tragico racconto.

«Come punizione, ogni sette anni delle ragazze vengono-» Inès si fermò all’improvviso e deglutì, «vengono mandate all’entrata di quel mondo e sacrificate come segno di pace. È per questo motivo che la tua vicina è stata presa, perché è stata scelta.»
La bambina la guardò attentamente, con degli occhi che in quel momento avevano un che di serio e adulto, e le disse, osservando gli occhi tristi della nonna, che quando avrebbe ricevuto l’incarico di sacerdotessa, che si tramandava ad ogni generazione, avrebbe fatto qualunque cosa per interrompere tutto quello.

«Muoviti, ragazza!» le urlò uno dei membri dell’equipaggio tirandole il braccio, stringendo le mani sudicie intorno al gomito di Ermione, la quale si toccò la tasca dei pantaloni macchiato prima di lasciarsi tirare via.

Mentre le ragazze venivano spinte fuori e portate con degli strattoni verso il ponte superiore, dove tra strepiti e sguardi imploranti – o lascivi, da parte di Sally, la quale era decisa ad avere un trattamento di favore quando sarebbe ritornata a bordo – sarebbero dopo poco state spinte su una barca di legno che le avrebbe infine portate verso l’interno della grotta che si stagliava dinanzi ai loro occhi, mentre tutto ciò accadeva e il mare continuava a ringhiare il proprio dissenso e la propria furia, nessuno fece caso al mancato toc da parte della bottiglia di vetro scuro, che si trovava in frantumi ai piedi della cella, accanto al posto isolato in cui Ermione si era trovata fino a quel momento.

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Ermione tremava nonostante tutto, spaventata da quello che la aspettava se non fosse riuscita a restare sulla barca. Barca che la stava portando insieme alle altre ragazze verso il fondo della grotta, la quale non aveva nulla di quei colori magici di cui sua nonna le aveva narrato.
Le pareti di pietra erano frastagliate da segni di graffi e sul fondo non più gemme preziose e variopinte ma solo ossa e teschi si mostravano ai loro occhi. L’acqua si era come calmata da quando erano entrate, muovendosi quel che bastava per trainarle verso la fine, come se il mare si fosse infine arreso a quella decisione.
L’odore salmastro era del tutto coperto da quello del sudore e della paura – e del sangue, che ancora scorreva lungo i polsi della ragazza dalle braccia martoriate – e un sapore di morte si era attaccato alla lingua di Ermione, rendendole impossibile deglutire o parlare.
Piccoli mulinelli iniziarono a formarsi ai loro lati, e quando si fermarono nell’oscurità più fitta che le aspettava, solo i singhiozzi dell’unica bambina tra loro riempirono il silenzio.
All’improvviso la barca iniziò a ondeggiare e piccole e veloci sagome verdi potevano essere viste muoversi sul fondale, illuminando inquietantemente i loro volti atterriti.
Ermione aguzzò la vista, cercando di mettere a fuoco ciò che aveva intorno, muovendo la testa al ritmo della comparsa delle strane figure, quando un urlo la fece sobbalzare e girare.
Una ragazza era trascinata verso l’acqua nera da una mano luminosa, piena di squame verde acido, che non lasciava scalfire la propria presa salda dal divincolarsi della vittima.
«Aiuto! Vi prego, aiutatemi, aiutatemi!» urlava la voce sconosciuta, facendo scattare qualcosa in loro.
Nija ed Ermione si lanciarono verso di lei, stringendole le mani, aiutate a tenere l’equilibro da una compagna sconosciuta, che abbaiava alle altre di venire lì e tirarla a loro volta.
La mano della ragazza catturata era sudata ma fredda, fredda come il ghiaccio e tremante, ed Ermione non riusciva a smettere di stringere i denti e guardarla spaventata negli occhi, incapace di pensare ad altro sennonché era stata sua nonna – sua nonna – a mandarle lì.
Un altro urlo alle loro spalle le fece sobbalzare e voltare, orripilate dalla vista delle mani della ragazza dalle braccia martoriate che sparivano oltre il bordo della barca.
Nija si gettò imprevedibilmente verso di lei, forse cercando di prenderla prima che scomparisse per sempre tra le acque del mare, forse perfino intenzionata a lanciarsi per salvarla, ma un tonfo e degli schizzi fecero voltare tutte, portandole a conoscenza di un’ altra vittima che inesorabilmente veniva tirata giù, senza venire minimamente aiutata da Sally, che l’osservava impassibile.
«Sally, aiutala, aiutala!» iniziò a strepitare  Nija, ma la situazione era degenerata drasticamente.
La ragazza sconosciuta che teneva ancora Ermione per la vita la lasciò per correre verso l’ultima ragazza presa, probabilmente poiché la conosceva e voleva salvarla, non tenendo però conto della prima, il cui piede fu tirato con ancora più forza e violenza.
Ermione cercò di prenderla per il polso ma la mano sudata perse la presa e la bruna si ritrovò a stringere il nulla, urlando disperata.

«Allontanatevi dai bordi!» Urlò Nija, prima che anche lei fosse afferrata a tutta velocità e gettata via dalla barca.

Il viso di Sally fu attraversato da uno spasmo e impallidì, ma corse a fare quello che aveva urlato la compagna, spingendo da parte la ragazza sconosciuta che aveva aiutato Ermione, facendola così barcollare e finire di schiena contro lo specchio d’acqua.

La bambina iniziò a piangere ancora più forte, Ermione guardava la compagna impietrita e Sally la guardò a sua volta con sguardo infuocato, dicendole che «Non doveva mettersi tra i piedi».
All’improvviso lo sfavillare degli esseri scomparve, facendo piombare tutto nell’oscurità più profonda.
«Dove sono andati? Dove sono andati?» sbraitò Sally, alzandosi in piedi e guardandosi intorno.
Strinse forte i pugni delle mani, ringhiò di rabbia e indirizzò il proprio sguardo verso le ultime due.
«Se devo occuparmene da sola lo farò, lo farò! Qualunque cosa per tornare a casa, qualunque, anche prendere quella stupida bambina» sputò con astio, «e affogarla con le mie stesse man-».
Fu bloccata all’improvviso da un corpo, che veloce come una saetta le si era gettato contro, spingendola oltre il bordo della barca e portandola con sé verso il fondo, dove vennero coperti dallo specchio d’acqua.

Ermione e la bambina ansimavano con forza, terrorizzate da quello che sarebbe accaduto.
La più grande si voltò e la guardò, portando la più piccola a emettere un verso strozzato, e si mise a pensare a cosa sarebbe accaduto se solo si fosse lasciata andare.
Se avesse messo da parte la morale e la coscienza, spingendola in acqua e lasciandola morire per salvarsi e tornare a casa, dove la sua famiglia la aspettava –  una famiglia che sapeva stare piangendo una perdita non ancora realmente subita ma comunque immaginata con una certezza assoluta.

Che cosa sarebbe accaduto se avesse messo da parte gli insegnamenti impartitole?
Ermione non ne era certa, ma con la coda dell’occhio vide una linea verde acido nuotare verso di loro, dietro la bambina che la guardava con quei suoi occhi grandi pieni di lacrime, e fece quello che doveva essere fatto.

Mise le piante dei piedi a terra, si diede una spinta e si gettò in acqua.

Mani dalle unghie affilate la afferrarono con forza, lasciando sicuramente lividi e graffi sulle gambe scoperte dai pantaloni rialzati, trascinandola verso il basso.
Altre mani scure iniziarono a lambirle la carne, pizzicando e sfregando e tirando, portandola sempre più lontana dalla superfice e dall’aria.
I polmoni bruciavano come non mai e le orecchie fischiavano talmente forte da stordirla, mentre continue altre mani arrivavano persino a tirarle i capelli, lasciandole graffi sulle guance e sul collo, macchiando l’acqua del mare di un rosso acceso.

Ermione si sentì strappare la collana dal collo, e, vedendo quella luce perlacea allontanarsi, allungò un braccio verso il basso, arrivando fino a dove voleva e stringendo le dita intorno al vetro rotto che aveva nascosto.
Tagliandosi il palmo nel mentre, chiuse il pugno ed iniziò a colpire, mentre nella sua mente l’istinto di sopravvivenza urlava e scalpitava, spingendola a fare qualunque cosa per uscire incolume da quella situazione.
Qualunque cosa fosse stata necessaria, anche se probabilmente non sarebbe cambiato nulla.

Ma nonostante questo non avrebbe mai permesso a quegli esseri di ucciderla senza combattere. Mai.
 
 



L’angolo di Wolf che inizia come sempre a straparlare
Ciao a tutti!
 
Questa è la seconda storia che pubblico e non potrei essere più eccitata, spero davvero vi sia piaciuta.
 
Oggi stavo spulciando un po’ tra le mie vecchie storie, quelle iniziate a metà, quelle terminate a un quarto e quelle neanche mai cominciate  e mi sono detta che non se lo meritavano e che neanche la vecchia me – quella più piccola, con un modo tutto suo di scrivere, forse migliore o forse peggiore, ma sicuramente diverso  - se lo meritava, quindi ho deciso lentamente di riprendere i miei testi e condividerli con voi.
 
Sono ancora un po’ spaventata, è comunque una parte di me a cui tengo molto quella che sto rivelando a tutti voi, ma ho deciso di stringere i denti e liberarmi da questo terrore inutile e controproducente, così da sentirmi libera di fare qualunque cosa senta essere giusta per me.
 
Questa è una piccola One Shot che penso di aver scritto due o tre anni fa e vi avverto che non ho cambiato nulla, ho solo tolto qualche virgola qui e là e qualche ripetizione fastidiosa, quindi sarà sicuramente differente rispetto a quelle che comincerò a pubblicare da adesso in poi.
Non è perfetta, lo so, ma neanche io lo sono e volevo mostrarmi apertamente a voi, senza finzioni o maschere, perché se non sono sincera in questo è davvero impossibile esserlo con gli altri – con voi lettrici e lettori.
Ha quindi un sacco di difetti, personaggi a caso, troppe virgole e participi, nomi di fratelli aggiunti di sfuggita che se sbattete le palpebre per due secondi netti ve li perdete pure, morti qui e là e una protagonista che non conosciamo affatto, vista solo di sfuggita mentre parla di se stessa con be’ se stessa, ruba bottiglie scheggiate, osserva troppo gli altri, si sacrifica in ultimo per una bambina con davvero troppe lacrime in corpo che neanche conosce e si getta tra le fauci del mostro di turno – letteralmente.
 
Ho lasciato il finale aperto proprio perché non sentivo la necessità di scrivere una vera e propria fine, non mi serviva e non mi sembrava la cosa corretta da fare in questa storia, quindi decidete voi il finale: Ermione potrebbe essere morta, essere sopravvissuta, essere diventata una dei mostri, essersi innamorata come in un cliché (che però adoriamo comunque) del bel personaggio di turno, che sia di sesso femminile o maschile o entrambi non è affar mio, date libero spazio all’immaginazione.
Quello che serviva scrivere l’ho scritto e mi basta questo.
 
Ma ricordo ancora cosa ho provato nello scriverla e nonostante tutto si merita di essere letta da altri oltre me.
 
Nonostante questo, non abbiate paura di farmi delle critiche!
Mi faranno crescere un sacco e potrò usarle per migliorare il mio stile, che come ho già detto davvero troppe volte è cambiato, almeno credo (lasciatemi questa illusione, dai).
 
Per chiunque sia riuscito ad arrivare fin qui senza avere un colpo apoplettico per il mio troppo straparlare, grazie mille, ti sono grata per aver letto questa piccola storia senza pretese, imperfetta e scritta da una ragazzina (ancora presente in me) che si è sempre criticata troppo e che ancora lo fa.
 
Anna, anche detta Wolf
  
   
 
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