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Autore: Misaki Starlyght    27/03/2020    1 recensioni
[IN REVISIONE - cap 1 di 20]
|| M e r t h u r || M a g i c A U || S c h o o l A U || C u r s e d A U || H a t e to L o v e || S l o w B o r n ||
Long ambientata ai giorni nostri. Cosa succederebbe se un Arthur ribelle e problematico e un Merlin apatico e solitario si incontrassero da adolescenti frequentando la stessa scuola? E cosa accadrebbe se la magia esistesse ancora e venisse praticata
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balinor, Merlino, Morgana, Principe Artù, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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La campanella dell'ultima ora squillò, masse di ragazzi euforici schizzarono fuori dalle aule in tutta fretta come uragani urlanti, liberi finalmente da professori pedanti e lezioni noiose.
Tutti tranne uno, un ragazzo dalla figura sottile, lineamenti affilati e capelli scuri. Con calma mise libri e quaderni nello zaino usurato e mezzo rattoppato. Prova di quanti anni fosse stato usato, senza l'opportunità di poterlo cambiare, ma a Merlin non era mai interessato dare importanza a certi dettagli inutili. Finché l'oggetto fosse servito al suo scopo gli stava bene.
 
Salutò svogliatamente il professore ed uscì, per dirigersi alla fermata dell'autobus come i suoi compagni.
Si sistemò come suo solito in disparte dagli altri ragazzi, per non essere risucchiato dalla massa informe e colorata che formavano, mentre aspettavano il mezzo che li avrebbe riaccompagnati a casa di lì a poco.
 
Al moro non era mai interessato unirsi a loro, al contrario, gli piaceva osservarli da lontano, come uno di quei ricercatori che stanno ore ed ore a osservare un animale nel proprio habitat naturale, per impararne ogni minimo dettaglio ed abitudine. E Merlin, aveva osservato i suoi compagni tanto assiduamente nell’ultimo anno, da conoscerli a memoria. Così tanto, che con nulla più da scoprire, non c’era motivo di interessarsi ancora.
 
I gruppi nei quali si suddividevano abitualmente erano sempre gli stessi: quelli più In e Out, era letteralmente una jungla urbana nella quale il più forte sopravviveva a discapito del più debole. Tutto era lecito in quel campo di battaglia, nel quale il premio era vincere l'agognata corona dorata della popolarità, mentre il sangue che bagnava i corridoi delle aule erano l'autostima e la coscienza persa dei poveri malcapitati. Conosceva addirittura atteggiamenti, ruoli e media scolastica dei singoli nel gruppo... letteralmente tutto. Doveva trovare qualcosa di nuovo su cui spostare il suo interesse al più presto, o sarebbe certamente morto.
 
Merlin non era uno di quei ragazzi che si possono definire comuni, o per meglio dire, "omologati al resto della società, con la testa piena di inutili stupidaggini".
Non era mai riuscito a conformarsi alla massa, non che ci avesse provato più di tanto. Farne parte, era una di quelle cose che da bambino sentiva già a pelle se gli piaceva o meno.
Così sua madre Hunit, non riuscendo a spiegarsi la sua strana apatia verso il mondo, aveva cercato risposte tra medici specialisti e psicologi che si erano fatti un'unica e comune idea su di lui: Merlin Emrys era sano come un pesce, oltre all'essere un vero e proprio genio della sua generazione. Era altresì un ragazzo molto introverso, poco incline alle affettuosità e decisamente portato all'isolamento, ma non c'era nulla di cui preoccuparsi.
Era un genio dopotutto.
Che tradotto per i comuni mortali significava: "Signora, non sappiamo spiegare i problemi di suo figlio. Ma la veda in questo modo. Poteva andarle peggio. Non le pare?"
 
Inutile dire che questa risposta spicciola non colmò nemmeno un poco le preoccupazioni di Hunit; che continuò a prendersi cura di lui come solo l'amore di una madre è in grado di fare: senza pregiudizi o costrizione alcuna. Ma accompagnata sempre, da quel velo di preoccupazione che sottolineava ogni singolo giorno, quanto lei fosse totalmente impreparata a gestire quella straordinaria condizione.
 
Inoltre, non capitava di rado che unito a quel ricordo d'infanzia, Merlin associasse un suo triste pensiero personale: che nel silenzio amorevole di sua madre si nascondesse il desiderio di vederlo meno intelligente e più affettuoso, date le sue dimostrazioni affettive praticamente inesistenti.
Una volta, da piccolo lo aveva persino desiderato, solo per rendere felice sua madre. Finché qualcosa di oscuro dentro di lui, gli fece cambiare idea.
Merlin scosse la testa, nel tentativo di cacciare via quei cupi pensieri, e per ingannare l'attesa del suo mezzo, optò per la musica, da sempre la migliore alternativa per lui, per distrarsi mentre era a caccia di nuovi stimoli.
Passarono dieci minuti buoni e lo scorrere fluido della musica nelle sue orecchie lo fece estraniare completamente dal mondo circostante. Cosa assai gradita, visto che se c’era una cosa che sopportava ancora meno della noia era ascoltare le chiacchiere inutili dei suoi compagni.
E poi lo vide con la coda dell’occhio, con tre minuti di ritardo sulla sua tabella di marcia.
Una mano gli strappò violentemente le cuffie dalle orecchie, seguita subito dopo dalla solita spintonata poco amichevole -Allora, come va oggi, Merlin?-
Un brivido familiare percorse la sua schiena.
 
Quella voce…
 
Quella persona…
 
Detentore dello scettro del potere.
Altezzoso, prepotente e presuntuoso.
Abilità fisiche: formidabili.
Abilità teoriche: scarse.
Promemoria personale: in sostanza un Asino Reale.
In due parole: Arthur Pendragon.
 
Merlin si chinò a raccogliere gli auricolari da terra e rialzatosi due occhi color del cielo sbarrarono i suoi. Innegabile era cosa trasparisse: Guerra. Solo per il gusto di farla.
 
Un tempo gli era piaciuto studiare quelle dinamiche da lontano, le aveva trovate tremendamente interessanti finché non era diventato lui stesso la cavia sfortunata di quel gioco malsano chiamato bullismo.
Da quel momento fu costretto ad ammettere quanto fosse infelice scoprire il livello di mediocrità che può raggiungere un adolescente quando si tratta di umanità.
Lui stesso era consapevole di non esserne particolarmente munito, se non addirittura quasi del tutto esente, ma quello era un altro discorso. Era comunque certo di non far parte della categoria "insaziabili bestie divoratrici".
-Molto bene. Grazie.- rispose il moro, sostenendo il suo sguardo minaccioso. -Davvero? Si vede che il colpo che ti ho dato non era abbastanza forte.- ribatté il biondo mentre un sorriso maligno gli si disegnava sulle labbra. -Mi toccherà impegnarmi di più.-
 
Non vedo l’ora…
 
Pensò il moro pregustando ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco.
Il tempo di un respiro e Arthur finse di sferrargli un pugno in piena faccia, così da costringere Merlin a proteggersi istintivamente con le braccia, per poi arrestarsi e veloce come un fulmine tirare un calcio alla gamba scoperta per farlo cadere a terra.
Lo schianto sull'asfalto fu doloroso per il moro, e gli ci volle qualche secondo per realizzare cosa fosse successo. Ma prima che potesse fare qualcosa, Arthur si parò sopra di lui, bloccandolo fra le sue gambe e afferrandogli i polsi di entrambe le mani, come se fossero strette da delle manette. Ed eccolo, quel brivido lungo il corpo, che seguiva ogni volta che il biondo lo toccava o gli era troppo vicino.
-Te lo chiedo di nuovo, Merlin.- sibilò il ragazzo al suo orecchio -È ancora buona la tua giornata?- mentre la presa ferrea che aveva sui suoi polsi si faceva sempre più stretta e dolorosa, secondo dopo secondo.
Se il biondo avesse continuato ad artigliarlo con la forza con cui un'aquila agguanta la sua preda, Merlin, poteva stare certo del fatto che sarebbe rimasto il segno. Dopotutto per quanto potesse essere superiore a lui di intelligenza, non poteva negare che tra le sue mani era un facile ramoscello da spezzare.
 
Arthur continuò a rimanere in attesa di una risposta, che l'altro non sembrava volergli dare. Al contrario l'unica cosa che gli restituiva era uno sguardo di ferro, intervallato solo dalle smorfie di dolore che andavano sempre più in crescendo con l'aumentare della stretta sui suoi polsi.
Lo irritava sempre l'atteggiamento sfidante di Merlin nei suoi confronti, anche se mingherlino com'era non poteva nulla contro la sua forza bruta. Eppure, ogni volta che si scontravano, il moro non gli dava mai la soddisfazione di sottomissione che pretendeva. Questo almeno lo autorizzava a infierire fisicamente su di lui ancora di più. Ma rimaneva solo uno sfogo, e non altrettanto appagante come il vederlo piegato sotto di sé.
Merlin resistette finché poté, diviso tra il resistere ancora e godersi il suo oblio personale e il dimenarsi per interrompere quella morsa dolorosa. -Sì, lo è.- gracchiò alla fine e Arthur lo spintonò nuovamente a terra frustrato, facendogli sbattere ancora una volta la schiena contro il bollente e duro asfalto del marciapiede, mettendo così fine allo scontro. Per poi andarsene, seguito dalla sua banda di amici fedeli tra risate e schiamazzi.
 
La separazione da Arthur, riportò Merlin alla realtà. Insieme allo sciamare dei brividi che lo accompagnava ogni volta, ma che non durava mai abbastanza.
Odiava ammetterlo ma, per quanto Arthur non gli andasse a genio, non riusciva a fare a meno dei loro bruschi incontri giornalieri da quando si era scontrato con lui la prima volta.
 
***
 
Tutto era iniziato poco tempo dopo essersi trasferito, con sua madre da Eldor lì a Camelot per il di lei lavoro.
Era stato nei primi giorni di scuola che aveva conosciuto Arthur, o per meglio dire, che aveva imparato a conoscere il suo atteggiamento.
Osservandolo era giunto alla conclusione che il giovane era il classico sbruffone della classe, a cui le ragazze correvano dietro senza ritegno, e che i ragazzi prendevano come punto di riferimento, come un modello da seguire.
Per molti versi era anche comprensibile. Arthur Pendragon rispettava tutti i canoni di bellezza della società odierna. Alto, biondo e occhi azzurri, fisico prestante e atletico. Predisposizione al comando con una nota di narcisismo e superficialità. E se si aggiungeva al curriculum: figlio di papà, cacciatore di femmine e festaiolo, si aveva il perfetto figlio della sua classe sociale.
All'inizio Merlin non gli aveva badato più di tanto. Era solo una macchiolina fra tante, uguale a tutte le altre e che presto si sarebbe lasciato alle spalle insieme a tutte le altre venute prima di lui.
Eppure…
Un giorno mentre si dirigeva in una delle aule, dove si sarebbe svolta la lezione seguente, vide il giovane Pendragon accanirsi su un ragazzo del primo anno con più enfasi del solito.
 
Generalmente quando succedevano situazioni simili, il moro rimaneva in disparte come osservatore esterno. In parte per puro interesse antropologico, mentre l’altra, era per il suo spasmodico bisogno di avere tutto sotto controllo. Era una delle sue tante regole e rimanere invisibile al resto del mondo gli permetteva di avere il controllo su tutto quello che lo circondava.
 
Controllo significava sicurezza. Sicurezza assicurava zero problemi. E zero problemi significava Benedetta Pace.
 
Quella volta però, qualcosa dentro di lui lo spinse ad andare in soccorso del povero malcapitato.
Tutt'ora non sapeva spiegare cosa l'avesse spinto a farlo e a maledirsi perché a causa di quel gesto sconsiderato, il mantello che lo aveva tenuto invisibile fino a quel momento, al resto del mondo, era andato in pezzi. I giorni dove lui era l'unico osservatore di quello zoo erano finiti, e da cacciatore si era trasformato in preda.
 
-Basta così. Mi sembra che tu ti sia divertito abbastanza per oggi.- decretò il moro uscendo dalla sua zona neutra, proclamando così la sua morte imminente e per i restanti mesi scolastici che avrebbe dovuto passare con lui.
-Come prego?- Rispose il biondo profondamente seccato dopo che il suo divertimento giornaliero era stato interrotto.
Uno sguardo maligno posato da prima sul poveretto sotto di lui si spostò sul suo nuovo coraggioso e altrettanto stupido disturbatore. -Ti conosco?- chiese ancora scrutandolo più attentamente, mentre con uno strattone mandava via la sua preda precedente.
-Aspetta...- continuò avvicinandosi a Merlin -So chi sei!- concluse infine puntando il dito contro la sua faccia mentre un sorrisetto compiaciuto si disegnava sulla sua bocca. -Sei quello nuovo, dico bene? Non ricordo il tuo nome.-
-Merlin.- rispose secco il moro, che si stava lentamente rendendo conto della situazione nel quale si stava cacciando.
Arthur si avvicinò a lui ancora di più, tanto da mettergli un braccio sulle spalle. Di rimando un brivido corse lungo la schiena di Merlin bloccandolo lì dov'era.
Odiava essere toccato e dovette concentrare tutto il suo autocontrollo per non fuggire da quella presa, cosciente che il suo comportamento avrebbe determinato in bene o in male i minuti seguenti.
-Lascia che ti dica un paio di cosette. Merlin.- La particolare nota con cui pronunciò il suo nome gli diede un altro brivido. -Chi comanda qui sono io, e se provi a metterti di nuovo in mezzo ai miei affari, saprò come rimetterti in riga. E credimi non ti piacerà. Sono stato chiaro?- Precisò ogni singola parola guardandolo dritto negli occhi, cosa che lo metteva nella maledetta condizione di stargli ancora più vicino con la faccia.
 
Per certi versi Merlin non aveva mai capito questo fatto di maltrattare gli altri per sentirsi superiori e marcare il territorio così prepotentemente. Ovviamente lui stesso si sentiva superiore agli altri a causa del suo formidabile quoziente intellettivo, ma questo non gli aveva mai dato la necessità di sventolare la cosa ai quattro venti o di farla pesare ad altri, mostrandosi superiore o più maligno. Aveva scoperto invece che la soddisfazione personale, sul resto di un mondo che non poteva comprenderlo, era decisamente più appagante.
Qualcuno forse avrebbe detto che era un comportamento da stronzo ma, non gli importava e non avendo amici difficilmente le sue orecchie avrebbero udito quella parola.
 
-S...Si.- rispose Merlin più distratto dalla vicinanza dell'altro che dalla sua reale minaccia. Era la prima volta in tutta la sua vita, che gli capitava di non riuscire a rimanere concentrato in presenza di un'altra persona.
Arthur gli era talmente vicino da poter sentire il suo fiato sfiorargli il viso, cosa che oltre ad innescare una serie di brividi sconosciuti e totalmente privi di senso, gli impedivano di mantenersi concentrato.
Era come avviluppato da una nube invisibile che gli toglieva i sensi.
L'unica immagine e suono che il suo cervello registrava erano il volto e la voce di Arthur.
Tutto il resto era lontano, ovattato... Insignificante.
Era come se Merlin fosse diventato un pezzo di ferro e Arthur la calamita che lo attirava a sé contro la sua volontà.
Non aveva potere.
Non aveva controllo.
Non c'era più...rumore.
 
Per un solo, misero secondo, Merlin cercò di aggrapparsi disperatamente a quel silenzio, ma la stretta che Arthur gli diede alla spalla lo riportò bruscamente coi piedi per terra. -È tutto quello hai da dire? Solo "Sì"?-
-D...Dubito che qualunque cosa io dica possa distoglierti dall'idea di picchiarmi, per cui...- non gli uscì altro dalla bocca, dato il suo stato confusionale. Quasi non si rese conto di pronunciare quelle parole ma, Arthur cogliendo quella risposta come un suo tentativo di sfida, non gli diede il tempo di finire la frase e con uno scatto fulmineo si piazzò dietro di lui girandogli il braccio dietro la schiena.
Una stilettata dolorosa gli percorse tutto il braccio fino alla spalla. -Mi prendi forse per il culo sapientone? Non osare mai più rivolgerti a me in questo modo o di dirmi quello che posso o non posso fare! Non hai idea di con chi tu abbia a che fare.- e detto ciò continuando a parlare con la bocca attaccata al suo orecchio bisbigliò -E ora tu, ti sottometterai a me.-
Al suono di quella voce arrogante e melliflua allo stesso tempo, altri brividi percorsero il suo corpo.
Di nuovo quella sensazione di oblio indefinito lo colse.
Quel silenzio.
Quella...pace.
Ancora una volta tentò di aggrapparvisi.
Ma di nuovo quella sensazione durò troppo poco, prima di iniziare a scomparire. E Merlin tra gli spasmi di dolore per il braccio e il fiato corto per tutte quelle sensazioni nuove, riuscì solo a proferire un misero e strozzato -no...- nel tentativo di trattenere quella sensazione ancora attaccata al suo corpo.
 
Sfortuna volle, che Arthur interpretò quelle due sillabe come un rifiuto ribelle verso sé stesso, e strinse la sua presa ancora più forte, costringendo il moro ad inginocchiarsi su una gamba nell'inutile tentativo di lenire il dolore lancinante alla spalla. -E ora?-
Non ricevette risposta da Merlin, perso nella sua mente, ad assaporare qualcosa che mai avrebbe creduto possibile.
Il biodo andò avanti ancora per qualche secondo ma poi, fu costretto a mollare la presa irato per non aver vinto la sfida. Perfino lui sapeva che avrebbe pagato delle conseguenze se gli avesse rotto il braccio. Così lo lasciò andare, ma non prima di avergli assestato un calcio alle costole che gli avrebbe lasciato un bel segno di ammonimento. -Ci si vede in giro idiota.- concluse, per poi andarsene via.
Merlin rimase a terra anche dopo che il Pendragon se ne era andato, sparendo dietro l'angolo. Tutta la parte sinistra del braccio e della spalla doleva e pulsava. Mentre sulla schiena poteva ancora sentire la pressione dolorosa subita dalla scarpa dell'altro sulla sua pelle. Il giorno dopo gli sarebbe sicuramente uscito un ematoma bello profondo. Ma non gli importava.
 
Dopo tanto tempo, aveva sentito qualcosa. Non sapeva dire cosa fosse, ma aveva decisamente avvertito qualcosa di diverso rispetto a come ogni giorno percepiva la sua vita.
Una sopravvivenza costante alla Vita, sua indiscussa e invincibile nemica.
Una condanna, nel quale il suo stesso corpo e la sua mente gli erano nocivi.
Costantemente bloccato in una prigione mentale dal quale era impossibile scappare.
La sua mente era come un buco nero insaziabile e l'unico modo per tenerla a bada era sfamarla.
Sempre.
O il prezzo da pagare sarebbe stato il dolore.
Lo sentiva quando si svegliava, era come un allarme di avvertimento. Un ronzio che diventava sempre più forte e assordante.
Fu negli anni che si rese conto che le emozioni accentuavano la sua condizione, così si promise di eliminarli per riuscire a mantenere la sua sanità mentale.
Ma quel giorno con Arthur fu diverso. Per qualche motivo sconosciuto quel ragazzo totalmente insignificante, aveva colmato quella fame.
Aveva dato silenzio dove il ronzio nella sua testa viveva perenne, divorandolo come un tarlo.
Aveva dato pace ad un corpo stanco e martoriato da una battaglia che non ha mai fine o tregua.
Quel giorno gli aveva dato una speranza, e allo stesso tempo gli aveva tolto il suo amato controllo.
Si rannicchiò su stesso sul freddo pavimento della scuola, nel vano tentativo di trattenere quel meraviglioso oblio ancorato a sé ancora per un po’.
 
Era davvero possibile? Era stato Arthur? Se sì come?
Come aveva fatto Arthur Pendragon, pura concentrazione di caos, rabbia e violenza a silenziare il suo caos?
Doveva scoprirlo. No. Non dovere…Bisogno, era decisamente la parola giusta. Lui aveva bisogno di sapere.
E lo fece.
Nei giorni successivi fece in modo di farsi trovare vicino a lui, che fosse in corridoio tra una lezione e l’altra, in pausa pranzo, alla fermata dei pullman dopo la scuola. Tutto pur di avere la possibilità di avere uno scontro con lui per poter appurare che fosse lui la causa. E per quanto assurdo potesse sembrare, era proprio lui. Ogni volta che Arthur lo toccava, il moro finiva dentro una bolla di beatitudine e il ronzio terrificante lasciava il posto ad un confortante silenzio. L’unica pecca, era che purtroppo durava sempre troppo poco.
 
Così, contro ogni aspettativa, decise che Arthur sarebbe stato la sua nuova cura contro un cancro che violava ogni logica.
Illogico che chiama illogico.
Avrebbe sopportato le sue angherie per avere anche per un solo secondo quell'oblio tanto agognato. Avrebbe accettato di perdere il controllo e cedere al caos dell’altro per colmare il suo.
Caos che chiama caos.
Cos’è questa se non follia?
 
***
 
Una mano dalla carnagione scura entrò nella sua visuale, e Merlin la strinse per rialzarsi da terra. Ormai aveva perso il conto di quante volte quella mano lo aveva aiutato ad alzare le sue chiappe dal pavimento. Aveva conosciuto Gwen il giorno in cui si era scontrato con Arthur, per la prima volta. Anche quel giorno lo aveva aiutato a rialzarsi da terra e da quel momento non lo aveva più lasciato. Nel senso, che lei aveva pensato bene -per chissà quale assurdo motivo- di diventare sua amica e che la cosa sarebbe andata bene anche a lui.
All’inizio Merlin non ne fù particolarmente entusiasta. Gwen era una ragazza piena di energia, rumorosa, chiacchierona e decisamente troppo invadente per i suoi gusti. Qualità indubbiamente indispensabili per un gruppo di amici normale ma, per quel “duo” che sarebbe dovuto rimanere un “uno” rimaneva una infelice accoppiata.
Gwen era tutto quello da cui Merlin era sempre fuggito. Abbracci indesiderati, lunghe telefonate e dialoghi inutili. Il problema era che non potendosene liberare aveva fatto buon viso a cattivo gioco.
Frequentandola Merlin aveva scoperto che Gwen era una vera e propria enciclopedia sui rapporti interscolastici. All'inizio aveva pensato di sfruttare le sue conoscenze per arricchire il suo archivio di dati personali, ma una volta capito che il suo "sapere tutto di tutti" riguardava gossip totalmente inutile, aveva subito rinunciato.
 
Una nota positiva però c’era. L’amicizia che Gwen gli offriva -se così si poteva definire- gli permetteva di mescolarsi alla massa ora che il suo mantello dell’invisibilità era andato perduto.
Inoltre, Gwen, gli aveva permesso di conoscere più a fondo Arthur Pendragon: figlio di Uther Pendragon, fratello minore di Morgana Pendragon. Appartenente alla famiglia più antica di Camelot, tanto che si dice fossero stati gli stessi antenati Pendragon a costruire la città. Non di meno infatti il padre di Arthur possiede quasi tutte le chiavi della città.
Questo spiegava perché quel ragazzo tenesse sotto scacco mezza scuola, senza che nessuno obbiettasse nulla al riguardo. Secondo il ragionamento di Merlin, nessuno si sarebbe mai messo a contestare il comportamento del figlio dell'uomo che possedeva Camelot, e che con molte probabilità finanziava anche la maggior parte degli eventi e iniziative della cittadina.
Scoprì anche che la vita di Arthur Pendragon non era così riservata, anzi tutti sapevano che la madre, Igraine, era morta anni prima dando alla luce lui e sua sorella. Capitano della squadra sportiva della scuola, Arthur un giorno avrebbe portato avanti le redini della famiglia: si diceva che il padre stesse già programmando un futuro matrimonio combinato da lui per allargare l'impresa di famiglia, ma quelle per il momento erano solo dicerie tra banchi.
 
-Ti ha fatto molto male?- chiese Gwen preoccupata. D'istinto allungò il braccio per prendere le mani di Merlin e assicurarsi che non fosse nulla di grave, ma il ragazzo scostò le mani fulmineo e se le infilò in tasca. -No. Non è niente.- dopo tutti quei mesi di frequentazione, per la ragazza non erano estranei i comportamenti evasivi del moro, anche se un po' la ferivano. Ci teneva sul serio ad instaurare un rapporto di amicizia con lui nonostante Merlin le mettesse sempre dei paletti molto netti. E dato che lei rimaneva sempre una inguaribile speranzosa, mandava giù il boccone amaro sperando in meglio nella volta prossima.
-Sai, forse dovresti dirlo a tua madr...- Gwen non fece in tempo a finire la frase che il moro la zittì all'istante. -Non ci provare.-
-Sì... ma...-
-Ho detto no. Gwen. Sai anche tu che sarebbe inutile informare di questa cosa chi che sia. È un Pendragon. Nessuno si mette contro la sua famiglia.-
-Ok... Ma se tu...insomma, è ingiusto quello che devi sopportare ogni stramaledetto giorno!-
-Eppure sei stata tu la prima a dirmi che non si può fare nulla contro di lui. Ricordi?- concluse lui tornando a osservare ciò che lo circondava. -Forse ho sbagliato a dirti quelle parole quel giorno.- rispose rassegnata lei. -Non ti colpevolizzare, Gwen. Dette o meno non avrebbe fatto alcuna differenza.-
 
Ed era vero. Che si potesse fare o meno qualcosa, lui in primis non aveva intenzione di rompere quella catena, ed era certo che di questo ne fosse convinto anche il suo carceriere.
Gwen questo non lo sapeva e l'arrovellarsi su questo dilemma pareva essere diventato il suo punto fisso. Molte volte aveva tentato di farlo ragionare, ma inutilmente. Merlin era l'unica persona che conoscesse, capace di tenere testa ad un Pendragon. Avrebbe potuto parlarne con sua madre e gli insegnanti per farlo smettere, eppure, non faceva mai niente. Come poteva non fare nulla e lasciarsi pestare come un pugile si accanisce contro il proprio sacco da box? Solo un pazzo lo avrebbe fatto.
 
In quei mesi molte volte gli aveva allungato la mano per rialzarsi da terra dopo la furia del biondo. E tutte le volte aveva sopportato i suoi maltrattamenti, senza mai sottostare al suo volere, a differenza di tutti gli altri che preferivano l'umiliazione all'essere malmenati. All'inizio aveva pensato si trattasse di orgoglio maschile, ma con l'andare delle settimane aveva iniziato a notare qualcosa di diverso. Altri si sarebbero lamentati costantemente di quella situazione scomoda, Merlin invece no. Non si lamentava mai. A vedersi, la cosa sembrava non disturbarlo minimamente. Avrebbe quasi detto che gli piacesse perfino, ma quell'atteggiamento malsano era troppo perfino per uno strano come Merlin.
Era cosciente che le sfuggisse qualcosa, ma quel qualcosa non le arrivava mai e Merlin poteva stare tranquillo del fatto che la sua compagna di scuola fosse troppo ottusa per giungere alla conclusione giusta.
Rimasero così, in silenzio ad aspettare, immersi ognuno nei propri pensieri. Mentre l'attesa dell'autobus stava iniziando a diventare interminabile minuto dopo minuto per Merlin, che non vedeva l'ora di prendere lo zaino e andarsene.
 
A lungo andare aveva iniziato a tollerare la sua presenza e tutto sommato non era così male averla intorno. Il vero problema era la sua irrefrenabile invadenza. Che nello specifico si traduceva nel voler conoscere il suo passato e la sua vita prima di arrivare a Camelot.
Il più delle volte se non poteva ignorarla, le rispondeva con poche e concise parole; scarne ma abbastanza per saziare il suo interesse almeno per un po’.
 
Questa era forse una delle sue regole più difficili da rispettare da quando la ragazza era entrata a far parte della sua vita: non divulgare fatti personali. Ovviamente Gwen non conosceva praticamente nulla di lui, oltre al dove vivesse attualmente, ai suoi lavoretti illegali sotto banco e l’idea che si era fatta di lui frequentandolo.
Per Merlin minore era l’interazione sociale, meglio era. Non poteva controllare i pensieri della ragazza, ma era cosciente del fatto che la conoscenza reciproca tra individui portasse alla costruzione di relazioni affettive; e su questo poteva lavorare. Nessun coinvolgimento emotivo equivaleva a zero emozioni, controllo costante, e Il controllo è e restava sempre la sua priorità.
 
Quando l'autobus finalmente arrivò, Merlin salutò Gwen con un cenno della mano e salì sul mezzo. Per tutto il tempo, i polsi non avevano smesso di pulsare.
  
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