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Autore: Elwoodblues    20/03/2020    1 recensioni
"I tuoi pensieri erano formichine rosse che venivano da grotte sconosciute. "
Veronica è una giovane ragazza con dei traumi non detti che cerca di reprimere a favore di una vita "normale"; purtroppo, è una cosa che scoprirà di non poter fare. La storia parte dal primo dei suoi ultimi giorni di vita: cambierà, si interrogherà e rivivirà parti della sua vita che aveva considerato non essenziali.
E' una ragazza problematica in un modo non gentile, non attento.
Genere: Malinconico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I tuoi pensieri erano formichine rosse che venivano da grotte sconosciute. Non sapevi perché erano lì, né se mordendoti potevano procurarti qualche malattia o irritazione alla pelle.
Non sapevi nulla. Le formiche salivano sulle tue gambe nude, indisturbate; ti solleticavano, ti facevano paura.
Contraevi i piedi in quelle ballerine rosse che non ricordavi nemmeno di avere, ma che scegliesti per l’occasione. Non potevi fermarle e non potevi nemmeno scappare via urlando. Cercasti di rilassarti respirando a fondo e guardando in alto.
Le tue mani si cercarono sotto il tavolo e lentamente ti massaggiasti il pollice: così ti aveva detto di fare lo psicologo. Le formichine non se ne andarono, però, si paralizzarono soltanto; e a te, onestamente, stava bene così.
Facesti un respiro di sollievo e sorridesti alla donna davanti a te.
«Tutto bene…?» esitò. Era evidente che quella signora altezzosa fingeva di non ricordare il tuo nome. E il figlio, seduto accanto a te, ti strinse la mano.
«Veronica, mamma. Non prendi più le pillole?»
La donna rise per l’insolenza del figlio, ma guardava te. I suoi occhi nocciola- quasi gialli, ti sembrò- erano piantati su di te e cercavano disperatamente di sentirti cedere sotto quell’innegabile pressione.
«Andrea non sei simpatico. Il mio cervello funziona perfettamente. La nostra ospite potrebbe credere che io sia una vecchia rimbambita se parli così di me, no?»
Ti chiedesti cosa si aspettasse che le rispondessi: “Oh, sì. Sei una pazza manipolatrice, ma non perché ti prendi mille compresse per malattie autodiagnosticate, ma perché tratti tuo figlio come un doberman che curi ogni giorno solo per portarlo alla fiera canina” Ma non lo dicesti.
Le tue labbra dipinte di un rossetto femminile, ma pacato, si sciolsero in un timido sorriso. Fu un peccato che eri così concentrata a fare bella figura con tua suocera, perché se ti fossi guardata un attimo allo specchio avresti capito quanto eri bella, proprio in quel momento, proprio con quella vulnerabilità addosso.
«Non lo penserei mai- ti guardasti attorno cercando un motivo per cui i tuoi occhi erano all’insù quando cercasti di dissimulare quel piccolo attacco di panico di poco prima - osservavo questi quadri: sono davvero belli, complimenti»
Era sospettosa, credeva fossi sarcastica. Non ti rispose, continuò a gustare il suo pollo. Guardasti Andrea: era così tranquillo, così sicuro di sé. Abbassasti lo sguardo e notasti le tue mani sudate. Che cosa ci facevi lì?
«Allora, mio figlio mi ha detto che scrivi.»
Suo padre, Carlo, ti guardava a malapena mentre parlava con te. Non era contrario, come la moglie, ma sperava sempre che Andrea alla fine si mettesse con la figlia del suo socio in affari. I suoi sentimenti nei tuoi confronti erano nulli: sapeva che presto saresti stata sostituita, ma si sforzava di essere educato e convenevole con quel viso estraneo in casa.
«Non proprio… per adesso lavoro… sono una stagista in un giornale locale.»
Carlo alzò lo sguardo dal suo piatto e si lisciò la barba scura.
«Ah. E cosa fai esattamente?»
«Verifico le fonti.» Calò il silenzio.
Tua suocera sorrise, non si poté trattenere.
«Però un giorno vorrei diventare una scrittrice. Ho nel cassetto qualche idea per un romanzo… in fondo ho solo venticinque anni, quindi…»
La donna ti interruppe come se non esistessi nemmeno, come se fossi solo un brusio di sottofondo.
«Carlo, come si chiamava quel figlio del tuo collega… Edoardo? Quello che aveva pubblicato quei saggi…»
«Sì, Edoardo De Santis. Un caro ragazzo… credo che adesso insegni lettere moderne al “La Normale” di Pisa. Era logico andasse così, si è diplomato a sedici anni, pensate.»
«Sì, ecco. Ora ne ha ventidue, se non sbaglio- ti infilzò con lo sguardo- vedi Valeria, c’è speranza anche per te.»
Andrea ti strinse la mano sotto il tavolo
. «Si chiama Veronica; smettila.» Lei rise, sguaiatamente. Potevi vedere il suo orgoglio gonfiarsi attraverso quel palato spalancato.
«Tesoro! Spero che la tua… che lei non sia permalosa quanto te! Non ti sarai offesa perché ogni tanto dimentico i nomi.»
Ti sentisti pesante. Le formichine ormai erano fin dentro la tua biancheria e continuavano a salire, si intromettevano in ogni pertugio che trovano, in ogni poro aperto, in ogni ferita.
Sentivi il tepore salire sugli arti paralizzati dal sudore freddo. Salirono lunga la nuca e la ripetizione di questi pensieri ossessivi cercarono una via di uscita, volevano uscire, volevano andare via, liberarsi di un corpo ospite talmente insulso. Ti alzasti in fretta, non mi ricordo se ti scusasti.
Corresti in bagno e ti chiudesti la porta chiave. Un secondo dopo sapevi che ormai non potevi tornare indietro. I tuoi pensieri, le tue formiche, galleggiavano in quel wc di ceramica lussuosissimo, ormai liberi.
Ti sedesti accanto al water e con la bocca ancora incrostata di vomito sussurrasti ad un dio sconosciuto di fermarli, di fermarti. Non dovevi cedere alla tentazione. Ci siamo rialzate tante volte insieme, a fatica, ma tu hai sempre cercato ossessivamente ogni sasso per inciampare.
Ti chiesi di resistere: sì, in equilibrio, su una gamba sola, per non cadere di nuovo in quella voragine.
Fu tutto vano. Incominciasti a odiarti profondamente e, sinceramente, mi chiesi perché ti piacesse così tanto crogiolarti in questa autocommiserazione. Ti preoccupavi di fare questi giochetti per odiarti sempre di più mentre la tua vita ti scorreva davanti e continuava, senza un vero motivo, continuava senza uno scopo, almeno non uno che perseguivi davvero e io lo so perché: ci sono sempre ostacoli nei tuoi viaggi, ostacoli che ti crei tu.
Quando non ce la puoi fare perché fai così schifo, o perché non riesci ad uscire dal letto, ogni cosa ti sembra permessa.
Ti alzasti, ti lavasti il viso e usciti da quell’enorme casa senza salutare.
Eri sicura che con Andrea era finito tutto.
Era un caro ragazzo e forse ti voleva anche bene, ma la mela non cade mai lontano dall’albero.
Se gli stavi bene allora, sicuramente fra qualche anno sarebbe rinsavito e, tramutandosi in un’immagine più giovane e affascinante di Carlo Bonanni, ti avrebbe detto che la figlia del socio del padre era laureata ed era meglio di te.
Sapevi benissimo cosa saresti stata nei suoi ricordi: “Oh, sì, quella ragazza… Valeria? Quella che ho rimorchiato in quel locale… era carina e stupida. D’altronde ero giovane, cosa si cerca a quell’età?”
Lo sapevi. Non sapevi come sarebbe stato lui, nei tuoi ricordi, ma io lo so:“ Andrea Bonanni. Il mio primo amore. Colui che diede inizio e fine alla mia vita.”
So che lo hai amato e che grazie a lui sei anche cresciuta, ma ,detto fra di noi, avrei preferito non l’avessi mai incontrato.
   
 
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