Nessun
altro voleva
«…che
fai qui, Lovegood?»
La
voce di Draco è debole,
arrochita dalla febbre e dalla mattinata di silenzio passata steso sul
letto.
Però è chiara, così come il suo tono
volutamente infastidito.
«Ho
saputo che stai male.
Sono venuta a prepararti un infuso di plimpi, così guarirai
subito».
Draco
aggrotta le
sopracciglia, incapace di proteste molto più energiche.
«Non
voglio i tuoi strani
infusi, cosa dovrebbe– no, non voglio saperlo. Dimmi solo
perché sei qui» pretende
poi.
«Te
l’ho detto, Draco»
risponde Luna, sfoggiando un sorriso niente affatto intimidito.
«Sono venuta ad
aiutarti».
«Perché
proprio tu?»
«Nessun
altro voleva». Non è
la sincerità disarmante di quell’affermazione a
colpirlo, ma ciò che implica. Lei
voleva, quindi?
«Non
so che follia ti abbia
spinta a venire, ma vattene prima che ti contagi» conclude,
voltandosi a
fronteggiare il muro.
«Oh,
non temo la febbre. I
plimpi fanno passare tutto, dice sempre mio padre. Ha pubblicato anche
un
articolo sulle loro proprietà curative!»
Draco
alza gli occhi al
soffitto, esasperato. Non comprende come la loro compresenza metta a
disagio
lui, l’ex-carceriere, ma non lei. Ricorda
fin troppo bene le urla di
Lovegood quando Bellatrix decideva di sfogare le proprie frustrazioni
cruciando
i prigionieri, ricorda il dolore riempire gli occhi grigi che in quei
momenti non
avrebbe dovuto fermarsi a guardare. Ricorda anche
l’irrazionale sollievo
che ha provato quando è sparita dalle segrete, liberata da
Potter. Sono attimi
che lui stesso vorrebbe solo dimenticare: com’è
possibile che a lei non
facciano né caldo né freddo? Come fa a sopportare
anche solo la vista di un
Malfoy, senza menzionare il parlarci?
«Sicuro
di non volerlo
provare?» continua Luna. «Sono andata apposta a
pescare i plimpi, sai».
Draco
non risponde. Dovrebbe
dirle qualcosa di cattivo, spingerla a lasciarlo solo – non
ci riesce, il suo
cervello rifiuta di collaborare. Pensa che ignorandola andrà
via da sola,
magari aspetterà un po’ ma poi si
stuferà. Si concentra sul muro, il respiro
irregolare – non fa caso alle chiacchiere in sottofondo di
Lovegood, mentre
l’incoscienza lo conquista gradualmente. La febbre non
è clemente con lui: gli
dona sogni agitati, rigurgiti di errori passati ancora troppo recenti.
*
Si
sveglia accaldato, ma
l’aria nella stanza è fresca, non opprimente.
Inspira a fondo, sentendosi
subito un po’ meglio.
Sul
comodino c’è una ciotola
coperta da un piatto. Sopra, un biglietto: “Bevilo
caldo!” recita in
svolazzanti lettere blu che Draco impiega qualche secondo a decifrare.
Si guarda
intorno accigliato; alla fine gli ha lasciato il suo infuso, ma
quantomeno se
n’è andata. È solo nella stanza.
Sospira,
tornando a sprofondare nel cuscino.
L’epidemia
influenzale che
ha colpito Hogwarts è a dir poco inconveniente. Si tratta di
un virus fino a
quel momento sconosciuto a Madama Chips, rivelatosi estremamente
contagioso; mentre
si cerca di trovare una cura gli studenti infetti sono stati invitati a
rimanere isolati nelle proprie stanze –
l’infermeria si è riempita in fretta –,
riducendo le interazioni al minimo necessario e comunque con tutte le
precauzioni
del caso. Il virus in questione non è mortale,
fortunatamente, ma resta
comunque piuttosto fastidioso. Per contenere il contagio, lasciare
Hogwarts in
favore di una degenza in famiglia è un’opzione che
è stata esclusa.
Non
sa come abbia fatto a
prenderla, visti i suoi contatti limitati con chiunque in quella scuola
– certo,
non si stupirebbe più di tanto sapendo che qualcuno gli ha
sputato nel piatto. «Nessun
altro voleva». Le parole di Luna gli risuonano in
testa: Draco lo sa – le
uniche visite degli ultimi tre giorni sono state quelle, piuttosto
silenziose,
degli elfi domestici che gli hanno portato i pasti – e
soprattutto lo capisce. Molti
dei suoi amici dopo la guerra hanno scelto di non tornare a Hogwarts;
quei
pochi che l’hanno fatto, d’altra parte, sono
Serpeverde e come tali
agiscono. In una situazione simile lui non avrebbe nessuna intenzione
di farsi
contagiare, si terrebbe ben distante dalle camere dei degenti; poco
ma
sicuro. È Lovegood a essere incosciente
– è quasi certo che nemmeno
indossasse la mascherina, quella mattina, ora che ci pensa. Potrebbe
sbagliarsi
– durante i pochi attimi in cui l’ha osservata, la
sua attenzione è stata
attratta quasi completamente dai suoi enormi, antiestetici orecchini
–, ma avere
ragione non lo stupirebbe affatto.
«Nessun
altro voleva».
Ma
perché lei sì? Lunatica
Lovegood è forse, con tutte le sue assurde convinzioni e il
suo eccentrico modo
di pensare, l’unica nella scuola a non temere
l’influenza. Sicuramente l’unica
disposta a fare volontariato nei suoi confronti.
Stringe
le mani a pugno;
vorrebbe solo smettere di pensare, scivolare nuovamente
nell’incoscienza
magari, ma non è un’opzione. È troppo
irrequieto per poter anche solo
immaginare di dormire ancora. Forse… Suo
malgrado, lo sguardo gli cade
sulla ciotola in bella mostra sul comodino. Ingoiando
un’imprecazione si tira
su, recupera la bacchetta e – dopo aver rimosso il piatto che
lo copre – scalda
l’infuso. A causa della febbre, persino un incantesimo
così semplice gli
richiede uno sforzo non indifferente.
Si
costringe a berlo tutto
d’un sorso, senza darsi il tempo di ricredersi – è
amaro, constata con
una smorfia. Anzi no, ha un sapore stranissimo – come
Lovegood. Per poco
non si strozza, rendendosi conto di cos’ha appena pensato.
La
febbre lo sta facendo
impazzire – non c’è altra spiegazione
possibile.
Perché
altrimenti si
ritroverebbe a pensare che in fondo eccentrico non
significa altro che fuori
dagli schemi mentre assurdo indica il
non piegarsi ai limiti della
logica?
Il
mondo di Lovegood è fatto
di convinzioni assurde – nessun pregiudizio.
Sono
agli antipodi, ma Draco
– un mondo in frantumi di cui deve raccogliere i pezzi –
si ritrova a
invidiarla. Le convinzioni coltivate per diciassette anni si sono
rivelate
quelle realmente assurde, inconcepibili. Ha sbagliato tutto, Draco,
perciò come
può giudicare erronee le scelte degli altri? Dell’unica
disposta a dargli
una chance, per di più.
Si
rigira nervosamente nel
letto – la testa pulsa sempre più. I pensieri
iniziano a vorticare, finché tutto
diventa nero e lui cede alla stanchezza indotta dalla malattia. Niente
incubi,
stavolta. Quando si sveglia, Draco non sa dire cos’abbia
sognato.
*
Quella
notte si sveglia solo
un paio di volte prima di tornare definitivamente cosciente con la luce
del giorno
negli occhi. La finestra è aperta.
«Stai
meglio?»
Quella
voce è una doccia
fredda. È tornata.
«Lovegood», mormora spiazzato.
«Ti
è piaciuto l’infuso?»
No,
pensa Draco, ma non vuole risponderle né fare il bambino.
Anche perché,
constata, per assurdo si sente meglio, sebbene sia certo si
tratti di una mera coincidenza.
Restano
in silenzio per un
po’ – Draco chiude gli occhi.
Quando
si decide a
riaprirli, sbircia verso di lei – è ancora
lì, lo fissa immobile. Non ha la
mascherina.
«Sei
strana, sai?» sbotta
senza riflettere.
«Non
sei il primo a dirlo»
replica, tranquilla, lei.
Draco
si dà mentalmente dall’idiota,
ricordando che sta parlando con Lunatica Lovegood.
La febbre gli ha
sconvolto la mente, non c’è alcun dubbio.
Meglio tacere.
«Mi
odi?»
Draco
sbarra gli occhi – ha sentito
bene?
«Dovrei
chiedertelo io»
controbatte, troppo spiazzato per mantenere il silenzio.
«Perché?»
replica Luna, gli
occhi insondabili come sempre. Si ritrova a desiderare di sapere
cos’ha in
quella testa, anche solo per un minuto – comprendere come
ragiona. Dubita sia
possibile, in effetti – sarebbe un pesce fuor
d’acqua lì, sono troppo
diversi.
«Non
ti odio, Lovegood» si
arrende Draco. «Tutta la scuola non può dire lo
stesso di me, e hanno ragione –
tu, poi, particolarmente».
«Non
ti odio» afferma Luna, lo
sguardo ancora su di lui – solo ora gli sembra che
lo veda davvero. «L’odio
non porta a nulla».
L’odio
non porta a nulla.
Draco ride, istericamente, senza riuscire a fermarsi. Buona parte della
sua
vita si è fondata sull’odio, e ora lei se ne esce
così – è vero.
Si
rende conto solo
vagamente del suo avvicinarsi al letto con una sedia che posiziona
dall’altra
parte del comodino. La ciotola e il piatto, nota quando smette infine
di
ridere, sono spariti. «Che intenzioni hai?» le
chiede, tirandosi su. Si sente
svuotato, ora, ma anche stranamente più leggero.
«Non
è noioso, stare tutto
il giorno a letto?» domanda lei di rimando.
Draco
non nega. «Non che abbia
molta scelta».
Il
suo sguardo si accende.
«Hai mai giocato con queste?» dice, poggiando sul
tavolo qualcosa dalla vaga
forma rettangolare.
Raccoglie
l’oggetto per
esaminarlo – gli oggetti, in
realtà. «Questi sono… fogli,
Lovegood».
«Sono
carte! I babbani le
usano per giocare», spiega orgogliosa. Di cosa, rimane un
mistero.
Inarca
un sopracciglio – il suo
primo istinto è chiederle perché mai lui dovrebbe
interessarsi a giochi da
babbani, ma si costringe a ingoiare l’appunto. L’odio
non porta a nulla si
ripete. Squadra dubbioso i rettangolini di carta che ha in mano:
effettivamente, non sono bianchi da entrambi i lati – su uno
dei due, qualcuno
ha disegnato delle forme bizzarre. Non gli è
difficile immaginare chi.
«Come
funziona?»
Ha
deciso di darle corda,
anche se non gli è chiarissimo il perché.
«Non
ne ho idea».
Draco
cerca di mantenersi
composto – richiudi la bocca si intima. Lo
fa apposta, o cosa?
«Sei
stata tu a proporre
questo gioco» rimarca, sperando di aver capito male.
«Merlino, hai persino
disegnato le carte!»
«Ho
visto due mie compagne
giocarci una volta» spiega Luna senza scomporsi.
«Sembrava divertente, ma non
mi hanno voluto spiegare. Ho pensato che magari conoscessi tu le
regole».
Si
trattiene dal farle
notare che non avrebbe potuto pensare niente di più stupido.
«Inventiamole,
allora!»
propone allegra. «Sarà divertente».
Draco
sente crescere il mal
di testa – non ha mai avuto una conversazione tanto
assurda, pensa. «Vuoi
inventare un gioco nuovo basandoti sul niente?»
si costringe ad
accertare.
«Non
sul niente» lo
contraddice Luna scuotendo la testa. «Ho disegnato vari
soggetti su quelle
carte, sono certa che qualcuno ci ispirerà». Alza
lo sguardo su di lui, fissandosi
qualche secondo sulla sua fronte. «Sei rossissimo! Ti senti
male?» indaga, sporgendosi
per sentirgli la temperatura con la mano. È fredda,
ma lui non crede sia l’influenza
ad averlo fatto avvampare.
«Sto
bene» borbotta poco
convinto, scostandosi dal suo tocco. Torna a esaminare le figure
disegnate sui
rettangolini, più che altro per non doversi misurare con
lei. Per la maggior
parte ha rappresentato creature magiche – esistenti
o meno –, capisce.
Si
blocca quando ne nota una
in particolare. È forse l’essere più
brutto che abbia mai visto – a parte
Potter –, ma a gelarlo è il nome
aggiunto in piccolo sotto.
«Mi
stai dicendo» esordisce
a voce più alta di quanto vorrebbe, «che mi hai
somministrato un infuso
preparato con questa specie di pesce-rana?!»
«Oh,
sì» risponde Luna tranquilla,
forse giusto un po’ confusa dal suo tono. «Non
avevi mai visto un plimpi? Li
trovo molto carini».
*
Luna
è tornata ancora a
trovarlo, dopo quella volta. Passa almeno una volta al giorno, lo
stordisce con
le sue chiacchiere su plimpi e nargilli e altri esseri assurdi
– lo fa sentire normale.
Ha anche trovato un modo per usare le sue carte, e Draco si
è lasciato
convincere a giocarlo.
Se
i primi giorni ha pensato
che la quarantena non sarebbe mai terminata, adesso che è
quasi guarito gli sembra
sia durata un solo battito. I cambiamenti che ha provocato in lui e
nella sua
vita, però, non sono da poco – potrebbe
riassumerli con un nome.
«Domani
sarai libero di tornare
a muoverti per il castello. Emozionato?» domanda Luna,
voltando una carta – è quella
sbagliata, torna a coprirla.
Draco
socchiude gli occhi, studiandola.
«No», risponde fermo. «Certo non mi
mancherà la febbre».
Luna
ride – una risata rumorosa,
strana in bocca a lei, eppure ormai familiare.
Draco volta due carte
uguali; non reprime un sorriso, portando al proprio mazzetto due
thestral. È in
vantaggio.
«Perché
sei venuta da me?» chiede,
scegliendo un’altra figurina da scoprire. L’ha
detto mantenendosi neutro, come
se non avesse importanza, ma non è così e lo
sanno entrambi. «Dieci giorni fa,
intendo».
«Te
l’ho detto» afferma lei,
senza battere ciglio – se la domanda l’ha colta di
sorpresa, non lo mostra. «Sono
venuta ad aiutarti».
«Nessun
altro voleva,
giusto? Ma potevi sempre lasciarmi agli elfi domestici».
Ha
un dubbio, Draco – un dubbio
che li renderebbe assurdamente simili.
«È
possibile che» ipotizza, cedendole
il turno dopo aver sollevato la carta sbagliata, «nessun
altro volesse giocare
con te?»
Luna
non risponde subito,
sembra dapprima assorta dalla scelta delle due carte. Trovata una
coppia, punta
su di lui gli occhi distanti – ma forse
non così tanto.
«È
possibile» concede,
sostenendo il suo sguardo. «Neanche tu volevi»
precisa poi, come colta da un
pensiero.
Tornando
sul gioco, combina
le ultime due coppie e vince così la partita. Sorride.
«Sei
una ragazza strana»
dichiara Draco, strana ad aver cercato proprio me
pensa, «ma non sei
sbagliata. È stato… divertente,
dopotutto».
«Sei
gentile, Draco» replica
Luna, incassando il complimento. Mischia le carte.
«È
la febbre» commenta lui,
chiedendosi se verrà ancora a trovarlo una volta finita la quarantena.
«Il tuo infuso era
disgustoso, comunque» si sente in dovere di puntualizzare,
scorgendo la coppia
di plimpi nel suo mazzo.
Lei
non si offende – non lo
fa mai.
«Sei
guarito, però» osserva
con semplicità.
Sì,
concede Draco tra sé – sono guarito.