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Autore: Harriet    20/03/2020    1 recensioni
In un mondo incerto e feroce, a volte l'unica cosa da fare è aggrapparti alle persone che hai trovato.
Anche se siete in cinque, e avete deciso che questa è una storia d'amore.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dietro le quinte della rivolta'
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Partecipa al COW-T di Landedifandom. Missione 3, prompt: Moresome (relazione romantica e/o sessuale tra 4 o + persone), storia originale, rating safe.
Questa storia fa parte di una serie, "Dietro le quinte della rivolta", che racconta le vicende dei cinque elementi della relazione qui descritta.
Dedicata a Lillabulleryu, che è stata la prima ad ascoltare la storia di questi personaggi e che ne apprezza le vicende.
Nota: Yedra è una persona non binaria. Purtroppo il nostro linguaggio non contempla un neutro, quindi nel testo, quando è indispensabile, uso il maschile, ma nella lingua dei personaggio Yedra utilizza il genere neutro.
Grazie di essere qui!


Come un incendio
 
 La casa passava da momenti di silenzio abissale a un concerto dissonante di voci, non esisteva una via di mezzo. Nessuna stanza era particolarmente grande, ma erano tutte poco ammobiliate, quindi talvolta, con la giusta luce, davano una strana impressione di spazio. Ognuna era diversissima dall’altra. Ognuna aveva una specifica serie di colori, e nella mente di Enit c’erano anche delle parole da attribuire alle stanze.
            Per esempio, la cucina era arancione e grigio, le sue parole erano tutti, cassetti, fermarsi. La stanza che Enit condivideva con Ilran era rosso e rosa, era fiume, petalo, evoluzione. Poi c’era la stanza dove dormivano Ayld e Yedra: bianco e azzurro, suono, delicato, libero. Il tetto su cui Deireth aveva costruito la sua casetta di legno solitaria: verde e nero, pace, respiro, sospensione. Infine c’era il bagno, che era fucsia ed era confusione e pazienza.
            Enit era cresciuta con otto tra sorelle e fratelli, e tutti e quattro i nonni nella stessa casa. Diciannove persone per undici stanze, delle quali alcune non erano altro che camere più grandi divise con separazioni di fortuna. Nessuno spazio poteva essere troppo affollato, per lei. Nessun nucleo di persone che decidevano di vivere insieme e scambiarsi amore e protezione sarebbe mai stato troppo grande.
            Certo, l’avevano cresciuta con le fiabe e con gli aneddoti che la sua famiglia si portava dietro da generazioni, e tutte quelle storie parlavano di un uomo e una donna, lui forte e lei bella e dolce, tra cui un giorno scoppiava un amore devastante e assoluto, un amore come un incendio, e dal quale nasceva poi una discendenza. Enit aveva sognato con quelle storie, ed era stata anche un po’ delusa quando, crescendo, quell’uomo forte non si era palesato. Poi aveva iniziato a pensare che forse la cosa non sarebbe stata poi così importante. Se la sarebbe cavata comunque.
            Quando aveva compiuto ventitré anni, aveva lasciato la famiglia per unirsi a una banda di vigilanti (ma anche artisti giorovaghi). L’idea di trovare quel personaggio leggendario, l’uomo dell’Amore Come Un Incendio, era sfumata.
            Poi aveva conosciuto una scienziata con una passione per le esplosioni e una capacità sorprendente di capire come funzionavano le macchine soltanto dal loro rumore. Ed era cominciato un Amore, che non era stato subito Come Un Incendio, ma era stato molto più interessante di come glielo descrivevano nelle storie.
            La faccenda sarebbe potuta finire lì. Enit e Ilran, una sarta e una scienziata, due vigilanti, la fantasia di Enit e la mente brillante di Ilran. Poteva bastare?
            Sì, certo. Poteva bastare, ma non era bastato.
            Enit sospirò. Non sapeva perché ogni tanto aveva bisogno di raccontarsi di nuovo la storia della sua vita. Soprattutto se era l’alba, e poteva godere di quel filo di luce che oltrepassava le tende della camera di Yedra (bianco e azzurro, suono, delicato, libero.) Soprattutto se era distesa sull’ampio giaciglio composto da tre grossi materassi messi vicini e pieni di lenzuola e coperte alla rinfusa, pigiata tra Ilran e Yedra.
            Dormivano tutti e due: Ilran sbuffando dolcemente, le treccine fucsia allargate tutt’intorno alla sua testa, sul cuscino, mentre Yedra era immobile, ed Einit sapeva che per sentirlo respirare si sarebbe dovuta avvicinare alla sua faccia. Ilran era nuda, Yedra aveva indosso solo alcune collane. Sul viso di lui restavano le tracce del trucco. Enit si mosse appena per guardare prima l’una, poi l’altro. Erano bellissimi tutti e due: la pelle nera e vellutata di Ilran, la pelle candida di Yedra, su cui spiccava una miriade di cicatrici che a volte erano difficili da dimenticare. Le sopracciglia decise di Ilran, l’arco armonioso e fine di quelle di Yedra. Le unghie di Ilran, con lo smalto d’oro scheggiato per via del suo lavorare con le macchine e gli utensili più vari, le unghie di Yedra dipinte di blu. Corte per entrambi: non si smanetta con cacciaviti e valvole con le unghie troppo lunghe, né si suonano cinque diversi strumenti musicali a corda o ad arco.
            Ilran, sicura, stabile, sempre aperta a cambiare strada e a ricostruire tutto da capo. Yedra, il loro punto di riferimento, la stella che guida la nave a casa. A loro modo, con dei ritmi strani e delle modalità sorprendenti, erano diventati entrambi Amore Come Un Incendio. Ma non avrebbe saputo come raccontarlo a sua madre, alle sue sorelle o alle nonne.
            Raggomitolato accanto a Yedra c’era Ayld. Era alto e robusto, ma quando dormiva in totale rilassamento sembrava che riuscisse a rimpicciolirsi. Era voltato su un fianco, con la testa posata sul petto di Yedra. I suoi capelli rossi erano sparpagliati ovunque: lungo le sue spalle larghe bianche, sulla faccia di Yedra, sul lenzuolo arancione con cui aveva cercato di coprirsi prima di addormentarsi.
            Come si poneva, Ayld, nello schema dell’Amore Come Un Incendio? Di sicuro lui era incendiato dall’amore per Yedra. Non ne parlava molto – esprimere a parole i propri sentimenti non era il suo punto forte. Ma parlava di quella devastazione assoluta con ogni suo movimento. Ecco, se c’era qualcuno che somigliava davvero tanto alle ragazze innamorate delle novelle, quello era Ayld. Vedeva l’amato in tutto. Ogni cosa glielo ricordava, ogni melodia gli faceva tornare in mente la sua voce.
            Beh, quell’ultimo caso valeva un po’ per tutti, in quella stanza: la voce di Yedra era una delle cose più belle che gli dei avessero mai creato e a volte Enit stentava a credere che potesse essere davvero così estesa, così pura, così inebriante. Se Yedra apriva bocca per cantare, li aveva già imprigionati tutti.
            Ayld riservava il suo Amore Devastante per Yedra, e non aveva alcun interesse per l’amore fisico che potevano offrirgli Enit e Ilran, ma quando loro avevano suggerito che poteva diventare una parte della loro strana equazione, non aveva detto di no. L’amore è fatto in tanti modi. Ayld aveva un modo silenzioso e delicato, di amare, che non si sarebbe detto, a vederlo così serio e concentrato, con tutte le sue armi (le sue molte, moltissime armi, nascoste ovunque) e quella tendenza a sfoderarle con facilità e a guardare l’avversario come se potesse incenerirlo con lo sguardo. Invece poi, quando tornavano a casa sani e salvi dopo uno spettacolo teatrale o dopo un’avventura di qualche genere (e non era detto che la carriera di artisti fosse meno pericolosa di quella di vigilanti), bastava un tocco sulla guancia o un bacio leggero per fargli deporre qualcosa di più che le armi.
            Che Amore era, Ayld, per Enit? Forse era l’Amore Interessante: era una scoperta quotidiana, capire come Ayld si sarebbe adattato e avrebbe trovato sempre di più il suo posto in quella strana famiglia.
            A destra di Ilran dormiva Deireth, in una buffa posa scomposta. I capelli neri e mossi erano un assurdo groviglio, nel quale spiccava il ciuffetto rosso per la cui esistenza non aveva mai dato una spiegazione convincente. Gli cresceva così, diceva, da sempre, ma una volta, quando aveva bevuto troppo, si era lasciato sfuggire che fosse stato colpa di un esperimento andato male. Che genere di esperimento, non era dato di sapere. Sulla guancia dalla pelle scura spiccava una traccia rossa: doveva essere stato il rossetto di Ilran. Aveva indosso una larga vestaglia blu, recuperata nell’armadio dei costumi di Yedra. Non se la sarebbe mai messa, fosse stato lucido, ma la sera prima, nell’euforia generale che spesso fioriva spontanea in loro, quando decidevano di trascorrere la notte tutti insieme, si era lasciato convincere a farsi vestire da Yedra. Deireth diceva di no a tutti per principio. Yedra era l’unico capace di superare le sue difese.
            Deireth era una prova di pazienza per tutti, ma Yedra era uno splendido mediatore. Sapeva come riportarlo a casa. E anche se era difficile, alla fine tutti erano contenti, quando finalmente anche lui si calava nel ruolo che si era scelto, all’interno del loro rifugio.
            Anche Deireth amava Yedra, e a volte era chiaro che se lo sarebbe tenuto per sé volentieri. Però era chiaro anche che considerava una fortuna poterne avere almeno un po’, e quindi aveva accettato abbastanza di buon grado di appartenere alla loro strana alleanza affettiva. Deireth era più curioso di Ayld. Era curioso di cosa potesse succedere. Era curioso dei corpi di Enit e Ilran. Era palesemente curioso anche del corpo di Ayld. Soprattutto, era curioso di com’era una vita passata non in solitudine e senza essere attorniato da gente che ti ripete tutti i giorni quanto tu sia un fallimento. Quella era stata la vera novità, per Deireth, quando lo avevano inglobato nel loro amore.
            Ecco, Deireth era l’Amore Curioso, per Enit, perché Deireth era un enigma costante, che sapeva dare immense soddisfazioni, quando si lasciava risolvere.
            Sarebbe stata bellissima, una storia che parlasse di tanti amori, con un protagonista che non doveva scegliere, ma trovava il modo di adattarsi e creare dei legami nuovi, forse insoliti ma sinceri. Non gliel’avevano mai raccontata, e quindi Enit si riteneva fortunata a essere riuscita a raccontarsela da sola.
 
            La luce entrava di prepotenza nella stanza, ormai. Deireth si stirò e sbadigliò, poi si tirò su di scatto. Ilran ronfava ancora. Incredibile come avesse un sonno mostruoso – a meno che non ci fosse qualche pericolo: in tal caso era la prima in piedi, con gli occhiali sul naso e un’arma e un cacciavite in mano. Quella donna faceva paura. Era troppo veloce, troppo matura, troppo coscienziosa.
            La piccoletta era sveglia e stava giocherellando con la sua lunga capigliatura arancione. Deireth incrociò i suoi occhioni azzurri ed Enit gli fece un sorriso. Un seno rotondo spuntava dalla camicia da notte rosa semiaperta. Lui si sforzò di restituirle uno sguardo abbastanza umano. Insomma, non poteva pretendere che avesse le energie per sorridere appena svegliato.
            Diede un’occhiata ad Ayld: niente, un sasso, anche lui. Non dormiva mai, lo trovava sempre in giro, con gli occhi spalancati e qualche nuova paranoia. Ma se lo facevi scopare, poi si addormentava e andava a diritto per ore. Comunque non era una brutta cura per l’insonnia, a pensarci bene. I capelli rossi gli coprivano tutta la faccia. Erano troppo lunghi. Però la notte precedente Deireth ci aveva provato gusto, a cacciarci le mani dentro e disfargli le treccine.
            Ayld stava praticamente schiacciando qualche costola a Yedra, con la testa pigiata sul suo petto. Beh, Yedra conosceva sicuramente qualche allucinante esercizio di riscaldamento teatrale per riprendersi e rimettere muscoli e ossa al loro posto. Se c’era un problema, qualsiasi tipo di problema, Yedra aveva sempre qualche roba strampalata da attore, come soluzione. La cosa pazzesca era che in genere funzionava.
            Yedra aveva gli occhi chiusi ma secondo Deireth era sveglio, perché se guardavi bene, lo vedevi respirare, e quando dormiva Yedra sembrava proprio un cadavere. Quindi ora faceva finta di dormire, forse perché si divertiva ad ascoltarli mentre si svegliavano. Magari era un qualche esercizio di immedesimazione teatrale. Yedra era il teatro in persona, ma un teatro irruento, che ti precipitava nella vita e ti buttava tutto all’aria. Tutti i tuoi progetti, tutte le tue belle idee, tutte le tue abitudini. Tutto all’aria. Tutto ricoperto di piume, seta, pelle, gemme, brillantini e sudore, e poi, via! Tutti in battaglia. Facciamo uno spettacolo. Aiutiamo i poveracci di questa città. Fottiamo i corrotti e gli oppressori. Tutto con lo stesso trucco di scena.
            Dio, come cazzo era riuscito a trascinarlo lì?
            Si passò una mano sul viso e tra i capelli. Voleva del caffè. Una quantità inimmaginabile di caffè, fatto nella loro piccola cucina che offriva soltanto un caminetto, una tavolino basso, degli scomodissimi cuscini tutt’intorno e quei macchinari inquietanti di Ilran, alcuni dei quali servivano in effetti a migliorare la loro dieta (altri erano trappole mortali, e non c’era verso di farglieli spostare da lì.)
            Trovò la forza per alzarsi e andò in cucina. Caffè. Avrebbe riempito la casa di odore di caffè, così forse li avrebbe fatti svegliare per bene tutti quanti.
 
            Ilran diede un ultimo calcio al sogno e aprì gli occhi. Si ritrovò le labbra di Enit sulla spalla e sorrise. Allungo la mano per affondarla nei capelli dell’altra e sospirò. La sentì momorare un saluto non particolarmente coerente ma delizioso.
            Deireth si era già alzato. Peccato. Ma era stato piacevole, averlo accanto, pacifico e – forse – sereno come di rado gli capitava.
            Yedra era palesemente sveglio, anche se fingeva il sonno. Ma che gli volevi dire? Quella era l’essenza di Yedra. Una recita continua. Tanto, quando voleva essere sincero, te lo faceva vedere in una maniera tale che era impossibile distogliere lo sguardo. Sentiva il suo respiro troppo forte per essere quello del sonno. Sentiva anche il suono dei suoi movimenti sul materasso. Chissà perché aveva deciso di giocare in quel modo.
            Era giornata di mercato. Le voci di quel modesto quartiere di Adraen salivano dalle strade e raggiungevano la loro finestra, riparata solo da alcune assi di legno e una tenda azzurra. La luce aveva ormai inondato la stanza, occupata dai materassi e da un piccolo armadio (che conteneva perlopiù le armi di Ayld. I costumi teatrali e gli stravaganti travestimenti di Yedra stavano nel bestione a otto ante che imperava nel corridoio.)
            Rumori dalla cucina. Clangore metallico di qualcosa che rotolava sul pavimento. Il click e lo scatto successivo del suo fornello a regolazione statica. Deireth stava preparando il caffè. I suoi passi concitati sul pavimento della stanza potevano essere un qualche tipo di esercizio, o forse era agitato perché aveva combinato un casino.
            Enit fece uno sbadiglio sonoro e punto la testa contro la spalla di Ilran, come per farsi forza e alzarsi.
            «Se non vado di là, quello devasta la cucina…»
            «Vado io, tranquilla.»
            Schioccò un bacio sulla fronte di Enit e lasciò la stanza.
            In quel momento aveva solo un desiderio: che i loro piani di rivoluzione avessero successo, in modo da potersene stare tranquilli, insieme, e svegliarsi in quel modo tutti i giorni.
 
            Ayld si svegliò di soprassalto e si guardò attorno, smarrito. Inspirò a fondo, per schiarirsi la mente. Sentì l’odore prepotente del caffè e funzionò per dare una scossa ai suoi sensi assopiti. Poi sentì anche l’odore della stanza, di tutti loro, e quello del cibo che veniva venduto nelle bancarelle del mercato, proprio sotto la loro finestra.
            Si spostò dal punto che aveva usato come cuscino e vide che aveva lasciato una chiazza rossa sulla pelle delicata di Yedra. Ci passò una mano sopra e si fermò. Il petto si alzava e si abbassava con energia. Stava solo fingendo di dormire.
            Enit era sveglia e gli sorrideva. Ricambiò il sorriso e la guardò alzarsi, abbottonarsi la camicia da notte rosa e raccogliere i lunghissimi capelli arancioni in una treccia. Conservava una traccia del profumo floreale e leggero che aveva indossato la sera prima. Guardò i suoi piedi bianchi e piccolissimi calzare un paio di sandali. Enit sembrava trovare sempre la cosa giusta, senza nemmeno fare lo sforzo di cercare.
            «Vuoi il caffè?» gli chiese, sulla soglia della stanza, e lui annuì.
            Si scostò i capelli dalla faccia. Si guardò attorno alla ricerca di un qualche indumento con cui coprirsi. Si soffermò sul viso di Yedra e si perse, chissà per quanto.
            «Caffè pronto!» lo richiamò la voce di Enit dalla cucina.
            «Ehi. Yedra. Alzati.»
            Nessuna risposta. Fece per muoversi, ma la mano di Yedra gli si piantò addosso. Poi, finalmente, aprì gli occhi.
            «Hai detto delle cose allucinanti, stanotte» disse Yedra.
            «Non le voglio sapere.»
            «Non te le dirò.»
            «Ti ho fatto male?» Indicò il petto di Yedra, che scosse la testa.
            «Il sonno è arrivato prima che mi rendessi conto che ti stavo facendo da cuscino.»
            «Andiamo?»
            «Sì. Però… Ayld. Sei…» Si fermò, come per lasciargli indovinare come avrebbe finito la frase. Poi prese fiato e concluse. «Sei contento?»
            «Non è che me lo devi chiedere sempre» borbottò. Non sapeva mai cosa rispondere, quando l’altro voleva che dicesse come si sentiva. Però quello era il modo di Yedra, che si preoccupava di lui, perché percepiva che era quello più sul margine, in quel loro assurdo… Gruppo? Assembramento? Nucleo simil-familiare? Se esisteva una parola per loro, non era stava inventata nelle lingue dei popoli che componevano quell’intreccio di vite, etnie e sfortune che era Adraen.
            «Sto bene» riuscì a dire, finalmente, perché voleva che Yedra non si preoccupasse, e anche perché era vero.
 
            Yedra si alzò e fermò Ayld prima che si alzasse, aggrappandosi al lenzuolo arancione con cui cercava di farsi scudo. Non sarebbe mai andato in cucina nudo (nonostante fosse stato il primo a rimanerlo, la sera prima.) Così si abbassò di nuovo, nel tentativo di recuperare il lenzuolo, ma Yedra lo bloccò con un bacio. Ayld non protestò.
            Si alzarono insieme e Ayld si mise addosso più cose possibile, tra gli indumenti sparsi in giro, e probabilmente non era nemmeno tutta roba sua. Yedra si infilò un vestito corto color pesca che era sicuramente di Enit. Prese la mano dell’altro e lo condusse fuori dalla stanza.
            In cucina c’era Deireth che passava a tutti tazze colme di caffè con la sua miglior espressione truce, quella che indossava per difendersi dal mondo. Era un po’ triste, il fatto che ne avesse bisogno anche con loro, perlomeno con la luce del sole. Forse le cose sarebbero cambiate. Forse. Yedra prese la tazza e si lasciò rimettere al mondo dal sapore intenso del caffè amaro.
            «Dopo dobbiamo passare dal teatro. Ho fatto una prima versione del macchinario che vuoi per l’ultima scena del terzo atto, ma non sono sicura che risponda a tutte le tue esigenze» disse Ilran, spingendosi gli occhiali sul naso. «Perché le tue esigenze sono proprio tante.»
            «E dai. Non è così complicato!»
            «Preferisco quando fai solo l’attore e non sei anche alla regia. Hai comunque delle idee impossibili, ma almeno c’è un’autorità superiore che te ne boccia la metà.»
            Yedra rise e bevve un’altra sorsata. Non le rispose, perché aveva ragione, e perché in ogni caso non se ne vergnognava neanche un po’.
            «E più tardi voglio farti vedere una cosa che ho imparato a fare con i pugnali» disse Enit, cacciandogli in bocca mezzo biscotto al miele. «Ah, sì, e poi ho un po’ di costumi da far provare a tutta la compagnia. Ho un sacco di idee, ma devo vedere bene come vi stanno addosso certe cose. Tipo, per l’armatura di Zenaida ho qualche problema: le sue spalle hanno una forma particolare, e visto che lo spallaccio è fondamentale per la scena del duello del secondo atto, voglio proprio vedere se riesco a fargli fare quello che mi hai chiesto. Concordo: sei terribile, quando sei alla regia.»
            «Grazie.»
            «Guarda che era un insulto!»
            Ayld, che girellava per la cucina con una ciotola piena di ciliegie, gliene offrì una e Yedra la mise in bocca: era matura e succosissima.
            «Con tutto questo teatro, non ti dimenticare che stasera vuoi che io vada a fottere un vecchietto cretino a carte» disse Deireth.
            «Non me lo sono dimenticato. Ti ricordi cosa devi fare?»
            «Certo. Fargli perdere così tanti soldi che implorerà pietà. E in cambio gli dirò di annullare le condanne ai pescatori arrestati tre giorni fa, o lo rovinerò completamente.»
            «Un vecchietto cretino. Un bel modo di definire uno dei giudici più importanti di Adraen» commentò Enit.
            «È quello che è.»
            «Pensi che basterà?» domandò Ilran, seria.
            «Basterà» rispose Yedra. «Sennò abbiamo sempre il piano di riserva.»
            «Sfondiamo la prigione e ce li portiamo via?»
            «Quello è il piano di riserva del piano di riserva. Quello a cui pensavo io è il piano in cui Ayld seduce la sorella del giudice e trova il modo di far entrare in casa sua me ed Enit, per falsificare un po’ di prove.»
            «Ayld che seduce una persona…» commentò Ilran.
            «Ayld che seduce una donna…» rincarò Deireth.
            «Ayld non seduce nessuno» disse Ayld. «Per cui, vedi di stracciare quel vecchietto cretino.»
            Finirono il caffè, i biscotti e le ciliegie parlando ancora di teatro, dei loro piani, di cose leggere, di cose terribili.
            Quella era la vita ad Adraen. Quella era la vita che avevano scelto. E la cosa che li avebbe mantenuti vivi e forti e determinati, era il fatto di avere scelto anche di essere insieme.
            Yedra li guardò uno dopo l’altro, assaporò la loro presenza e si sentì devastare da un amore come un incendio.
   
 
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