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Autore: Gaian15    21/03/2020    2 recensioni
Nemmeno lui era a conoscenza della ragione che lo aveva portato a svegliarsi nel bel mezzo della notte -per esattezza alle 3:50 del mattino- e lo aveva poi condotto in cucina senza alcun apparente motivo. Provò ad attribuire la colpa ad un sogno in particolare, se così poteva chiamarlo, ma per il momento gli era impossibile ricordare fin dove si fossero spinti i suoi stessi pensieri, ritrovandosi dunque punto e a capo.
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⚠️ALLERTA SPOILER PER CHI NON AVESSE LETTO GLI ALBI DELLA SAGA "EVOLUTION".⚠️
Genere: Fantasy, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bombo, Elena Patata, Ezechiele Zick, Timothy-Moth
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nemmeno lui.

Nemmeno lui era a conoscenza della ragione che lo aveva portato a svegliarsi nel bel mezzo della notte -per esattezza alle 3:50 del mattino- e lo aveva poi condotto in cucina senza alcun apparente motivo. Provò ad attribuire la colpa ad un sogno in particolare, se così poteva chiamarlo, ma per il momento gli era impossibile ricordare fin dove si fossero spinti i suoi stessi pensieri, ritrovandosi dunque punto e a capo. Nel mentre afferrò tra le mani, con un lieve sbuffo tra le labbra secche, un bicchiere di vetro blu per poi riempirlo d'acqua fino a metà e berne un sorso. Si asciugò gli angoli della bocca con il polso -scoperto dalla maglietta che usava per dormire- per poi soffermarsi a guardare il grande orologio grigio della cucina e rendersi perlomeno conto di che ore fossero, scoprendo amaramente -e a denti stretti- che a breve si sarebbero fatte le quattro. Si ritrovò a sbuffare sonoramente non sapendo come poter fare per ritrovare il sonno ormai perduto in quella notte di metà luglio. 

Erano da poco iniziate le sessioni estive e il giovane domatore si era ritrovato immediatamente incastrato, come non mai durante l'anno accademico, tra i vari libri che gli erano stati consigliati dal suo professore di geologia, riconoscendo -per l'ennesima volta dall'inizio dei corsi- come fosse stata superficiale la motivazione che lo aveva spinto a scegliere proprio quella facoltà tra tutte le altre. 

"Beh? Mi piacciono i sassi!" disse con aria fiera e con una serietà paragonabile a quella di Bombo quando gli prometteva di non guardare nemmeno più le sue scarpe.

 

Stupito, stupido, stupido! 

Si maledisse mentalmente il giovane ventenne al ricordare le parole che solo pochi mesi prima  aveva dato in risposta -con grande convinzione-  alla sua amica d'infanzia.

 

Elena.

 

Era difficile perfino per lui rendersi conto di quanto fosse cambiata nel corso degli anni. Quella che in passato era stata la sua dolce e piccola amica -più piccola che dolce- quella che nel breve trascorso delle scuole medie era stata la prima ad accoglierlo a braccia aperte, nonostante tutti gli altri diffidassero di lui e delle sue stranezze, le sue allergie, i suoi discorsi sui mostri ed il fatto stesso di vederli, la ragazzina che lo aveva accompagnato in chissà quante avventure e lo aveva aiutato a diventare il domatore e l'uomo che era adesso, colei che proprio in quel momento si trovava a poche stanze da lui era ormai diventata una bellissima donna pronta a difendersi dal mondo. Dunque significava che non aveva più bisogno che ci fosse lui a proteggerla, pur sapendo infondo che non ne aveva mai avuto realmente bisogno, ma al contrario era lui a necessitare del suo sostegno e del suo coraggio, era sempre stato lui. 

 

 

Si ritrovò dopo pochi istanti a vagare alla cieca dentro quella grande casa stando ben attento a non svegliare anche gli altri, ormai caduti in un sonno profondo che iniziava man mano quasi ad invidiare. 

Cominciò affacciandosi appena dalla porta della sua camera per intravedere Hugo e Gimbo dormire nel grande letto a castello in legno, sprofondati entrambi in due piccoli cuscini, non riuscendo ad evitare la vagonata di pensieri che proprio in quel momento gli invasero completamente la mente.  

Era stato proprio Timothy, mesi prima, ad affidare ai due giovani universitari il compito di aiutarlo nell'educazione e nell'addestramento di quattro giovani domatori alle prime armi ma con molte -e a dir poco sorprendenti- potenzialità e nella speranza che entrambi accettassero quella sua inverosimile quanto assurda proposta, aveva offerto loro alloggio in una grande casa vicino all'università così da poter continuare a seguire i vari corsi ed arrivare, forse un giorno, a conseguire una vera e propria laurea. Quei due ragazzini che allora stava guardando dormire pacificamente, non solo si erano dimostrati capaci e degni delle parole del tutore massimo, ma avevano dimostrato di possedere forza e coraggio a sufficienza per poter intraprendere un cammino tanto lungo quanto complesso per poter arrivare anche loro, in futuro, ad essere grandi domatori in grado di proteggere a dovere l'incolumità delle città sospese e del vasto mondo dei mostri. Non era da molto che si erano ritrovati a dover convivere tutti insieme sotto lo stesso tetto, ma sentiva già di voler bene a quelle due piccole pesti come fossero realmente suoi fratelli, rivedendo in loro quegli stessi errori che anche lui, alla loro età, si era ritrovato a commettere a causa dell'inesperienza nell'essere un domatore, quegli stessi errori che nel tempo lo avevano portato a migliorare e migliorarsi, tanto da riconoscere a stento la grande figura che -con orgoglio- adesso riusciva finalmente ad occupare i tre quarti dello specchio.

 

 

Un occhio cadde però, solo e malinconico, verso il piccolo letto singolo accanto al suo, entrambi ormai vuoti di cui uno ancora intatto, le lenzuola bianche al loro posto, le coperte tirate su a dovere, senza grinze, l'armadio svuotato del tutto, il cuscino mancante. Non avrebbe mai pensato di arrivare a concepire una simile idea, ma non riusciva a non vedere quella stanza incompleta, come se fosse qualcosa a mancare all'appello - qualcuno- e non riusciva a darsi pace per ciò. Eppure era vero, c'era effettivamente uno spazio vuoto che non riusciva, per chissà quale motivo, ad ignorare del tutto, a tralasciare in mezzo a quella stanza illuminata appena dalla luce fioca della luna piena. Retrocesse di un passo, richiudendo dietro di sé la porta di legno, ricevendo in risposta il lieve russare di Hugo in sottofondo.

Infondo lo sapeva bene anche lui, pur non volendolo ammettere, lo sapeva molto bene.

Decise poi di dirigersi verso il  salone dove era sicuro di trovare Timothy e Bombo, lasciandosi lentamente alle spalle i pensieri riguardanti il giovane domatore nero che di lì a poco sarebbe finalmente tornato a casa. 

 

 

 

I suoi pensieri trovarono subito conferma, una volta oltrepassato il piccolo corridoio che separava le camere da letto dal grande salotto notò subito la figura rossiccia di Bombo beatamente sdraiata sulla poltrona in pelle rossa e Timothy riposare accovacciato su uno dei braccioli del divano. Fu inevitabile un sospiro di pura nostalgia.

Quante ne avevano passate loro tre insieme? Tante. Davvero tante. 

Troppe per poterle elencare in una notte senza sonno. Dopotutto loro erano stati i suoi primi amici. I primi con i quali aveva condiviso i suoi momenti di sconforto, le sue insicurezze, le sue stranezze,  i suoi momenti più belli, coloro che lo avevano accettato prima ancora che potesse farlo lui stesso, che non gli avevano mai chiesto di recitare una parte pre impostata, di nascondersi in qualcosa che non era. Loro erano stati quelli che col tempo avevano reso normale la sua quotidianità permettendogli di sentirsi uguale agli altri nonostante le varie critiche che aveva sempre ricevuto . Gli avevano insegnato a lasciar correre, lasciar passare ogni giudizio come fosse acqua piovana, gli avevano regalato la bellezza di un mondo che non lo avrebbe mai giudicato, un mondo del quale sarebbe sempre stato parte, un mondo al quale poter appartenere veramente stavolta. 

Bombo, che negli anni a venire gli era sempre stato vicino in qualsivoglia situazione gli si presentasse, era stato quell'amico con il quale aveva avuto il coraggio di esporre ogni sua minima stranezza fino in fondo, senza vergognarsi di qualcosa che era semplicemente diverso dal solito usuale, quell'amico in grado di capirlo perchè lo conosceva da sempre e sapeva tutto di lui, quell'amico che aveva capito quanto realmente si sentisse solo, quanto dolore aveva provato nel momento in cui aveva perso la capacità di vederlo, di sentirlo o percepire la sua presenza, un suo minimo movimento. Bombo non era stato semplicemente quel compagno di giochi che da bambino era riuscito a trascinarlo all'interno della vita umana, Bombo era stato, Bombo era quell'amico che aveva sacrificato i suoi 212 anni in un istante per proteggerlo da qualcosa più grande di lui, quello per cui aveva versato lacrime amare nella convinzione di averlo perso una volta per tutte. 

Si sentì come sollevato osservando il giovane mostro nella sua tranquillità più profonda, come se la paura di vederlo sparire non se ne fosse mai andata del tutto dalla sua testa, come se nonostante fosse proprio lì, davanti ai suoi occhi, presto se ne sarebbe andato di nuovo e lo avrebbe lasciato con delle scarpe intatte e piene di ricordi, quei ricordi che non facevano altro che fargli bene al cuore.

 

 

Spostò velocemente lo sguardo verso quella piccola sagoma chiara dalla quale proveniva un respiro leggero, appena percettibile nell'aria, appena distinguibile dal russare leggero di Bombo. Probabilmente lo avrebbe rimproverato se solo fosse stato sveglio, seppure con imbarazzo, ma Timothy era sempre stato più di un compagno, più di un amico, di un semplice tutore, era stato il padre di cui all'inizio della sua vita aveva sentito tremendamente la mancanza. Quella figura sulla quale aveva fatto affidamento da sempre, che gli aveva fatto scoprire quella che probabilmente era la parte più bella del suo essere sé stesso in tutte le sfaccettature, Timothy era qualcuno che nel bene e nel male aveva sempre avuto una parola per lui, per aiutarlo ad arrivare ad una conclusione apparentemente lontana da tutto il resto, da dove si trovava allora e permettergli di raggiungere la vetta di quel monte sul quale lo aveva indirizzato fin dall'inizio, nella speranza di lasciargli delle radici sulle quali poter tornare nei momenti di difficoltà, fermarsi, respirare e riprendere man mano la scalata. Eppure era stato il primo ad ascoltare -e ad accogliere- il suo bisogno di esternare quella sua piccola-grande diversità e di trovare a tutto quanto un senso logico per fare chiarezza, arrivando alla conclusione che effettivamente niente aveva un vero e proprio senso in quella situazione. Ma che non sempre bisogna che le cose abbiano un senso per essere giuste. Per portare ad una felicità che va oltre ogni limite umanamente possibile e immaginabile.

Si avvicinò appena al grande divano rosso per osservare meglio la sua espressione serena ed imprimerla come una fotografia all'interno della memoria. Sorrise appena, gli occhi socchiusi per la stanchezza, le labbra che trattenevano piccoli e brevi respiri trasportati dal silenzio di quelle ore notturne, un respiro regolare.

 

 

Dopo un ultimo sguardo si decise ad abbandonare la grande sala per dirigersi verso la fine di quei pochi metri quadrati. L'ultimo corridoio era più breve del precedente, più scuro poiché i raggi lunari non riuscivano a filtrare da nessuna parte, abbandonando quell'ala della casa ai pericoli più oscuri della notte. L'ignoto, la penombra appena percettibile non spaventavano affatto il giovane domatore che, al contrario, ne rimaneva come intrigato, affascinato da qualcosa di sconosciuto ma che in qualche modo riusciva a trascinarlo con sé sul fondo di quella notte in particolare che sembrava -ormai- senza fine.Una volta arrivato davanti alla porta -anch'essa più stretta rispetto alle altre - si fermò con la mano a mezz'aria nell'intento iniziale di afferrare la maniglia, ritrovandosi come incapace di compiere tale gesto. Continuava a chiedersi cosa mai avesse potuto spingerlo a quella sorta di ronda notturna, tutto andava più che bene, l'unico sveglio dentro quella casa era lui che, incapace di riprendere sonno, si era ritrovato a girovagare apparentemente senza una meta precisa, senza uno scopo definito se non, magari, ritrovare il sonno perduto, cosa al momento impossibile. Fece un respiro profondo, sordo, incapace di trattenere i suoi pensieri da quel fiume di idee che gli passavano per la mente come un treno in corsa. Decise, per una volta, di lasciare da parte tutte le incertezze e di dare ascolto ad un cuore che nonostante avesse mutato il corpo, non aveva cambiato nulla del suo essere puro e ingenuo. Risollevò la mano, stavolta con convinzione, per poi abbassare lentamente la maniglia della porta, attento a non farla scricchiolare, a non far trapelare alcun rumore al suo passaggio. Entrò appena da un piccolo spazio che si era creato, riuscendo però ad inquadrare bene la piccola stanza.

Intravide appena le figure delle due ragazze che allora stavano dormendo beatamente secondo il ritmo lento di quel silenzio quasi assordante. Le labbra della giovane domatrice erano socchiuse, gli occhi rilassati come il volto stesso, i capelli leggermente scompigliati, arruffati in alcuni punti, la coperta che lentamente la stava abbandonando e che -probabilmente a breve- sarebbe caduta del tutto, lasciando solo il lenzuolo a coprire la sua piccola figura. Non potè evitare di fermarsi un attimo sullo stipite e guardarla... da quando l'aveva conosciuta Vanessa era sempre stata una ragazza di poche parole e quelle brevi frasi che riusciva a pronunciare erano sempre sorrette da un velo oscuro senza capo né coda, tanto che la maggior parte delle volte sembrava  come impossibile trovare una via di fuga o l'inizio della matassa. La sua non era semplice negatività verso la vita in sé, col tempo era diventata come una malattia che piano piano se la stava mangiando completamente, nel vero senso della parola, lasciando andare piccoli brandelli della sua anima come fossero scarti. La sua invisibilità l'aveva portata a concepire una visione oscurata della realtà, un qualcosa che piano piano sarebbe peggiorato sempre di più impedendole di trovare il suo posto lì tra i vivi, tra i mortali di quel mondo corrotto. Ci era voluto coraggio per affermarsi su sé stessa, sui suoi pensieri e ribellarsi alle sue azioni, ce ne era voluto davvero tanto, ma ne era valsa la pena, perchè dopo tanto tempo si era sentita finalmente parte di qualcosa, per la prima volta forse, si era sentita di nuovo viva. E proprio grazie all'amicizia con Elena era riuscita ad abbandonare il buio e trovare il suo meritato posto al sole insieme agli altri, a ritrovarsi in mezzo alle tenebre che col tempo avevano iniziato a sovrastarle il cuore. Probabilmente era ancora lontana dal raggiungere il suo obbiettivo e tornare -in un certo senso- a vivere davvero, ma dopotutto aveva tutto il tempo del mondo, nessuna fretta... e forse un giorno, guardandosi intorno, si sarebbe finalmente accorta che il buio che le opprimeva gli occhi era sparito già da tempo e che tutti, dentro quella casa, la stavano aspettando dall'altra estremità della fune.

 

 

Si scostò un attimo dalla sua posizione iniziale, giusto il tempo di riprendere fiato tra un pensiero e l'altro. Ormai aveva perso del tutto la cognizione del tempo, tutto ciò che riusciva a percepire in quel momento era la stanchezza che lentamente si stava impossessando di lui, della sua mente, conducendolo in un mondo immortale in cui il tempo si era fermato al momento esatto in cui l'aveva vista per la prima volta davanti alla porta di casa sua, con le trecce rosse scompigliate per il leggero sforzo, infilare Sfruscio nella porticina di Timothy. Solo tempo dopo gli aveva confessato che -originariamente- doveva essere un pretesto per conoscerlo, parlargli, capire chi fosse davvero il ragazzino che tutti quanti evitavano senza alcun apparente motivo. Eppure lei non aveva dubitato delle sue parole nemmeno per un attimo, aveva sempre trovato il coraggio di credergli anche quando tutti gli altri le andavano contro indicandola, cercando di trovare un modo per renderli distanti... e nonostante tutte le volte in cui si era sentito in colpa per aver trascinato anche lei in un pozzo senza fine, non riusciva a sentirsi deluso dall'esito delle sue stesse azioni, nel volerla tenere a tutti i costi lontana ma vicina da quella che ormai era diventata -a tutti gli effetti- la sua vita a trecentosessanta gradi. 

Si decise -una volta per tutte- ad entrare nella stanza, per poi soffermarsi brevemente ad osservare meglio il chiarore lunare oltrepassare la grande finestra, rivolgendo poi lo sguardo -in un secondo momento- verso il piano superiore del letto. Nonostante fosse abbastanza alto lui riusciva a comunque a vederla. I grandi occhiali che era solita portare erano stati riposti con cura dentro ad un astuccio sul comodino, lasciando dunque il viso della giovane scoperto, libero da ogni barriera, le labbra erano semiaperte, i capelli sparpagliati su tutto il cuscino creando un intrigante gioco di trame tra il bianco candido dell'oggetto ed il tipico color caramello della ragazza. E dovette ammettere a sè stesso che fino ad allora niente gli era mai sembrato così perfetto, nessuna immagine, nessuna sagoma o figura, semplicemente lei, la sua Elena. Non vi erano parole per descriverla, per descrivere tutto l'amore che le stava donando attraverso un semplicissimo contatto visivo, nonostante in quel momento non fosse cosciente per assistere ad una scena simile. 

Ed allora sorridere fu per lui inevitabile. Tutto ciò era disarmante, assolutamente al di fuori di ogni sua certezza e -ormai- non riusciva più a pensare in maniera razionale, completamente stregato dai ricordi che man mano continuavano a riaffiorargli nella mente come un fiume in piena, nella speranza di riempire finalmente quel vuoto assoluto che fino ad allora aveva continuato incessantemente a fargli male in mezzo al petto. E per tutto il tempo, nonostante la lontananza, nonostante qualsiasi altra misura del tempo, era sempre stata lei la risposta a qualsiasi suo dilemma universale.

 

 

 

Prese coraggio, un'ultima volta, rivolgendole un ulteriore sguardo prima di abbandonare definitivamente quella camera da letto. Percorse nuovamente quei corridoi interminabili, pieni di quei nomadi pensieri, senza un luogo ben preciso in cui nascondersi, in cui poter trovare il riposo tanto atteso. E dopo aver  riaperto quella grande porta, si rintanò immediatamente all'interno del lenzuolo leggero che gli ricopriva il letto. Lanciò uno sguardo alla piccola sveglia rossa poggiata sul suo comodino vedendola indicare -ormai- le 4:42 di mattina. Fu così che, lasciato andare un ultimo sospiro, tra un ricordo e l'altro di quella nottata decisamente fuori dal comune, si lasciò cullare lentamente dai battiti del suo cuore che aveva ancora ben impressi nella memoria. Chiuse finalmente gli occhi, stavolta per davvero.

 

 

 

 

«Sai, una volta ho sentito dire che quando la notte non riusciamo a dormire, qualunque orario segni l'orologio, vuol dire che probabilmente è perchè siamo svegli anche nel sogno di qualcun altro.»

 

 

 

 

 

Che fosse davvero quella la ragione?

   
 
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