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Autore: Eris Gendei    24/03/2020    1 recensioni
Questa storia partecipa al contest "Citazioni in cerca d'autore (Oscar edition!) - II edizione" indetto da Rosmary sul forum di EFP.
Dopo la carcerazione del padre e del fratello Merope Gaunt rimane da sola per la prima volta nella sua vita, finalmente libera di essere se stessa.
Il fardello della presenza del genitore resta però su di lei come un’ombra: ancora incredula per la fine dell’oppressione, disgustata dal bisogno che sente della figura paterna, Merope vivrà un difficile processo di emancipazione fisica ed emotiva.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merope Gaunt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Nota dell’autrice
Vi propongo questo primo tentativo di flashfic, tipologia con cui non mi ero mai messa alla prova fino ad ora.
Il titolo è una citazione dell’omonimo brano dei Bowland ("It’s all grey"), a cui mi sono trovata a pensare proprio mentre terminavo la stesura della storia; mi sono resa conto che il testo sembrava scritto proprio per questo personaggio, nel modo in cui io lo vedo.
Buona lettura!

Personaggio: Merope Gaunt
Prompt: “C’erano giorni in cui a malapena s’alzava, erano quelli in cui la mancanza pulsava prepotente”


La polvere vorticava pigra nella lama di luce che entrava, obliqua, dalla finestra.
Le feriva gli occhi, ma non aveva la forza di chiuderli.
Il suo sguardo seguiva senza vederle le linee regolari dell’assito di legno, duro e umido sotto di lei: si perdevano in lontananza, sembravano rincorrersi, confondersi.
Anche lei era confusa: a volte le sembrava di liquefarsi.
Il suo corpo perdeva ogni consistenza e diventava molle e vuoto, debole come i suoi pensieri.
Era in quei momenti che si lasciava scivolare a terra e aspettava, neppure lei sapeva esattamente cosa.
Forse di sentire i suoi passi avvicinarsi minacciosi, la mano calare pesante su di lei, le sue grida, il cui senso aveva smesso di cercare da tempo.
Pensava che rannicchiata sotto il tavolo, grigia sul grigio, nessuno avrebbe notato la sua presenza. Era al sicuro.
Lì sotto desiderava sciogliersi e filtrare fra le assi del pavimento, sparire per sempre nella terra, dove nessuno l’avrebbe mai più trovata.
Nemmeno lui.
Il medaglione si muoveva appena su e giù, unica testimonianza del suo respiro impercettibile.
Portava ancora i segni, di quello e tanti altri oggetti che si erano incontrati con il suo corpo. Lui non avrebbe mai sprecato la magia per educare lei, il suo errore, la sua vergogna.
C’erano momenti in cui le pareva di percepire la sua presenza improvvisa dietro di lei, il suo borbottare rabbioso e sbavante. Sentiva la schiena incurvarsi sotto il peso di percosse che non giungevano mai, la testa incassata nelle spalle e un lamento penoso che le sfuggiva dalle labbra.
Continuava a ripetersi che era sola, ma non lo era. Lui era ovunque, nelle ombre dense della notte, negli angoli sporchi della casa, nel riflesso deformato che le restituivano le padelle ammaccate alle pareti.
Lui era in lei.
A volte quel pensiero la confortava. Come poteva pensare di andare avanti da sola?
Chi si sarebbe occupato di lei, chi l’avrebbe protetta?
Quando era lì glielo ripeteva ogni giorno: era una buona a nulla, una fallita, un’incapace. Senza di lui non era niente.
E lui se n’era andato.
C’erano giorni in cui a malapena s’alzava dal letto, erano quelli in cui la mancanza pulsava prepotente.
Da sola non era capace.
Quando accadeva si imponeva di fissare per ore la piccola finestra, convincendosi che era il giorno giusto, che l’avrebbe visto tornare, la sagoma familiare che arrancava sul sentiero.
Quando calava il buio e la notte la sorprendeva sola, ad affondare gli occhi stanchi nella tenebra oltre il vetro, un’emozione nuova si faceva strada nella sua mente ottusa ed annebbiata: la pena per se stessa.
Allora si ritrovava abbandonata a terra senza sapere come ci fosse arrivata, desiderosa solo di allontanarsi da tutto quel grigiore.
Se lo ripeteva fra i denti, come una litania: non poteva rimpiangere ciò che non aveva mai avuto. Non doveva rimpiangere ciò che non meritava.
Nessuno sarebbe venuto a sollevarla.
Un giorno, sentendo rumore di zoccoli, avrebbe capito: non ne aveva bisogno, sapeva rialzarsi da sola.
 

  
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