Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |      
Autore: free_boz    27/03/2020    0 recensioni
Sean vive la sua via di studente nella noiosa città di Maynooth, la sua vita è come quella di qualunque suo coetaneo: va a scuola, esce con i suoi amici la sera ed è innamorato della bellissima Erin Fitzgerald. Una sera la sua vita arriva ad un punto di svolta quando davanti alla sua porta trova una giovane donna dalle vesti bianche e macchiate di sangue che piange straziata dal dolore. Tutto, da quella sera, per lui cambierà e non sarà più lo stesso.
"«Quindi non stavi parlando da solo prima?» sembrò incuriosita dalla sua esperienza extrasensoriale.
«No, anche se lei più che rispondere piangeva» si appoggiò alle sbarre del cancello con la schiena, «devo sembrarti pazzo in questo momento»
Kayley sorrise, quasi divertita dalle sue parole «non più del solito» rispose ridendo piano, strappando un piccolo sorriso anche a lui. «Magari era una Banshee» azzardò la ragazza cercando di ironizzare la situazione «saresti il primo ad averne avvistato una dal 1014! Non è emozionante?» "
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I. La Dama Bianca 
 
 
Maynooth non era esattamente la città più movimentata d’Irlanda, se non fosse stato per gli studenti del college probabilmente la sera si sarebbe sentito solamente il canto dei grilli e la cosa più assurda era che tutti quei ragazzi potevano scegliere altre città dove continuare i loro studi, ben più vive e interessanti: Dublino, Galway, Cork…
Sean viveva a Maynooth da tutta la vita, ormai quella realtà incominciava a stargli stretta anche se mancavano ancora un anno pieno al diploma. L’anno scolastico era appena iniziato, il primo settembre era giunto alle porte dopo due mesi di un’intensa estate e Sean non era pronto a dire addio alle vacanze, al potersi alzare a mezzogiorno, alle uscite con gli amici e le mille cose che lo avevano tenuto lontano dai libri per tutto il tempo all’insaputa di sua madre. Sì, non era uno studente modello e sua madre non era proprio entusiasta di questa sua condotta menefreghista, ma Sean non aveva voglia di diventare un importante dottore e seguirla nella sua carriera perfetta, voleva stravaccarsi sul divano e giocare ai videogiochi o uscire la sera a bere qualcosa con i suoi amici, magari strappare un appuntamento alla bellissima Erin Fitzgerald… cose così, insomma! 
Era il suo ultimo anno, l’ultima boccata d’aria fresca prima degli esami, prima dell’università. Sarebbe stato un anno perfetto. Mise in spalla lo zaino e scese velocemente al piano inferiore, raggiunse la porta di casa con due falcate e appoggiò la mano sulla maniglia pronto ad aprirla e levarsi velocemente dai piedi. Sperò fino all’ultimo che il rumore del caffè sul fuoco avesse sovrastato quello dei suoi passi,

«Sean!» chiamò la voce squillante di sua madre dalla cucina. «Non fai colazione?» domandò appoggiandosi allo stipite della porta, ancora in vestaglia e i capelli scuri arruffati, con in mano un barattolino di yogurt magro già praticamente finito. 
 
«No» rispose con un sospiro esasperato, passandosi le mani fra i capelli «sono già abbastanza in ritardo»
 
«Questo perché non punti la sveglia abbastanza presto» quello era l’esatto motivo per cui Sean evitava sua madre la mattina: aveva sempre da ridirgli su qualsiasi cosa. «Almeno prenditi il pranzo» sua madre tornò in cucina e tirò fuori dal frigo il suo sacchetto del pranzo. Sean glielo prese velocemente dalle mani, biascicando un grazie a bassa voce e concedendole un sorriso appena accennato, giusto perché alla fine senza sua madre si sarebbe ritrovato morto di fame dopo nemmeno quattro giorni.  Le voleva bene, la ammirava più di chiunque altro, ma a volte era opprimente e in quel momento più che mai Sean sentiva di aver bisogno dei suoi spazi e lei non sembrava capirlo. «Se non mi trovi in casa scaldati il roast beef, è tutto pronto basta che lo metti in microonde» gli sorrise sua madre schioccandogli un bacio sulla fronte, per sistemargli a tradimento il colletto della camicia. 
 
 «Mamma!» sbottò, togliendole le mani dalla divisa, «ci vediamo quando torni, ora vado che sono in ritardo». Uscì di corsa nel vialetto, sbuffando, con ancora in mano il pranzo, ma sapeva che lei lo stava osservando in apprensione dalla finestra del salotto, poteva sentire addosso il suo sguardo.
Appena svoltato l’angolo Sean emise un sospiro sollevato e iniziò a dirigersi verso la scuola con passo spedito, ma la sua mente era altrove: Erin Fitzgerald. Aveva fantasticato su di lei per tutta l’estate, sulle sue labbra carnose e il suo fisico da urlo, sulla sua voce e i suoi occhi azzurri… tutto di lei lo faceva impazzire, letteralmente! Forse avrebbe avuto qualche possibilità con lei, era il quarto anno ormai che si vedevano a scuola e durante l’estate era finalmente riuscito ad ottenere il suo numero, qualche messaggio qua e là, ma nulla di davvero rilevante. Non poteva far altro che stringere i denti ancora un po’, l’avrebbe conquistata, infondo erano in classe assieme.  Nessuna lo aveva mai fatto sentire così prima, l’agitazione che provava quando i loro sguardi si incrociavano, anche solo qualche secondo, gli facevano tremare le gambe.
Entrare nel vialetto della scuola gli aveva fatto ricordare di essere molto in ritardo, «cavolo» aveva sibilato a denti stretti iniziando a correre verso la sua classe. Alla prima ora aveva geografia e la professoressa era una donna annoiata in attesa solo di arrivare alla pensione, non c’era materia più noiosa e la sua insegnante era ancora peggio. 
Si affacciò alla porta della sua classe giusto in tempo, esattamente al suono della campana, col fiatone e la tracolla che scivolava lentamente giù dalla sua spalla. Sean si guardò attorno con la bocca spalancata, per riprendere aria, e avanzò lentamente cercando fra le facce dei suoi compagni un posto vuoto, magari proprio vicino a Erin?
Un barlume di speranza lo fece sorridere, stare vicino a lei sarebbe stato a dir poco meraviglioso! Averla tutti i giorni vicina, poter sentire il suo profumo di gelsomino e guardarla mentre si accarezza i capelli dorati con le dita. Sean fremeva al solo pensiero.

«O’Connor!» brontolò la professoressa Mallory, posando i libri sulla cattedra «siediti invece di guardarti attorno come un pesce lesso!» Si sistemò gli occhiali sul grosso naso adunco, e lo fissò trova con i suoi lucidi occhietti neri «c’è un posto affianco alla signorina Campbell, siediti lì» concluse la donna, indicandogli il banco in ultima fila.
- “Proprio vicino a lei?” - pensò Sean, sgranando lievemente gli occhi mentre andava a prendere posto.  Kayley Campbell, pochi volevano avere a che fare con lei, qualche coraggioso ragazzo con cui era uscita raccontò che era completamente suonata. Per quanto assurdo potesse sembrare Sean conosceva Kayley, ma dalla fine della Primary School aveva smesso completamente di frequentarla, nonostante da bambini fossero molto amici. Erano cambiati entrambi. Molte voci gli arrivarono all’orecchio sul conto della sua ex-amica, tutte a dir poco inquietanti.

Sean si sedette un po’ titubante affianco alla ragazza, intenta a guardare fuori dal finestrino mentre si attorcigliava attorno alle dita una collana dalle grosse pietre viola, sua madre ne aveva una simile con le stesse pietre, - “sono agate” - pensò Sean osservando nel dettaglio l’accessorio della sua vicina, nascosto dai lunghi ricci castani. Tirò fuori il libro dalla tracolla e durante la spiegazione lanciò qualche discreta occhiata alla sua compagna: i suoi capelli ricci erano tenuti indietro da una cravatta colorata, usata come un cerchietto, e il fondo sbucava sulla sua spalla dalla selvaggia matassa di capelli castani, la sua pelle chiara e tempestata di lentiggini risaltava con il verde della divisa, lasciata aperta e trasandata, un po’ come la sua, e abbinata a due stivaletti in cuoio marrone ancora slacciati.  - “Non è una brutta ragazza, peccato che sia così…” - così come? Eccentrica? Si disse Sean.  Era troppo anche per lui, nessun ragazzo normale si sarebbe mai sognato di uscire con una che al primo appuntamento raccontava delle sue esperienze extrasensoriali al cimitero cittadino.

La lezione della professoressa Mallory fu così lenta e pesante che perfino osservare Kayley Campbell e i suoi scarabocchi a lato del libro fu più interessante, per quanto un ghirigoro potesse essere interessante. 
D’un tratto, più o meno a metà tra la spiegazione dei fiumi e dei laghi d’Irlanda, eccoli, gli occhi più belli dell’intera città: gli occhi di Erin, fissi su di lui.  Riecco quel tremolio alle gambe e quella morsa allo stomaco che ogni volta compariva improvvisamente alla vista del suo sorriso e di quei bianchi denti che si mordevano il labbro. 
 
Il suono della campanella non gli parve così melodico prima, non appena la professoressa liberò la scrivania si alzò in piedi per raggiungerla, ma lei lo anticipò. Erin si parò davanti a lui sorridendogli entusiasta.
«Sean, ti voglio alla mia festa!» declamò solerte, ridendo appena. Una risata così cristallina, un sogno, ecco cos’era quella ragazza!
 
 «Non posso mancare alla tua festa» rispose Sean sorridendo mentre infilava le mani nelle tasche dei pantaloni, un tessuto a dir poco fastidioso che pungeva e faceva prudere le mani al solo sfiorarlo, ma tenere le mani fuori lo avrebbero solo fatto sembrare un gran imbranato. Evidentemente, però, per qualcuno lo era già. Kayley, affianco a lui e ancora seduta, roteò gli occhi con un sospiro ed era tornata a scarabocchiarsi sulle mani. Sean le aveva lanciato un’occhiataccia.
 
«Ovviamente tutta la classe è invitata» Erin fece una piccola pausa, «anche tu, Campbell» continuò, voltandosi verso Kayley. «Sarà divertente, ci saranno anche dei ragazzi del college e tanto alcol» 
 
  «A che ora?» domandò Sean, sorridendo leggermente entusiasta, quelli dei college erano uno spasso e, a parte tutto, sarebbe stato da sfigati non andare.
 
«Alle otto e mezza a casa mia, Leinster Street» fece un sorrisone e strizzò l’occhio, «vi aspetto entrambi!» cinguettò ricongiungendosi alle sue amiche, tutte riunite sulla porta a chiacchierare fitto fitto fra di loro. 
 
Kayley affianco a lui la osservò pensierosa, come se ancora fosse indecisa sul da farsi, «tu verrai?»  le domandò Sean, quasi pentendosi di non essersi fatto gli affari propri. Quelle due non erano nemmeno amiche, non capiva il perché della sua presenza, che fosse stata semplice cortesia? Tuttavia se l’intera classe era presente perché lei avrebbe dovuto essere esclusa? Sapeva di essere stato il primo ad averla tagliata fuori e che doveva essere l’ultimo ad esprimere un’opinione. Non si era mai comportato da amico con lei.
 
  «Non lo so» rispose lei un po’ assorta, anche se gli parve sorpresa «non mi fa impazzire l’idea di girare sola la sera, anche solo fino a casa di Erin» alzò le spalle le spalle attorcigliando un ricciolo attorno al proprio indice lasciando che fra di loro ritornasse un imbarazzante silenzio, probabilmente nessuno le avrebbe dato un passaggio giacché non era la più popolare della classe.  Il resto della giornata non fu particolarmente emozionante, Kayley rimase in silenzio affianco a lui tutto il tempo, quasi come una statua di pietra e, dovette ammettere di non ricordarla affatto così silenziosa e riservata. Tuttavia fu un bene, almeno nessuno si sarebbe fatto strane idee a vederli parlare, poteva già immaginare le voci poco gradevoli che avrebbero iniziato a circolare per la scuola e non voleva nuovi problemi.
 
La campana segnò l’inizio della pausa pranzo e lui si sedette comodamente nel giardino, occupando un tavolo libero per i suoi amici. Tirò fuori il suo pranzo, non fu particolarmente entusiasta per gli avanzi della pasta ai broccoli, ma quello passava al convento e lui non osò più a lamentarsi per il cibo dopo che l’ultima volta quasi fuse una pentola. Josh e Drake, i suoi amici, lo raggiunsero dopo la loro lezione. Si conoscevano dai tempi della Primary School, all’epoca frequentavano la stessa classe, anche insieme a Kayley sulla quale piovvero i commenti:
«Sei il suo vicino di banco?!» cominciò Josh addentando il suo panino, «all’ultimo anno dalla Primary, ero seduto affianco a lei e, ti giuro, l’avrò sentita parlare ad un certo Sir Seamus del Kildare almeno un centinaio di volte!» rise pulendosi la bocca dalle briciole col dorso della mano. Nessuno poteva effettivamente sapere chi fosse, Kayley non lo aveva mai detto a nessuno, nemmeno a lui. Aveva sempre pensato potesse trattarsi del suo amico immaginario.
 
 «Questo Sir Seamus esiste solo nella sua testa» continuò Drake, rincarando la dose «e come se non bastasse l’anno scorso ho sentito che ha bidonato Simon Rockwell, del quinto anno, perché gli spiriti dicevano che la loro storia non sarebbe durata. So che eravate molto amici, però è un po’ strana, non pensi?» ridacchiò il suo amico, sdraiato sulla panchina verde del tavolo. «Fossi in te chiederei alla professoressa Mallory di cambiare banco»
  
   «non me lo permetterà mai» lo fermò Sean con un sospiro, «non ho motivazioni valide per farmi cambiare di posto e alla fine sta sempre zitta, non mi dà fastidio». Tuttavia lui sapeva che la sua reputazione sarebbe crollata in un secondo, gli sguardi poco convinti dei suoi amici ne erano una prova. Probabilmente nessuno ci avrebbe dato peso se non si fosse addentrato oltre nel rapporto con Kayley Campbell, se avesse lasciato tutto com’era: avvolto nell’imbarazzo e nell’indifferenza reciproca. I suoi amici avevano avuto molte più esperienze di lui con le ragazze e se dicevano che lei era da evitare, beh, allora avevano ragione. Josh non era esattamente il classico bel ragazzo, ma piaceva e la sua attitudine da “bad boy” attirava anche tante ragazze più grandi; Drake, dal canto suo, aveva avuto meno ragazze rispetto a Josh, ma quelle che ha avuto erano tutte bellissime e aperte a svariate fantasie; anche Sean aveva avuto qualche relazione aperta, nulla di serio che lo avesse mai spinto a dire “sì, lei è quella giusta”, non aveva mai nemmeno avuto una relazione seria in senso romantico, quel tipo di impegno aveva troppe complicazioni e non si sentiva granché pronto a fare un passo del genere, nonostante di cotte ne avesse avute a quintalate. 
 
«Credimi Sean» aveva ripreso Josh mettendogli una mano sulla spalla, «quella ragazza è davvero strana, evitala perché quelle come lei ti creano solo problemi» i suoi amici scesero dalle panchine verdi del cortile per ritornare alle ultime ore della giornata, ma Sean rimase completamente perso nei suoi pensieri e meditò sulle parole che gli erano appena state dette mentre rientrava in classe. Come faceva a riconoscere la donna giusta? Erin lo era? Desiderava ardentemente che lo fosse.
 
Le ultime ore trascorsero lentamente e la campanella pose fine a quella giornata di agonia. Sean era pronto ad uscire ma una mano si posò piano sulla sua spalla. Era un tocco davvero delicato, troppo. Si era voltato, immaginando chi potesse essere. «Posso aiutarti, Campbell?» 
 
«Avrei bisogno di un favore» cominciò lei, rigirandosi uno degli svariati anelli che portava sulle dita «potresti accompagnarmi alla festa di sta sera? Non amo girare da sola di notte» da quando Kayley Campbell andava alle feste?
 
  «Perché lo chiedi a me?» domandò Sean prontamente, non si parlavano da anni nonostante fossero sempre andati nella stessa classe. Perché mai avrebbe dovuto accompagnarla lui? Non aveva qualcuno di più intimo a cui chiedere? «Da quando ci tieni così tanto ad andare ad una festa? Quella di Erin per di più! Non siete manco amiche!»
 
«Ehm, perché viviamo vicini?» rispose con una risatina ironica, inarcando un sopracciglio «e poi sicuramente ci andrai» ridacchiò, quasi per sfotterlo.
 
  «Da quando vai alle feste?»
 
«Ho voglia di cambiare un po’ aria, presto saremo al college e ci divideremo tutti. Mi sembrava solo un’idea carina quella di Erin, anche se non sono in chissà quali rapporti con la classe» a Sean sembrò che la ragazza si fosse incupita giusto un poco, effettivamente Kayley era sempre stata una ragazza piuttosto introversa e fin da piccola faticava a farsi degli amici. Tuttavia aveva ragione, presto si sarebbero separati, Sean non sapeva quanti dei suoi compagni sarebbero rimasti per certo a Maynooth ed era una bella iniziativa festeggiare tutti assieme come una classe. Le parole dei suoi amici, però, gli echeggiarono immediatamente in testa facendogli rammentare che Kayley non era sicuramente il soggetto migliore per una festa under 80. Tutti i suoi sproloqui su fantasmi e creature dell’aldilà si addicevano più ad una vecchia indovina piuttosto che ad una ragazza di quasi diciotto anni. 
  
  «Appunto per questo mi sembra strano, anche se tu…» 
 
«anche se io cosa?» domandò lei, iniziando ad irritarsi e ad arricciare il naso come faceva da bambina ogni volta che si arrabbiava.
 
 «Beh, tu non sei un tipo prevedibile e non sei amica della festeggiata, quello che voglio dire è che magari vuoi-»
 
«rovinarle la festa?» incalzò, stizzita e paonazza in viso «che pena che mi fai, più servile di un cane al guinzaglio» storse il naso, rispondendogli a tono. «E dimmi, almeno li paga i tuoi servigi da cane da guardia?» appariva davvero così agli occhi dei suoi amici? Dei suoi compagni… o, peggio ancora, di Erin! Non sapeva bene come rispondere alla provocazione della sua compagna. «Tranquillo, non sono così meschina da fare una cosa del genere alla tua pseudo-fidanzata» sbuffò lei, tornando di un colorito quanto meno normale. Probabilmente si era resa conto di aver esagerato. «Volevo solamente provare qualcosa di nuovo, tutto qua…» strinse nervosamente fra le mani la cinghia della tracolla, in attesa di una sua risposta.
 
 «Provalo andandoci da sola, non sono affari miei» rispose Sean con indifferenza, ancora inviperito dalle sue parole. Forse era per quello che non si parlavano più, erano sempre stati così testardi e orgogliosi e nessuno dei due aveva mai provato a fare nulla per risolvere gli screzi. L’idea che le persone potessero vederlo come un cane al guinzaglio non lo faceva impazzire, soprattutto dopo la fatica che aveva fatto a farsi un nome all’interno della scuola e davanti agli occhi dei suoi compagni, di Erin e perfino quelli dei suoi inseganti. 
 
 
«Sei proprio uno stronzo sai?!»  sbottò lei, al limite della sopportazione «non ti ho chiesto chissà che cosa! Ho semplicemente bisogno che qualcuno mi accompagni alla festa!» Kayley tornò del colorito di un pomodoro maturo e, andandosene, gli diede una spallata mentre rimetteva la tracolla sulla spalla. Sean fremette appena per il nervoso e strinse i denti, punto sul vivo dalla ragazza che lo reputava uno zerbino che stava sempre alle regole di quelli popolari. Infondo aveva solo bisogno di qualcuno che la accompagnasse, non che le facesse da balia e nessuno avrebbe fatto domande indiscrete.
 
  «KAYLEY!» la chiamò a gran voce rincorrendola per il corridoio con la tracolla ancora aperta. La ragazza si girò, ancora irritata. Sean boccheggiò qualche secondo cercando cosa dire, «so che il nostro rapporto è sempre stato un casino, ma non penso che tu sia meschina» Kayley incrociò le braccia facendosi più attenta, vederlo scusarsi era una cosa che non capitava da…no, forse non era mai capitato. «Erin ha invitato tutta la classe e tu ne fai parte, se vuoi facciamo da casa tua alle 20 e poi andiamo assieme» gli parve soddisfatta, ma rimase un poco sulla difensiva.
 
«Perché hai cambiato idea?» domandò lei, storcendo il naso poco convinta da questo suo repentino cambio di opinione e questa sua strana sorta di scuse. 
 
  «Perché non voglio essere lo stronzo che ti ha tagliato fuori una seconda volta, una basta no?» imbarazzato, Sean infilò le mani in tasca per torturarsi nervosamente le unghie. Kayley scosse la testa sospirando delusa, ma sciolse le braccia incrociate e le lasciò cadere sui fianchi. – “Che diavolo ha ancora?!” – pensò Sean, notando la sua reazione, per lui, totalmente inaspettata. 
 
«Va bene» asserì lei «allora ti aspetto alle 20» non aggiunse altro, rimase completamente distaccata da lui e lo lasciò solo nel corridoio, dirigendosi all’uscita. Sean rimase esterrefatto. Kayley Campbell non si era mai comportata così con nessuno.
 
 
Erano anni ormai che non si parlavano più. Sean rammentava che quando erano bambini, giocavano sempre ai pirati nella casetta sull’albero nel cortile di casa Campbell, lui era il fantastico corsaro Billy Gunfire e Kayley era la temibile Hanna la squartatrice, il terrore dei sette mari. Ci passarono pomeriggi interi in quella casetta fatiscente, piena di muschi e tappezzata dei loro disegni, finché sua madre non lo veniva a chiamare per la cena.  Loro erano vicini di casa ed erano sempre insieme: alle feste, a scuola, ai campi solari…ma alla fine della Primary School era cambiato tutto, stare con lei era diventato sempre più difficile e mentre lui voleva fare le cose che facevano i loro compagni, lei era rimasta chiusa in quella casetta sull’albero. Non aveva più senso essere amici e molto improvvisamente, lui e Kayley avevano diviso le loro strade, quel giorno del penultimo anno. Non ricordava cosa si fossero detti, quella scena però ogni tanto, in momenti come quelli, tornava a galla quel giorno e riportava al suo stomaco una sensazione di peso opprimente, come se qualcuno gli avesse appena tirato un pugno. Le risate e i bei tempi dell’infanzia erano un lontano ricordo, ma ne sentiva la mancanza quando era solo a casa, davanti alla finestra con lo sguardo posato su quella vecchia casetta sede di tanti tesori, o sotto la doccia dove nessuno gli stava addosso. La verità era che aveva fatto tutto da solo. Suo nonno diceva sempre: “chi è causa del suo mal pianga sé stesso” e con Kayley aveva solo fatto errori. Era ad un passo dalla ragazza dei suoi sogni, aveva degli amici fantastici, lo adoravano tutti… perché incasinarsi la vita solo per Kayley Campbell e la loro passata amicizia?
 
A casa, ovviamente, si ritrovò da solo. Sua madre lasciò sul frigo un post-it verde, il suo colore preferito, con su scritto: 
 
“Turno di notte, ci vediamo domattina.
Baci, mamma.”
 
Con tanto di faccina sorridente.  Sean accartocciò il post-it e lo buttò nel cestino con un sospiro, ormai era abituato a cenare da solo anche se la cucina non era nelle sue corde, decisamente. La prima e unica volta che aveva tentato un esperimento ai fornelli, aveva scordato la pentola al fuoco dopo aver scolato la pasta. Aveva disintegrato l’interno della pentola, ma almeno la casa era salva. Da quel giorno non si era più lamentato degli avanzi.
Mise il roast beef in microonde e un po’ svogliatamente si sedette sulla penisola della cucina ad aspettare, girandosi la forchetta nella mano destra. Cosa poteva mettersi per attirare l’attenzione di Erin? Alla fine optare per una camicia e dei jeans gli parve la soluzione migliore, aveva pure poco tempo contando che doveva farsi trovare puntuale sotto casa di Kayley. Usò il profumo che gli regalò suo zio per natale e si sistemò al suo meglio: la camicia blu di suo padre e i jeans nuovi, sistemò i capelli scuri e mise la sua vecchia giacca di pelle. Si sentiva sicuro, era pure puntuale! 
 
Uscì di casa, due passi e sarebbe arrivato davanti alla casa di Kayley. Non seppe bene cosa stesse accadendo, ma tutto attorno a lui gli parve profondamente strano.  Un profondo senso di freddo lo assalì improvvisamente, faticò a girare le chiavi per chiudere le porta di casa, il respiro si fece più veloce, tutto attorno a lui sembrò opprimerlo e poi… eccola alle sue spalle: una donna dalla pelle eburnea, gli occhi cerulei iniettati di sangue, arrossati da profondi pianti, e i lunghi capelli biondo cenere che le coprivano il viso dai lineamenti affilati. Una bellezza inquietante e senza tempo, tanto che non avrebbe saputo darle un’età precisa, ma ad occhi e croce sembrava, all’incirca, poco più grande di lui.
«S-Signorina, si sente bene?» chiese Sean a bassa voce, avvicinandosi cautamente e tendendole un poco la mano. La giovane si strinse nella sua veste bianca e iniziò a singhiozzare, lasciandosi andare and un pianto disperato accasciandosi a terra, contro lo steccato di casa O’Connor. «Oh cazzo!» si chinò su di lei e tirò fuori il cellulare dalla tasca, fece velocemente il numero del pronto soccorso. «Salve! Una ragazza traumatizzata, è pallida e fredda, non parla, trema di freddo…Sì, siamo in via-!» la mano gelida della donna gli strappò improvvisamente il telefono dalla mano. Sean fece cadere la chiamata nonostante l’operatore fosse ancora in linea.
 
«Sta sera…» mormorò la ragazza con voce debole, tremando appena, 
 
«c-cosa sta sera?» domandò Sean, confuso. Tutto stava diventando davvero inquietante, non riusciva a sentire un solo rumore attorno a sé, a parte i singhiozzi della ragazza, la cui mano era così fredda da sembrare quasi… morta.
 
La fanciulla singhiozzò senza interruzione e gli strinse il braccio, scuotendo il capo lentamente «l’altro mondo!» gridò lei tra le lacrime, «sta sera le porte dell’altro mondo risucchieranno i vivi e li trascineranno nell’oblio del popolo nascosto»
 
«Scusa, ma non capisco!» Sean cercò di tirarla su, ma fu troppo faticoso, gli sembrò come se d’un tratto tutta la sua forza fosse svanita. Doveva chiedere aiuto, non ci sarebbe riuscito da solo. «Aspetta qui, va bene?» la posò piano piano a terra e fece una corsa fino a casa di Kayley, giusto lì davanti, e vide la ragazza bionda tremare, avvolta nella sua veste immacolata, che lo stava fissando impaurita. Lui era solo confuso, in quel momento l’unica che poteva aiutarlo era Kayley, lei di sicuro avrebbe chiamato i soccorsi mentre lui avrebbe cercato di sollevare la strana donna.
Tempo di prendere il telefono e corse alla casa affianco, premette velocemente il campanello, più volte, nervoso. La porta si aprì lentamente, Kayley si affacciò sorridendo un po’ beffarda: «sei in ritardo» disse con un pochino di presunzione, sfottendolo, ma il suo sorriso si spense dopo qualche secondo. «Stai bene O’Connor? Sembra che tu abbia visto un fantasma» aggrottò le sopracciglia un po’ perplessa. 
 
«l-la ragazza, ha bisogno di aiuto!» Sean indicò allarmato lo steccato di casa sua dove aveva lasciato la sconosciuta che gli era piombata tra capo e collo.
 
   «Quale… Quale ragazza?» Kayley lo guardò confusa, sporgendosi oltre la sua spalla «non c’è nessuno a parte me» rise infilandosi il cappotto.  Sean non capiva cosa stesse succedendo, era sicuro di quello che aveva visto. Non stava impazzendo, ma allora perché era sparita? 
 
«Io non capisco…» mormorò confuso tra sé e sé, guardandosi intorno per cercarla, per trovare la prova della sua sanità mentale. 
 
  «Devo ammettere che hai fatto una bella entrata in scena, non ti facevo un bravo attore» la sua compagna uscì di casa e lo precedette di qualche passo. «Andiamo?  Non vorrai tardare alla festa dell’anno!» Sean poté cogliere un velo di ironia nella sua voce. Era scosso e non capiva cosa diavolo fosse successo, al tempo stesso si sentiva un completo imbecille.
 
«Sì, andiamo» la affiancò tenendosi le mani nelle tasche. Probabilmente stava dando di matto, o forse la ragazza era scappata…anche se gli sembrava strano, dato che poco prima non riusciva nemmeno a reggersi sulle gambe. Forse non avrebbe dovuto dargli tutto quel peso, doveva solo godersi la serata. Fece un profondo respiro e cercò di svuotare un po’ la mente, «emozionata per la festa?»  domandò a Kayley, un po’ per curiosità e un po’ per togliersi dalla mente quei due occhi cerulei gonfi e arrossati.
 
  «Sì» ammise sincera, «è tanto che non vado a casa di Erin» non avrebbe mai detto che Kayley avesse un rapporto più approfondito con Erin, gli sembrò assurdo, «in più mia nonna sarebbe felice che facessi qualche nuova conoscenza»
 
«non sapevo che tu ed Erin foste amiche» riuscì a dire, a bassa voce, guardandola nonostante fosse assorto nei suoi pensieri.
 
  «Perché non lo siamo» rispose subito lei con ovvietà, «le nostre madri lo sono, probabilmente sua madre le ha chiesto di invitarmi» Kayley alzò le spalle con noncuranza e aveva infilò le mani nelle tasche della giacca, probabilmente parlare di Erin non la metteva a suo agio. Non avrebbe mai immaginato che si conoscessero così bene, evidentemente c’erano molte cose che ignorava della sua vecchia amica. 
 
«Capisco…» mormorò Sean guardando la strada avanti a sé, immerso nel pensiero di quello che era avvenuto nel suo vialetto di casa. Cercò nuovamente di scacciare quel pensiero, «non mi è chiaro, però, perché tu abbia chiesto proprio a me di accompagnarti» domandò scrutandola, osservando il suo viso accigliato tempestato di lentiggini e i ricci scuri lasciati ricadere ribelli lungo la schiena che le incorniciavano il viso ovale. Sapeva che il vivere vicini non era l’unico motivo.
 
Dopo qualche istante di silenzio, Kayley scosse la testa sospirando: «non è una buona sera questa per girare soli e non avrei saputo a chi altri chiedere» ammise un po’ imbarazzata, mordendosi un poco le labbra screpolate dall’arsura, mentre i suoi occhi verdi fissavano il cielo un pochino sovrappensiero mentre il sole calava dietro la collina. 
 
 - “Non è una buona sera per girare soli…effettivamente qualcosa di strano è accaduto, però magari era solo nella mia testa” - pensò Sean guardandola perplesso, che diavolo di frase era? Nemmeno in Lost erano così vaghi. «Stiamo parlando della stessa città?» domandò ironicamente Sean ridendo, «a Maynooth è già tanto se c’è un municipio e le poste all’angolo della strada»
 
 «oggi è la notte delle fate» ribatté Kayley torturandosi il labbro inferiore con i denti «lo sanno tutti che in questa notte di luna piena qualcuno scompare rapito dalle creature dell’altro mondo» sembrò molto convinta di quello che diceva, ma infondo lei sproloquiava sempre su questo genere di cose.
 - “altro mondo…?” - Sean si fermò un attimo, sentiva un profondo groppo alla gola perché sapeva perfettamente che Kayley e la ragazza inquietante vestita di bianco stavano dicendo la stessa cosa.
 
 «Perché ti sei fermato?» domandò lei accigliandosi, probabilmente lo stava prendendo per folle… o forse passargli la sua follia era il suo obbiettivo fin dall’inizio! Ma la pazzia non era contagiosa, quindi Sean aveva scartato l’ipotesi e se davvero stava impazzendo aveva fatto tutto da solo. «Non dirmi che ti sei dimenticato qualcosa, ormai siamo quasi arrivati!» 
 
«Cosa? No!» smentì facendo una smorfia stizzita, lo credeva davvero così stupido? «Solo… hai parlato di un altro mondo» 
 
  «S-Sì l’ho fatto» Kayley lo guardava tra il confuso e lo stupito, probabilmente nessuno aveva preso sul serio le sue parole prima di allora «e con ciò?»
 
«Che tipo di mondo sarebbe?»
 
  «nessuno sa cosa ci sia di preciso, si dice che sia semplicemente l’aldilà dei nostri antenati.»  
 
Il silenzio piombò fra di loro, come un punto alla fine di quella inquietante storia e mentre il vento freddo della sera scompigliava i loro capelli, Sean poté sentire un brivido percorrergli lentamene la schiena e accompagnare una strana sensazione di gelo nel suo petto, all’altezza del cuore. Deglutì a vuoto. «Sono solo storie» borbottò stringendosi nella giacca, «muoviamoci o arriveremo tardi» cercava di scacciare gli occhi intrisi di sangue della dama bianca dalla sua testa, ma erano immagini impresse a fuoco nel suo cervello, impossibili da cancellare. Di norma non avrebbe mai creduto alle storie della signora Campbell, perché non lo aveva mai fatto, eppure tutto gli sembrò così reale: la ragazza e le sue mani gelide, come se fosse morta, e i suoi occhi cerulei intrisi di sangue e gonfi dal pianto… e se fosse stato tutto vero?
 
 «Sei tu che ti sei fermato!» esclamò indispettita la ragazza, distraendolo dai suoi pensieri
 
«mi dispiace, va bene?» rispose innervosito, roteando gli occhi, doveva sempre riprenderlo per qualcosa. Faceva esattamente come sua madre. «Prima arriviamo, meglio è giusto?»
 
 «sì…» mugugnò lei storcendo il naso, ma da quel momento fino alla casa di Erin rimase zitta e con un’espressione trova stampata sul volto che la faceva assomigliare ad un gatto arrabbiato, decisamente poco minaccioso. 
 
Casa di Erin era la classica dimora che potevi trovare in quel buco di città chiamato Maynooth: era abbastanza piccola con un cortile antecedente al portone, l’intonaco bianco e le fondamenta della casa in mattoni, tutto molto tipico. Alcune biciclette erano parcheggiate in modo disordinato sull’esterno, vicino alla cancellata, e dall’interno dell’abitazione proveniva un gran baccano mescolato con la musica a tutto volume. Suonarono al campanello e Erin aprì loro porta pronta ad accoglierli con un gran sorriso sulle labbra: «Finalmente! Ma dov’eri finito O’Connor? Mancavi solo…» gli occhi azzurri della ragazza si posarono sulla figura trasandata di Kayley che stava due passi dietro Sean, il suo sorriso si contorse in una impercettibile smorfia di delusione e il suo sguardo diventò improvvisamente glaciale, « …solo tu» fece una breve una pausa e si appoggiò allo stipite della porta, sorridendo anche a Kayley con dolcezza «sono felice che sia venuta anche tu Kay, quasi non ci speravo più» rise piano, la sua solita risata cristallina che faceva uscire di testa anche i ragazzi del college.
 
 «Hai visto?» anche Kayley rise piano, scoprendo i denti bianchi e perfettamente dritti dopo tanti anni di apparecchio, Sean si ricordava bene quando il dentista l’aveva costretta a metterlo e tutto il male che le aveva procurato, almeno ne era valsa la pena. «Non potevo mancare alla festa del secolo!»
 
  «no, certo che no» Erin sorrise e si staccò lentamente dallo stipite della porta, «prego, entrate!» si spostò un poco a lato per lasciare loro il passaggio. Kayley si fece subito strada fra la gente ammassata nelle stanze, troppo piccole per contenere tutti gli invitati e, prima che anche lui potesse buttarsi nella mischia e “ballare” con i pochi amici che lì per lì riusciva ad intravedere, Erin lo fermò prendendolo per il braccio. «Ehi» cinguettò allegra con quel caloroso sorriso che ogni volta che glielo rivolgeva gli faceva tremare le gambe, «non vorrai lasciarmi sola tutta la sera, vero O’Connor?» il suo sguardo ricadde sulla sottile bocca della ragazza, i denti che lentamente si torturavano il labbro inferiore con fare malizioso.
 
Gli venne spontanea una lieve risata roca, «non potrei mai» si sentiva completamente dipendente da quella ragazza, non sapeva dirle di no, pendeva dalle sue labbra rosee e piene, così sottili e ben definite. «Sei bellissima Erin» mormorò sorridendole inebetito e, con un grande atto di coraggio, le cinse il fianco con il braccio - “se non mi respinge potrò considerare il lavoro di questi tre mesi come messo a frutto” - pensò emozionato, ricordandosi delle nottate passate in chat e di tutte le volte in cui era andato a prenderla dagli allenamenti in piscina, finalmente dopo averla guardata per anni poteva dire di sentirsi notato da lei. Erin non si mosse dalle sue braccia e lui ne approfittò per stringere un pochino la presa e sfiorare con le dita la morbida stoffa azzurra del suo vestito, «ti va di ballare?» domandò stringendo a sé la ragazza.
 
 «Adesso?» Erin fece una smorfia «perché invece non ce ne stiamo un po’ per conto nostro, lontano da quel casino?» sulle sue labbra si formò un sorrisetto malizioso e, lentamente, gli prese i polsi per trascinarlo con sé nella cucina. La seguì senza opporsi troppo, alla fine quando gli sarebbe ricapitato di potersi godere la sua compagnia senza avere attorno qualche seccatore?
 
La cucina era vuota, anche se la musica e il rumore si sentivano ugualmente. Erin si appoggiò nuovamente al muro, vicino alla finestrella adornata da delle piccole tendine giallo canarino, impattanti con il resto della cucina, e con dolcezza lo tirò a sé tenendolo per il polso.   «Qui va decisamente meglio, non trovi?» ammiccò leggermente cingendogli il collo, avvicinandosi più di quanto non avesse mai fatto. Sean potè sentire il suo nuovo profumo insinuarsi nelle narici, cos’era? Fiori d’arancio?... O forse era cannella? Qualunque cosa fosse era dannatemene buono, dava alla testa e, secondo lui, poteva benissimo essere catalogato fra le nuove droghe pesanti. 
 
  «S-Suppongo di sì» farfugliò preso dal suo profumo, dal suo corpo così vicino al suo e dalle sue labbra, ad un passo dalle sue. Sentì nuovamente quella sensazione di tremolio alle gambe, lo stomaco si strinse in una morsa e sentì le labbra secche, se l’avesse baciata probabilmente le sarebbe sembrato di baciare un cactus dell’Arizona. Si era inumidì appena le labbra con la lingua, sentì il cuore tamburellargli nel petto e per ogni battito percepì il desiderio di baciarla aumentare, proprio lì in quella cucina dove nessuno poteva disturbarli. «Erin» iniziò, schiarendosi la voce, non gli era mai capitato di avere la gola così secca «se… se ora ti baciassi, fuggiresti?» si sentì un completo imbecille a chiederle una cosa del genere, magari aveva fatto pure la figura dello sfigato davanti alla ragazza più bella della scuola – “cazzo!” - imprecò mentalmente – “Ora mi scoppia a ridere in faccia” - 
Erin gli sorrise, sfiorando le labbra con le sue, «no, penso piuttosto che ricambierei il bacio» mormorò piano, con voce roca. Sean fece salire le mani alla sua vita, che strinse piano, stropicciando suo bellissimo vestito azzurro e, senza pensarci troppo si chinò su di lei e le rapì le labbra in un bacio lento e vagamente passionale. Lo aveva desiderato troppo e finalmente lei era lì, fra le sue braccia, e si stavano baciando. Fu esattamente come lo aveva sempre immaginato: le sue labbra erano morbide come apparivano, sapevano vagamente di ciliegia per via del suo lucidalabbra e il suo profumo inteso rendeva tutto ancora più perfetto di quanto già non fosse. Ci furono solo loro due in quell’attimo perfetto, nemmeno il rimbombo della musica sembrò turbarli... o almeno così fu per i primi secondi. 
Sean si fermò improvvisamente e resprò affannato sulle labbra di Erin, quella sensazione di gelo lo pervase di nuovo e poté sentirla fin dentro le ossa e con essa un brutto presentimento.
 «Non andava bene?» domandò lei un pochino affannata «se senti il sapore dell’alcol è perché ho bevuto una birra prima che arrivassi!» si giustificò coprendosi le labbra sbavate di lucidalabbra.
 
«Eh? No» Sean cercò di tranquillizzarla abbassandole le mani, ridendo piano e ancora col fiato corto, «io… avevo solo bisogno di riprendere fiato» non era vero, stava mentendo spudoratamente, ma le rifilò un bel sorriso e uno sguardo dolce per tranquillizzarla, ma lui non era per nulla tranquillo. «Scusa» mormorò, «ora mi riprendo, giuro» deglutì piano e si schiarì un poco la voce, doveva solo liberare la mente. Le prese il viso fra le mani, accarezzandole le guance calde e arrossate, e riprese a baciarla lentamente…quell’attimo di perfezione tornò: le sue labbra calde, umide e dal sapore di ciliegia premute alle sue. 
 
  «L-L’altro mondo! Sta notte!» gridò una voce stridula, rotta, fra i singhiozzi strazianti. Sean allontanò di colpo Erin, respirando affannato e strabuzzando gli occhi – “questa volta non me lo sono immaginato!” – senza riuscire a dare una spiegazione alla ragazza, la quale lo fissava sconvolta, si affacciò alla finestrella affianco a loro e scostò le tendine giallo canarino per vedere dove fosse. Non ci fu manco il bisogno di aguzzare la vista per vederla, la dama bianca era poco distante e lo guardava supplichevole con le lacrime che le sgorgavano copiose dagli occhi arrossati e le bagnavano le guance pallide, i singhiozzi gli rompevano i timpani come le unghie sulla lavagna e i capelli fluttuavano leggeri attorno a lei come se fosse trovata sott’acqua. 
 
 «Sean che diavolo ti prende?!» esclamò Erin, stizzita, tirandolo via dalla finestra. Sean la guardò con sguardo assente, boccheggiando, non sapeva nemmeno lui cosa stesse succedendo e perché quella ragazza volesse fargli uno scherzo del genere, perché ce l’aveva con lui? Il cuore gli battè a mille e il sudore scese piano lungo le sue tempie, freddo come il ghiaccio. Gli fu chiaro che solo lui poteva vederla e sentirla, o forse era diventato pazzo tutto d’un tratto. 
 
«I-Io mi sento poco bene Erin, t-ti scrivo io okay?» si passò una mano fra i capelli scuri, già arruffati dalle dita della ragazza, e le baciò piano la guancia di sfuggita «ma ora devo proprio scappare!».
Con il cuore che gli batteva velocemente nel petto e i singhiozzi isterici della dama bianca che premevano con insistenza sulle sue tempie, uscì dalla cucina e con un’andatura un pochino traballante si trascinò fino all’uscita della casa, scavalcando tutte le persone che intasavano la strada. Le voci si sovrapposero al pianto straziante della dama bianca che stava accasciata fra le bici parcheggiate nel giardino, raggomitolata su sé stessa come un riccio. Sean chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò a lei lentamente, «chi diavolo sei tu?» domandò esasperato massaggiandosi le tempie, tremando per il nervoso. La dama alzò lo sguardo su di lui, osservandolo con le labbra schiuse e squarciate da piccoli tagli freschi, facendo tornare il silenzio attorno a lui. «Allora? Non mi rispondi?!» sibilò lui, tremando nervoso, spaventato. La dama si alzò lentamente da terra, fissandolo costantemente negli occhi, addolorata e con le labbra che tremavano.
  
«Scusami! Non avevo scelta!» strillò la dama bianca con voce rotta dal pianto indietreggiando un pochino verso la cancellata e quella sensazione di gelo gli attanagliò il cuore, come se fosse stato avvolto da filo spinato. Lei fuggì sgattaiolando oltre il cancello, fluttuando un poco sopra l’erba del prato e portò le mani sopra la testa riprendendo a singhiozzare sottovoce, balbettando ogni tanto frasi sconnesse fra di loro. Sean non riuscì a capire nulla di ciò che la dama intendesse, ma cominciò a seguirla lungo il marciapiede per vedere dove lo avrebbe portato. Fu una mossa stupida, molto stupida. Andò contro ogni istinto di sopravvivenza facendolo sentire un po’ come i protagonisti degli horror che tanto criticava al cinema. In maniera a dir poco ridicola si mise a seguire una visione nel mezzo della città, ma se solo lui poteva vederla tanto valeva che ascoltasse cosa aveva da dirgli quella creatura.
Si guardò attorno mentre scesero lentamente verso il Castello di Maynooth, forse il simbolo della città per eccellenza – “Perché vuole andare al castello? È tutto chiuso a quest’ora” – confuso, si fermò davanti alla cancellata scrutando la ragazza avvolta nelle sue vesti bianche lasciarsi illuminare dai tenui raggi della luna piena che rivelarono la forma eterea della fanciulla. Sean poté vedere attraverso la sua figura. Un fantasma?  Sean restò senza parole, non gli sembrò vero. Lui era certo di averla toccata!
Il pianto della donna si interruppe di colpo e lei si raggomitolò su sé stessa, come per proteggersi da qualcuno o qualcosa che voleva farle del male e un profondo senso di tristezza contagiò anche lui che era rimasto appoggiato alle sbarre del cancello. La giovane le attraversò lentamente come fosse stata un vero fantasma, come se non fosse fatta di alcuna materia. «N-Non è possibile… sto sognando» balbettò tra sé e sé, stringendo le sbarre della cancellata, con lo sguardo fisso sulla fluttuante dama bianca la quale lo fissava a sua volta con i suoi occhi cerulei.
 
  «La tua sofferenza è appena iniziata» sussurrò la giovane, a voce talmente bassa che Sean stesso faticò a sentirla. Cosa intendeva? Lo conosceva? La sua testa era imbottita di domande.
 
«Cosa vuol dire? Perché mi dici questo?» nemmeno lui seppe bene cosa chiederle e lei non sembrò intenzionata a rispondere alle sue domande. La dama scosse freneticamente il capo ripetutamente e si graffiò la faccia con le lunghe unghie, per un attimo dalle sue labbra non uscì alcun suono. Attorno a loro ci fu solo il silenzio e le luci dei lampioni. Inaspettatamente, dalle labbra della fanciulla uscì un grido acuto e straziante. Sean si accasciò in ginocchio per il dolore, provò a coprirsi le orecchie ma il suo grido di dolore non conobbe barriera e fu talmente potente da far tremare la luce dei lampioni.  Sean sollevò intimorito lo sguardo, tenendosi le braccia sopra la testa che ancora pulsava dolorante, non aveva mai sentito nulla del genere nella sua vita! Incrociarono un’ultima volta i loro sguardi prima che lei entrasse nelle mura del castello gridando disperata.
 
«NO! ASPETTA!» strepitò Sean allungando il braccio attraverso le sbarre, per cercare di attraversarle e raggiungerla, ma qualcuno lo strattonò all’indietro, tirandolo per il braccio libero e facendolo cadere per terra.
 
  «Sei impazzito Sean?!» 
 
«K-Kayley?» strabuzzò gli occhi fra la confusione e la sorpresa, guardandola dal basso disteso per terra cercando di mettere a fuoco il suo viso, anche se riconobbe l’irritante voce squittente. «Cosa ci fai qui?» cercò di tirarsi su, massaggiandosi piano le tempie ancora intontito dall’accaduto.
 
  «Sarebbe più corretto dire cosa ci fai tu qui» sembrò davvero preoccupata, ma si sarebbe mangiata un intero piatto di scorpioni piuttosto che ammettere di essersi impensierita per lui. Lo prese per il braccio e lo aiutò ad alzarsi, «sei scappato da casa di Erin, eri pallido come un cencio… ho anche provato a chiamarti ma non mi hai sentito. Cosa diavolo ti è preso?»
 
 Sean rimase sorpreso. Perché proprio lei lo aveva seguito? Perché non era venuta Erin al suo posto? Nessuno si era accorto di come fosse ridotto? «Scusami io…» seppe nemmeno cosa dirle, lo avrebbe preso per pazzo, «… c’era una donna, vestita di bianco che piangeva e urlava disperata, ma forse era tutto nella mia testa»
 
  «Quindi non stavi parlando da solo prima?» sembrò incuriosita dalla sua esperienza extrasensoriale.
 
«No, anche se lei più che rispondere piangeva» si appoggiò alle sbarre del cancello con la schiena, «devo sembrarti pazzo in questo momento»
 
Kayley sorrise, quasi divertita dalle sue parole «non più del solito» rispose ridendo piano, strappando un piccolo sorriso anche a lui. «Magari era una Banshee» azzardò la ragazza cercando di ironizzare la situazione «saresti il primo ad averne avvistato una dal 1014! Non è emozionante?» Per nulla, si disse Sean, mentre si passava nervosamente una mano fra i capelli tentando di dargli in qualche modo un ordine. Ricordò quando la nonna di Kayley raccontava loro le vecchie leggende irlandesi, quando erano bambini, aveva un grosso libro di cuoio con degli inserti dorati e ogni pomeriggio, verso le cinque, lo tirava fuori e li faceva sedere sul vecchio e polveroso divano di velluto rosso che aveva nella sua stanza personale e iniziava a raccontare loro con voce greve le vecchie leggende del loro paese. La signora Campbell le raccontava troppo bene, da piccolo gli aveva fatto venire il terrore dei Kelpie, dei demoni dalle sembianze di docili cavalli che hanno l’obbiettivo di trascinarti nelle profondità dei laghi e dei fiumi che custodiscono e, da piccolo, temeva di essere disarcionato e fatto sprofondare nelle profondità di un qualsiasi lago d’Irlanda. Rammentò anche qualche storia sulle Banshee, narrate alla luce del lumino ad olio per dare l’atmosfera di terrore, ma non vi diede mai dato troppo peso da bambino, ora invece sospettò di doversi ricredere. 
 
«Cosa successe a chi l’avvistò nel 1014?» temette un poco la risposta, forse perché la poteva immaginare.
 
 «Ecco…» si schiarì la voce dondolandosi sui talloni per scaricare la tensione, forse nemmeno lei voleva dare la risposta «… è morto il giorno seguente» disse a bassa voce mordicchiandosi le unghie nervosa.
 
Sean deglutì a vuoto, annuendo lentamente. Sapeva che quella sarebbe stata la risposta e se la dama bianca era davvero una Banshee, allora la sua vita sarebbe potuta finire a breve e la cosa non lo entusiasmava granché. «Beh» iniziò Sean, «almeno ho baciato Erin Fitzgerald prima di morire» 
 
 «Una magra consolazione» commentò lei forse un pochino acidamente, «dai, torniamocene a casa»
 
«Sì, hai ragione…» 
 
Fecero giusto due passi verso casa quando alle loro spalle, all’interno delle mura, un forte rumore di tamburi accese le luci del sito archeologico accompagnato dal dolce suono di un paio lire, o almeno, quelle che sembravano delle lire. Si girarono cautamente verso il castello che non era mai sembrato così spaventoso, nemmeno la notte, e davanti a loro tutto il maniero si illuminò. Dal suo interno provenne una musica allegra, festosa, accompagnata da grida felici.
 
 «Dimmi che nono sono pazzo, dimmi che lo stai vedendo e sentendo anche tu!» esclamò Sean scioccato, con gli occhi sgranati dallo stupore. Com’era possibile che i dipendenti del castello avessero riacceso tutto a meno di dici minuti dalla mezza notte?
 
 «Questo sì che è strano…» mormorò Kayley al suo fianco, confusa esattamente quanto lui, quindi non era lui uscito di testa! «…Il castello non apre mai di sera, se non in estate» Sean rammentò che Kayley lavorava al castello con i suoi genitori in estate, ci fece anche uno stage per la scuola. La ragazza iniziò a frugare nella borsetta alla ricerca del suo portafoglio, estraendo da esso un passy magnetico per entrare nel castello.
 
«C-Campbell?! Che cosa vuoi fare?» Sean la trattenne tenendola per il braccio, qualunque cosa volesse fare era una pessima idea.
 
 «Voglio vedere che diavolo sta succedendo! Se qualcuno fa un qualcosa senza i vari permessi i miei verranno licenziati e mandati in galera!» strattonò via il braccio dalla sua presa, irritata «resta pure qui a fartela addosso se vuoi, io vado a controllare... almeno chiama la polizia» si allontanò a passi lunghi e ben distesi per passare dall’entrata secondaria del sito. 
Quanto le dava sui nervi quella ragazza! Era così… così… cocciuta e petulante! Sbuffò infastidito e la raggiunse in poche falcate tenendo in mano il cellulare, pronto a chiamare la polizia.
 
«Tu sei fuori di testa, davvero! E se fossero armati?» doveva ammettere che starle alle calcagna non era così facile, la superava di una ventina di centimetri buoni ma aveva comunque il passo più veloce del suo, «a questo ci hai pensato?»
 
 «Parla quello che ha fatto la scenata da moribondo per venire qui a parlare da solo!» replicò acidamente lei facendo passare la carta magnetica per aprire la porta, «e poi ho detto che voglio controllare, non che voglio buttarmi a capofitto in una rissa!» 
 
«Questo è un colpo basso! Ti ho detto quello che ho visto, mi sono aperto con te!» sibilò seccato
 
 «ci stai zitto? O ci sentiranno!» lo zittì la ragazza mentre apriva la porta dell’antincendio, fare le scale avrebbe evitato di far capire agli intrusi che qualcuno stava arrivano ad interrompergli la festa. Se avessero usato l’ascensore sarebbe stato come sbandierare la loro presenza ed era meglio evitarlo se non volevano ritrovarsi con di coltelli piantati nelle costole.  A malincuore Sean si zittì, nonostante il profondo fastidio provocatogli da Kayley e quindi ingoiò silenziosamente il rospo fino alla fine delle scale. Il primo piano dava sulla piazza interna del castello, tutte le luci erano accese e puntate su di essa, la musica era più forte e i boati più chiari, si potevano riconoscere le risa e le melodiche voci dei canti, ancora però poco distinte. Kayley si affacciò cautamente oltre la colonna per vedere meglio, ma né lei né Sean si sarebbero mai potuti aspettare una cosa simile, « Sean…» mormorò la sua compagna prendendolo piano per il braccio, restando senza parole: davanti a loro non c’erano teppisti intenti a fare un rave party, ma tantissime persone dalla corporatura sottile che ballavano e cantavano in cerchio attorno ad un trono dorato che brillava sotto la tenue luce della luna, sul quale era seduto un uomo imponente dalla folta barba rossa intento a mangiare uno stinco con la mano destra e ad accarezzare le grazie di una donna seduta sul bracciolo del suo trono. Sembravano umani, ma chiaramente non lo erano, sembravano quasi degli elfi… ma gli elfi erano creature mitologiche, non esistevano veramente.
 
«Kayley, cosa facciamo?» mormorò Sean nascosto dietro la colonna, «credi che siano pacifici?»
 
 «E io cosa ne so?» borbottò nervosa, torturandosi le mani «senti, io adesso farei finta di nulla e uscirei da qui, come se nulla fosse e ci dimentichiamo di questa serata, se ci chiederanno qualcosa diremo che ci siamo fatti una canna con Kevin, lo spacciatore all’imbocco dell’autostrada, okay?»
 
- “Che piano del cazzo!” - Sean storse il naso, «wow! Come mai non sei ancora diventata una stratega dell’FBI?» sibilò lasciando trapelare tutta la velenosa ironia dal suo tono, mentre lentamente si accasciò alla colonna. «Moriremo sicuramente, guardali: hanno tutti delle spade affilate come rasoi attaccate alla cintura!» le fece notare, iniziando a mugugnare teso come una corda di violino. «Te l’avevo detto di tornarcene indietro, ma tu hai voluto fare di testa tua e ora siamo nella merda fino al collo»
 
 «Ah! Adesso sarebbe mia la colpa? Dopo che tu sei venuto fin qui!» sbraitò cercando di tenere il tono basso per non sovrastare la musica dei bardi
 
«ti ricordo che io volevo tornare indietro!»
 
 «Ma ti sembra il momento di discutere su di chi sia la colpa? Cavolo sei davvero infantile Sean!»
 
«Con che coraggio me lo dici dopo tutte le scenate che mi hai fatto?! Anche con Erin sta mattina, chissà come mai poi non ti vuole nessuno!»
 
Kayley si irrigidì contro la colonna, stringendo piano i pugni finché le nocche non sbiancarono, «già, è vero…» sussurrò con voce rotta, punta sul vivo, «ma almeno mi tengo alla larga da persone marce come te». Si pentì immediatamente di ciò che le aveva detto, per la prima volta si sentì marcio per davvero.
 
 «Kayley, mi dispiace n-non volevo ferirti» era consapevole di aver detto una grandiosa cazzata, ben più grossa del solito.
 
  «Già, ma lo hai fatto» incalzò lei freddamente senza nemmeno guardarlo negli occhi, esprimendo solo una smorfietta di disgusto. Proprio un bel momento per litigare, ma almeno non sembravano essersi accorti della loro presenza.
 
«Cazzo Kayley mi dispiace! Okay? M-Mi dispiace non lo penso per davvero, ora ti prego andiamocene da qui che se ci sco-» il suo telefono iniziò a squillare facendo echeggiare “Seven Nation Army” dei White Stripes per tutta la piazzetta sovrastando la dolce musica folk che gli strani uomini erano intenti a godersi.  «MERDA» sibilò a denti stretti mentre tutti i presenti si voltarono verso di loro, sguainando le affilatissime spade dalla loro guaina. Sean chiuse la chiamata appena in tempo per vedere chi fosse l’artefice della sua imminente dipartita: “mamma”. Se non lei chi altri avrebbe potuto essere, si disse Sean mentre alzava le mani al cielo e si portava un pochino davanti a Kayley per coprirla, una mossa falsa e quelli li avrebbero infilzati come gli spiedini nel giorno di ferragosto. 
L’uomo imponente scese dal suo trono dorato e con passo pesante si avvicinò a loro parlando una lingua mai sentita prima e suscitò l’ilarità dei suoi sudditi. Tese la mano verso Kayley, forse per accarezzarle i capelli, ma Sean si parò davanti a lei, «se vuole farle del male, prima dovrà passare davanti al mio cadavere» mantenne la voce ferma finché il re dalla folta barba rossa non estrasse un pugnale dalla corazza in cuoio della sua armatura e lo puntò dritto in mezzo ai suoi occhi.  Sean deglutì a vuoto e si maledisse per non aver seguito quel corso di autodifesa con sua madre due anni prima, avrebbe saputo come disarmarlo, ma non aveva più importanza. Tenne Kayley dietro di sè saldamente e chiuse piano gli occhi, se doveva morire almeno voleva evitare di guardare le sue viscere uscire dal suo addome. Cosa si faceva prima di morire? Si pregava? Non sapeva nemmeno se avrebbe funzionato, lui sperava di incontrare la morte un pochino più in là nel tempo, magari da vecchio e nel suo letto… e mentre tutti questi pensieri gli frullavano nella testa, mentre vedeva la vita passargli davanti come un treno in corsa senza nemmeno dargli il tempo di contare tutti i rimorsi dei suoi diciassette anni di vita, un lieve spostamento d’aria gli aveva fatto riaprire gli occhi. Il re cominciò a sbraitare e sputare addosso ad un giovane, molto alto e biondo che gli rispondeva a tono rendendo paonazzo il grosso re che, ad ogni risposta, diventava rosso come la sua barba.
 
 «Che sta succedendo?» domandò Kayley alle sue spalle, stritolandogli il braccio nervosa,  Sean poteva sentirla tremare alle sue spalle.
 
«I-Io non ne ho idea» balbettò, lui si era già preparato a morire, tutto questo era una svolta degli eventi incredibile.
 
I due smisero di gridare e il re si era allontanò verso il suo trono, tonante di rabbia, e si risedette su di esso mentre nervosamente si rigirava il coltello nella mano destra. Li stavano risparmiando? Il giovane dai capelli biondi sganciò dalla sua cintura un piccolo sacchetto di cuoio e mentre vi infilava la mano le orecchie di Sean percepirono, di nuovo, il disperato pianto della dama bianca. Ruotò appena lo sguardo verso la colonna e lei era lì, in lacrime accasciata a terra dal dolore. Sean provò appena a dire qualcosa, ma l’elfo biondo gli gettò in faccia una sottile polvere dorata dal lieve odore di timo. Sean iniziò a tossire e a sfregarsi gli occhi per togliere quella fastidiosa polvere, ma tutto attorno a lui diventava più sbiadito e per quanto provasse a gridare dalle sue labbra uscivano solo rantoli indefiniti. Si accasciò a terra, avvolto completamente nel buio mentre il disperato pianto della donna lo accompagnava nell’oblio, lasciandolo completamente privo di sensi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: free_boz