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Autore: Harriet    21/03/2020    1 recensioni
Ayld e il suo clan sono sulle tracce di un fuorilegge e cercano di studiarne le confuse descrizioni che i testimoni oculari ne danno.
Due anni dopo, Ayld avrà una prospettiva molto personale e precisa, dell'aspetto fisico di suddetto fuorilegge.
[Steampunk, bizzarrie varie e nemici che diventano... Qualcos'altro]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dietro le quinte della rivolta'
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Partecipa al COW-T di Landedifandom, Missione 4, prompt: Storia con un salto temporale divisa in due parti lunghe più o meno uguale + trope enemies to lovers.
Dedicata a Lillabulleryu, madrina ufficiale di questa coppia.

Anatomia del nemico

 
 «Otto. Otto diverse persone che sostengono di aver visto il capo degli Aedi. Otto, di cui tre appartenenti al clan. Otto persone che sono in grado di descrivere questo pezzo di merda.» La voce di suo padre era ancora abbastanza controllata, ma il picco di furia omicida era molto vicino. Erano quasi trent’anni che Ayld lo sentiva parlare. Sapeva che quello era il percorso obbligato del suo timbro, quando succedeva qualcosa che lo faceva incazzare. Il che poteva applicarsi a un nemico particolarmente difficile da fare fuori oppure a uno dei suoi cinque figli che disobbediva alla più stupida delle regole. «Otto stracazzo di descrizioni, e ce ne fosse una che ha qualcosa in comune con l’altra!»
            Ah, ecco. Ora cominciava a salire. Il ringhio nervoso che gli attraversava le corde vocali e si riversava all’esterno stava prendendo il totale controllo dell’espressività del capoclan.
            La stanza dove Adgal Sarran riuniva il comando stretto del clan per aggiornarli sulle missioni e gli obiettivi era sommersa dalle carte. Una cosa insolita: i Sarran erano soliti prendere le proprie decisioni in fretta e uscire dalla fortezza compatti e concentrati, portando rapidamente a destinazione il proprio bagaglio di efficiente violenza. Così era, con i clan di Adraen. Nessuno aveva dato loro alcuna autorità, ma ormai il governo, sconclusionato e con le pezze al culo, si rivolgeva a loro per qualsiasi di cosa. Di fatto, avevano la città in mano. E i Sarran se la godevano proprio, quella posizione di assoluto rilievo.
            Era interessante vedere suo padre così contrariato, e costretto a mettere da parte la rapidità di sempre per dedicarsi a un lavoro di investigazione che non era proprio il forte del clan. I Sarran ricevevano una missione, sfoderavano le spade, tiravano fuori i veleni e gli esplosivi, armavano le pistole, indossavano le loro armature per respingere proiettili, lame e mostri, e si lanciavano per le strade derelitte di Adraen, abbattendo qualsiasi ostacolo (vivente o meno) che si poneva tra loro e l’obiettivo.
            E invece.
            «Come cazzo è possibile, che non si riesca a capire com’è fatto?» Adgal sventolò una manciata di fogli, carichi delle parole di otto testimoni che sostenevano di essersi trovati alla presenza del capo del gruppo di vigilanti più odiati dal governo. «Come?» Ormai la voce era diventava un urlo costante, minato da un rantolo che lo accompagnava, probabilmente frutto dell’aver usato le corde vocali in maniera errata per quasi settant’anni. Ayld aveva letto molti libri sulla voce umana e sulle tecniche per utilizzarla correttamente, soprattutto per il canto e per la recitazione. Libri che Adgal gli avrebbe fatto mangiare pagina per pagina, se lo avesse beccato. Ma Ayld era bravo, a nascondere le cose a suo padre e al clan.
            Adgal respirò a fondo e sbatté sul tavolo i fogli che teneva in mano. Ayld ne studiò il viso arrossato dalla rabbia, i lunghi capelli grigi spettinati, la barba scomposta. Solo con i figli e i tre luogotenenti, gli unici ammessi a quella stanza, si lasciava andare, sia nell’aspetto che nell’espressione della propria rabbia. Adesso però si stava ricomponendo. Adgal era un uomo profondamente intelligente, quando accettava il fatto che non tutto si risolveva mostrando quanto grosse erano le proprie armi. Avrebbe rimesso insieme i pezzi e indagato sul nemico, e sarebbe riuscito a prenderlo. Ayld ne era certo.
            «Almeno quando a capo avevano quella troia dai capelli rossi, tutti sapevano com’era fatta» commentò Xyel. Adgal scosse la testa.
            «Sapevano tutti che il capo degli Aedi era una troia dai capelli rossi. Se qualcuno si fosse sprecato a guardarla bene in viso, forse avrebbe visto che era la figlia di uno dei consiglieri del governatore. Invece gli Aedi hanno rotto il cazzo alla città per tre anni, prima che qualcuno finalmente la impiccasse.»
            «Si sono fatti più furbi, dopo che è morta» disse Ternel. «Probabilmente il capo si fa impersonare sempre da qualcuno di diverso, per tenere segrete le sue caratteristiche.»
            «Proviamo a trovare dei punti fermi in queste cazzo di deposizioni» borbottò Adgal. La prima eruzione di rabbia era passata. Avrebbe avuto un’oretta decente, adesso, dove il lavoro investigativo sarebbe proceduto senza intoppi. Fino al prossimo tracollo. «Forza, tutti qui.»
            Adgal distribuì a tutti i fogli con le descrizioni, poi prese un altro foglio e una penna, ci ripensò e li passò ad Ayld.
            «Scrivi. Di otto testimonianze, secondo cinque il loro capo è un uomo, per gli altri tre è una donna.»
            «Grasso, robusto, magra, grassa, robusta, robusto, molto magro, media costituzione» snocciolò Xyel. «Basso, basso, abbastanza basso, media altezza, media altezza, medio, media, bassa.»
            «Non ha mai scelto impersonatori alti» notò il luogotenente Hazen. «Forse è basso e questa cosa gli rode un sacco, quindi non vuole vedersi interpretato da uno più alto di lui.»
            «Scrivi» ringhiò Adgal ad Ayld. Era chiaro che la cosa non gli tornava granché, ma le sue investigazioni partivano sempre dalla creazione meticolosa di un elenco di punti fermi e ipotesi. E siccome fino a quel momento la cosa aveva sempre funzionato, Ayld obbedì.
            «Vestiti sempre diversi» proseguì Xyel. «Questo qui dice che aveva un’armatura di cuoio con inserti meccanici, una donna sostiene che avesse un completo da persona molto altolocata, di ottima fattura, mentre un altro ha visto una donna vestita come una straccivendola del Mercato di Lun.»
            «Mi sembra una tattica logica e ottimale per confondere le idee» disse Ternel.
            «Arriveremo davvero da qualche parte, così?» chiese Zeill, e Ayld pensò che suo fratello avesse ragione, ma Adgal lo fulminò con lo sguardo.
            «Leggeremo quelle cazzo di descrizioni fino a impararle a memoria» disse il capoclan. «Forse, in mezzo alle stronzate, c’è qualche indizio che ci aiuterà a capire con chi abbiamo a che fare. Gli Aedi sembrano un branco di allegri straccioni con il gusto per l’esagerazione, ma sarebbe da stupidi sottovalutarli. Il governatore e i quei coglioni della sua guardia lo hano fatto per troppo tempo. Ora che abbiamo il compito di stanarli, lo faremo come si deve. Anche se la cosa ci richiede di leggerci paginate di deposizioni che spiegano di che colore aveva le mutande quel figlio di puttana.»
            «Capelli rossi, biondi, castani e corti, castani e lunghi, trecce castane, capelli viola, metà rossi e metà neri, bianchi» riprese Xyel. «Occhi… Ecco, sugli occhi sono più vaghi. Tre persone ricordano occhi scuri e allungati, una non ci ha fatto caso, due volte aveva occhiali con lenti azzurrate, due volte occhialoni che non permettevano di vedere gli occhi. Poi un paio di descrizioni nominano maschere che nascondono naso, bocca e mento, e una addirittura parla di una maschera che oscurava metà faccia.»
            «Età?» domandò Zeill.
            «Allora, quasi tutte parlano di una persona giovane, solo due dicono età imprecisata e una sostiene che fosse una vecchia.»
            «Altezza e occhi sono quasi sempre allo stesso modo» notò Ayld, fermando la matita sul foglio.
            «Che c’entra?» domandò Xyel.
            «Forse non si fa impersonare. Forse si traveste.»
            «Sarebbe proprio una grossa stronzata» rispose Zeill.
            «Però potrebbe essere. Può camuffarsi la faccia ma non cambiare il colore degli occhi. A meno che non usi alcune di quelle lenti che provengono da Meral, ma il collegamento con Meral è chiuso da due anni e non se ne sente più parlare da un bel po’, di quelle cose. Quindi io le escluderei. Poi può ingrossarsi, se è un tipo magro, ma variare l’altezza funziona fino a un certo punto. Come la cambi? Con dei tacchi, ma al massimo guadagni una quindicina di centimetri. Se sei basso, puoi sembrare di media altezza. Forse è per questo che nessuno ha visto un capo alto.»
            «Mi sembra un po’ forzata, questa idea» disse Ternel.
            «Davvero? Credi davvero che il capo di quelle immense teste di cazzo passerebbe così tanto tempo a studiare degli stupidi travestimenti?» domandò Xyel, con una punta di scherno nella voce.
            «Nessun criminale con un cervello funzionante perderebbe tempo così» disse suo padre, secco.
            «Gli Aedi non sono mai stati normali, né come criminali né come vigilanti. Se ne dicono tante sul loro conto. Hai detto anche tu che hanno il gusto per l’esagerazione. Una volta hanno interrotto una pubblica esecuzione liberando qualche centinaio di serpenti azzurri in piazza. Te lo ricordi?»
            «Come no. Centodiciannove intossicati e tutti i condannati fuggitivi.»
            Adgal non lo aggiunse, ma tra gli intossicati c’erano stati anche dodici appartenenti al clan.
            «E nemmeno un morto» riprese Ayld. «Se ne fanno un vanto, di distruggere cose, carriere, ricchezze e progetti, ma di non uccidere. Studiano delle modalità così elaborate per danneggiare il governo e i clan che non mi stupirebbe, se il loro capo si travestisse ogni volta.»
            «Da come ne parli, sembra quasi che ti stiano simpatici» commentò Zeill.
            «Non me ne frega un cazzo di loro, ma siccome il compito del clan è catturarli, cerco solo di capire bene come agiscono» rispose.
            «Non scartiamo l’idea del travestimento» disse Adgal, dopo qualche istante di esitazione. Ayld era sicuro che gli fosse costato un certo sforzo, farlo. Non era proprio entusiasta di dover dare ragione al figlio che gli era venuto male.
            «Se Ayld avesse avuto l’idea giusta e questo qui fosse uno che si traveste, allora sapremmo che è basso, magro e ha gli occhi scuri» disse Ternel. «E piuttosto giovane. Avremmo dei punti fermi.»
            Ayld si appuntò quella descrizione, per quanto fosse certo che i luogotenenti, Xyel e Zeill fossero molto perplessi al riguardo. Ma era riuscito a convincere abbastanza il capoclan e il suo primogenito: nessuno lo avrebbe sfottuto per la sua teoria.
            Lui era piuttosto sicuro di averci preso. Gli Aedi erano famosi perché le loro attività erano corredate di bizzarrie senza fine. In molti si chiedevano come cazzo potessero esistere, in un posto feroce come Adraen. Dovevano avere dei capi estremamente intelligenti. E completamente pazzi.
            Rilesse la breve descrizione che avevano ottenuto grazie al suo suggerimento.
            Una parte di Ayld era incuriosita: avrebbe voluto davvero vederla, quella persona. L’altra parte invece, quella che sperava ancora di trovare un minimo di senso di appartenenza al clan, voleva essere l’artefice della sua cattura.
 
 
            La luce mattutina evidenziava i contorni del corpo di Yedra. Per qualche strano motivo, ad Ayld tornò in mente un mattino di circa due anni prima, con suo padre che cercava di cavare qualcosa da otto deposizioni relative al capo degli Aedi. A pensarci adesso, gli veniva da ridere.
            Sì, era basso e magro, con gli occhi scuri. Ed era giovane. Quello lo avevano indovinato. Sul suo genere erano stati indecisi, tendendo a pensarlo come un uomo, vista la misoginia profonda del clan. Il loro modo di pensare molto limitato non li avrebbe comunque aiutati a capire meglio. Yedra era nato con un corpo maschile, ma parlava di sé al neutro. Il genere è irrilevante, diceva. E se Ayld all’inizio l’aveva considerata una stranezza, adesso, dopo un anno al suo fianco, per lui era una cosa perfettamente normale. Non che gli servisse un genere, per trovare Yedra la cosa più perfetta e miracolosa che la vita gli avesse mai fatto trovare.
            Se i Sarran, ancora impegnati nella loro battaglia contro gli Aedi, avessero saputo che adesso Ayld aveva accesso alla completa analisi anatomica del nemico…
            Per esempio, Yedra aveva la pelle molto chiara e facilmente irritabile, ma aveva anche una conoscenza smisurata delle erbe giuste per curarla, e dei trucchi migliori per trasformarsi la faccia senza danneggiarsi. La pelle di Yedra era percorsa da una serie di cicatrici su cui Ayld a volte faticava a passare le dita senza rabbrividire. Ayld aveva attraversato dei brutti momenti e aveva le sue cicatrici anche lui, ma i segni sulla pelle di Yedra raccontavano di una tortura feroce che gli era quasi costata la vita. Quando ne parlavano, Yedra usava sempre un’ironia che l’aiutava a distaccarsi da quegli eventi. Aveva detto ad Ayld cosa gli era successo, inframezzando il racconto di battute. Forse era l’unico modo in cui riusciva ad affrontare quei ricordi.
            Aveva i capelli neri, leggermente ondulati, e li portava scalati, con le ciocche più lunghe, dietro che raggiungevano le spalle. Aveva anche un’arte incredibile nell’acconciarli, o nel trasformarli con ciuffi finti e parrucche. Del resto, gli artisti e i teatranti ci sanno fare, con queste cose. E in Yedra c’era anche un pizzico di primadonna.
            Essendo un teatrante, naturalmente aveva un armadio dei costumi che faceva spavento, e aveva anche la capacità di tuffarvisi dentro e venirne fuori esattamente con quello che serviva. L’armadio occupava praticamente un’intera parete, nel corridoio della piccola casa che Ayld e Yedra condividevano insieme agli altri tre membri dello stretto consiglio degli Aedi. Nonché membri della loro insolita formazione affettiva a cinque.
            «Quando la chiami formazione affettiva, sembra che tu sia uno scienziato che vuole studiare il nostro bizzarro caso» lo prendeva in giro a volte Yedra, ma poi si divertiva a usare quelle stesse parole per descriverli.
            Yedra aveva delle forme estremamente delicate e si muoveva con incredibile eleganza. Sapeva rendersi invisibile e spostarsi nel più totale silenzio. Le dita delle sue mani erano lunghe e agili, capaci di brandire una spada, sparare rapidamente, far ragionare un macchinario ribelle, cucire e suonare cinque diversi strumenti musicali.
            Yedra possedeva una bellezza particolare, che non si coglieva immediatamente, ma emergeva pian piano quando uno lo osservava. Una volta che te n’eri accorto, eri perso.
            Yedra aveva una voce creata apposta da qualche divinità capricciosa per imbrigliare la mente degli esseri umani e costringerli ad ascoltarla in eterno. O così sembrava ad Ayld. Del resto, lo aveva fregato proprio con la sua voce.
            Prima che Ayld lasciasse i Sarran, un giorno aveva inseguito un Aedo in un posto difficile, gonfio di indicibili stregonerie e infestato dai mostri. Una mossa poco saggia. Quella persona era bassa, magra, giovane e con gli occhi scuri. Forse avrebbe dovuto capire. Ma non ci aveva nemmeno pensato, che si trattasse del loro capo. E poi aveva cose più importanti a cui pensare. I mostri, per esempio. Però quella persona gli aveva teso la mano e gli aveva proposto di collaborare, per uscire vivi da quel guaio. Sarebbe stato stupido rifiutare.
            Poi aveva cantato. E Ayld perdeva la testa, se qualcuno cantava.
            Studiò il profilo dolce di Yedra, la testa reclinata sul cuscino, i capelli spettinati. Si soffermò sulla perfezione della sua bocca. Perlomeno, ad Ayld sembrava perfetta.
            Un brivido di rimorso lo attraversò. Quella prima volta in cui si erano trovati vicini, quando Ayld era ancora un Sarran che fronteggiava un nemico, gli aveva fatto del male. Lo aveva preso per un braccio, stringendolo così forte da lasciargli dei lividi. Lo aveva colpito in faccia e gli aveva spaccato un labbro. Si portava dietro quei ricordi come un peso che non avrebbe mai lasciato andare. Non pensava fosse possibile fare ammenda. Ovviamente Yedra si irritava quando lo sentiva riparlare di quell’episodio.
            «Non potresti solo dimenticarlo?»
            «Ti ho fatto del male.»
            «Sì, beh, e volevi impacchettarmi e portarmi da tuo padre, che mi avrebbe condotto davanti a un tribunale, probabilmente con diverse ossa rotte. Il tribunale mi avrebbe condannato a morte prima ancora che fossi arrivato davanti ai giudici, e nel giro di mezza giornata sarei stato impiccato in piazza, dinanzi a tutta Adraen. Uno schiaffo è una cosa da nulla, in confronto a tutto questo.»
            «È che… In quel momento ero furioso. Con me stesso, con mio padre, con il clan. Non avresti dovuto pagarne le conseguenze tu.»
            «Facevi quello che pensavi fosse giusto. Eri un Sarran di fronte a un Aedo. Era l’ordine naturale delle cose.»
            «Ero uno stronzo.»
            Yedra rideva, rideva sempre di tutto il dolore passato, e poi lo baciava, come per dirgli che la sua bocca adesso stava benissimo, e poteva usarla per fare un sacco di cose che piacevano a entrambi.
            Ayld si lasciava sanare per qualche momento dalla sua risata, ma dentro di sé sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato.
            «È una stronzata» gli aveva detto una volta Deireth, che li aveva sentiti riportare a galla quella storia. «Gli hai fatto male, gli hai chiesto scusa, ora basta. E comunque, sai quante altre volte gli farai male? E Yedra farà male a te. E ce lo faremo tra di noi, perché siamo cinque teste di cazzo come tutti, e anche se ci piace giocare alla famiglia amorosa, abbiamo sempre i nostri lati più schifosi. Quindi lascia perdere le cose passate. Concentrati sul male che fai adesso.»
            Era un ottimo punto di vista, certo, ma come tutte le soluzioni pratiche di Deireth, la testa di Ayld non riusciva proprio a farle sue. Suo padre e i suoi fratelli gli avevano sempre detto che pensava troppo, che aveva un sacco di merda nel cervello e che si sarebbe rovinato da solo, con quel modo di fare. Forse avevano ragione. C’erano cose, nella sua testa, che proprio non riusciva a cancellare, né a spostare in un posto dove fossero meno dolorose.
            Continuò a guardare Yedra dormire. Per sentirlo respirare gli si sarebbe dovuto avvicinare moltissimo: nel sonno sembrava sempre morto. Le prime notti insieme gli aveva fatto anche un po’ paura.
            Ma non era stata solo la strana modalità del sonno di Yedra, a spaventarlo.
            Già il fatto di condividere un giaciglio con una persona che lo mandava fuori di testa, per lui era una straordinaria novità. Anche condividere il giaciglio con qualcuno, a voler essere precisi. Aveva ventotto anni, quando Yedra lo aveva trascinato nella sua vita, e non aveva mai avuto una relazione. Solo due fugaci incontri con due uomini conosciuti per caso, il secondo del quale era stato bruscamente interrotto da suo padre e suo fratello che, ricevuta la voce che il quartogenito del capoclan era dedito a relazioni contro natura, avevano devastato un intero quartiere per trovarlo.
            Tutto quello che riguardava il corpo dell’altro, all’inizio, era stato un misto di delizia e terrore. Gli chiedeva il permesso per ogni cosa. Gli chiedeva di spiegargli le proprie reazioni, con parole chiare e semplici, e anche se a volte aveva l’impressione che ciò rovinasse l’atmosfera, non riusciva a non farlo. La paura gli toglieva il respiro.
            Ma Yedra non aveva mai protestato. Lo lasciava chiedere, cercare, avere dubbi. Lo lasciava esternare il suo terrore e lo prendeva per mano quando gli sembrava di affondare nel panico.
            «Va tutto bene.»
            Andava sempre tutto bene, anche se erano nudi ed eccitati e Ayld, che aveva passato la vita a infilare la spada nel ventre di quelli che suo padre voleva morti, all’improvviso non era capace di infilare niente in nessun posto e andava nel panico. Per fortuna Yedra non sembrava avere alcun tipo di imbarazzo. Mai. Faceva quasi paura. Ayld rimaneva bloccato e Yedra prendeva in mano la situazione (a volte letteralmente). Prima di tutto però cercava di capire: vuoi fermarti? Vuoi farlo davvero? Cosa ti farebbe sentire bene? Cosa vuoi che ti faccia?
            Una volta passato l’imbarazzo, quelle domande sussurrate, accompagnate dal tocco delicato di Yedra, mandavano a fuoco la testa di Ayld, che si scioglieva e finalmente riusciva a lasciarsi andare alle sensazioni che provava, alle richieste del suo corpo, alla dolcezza, alla fame e alla soddisfazione. E aveva l’impressione che fosse molto eccitante anche per Yedra, quella situazione, che sapeva trasformare l’incertezza di Ayld in un gioco elettrizzante per entrambi.
             Gli occhi di Yedra si dischiusero. Vide Ayld e gli sorrise, poi allungò la mano dalle dita lunghe e le unghie curate (dipinte di azzurro e corte, per permettergli di suonare tutti i suoi strumenti.) La posò sulla guancia destra di Ayld. Lì c’era il tatuaggio che gli aveva imposto il clan quando ne era uscito. Il segno del suo tradimento. Ayld lo sfoggiava con fierezza, ma a volte gli sembrava ancora di sentire il bruciore e la vergogna del momento in cui glielo avevano fatto. Ma le dita di Yedra andavano a posarcisi sopra spesso, come a volerlo coprire. Come per dire che i Sarran e la loro eredità spariva, di fronte a tutto ciò che Yedra rappresentava.
            Una vita di avventura, teatro, rapporti insoliti, rischio costante, mete difficilmente raggiungibili e idealismo denigrato dai più.
            Una vita che Ayld aveva deciso di abbracciare per sempre.
 





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