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Autore: BlackHawk    25/03/2020    0 recensioni
Non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo che qualcuno arrivò alle sue spalle, le tappò la bocca con una mano e la spinse contro il muro più vicino.
Caitlin provò a urlare, ma non ci riuscì.
Lo sconosciuto era decisamente più forte di lei e le stava facendo chiaramente segno di stare zitta.
-Non voglio farti del male, Caitlin. –le disse sottovoce l’uomo. –Ma devi stare zitta, altrimenti attirerai la loro attenzione.-
Caitlin sgranò gli occhi, sempre più impaurita. Quel tipo conosceva il suo nome.
-Promettimi che non ti metterai a urlare. – disse poi, allentando la presa su di lei.
Caitlin fece quello che avrebbero fatto tutti. Fissò lo sconosciuto negli occhi e annuì.
Lui la osservò per qualche secondo e poi la lasciò andare.
-Non ti muovere da lì.-
Lo vide sporgersi verso il vicolo in cui qualcuno aveva chiaramente usato una pistola e poi ritornare in fretta nel punto in cui si trovava prima.
-Se ne sono andati. – osservò, passandosi una mano nei capelli.
Scosse la testa e poi posò di nuovo il suo sguardo su di lei, fissandola intensamente. -Si può sapere che diavolo ci fai in giro da sola a quest’ora?-
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caitlin sospirò.
Non era sicura di aver capito bene.
In fondo erano le undici e mezza di sera e lei aveva trascorso le ultime due ore della sua vita a correre da un tavolo all’altro del locale in cui lavorava per servire birra e patatine fritte a persone che non conosceva.
Aveva tutto il diritto di essere stanca. Di essere stanca e di non capire al volo quello che Thomas stava cercando di spiegarle ormai da dieci minuti.
Prese un respiro profondo e incrociò le braccia al petto, cercando di ricomporsi.
-Licenziata?- ripeté ancora una volta, sperando di aver capito male.
Thomas si passò una mano nei folti capelli biondi e poi scosse la testa. In quel momento mostrava molti più anni di quelli che aveva.
-Cat, mi dispiace.- disse con aria afflitta. –Non è un buon momento per noi.-
Sembrava dispiaciuto, e molto probabilmente lo era davvero, ma questo non cambiava la realtà dei fatti.
La stava licenziando. La stava licenziando senza pensarci due volte.
-Ma io ho bisogno di questo lavoro.- sussurrò Cat, disperata.
E non lo diceva tanto per dire. Lei ne aveva bisogno davvero.
Aveva un affitto da pagare, parecchie rate universitarie da coprire e un fratello minore a cui badare.
Non poteva essere licenziata. Non poteva e basta. Aveva bisogno di quei soldi. Come diavolo avrebbe fatto senza?
-Non posso tenerti, Cat.- disse Thomas. –Il locale non gira più come una volta. Abbiamo tanta concorrenza e i clienti non ci pensano due volte ad andare nel posto in cui si paga di meno. Abbiamo costi di gestione altissimi, ma ricavi molto, molto bassi. Io e Stella non ce la facciamo ad andare avanti così.-
Caitlin chiuse gli occhi, nient’affatto sorpresa dalle parole di Thomas.
Lui e sua moglie Stella erano brave persone, entrambi sulla quarantina e senza figli, però non avevano mai fatti grossi investimenti nella loro attività.
Il locale in sé per sé non era male, ma la qualità del cibo non era all’altezza dei primi tempi e molti clienti, delusi, avevano cominciato a guardarsi intorno, scegliendo di passare altrove le loro serate.
A poco a poco Thomas aveva perso parecchi clienti e i guadagni non erano stati più quelli di una volta.
Caitlin questo lo sapeva, ma sapeva anche che senza un lavoro mandare avanti una casa e una famiglia sarebbe stato davvero impossibile.
Sospirò un’altra volta.
-Come farò?- si chiese, rassegnandosi all’idea di non avere più un lavoro.
Thomas rimase in silenzio per qualche istante. Poi schioccò le dita.
-Mia sorella lavora in una libreria a pochi isolati da qui.- disse, in tono allegro. –In realtà è la proprietaria. E giusto qualche giorno fa mi stava dicendo che aveva bisogno di personale.-
Cat alzò la testa di scatto. –Dici davvero?-
Thomas sorrise. –Una telefonata e il posto è tuo.-
Caitlin tornò a respirare. Forse non era rimasta senza un lavoro. Ne avrebbe solamente dovuto cominciare un altro.
-Faresti questo per me?- gli chiese, commossa dalla sua generosità.
-Cat, se avessi potuto, non ti avrei mai mandato via.- rispose Thomas. – Sei una brava ragazza e lavori sodo, senza mai lamentarti. Mia sorella sarà entusiasta quando le parlerò di te.-
-Grazie, Thomas. – disse. –Non so davvero come ringraziarti.-
-Non devi infatti.- la rassicurò lui. –E adesso fila a casa che è tardi.-
Caitlin si alzò dalla sedia su cui era stata seduta a lungo ed annuì, sentendosi all’improvviso più tranquilla.
Si fidava di lui e almeno per quella sera non avrebbe pensato più a nulla.
Aveva solo bisogno di tornare a casa e riposare.
Raccolse le sue cose e poi salutò Thomas con un abbraccio.
Non era un addio, ma il suo modo di ringraziarlo.
 
Quando uscì dal locale ormai era notte fonda.
Caitlin si guardò intorno per vedere chi ci fosse ancora in giro a quell’ora e poi si avviò in fretta verso casa, sforzandosi di mantenere i nervi saldi.
Erano passati tre anni ormai da quando aveva iniziato a lavorare per Thomas, eppure quello strano senso di inquietudine che l’assaliva tutte le sere fino a quando non si richiudeva la porta di casa alle spalle non l’aveva mai abbandonata.
Le era capitato raramente di incontrare qualcuno per strada, eppure, nonostante fossero passati anni, il terrore di essere derubata o aggredita le faceva ancora accapponare la pelle.
E una sera ci era andata quasi vicino. Troppo vicino.
Un tipo che non aveva visto nemmeno in faccia l’aveva seguita per metri, fino a quando una volante della polizia che passava lì nei dintorni non le aveva consentito  di allungare il passo e seminarlo.
A quel punto si era messa a correre, dirigendosi verso il palazzo in cui abitava.
Si era sbrigata ad aprire il portone e poi si era lanciata letteralmente verso il suo appartamento, col cuore a mille e le gambe che tremavano.
Da quella sera non era mai più uscita di casa senza spray al peperoncino.
Non era sicura che servisse a qualcosa, ma averlo in borsa la faceva sentire più al sicuro e a lei questo bastava.
Si sforzò di scacciare via quei brutti pensieri dalla testa e poi allungò il passo, lieta di intravedere finalmente il suo palazzo.
Con un po’ di fortuna, quella sarebbe stata l’ultima volta che rientrava a casa da sola a quell’ora della notte.
Si sistemò meglio la borsa sulla spalla destra e poi cercò le chiavi di casa, chiedendosi dove diavolo fossero finite.
Non ebbe il tempo di capirlo.
Il rumore di uno sparo la fece trasalire, costringendola a fermarsi.
Caitlin si guardò intorno, spaventata. Non c’era nessuno in giro a parte lei.
Cercò di ragionare in fretta.
Poteva correre verso casa e fare finta di niente oppure chiamare la polizia e raccontare quello che aveva sentito.
In entrambi i casi sarebbe dovuta passare davanti al vicolo in cui molto probabilmente era stato appena compiuto un omicidio.
Prese un respiro profondo e poi scosse la testa, indecisa sul da farsi.
Non poteva fare finta di niente. Doveva tornare a casa e raccontare tutto alla polizia.
Cominciò a camminare lentamente verso casa, guardandosi intorno in continuazione.
Aveva paura, ma sapeva anche che quella era la cosa giusta da fare.
Si fermò a mezzo metro dal vicolo in cui era partito lo sparo.
Non poteva continuare a camminare come se nulla fosse. Doveva prima accertarsi che chiunque avesse fatto partire il colpo se ne fosse andato e poi, solo a quel punto, sarebbe potuta ritornare a casa.
Strinse con forza la borsa e poi sporse la testa in avanti, sempre più impaurita.
Non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo che qualcuno arrivò alle sue spalle, le tappò la bocca con una mano e la spinse contro il muro più vicino.
Caitlin provò a urlare, ma non ci riuscì.
Lo sconosciuto era decisamente più forte di lei e le stava facendo chiaramente segno di stare zitta.
-Non voglio farti del male, Caitlin. –le disse sottovoce l’uomo. –Ma devi stare zitta, altrimenti attirerai la loro attenzione.-
Caitlin sgranò gli occhi, sempre più impaurita. Quel tipo conosceva il suo nome.
-Promettimi che non ti metterai a urlare. – disse poi, allentando la presa su di lei.
Caitlin fece quello che avrebbero fatto tutti. Fissò lo sconosciuto negli occhi e annuì.
Lui la osservò per qualche secondo e poi la lasciò andare.
-Non ti muovere da lì.- l’ammonì.
Lo vide sporgersi verso il vicolo in cui qualcuno aveva chiaramente usato una pistola e poi ritornare in fretta nel punto in cui si trovava prima.
-Se ne sono andati. – osservò, passandosi una mano nei capelli.
Scosse la testa e poi posò di nuovo il suo sguardo su di lei, fissandola intensamente. -Si può sapere che diavolo ci fai in giro da sola a quest’ora?-
Caitlin non riuscì a dire una parola.
Era ancora troppo spaventata da quello che era appena successo e sapere che quel tipo conosceva il suo nome la faceva sentire ancora più inquieta.
Poi si ritrovò a pensare che se lui avesse voluto farle del male, molto probabilmente lo avrebbe già fatto e quel pensiero le diede una speranza.
Che diavolo stava succedendo allora?
Era stato ucciso qualcuno a pochi metri da lei?
Chi era quell’uomo? E come faceva a conoscere il suo nome?
Prese un respiro profondo e si concentrò su di lui, prendendosi qualche secondo per osservarlo meglio.
Era molto più alto di lei, indossava jeans scuri e un giubbotto di pelle nero.
Non avrebbe saputo di dire di che colore fossero i suoi occhi e i suoi capelli perché c’era davvero poca luce in quel momento, ma da quel poco che riusciva a vedere era un tipo atletico e muscoloso.
-Allora?- la incalzò lui, costringendola a guardarlo negli occhi.
Caitlin deglutì nervosamente. –Chi sei?-
Lo sconosciuto scosse la testa. –Che ci facevi in giro a quest’ora?-
-Come fai a conoscere il mio nome? – rispose invece lei, facendogli altre domande. -Cosa è successo in quel vicolo?-
Lo sconosciuto sospirò. –Ti riporto a casa.- mormorò, senza rispondere a nessuna delle sue domande. -È tardi.-
Caitlin scosse la testa. Non aveva nessuna intenzione di fargli vedere dove abitava.
E poi voleva sapere cosa era successo pochi minuti prima a pochi passi da lei.
-Tu sai chi è stato?- chiese, accennando al vicolo alla sua destra. – È morto qualcuno?-
L’uomo si lasciò sfuggire un’imprecazione. -Caitlin, devi stare fuori da questa storia.-
-Dobbiamo chiamare la polizia. –obiettò lei. –Dobbiamo raccontare....-
Lo sconosciuto si avvicinò pericolosamente a lei e la inchiodò con lo sguardo.
-Stanne fuori, Cat.-
 -Io non ti conosco. – disse Caitlin. –Non so chi sei e non so come fai a conoscere il mio nome, ma so che dobbiamo chiamare la polizia e raccontare tutto.-
-No.- insistette l’uomo. –Tu adesso te ne vai dritta a casa e ti dimentichi quello che è successo.-
-Ma forse è stato ucciso qualcuno!- protestò Caitlin, col cuore in gola. –Tu hai visto qualcosa?-
Sentì l’uomo sospirare. –È stata uccisa una persona, Caitlin. E l’assassino non ci penserebbe due volte a uccidere anche a te se sapesse che hai visto o sentito qualcosa. Quindi ora tu prendi le tue cose e te ne vai dritta a casa, facendo finta che tutto ciò non sia mai accaduto.-
Caitlin sentì le gambe cedere. Appoggiò la schiena al muro alle sue spalle e chiuse gli occhi.
Era stato ucciso qualcuno a pochi metri da casa sua.
Un uomo che lei non conosceva le aveva chiaramente impedito di capire e vedere cosa fosse successo e l’aveva allontanata bruscamente dalla scena del crimine.
Sembrava la conoscesse, ma era anche vero che lei non conosceva lui.
Era sulla trentina e aveva un accento strano, ma era abbastanza sicura di non averlo mai visto in vita sua.
Adesso voleva impedirle di chiamare la polizia e la stava caldamente invitando a tornare a casa e a dimenticare tutto.
Che diavolo avrebbe dovuto fare?
Pensò a suo fratello.
Un ragazzo di diciassette anni che aveva perso i genitori come lei solo due anni e mezzo prima.
Pensò al fatto che dovesse proteggerlo e che non potesse finire nel mirino di un pericolo assassino solo perché aveva sentito uno sparo mentre tornava a casa.
Litigò a lungo con la sua coscienza.
Sarebbe riuscita davvero a fare finta di niente pur sapendo che qualcuno era stato ucciso a pochi passai da lei?
Dannazione.
-Chi sei?- si ritrovò a chiedere infine allo sconosciuto, sforzandosi di non pensare a sé stessa e alla sua famiglia.
L’uomo si lasciò sfuggire un sorriso. –Non importa chi sono io.- disse. -L’unica cosa che importa è che tu e tuo fratello siate al sicuro.-
Caitlin sobbalzò. Quell’uomo conosceva il suo nome e sapeva anche che lei aveva un fratello?
In quel momento ebbe paura. Chi diavolo era quel tipo?
-Ti scorto fino al portone.- le disse, strappandola ai suoi pensieri.
-Non ce n’è bisogno. – si affrettò a dire Cat, sempre più spaventata.
-So dove abiti. –l’avvertì lui. –Ti accompagno.-
Caitlin imprecò nella sua testa. Non voleva che lui l’accompagnasse a casa.
Smise di agitarsi quando lo vide incamminarsi nella direzione in cui sarebbe dovuta andare.
Allora era vero che sapeva dove abitava.
Quel pensiero la spaventò.
Quel tipo sapeva troppe cose su di lei, ma lei non sapeva nulla di lui.
Allungò il passo e lo raggiunse.
Camminarono in silenzio, ognuno perso dietro ai suoi pensieri.
Caitlin non riusciva ancora a crederci. Stava permettendo a un tizio di cui non conosceva nemmeno il nome di scortarla fino a casa.
Eppure c’era qualcosa in lui che la faceva sentire al sicuro. Si chiese cosa fosse.
-Non metterti nei guai.- mormorò a un certo punto lo sconosciuto, fermandosi a pochi centimetri dal portone di casa sua.
Caitlin lo osservò meglio sotto la luce del lampione.
I suoi capelli erano scuri, non molto lunghi, e i suoi occhi castano scuro la stavano scrutando attentamente.
Non poté fare a meno di notare che era davvero un bell’uomo.
Quel pensiero la fece arrossire.
Lo vide alzare una mano nella sua direzione e poi scuotere la testa, lasciandola ricadere lungo il fianco.
Sembrava quasi che volesse accarezzarla.
-Non devi girare da sola a quest’ora, Cat.- disse a bassa voce. –È pericoloso.-
Caitlin non ebbe il tempo di dire nulla.
Lo sconosciuto tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni e aprì il portone di fronte a loro in pochi secondi.
-Va’ a casa e non pensare mai più a questa storia.-
Caitlin si chiese se quell’uomo abitasse nel suo stesso palazzo e poi lanciò un’occhiata all’orologio, preoccupandosi per il fratello.
Erano quasi le due.
Quando rialzò lo sguardo, l’uomo si era già allontanato da lei.
Soffocò l’impulso di chiamarlo ed entrò nel palazzo.
 
Quando si richiuse la porta di casa alle spalle, il cuore smise di battere all’impazzata.
Non riusciva a capire.
Cosa era successo quella sera?
Chi era quell’uomo? Come faceva a conoscerla?
Aveva così tante domande e così poche risposte che la sua testa sembrava per scoppiare.
Abbandonò la borsa sul divano e poi si lasciò sfuggire un sospiro.
-Cat?- la chiamò suo fratello, riportandola al presente.
Matt entrò in salone con il telefono in mano.
-Sono due ore che provo a chiamarti. – sbottò, decisamente arrabbiato. –Che diavolo è successo?-
Matt era solo un adolescente, ma a volte si preoccupava per lei come avrebbe fatto qualsiasi fratello maggiore.
Da quando lui e Caitlin avevano perso entrambi i genitori in un incidente stradale due anni e mezza prima, lui aveva sviluppato un forte senso di protezione nei suoi confronti che a volte era difficile da spiegare.
Più che altro perché era lei la sorella maggiore. Spettava a lei prendersi cura di lui e non il contrario.
-È stata una lunga serata. – mormorò, omettendo il fatto che Thomas l’avesse licenziata.
Matt la guardò con i suoi grandi occhi azzurri. Gli stessi che aveva anche lei e un tempo la loro madre.
-Cosa è successo?- le chiese, sinceramente preoccupato.
-Ho dovuto combattere con un’orda di ragazzini viziati per due ore. –mentì Caitlin, sforzandosi di sorridere. –Non ne potevo più. –
Matt sorrise. –Tutto bene?- le chiese poi, posando il telefono sul tavolo alla sua destra.
Caitlin si schiarì la voce.
In realtà Matt le stava chiedendo come fosse andato il viaggio di ritorno.
Lo faceva sempre, come se chiederglielo lo facesse sentire più tranquillo.
Non gli andava per niente a genio che lei dovesse rincasare tutti i giorni a quell’ora della notte e sapere che il suo capo non le avesse mai fatto fare il turno del pranzo lo faceva infuriare ancora di più.
-Sì, sì. – mentì di nuovo. –Tutto liscio.-
Matt scosse la testa e poi sbuffò. –Ha intenzione di parlarci prima o poi con Thomas o lo devo fare io?-
-In che senso?-
-Non ci provare, Cat.- l’avvisò  suo fratello. –Perché devi starci sempre tu la sera al locale? Thomas non può invertire i turni e farti andare di giorno?-
Caitlin alzò le spalle, sinceramente perplessa. In effetti il locale era aperto anche a pranzo e lei non aveva mai capito come mai le toccassero sempre i turni di sera.
-Non lo so. – ammise alla fine.
Vide suo fratello passarsi una mano nei suoi capelli biondi e poi alzare gli occhi al cielo.
-Devi trovarti un altro lavoro, Cat. –mormorò. -Non possiamo andare avanti così.-
Caitlin sospirò.
Non poteva parlare con Matt di quello che era successo quella sera.
E non poteva dirgli nemmeno che Thomas l’aveva licenziata e le aveva promesso di farla assumere da sua sorella.
Prima di tutto perché non voleva farlo agitare e poi perché in fondo lei un lavoro in mano ancora non ce l’aveva.
Doveva aspettare. Doveva aspettare e pregare che la sorella di Thomas la chiamasse il giorno dopo per offrirle un lavoro.
-Domani c’è scuola. – disse dopo un po’, lanciando un’occhiata all’orologio. -È ora di andare a dormire.-
Matt annuì. Era l’unico adolescente ad aspettare sveglio che la sorella rientrasse dal lavoro e anche l’unico a non fare storie quando gli si diceva che era ora di andare a dormire.
Gli sorrise dolcemente e poi si avvicinò a lui per abbracciarlo.
-Basta così. – disse Matt, sciogliendosi dall’abbraccio.
Caitlin scoppiò a ridere. –Buonanotte fratellino.-
-Notte, Cat.-
Lo vide dirigersi in camera sua e poi spegnere la luce, dimostrandole che si stava chiaramente mettendo a letto.
Caitlin ne approfittò per andare in bagno e struccarsi.
Quando osservò la sua immagine riflessa nello specchio non poté fare a meno di sospirare.
I suoi lunghi capelli biondi erano raccolti in una coda di cavallo disordinata, i suoi occhi azzurri erano meno vivaci del solito e in quel momento il suo colorito non era roseo come sempre.
Aveva davvero una pessima cera, dannazione.
Si struccò in quattro e quattr’otto e poi si diresse in camera.
Mentre si cambiava per mettersi a letto si ritrovò a pensare a tutto quello che le era successo quella sera.
Aveva perso il lavoro, assistito in parte ad un omicidio e incontrato un uomo che non solo la conosceva, ma sembrava anche volerla proteggere.
Se lo avesse raccontato a qualcuno, l’avrebbero sicuramente presa per pazza.
Si infilò sotto le coperte e spense la luce.
Il giorno dopo avrebbe chiamato il detective Allen e gli avrebbe raccontato tutto.
Era l’unico di cui poteva fidarsi.
 
Il giorno dopo si svegliò di soprassalto.
Si affrettò ad accendere la luce in camera e poi si guardò intorno, spaventata.
Aveva sognato che qualcuno si intrufolava nella sua stanza per rubarle un libro che suo padre le aveva regalato poco prima di morire per poi scappare di corsa prima che lei potesse chiamare nessuno.
Non aveva idea del motivo per cui avesse fatto un sogno del genere, ma l’idea che qualcuno potesse portarle via uno dei ricordi più cari del padre la mandava davvero fuori di testa.
Prese un respiro profondo e poi lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro di fronte al suo letto.
Erano quasi le otto.
Si infilò una vestaglia e andò in cucina, accertandosi che Matt fosse già andato via.
Si era svegliata talmente tardi che non aveva fatto nemmeno in tempo a salutarlo.
Si ripromise di chiamarlo non appena lui l’avesse avvertita che era arrivato a scuola.
Decise quindi di prepararsi un caffè e poi di chiamare il detective Allen.
Era stato lui due anni prima a dirle che i suoi genitori erano morti in un incidente stradale ed era stato sempre lui a dirle che per quanto possibile si sarebbe sempre preso cura di lei e di suo fratello.
All’epoca Caitlin aveva solo ventidue anni e una gran paura della vita.
Poi il detective Allen le aveva dato una mano a trovare un lavoro e riorganizzare la sua vita e a quel punto Caitlin aveva smesso di avere paura e si era rimboccata le maniche.
Era difficile stare dietro a tutto, ma con l’aiuto del detective le cose si erano incanalate piano piano nel verso giusto.
Si chiese se Kane Allen li avrebbe aiutati allo stesso modo se sua moglie non fosse stata una cara amica della madre.
Scacciò via quel pensiero dalla testa e poi prese il telefono dalla borsa.
Il detective Allen rispose al secondo squillo.
-Caitlin.- la salutò con voce allegra. –Come stai?-
Caitlin si schiarì la voce. –Non tanto bene.-
-Che succede?-
Caitlin prese un respiro profondo e poi raccontò gli raccontò tutto, tralasciando solo la parte in cui uno sconosciuto che lei non aveva mai visto in vita in sua l’aveva avvicinata per cercare in tutti i modi di proteggerla.
Non si domandò come mai la sua testa si fosse rifiutata di raccontare quel particolare al detective Allen.
Qualcosa le diceva che fino a quando lei prima non avesse capito cosa era successo, la cosa migliore da fare era tenerselo per sé.
-Abbiamo già avuto una segnalazione, Cat.- disse Kane quando lei smise di parlare.- Ce ne stiamo occupando.-
Cat si insospettì. Chi aveva segnalato l’omicidio? Lo sconosciuto misterioso? E chi era la vittima?
Decise di chiedere solamente quest’ultima cosa. –Si sa chi è la vittima?-
Sentì il detective sospirare. –Sono in corso delle indagini, Cat. Non posso dirti nulla.-
Cat si sforzò di non sospirare un’altra volta.
Prima che potesse dire qualcosa, Kane l’anticipò. –Stai bene?-
-Più o meno. –rispose Cat.
-Hai rischiato grosso, Caitlin. –continuò il detective. –Avrebbero potuto uccidere anche te.-
-Per fortuna non è successo.- si limitò a dire Caitlin. –Devono raccogliere la mia deposizione?-
Kane Allen si schiarì la voce. –Per il momento non ce n’è bisogno.- rispose, evasivo.
-Perché?-
-Perché non hai visto niente, Cat.- disse il detective. –Giusto?-
-Giusto.-
-Hai solo sentito il rumore di uno sparo.-
-Esatto.-
-E allora per il momento non è il caso che ti esponi. – disse il detective. –Se avremo bisogno della tua dichiarazione, ci penserò io stesso a raccoglierla.-
Caitlin si chiese come mai il detective fosse così preoccupato per lei da non voler raccogliere affatto la sua deposizione.
-Adesso devo andare, Cat. Non ti cacciare nei guai.- l’ammonì.
-Va bene.- lo rassicurò Caitlin.
Sentì il detective riagganciare.
Posò il telefono sul ripiano della cucina e si sedette su una sedia per bersi il suo caffè.
Aveva parecchie cose a cui pensare.
Doveva studiare per un esame difficile, preparare il pranzo, pagare le bollette e infine aveva bisogno di tempo per riflettere su quanto era accaduto la sera prima.
Non fece in tempo però a fare nessuna di queste cose che il suo telefono iniziò a squillare.
Rispose chiedendosi chi fosse.
-Signorina Foster?- chiese una voce femminile che lei non conosceva.
-Sì?-
-Salve, sono Abigail Fisher, la sorella di Thomas.- si presentò la donna.
Caitlin tirò un sospiro di sollievo. Era la sorella di Thomas che la chiamava per offrirle un lavoro.
-Buongiorno Abigail.- la salutò Cat,  sentendosi all’improvviso più tranquilla.
-Signorina Foster io l’ho chiamata per due motivi.- iniziò a dire la sorella di Thomas, con voce rotta.
Caitlin sentì il cuore battere più velocemente.
-Innanzitutto la chiamo perché Thomas...mio fratello...vede, lui è...mi scusi...– disse soffiandosi il naso all’altro capo del telefono. –Non so come...-
-Signora Fisher?- la chiamò Cat, preoccupata. –Sta bene?-
-No, Caitlin.- disse Abigail Fisher, singhiozzando. –Mio fratello è morto.-
Caitlin rischiò di far cadere il telefono a terra, sconvolta.
-Morto?- ripeté, appoggiando una mano sul tavolo della cucina.
Abigail si soffiò il naso un’altra volta e poi confermò quello che le aveva detto due secondi prima.
-Come...come è successo?- farfugliò Caitlin, confusa. –Io ci ho parlato ieri sera. Lui era...era...-
-È stato ucciso.- le spiegò la sorella Thomas, cercando di ricomporsi. - Ieri sera. Non sappiamo ancora chi sia stato.-
-Ucciso?-
-Sì.-
-Ma come è possibile?- chiese Cat ad alta voce. –Non capisco...-
-La polizia sta indagando.-
Caitlin scosse la testa.
Come era possibile? Thomas era stato ucciso? La stessa sera in cui lei aveva sentito il rumore di uno sparo?
Troppe coincidenze.
-Caitlin?- la chiamò Abigail, abbandonando ogni formalità. –È ancora lì?-
-Sì, mi scusi. È che...-
-Lo so.- disse la sorella di Thomas in tono comprensivo. -Siamo tutti sconvolti. Ma non l’ho chiamata solo per questo.-
Caitlin rimase in silenzio.
-Ieri sera Thomas, prima di morire credo, mi ha...mi ha chiamato per parlarmi di lei. So che il locale non sta andando molto bene in questo periodo e che purtroppo ha dovuta licenziarla.-
Caitlin annuì.
-Se non ha già trovato un altro lavoro, mi farebbe davvero piacere se lei venisse a lavorare nella mia libreria.-
-Io...- Caitlin si fermò.
Non sapeva cosa dire.
Espresse il suo stato d’animo ad alta voce.
-Basta un sì.- la incoraggiò Abigail.
Caitlin non esitò. -Grazie, signora Foster.- disse, commossa. -Grazie.-
-Chiamami Abigail.- la esortò la sorella di Thomas in tono gentile. -E non ringraziarmi. Mi fido di mio fratello.-
La sentì tirare sul con il naso e schiarirsi la voce, ripensando probabilmente alla morte di suo fratello.
-Ci vediamo tra un’ora in libreria.- disse alla fine. -Ti mando un messaggio con l’indirizzo.-
Caitlin la ringraziò di nuovo e poi attaccò.
Strinse il telefono con forza, ancora sconvolta da quello che aveva appreso.
La sera prima, a pochi metri da lei, era morto un uomo. La sera stessa in cui il suo capo era stato assassinato.
Non poteva essere una coincidenza.
Finì di bere il suo caffè e poi si andò a preparare, ricorrendo a tutta la forza di volontà che aveva in corpo per non piangere.
In quel momento decise di dare retta solamente a se stessa e a nessun’altro.
Doveva assolutamente cercare di capire cosa diavolo stesse succedendo.

 

   
 
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