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Autore: Tabheta    29/03/2020    3 recensioni
Post Kingdom Hearts II - Riku/Sora
Per farla breve la versione angst del finale di cui nessuno sentiva il bisogno.
Dalla storia:
|“Perdonami, non riesco a ricordarmi di te” accarezzò il disegno coi polpastrelli.
“Proprio non ci riesco.”
Sora crollò a terra appoggiato alla parete. Faceva così male. Sapeva che era importante, ma era come se non riuscisse a sfondare quel muro, la porta che lo separava da quella persona così familiare. Non riusciva a ricordare nemmeno il suo nome.|
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kairi, Naminè, Re Topolino, Riku, Sora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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After you



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"You were a vision in the morning when the light came through
I know I’ve only felt religion when I’ve lied with you
You said you’ll never be forgiven till your boys are too
And I’m still waking every morning but it’s not with you"
(Halsey, Colors)











Aprì gli occhi e si ritrovò nel solito spazio oscuro: il Tuffo nel Cuore. Sora non sapeva come, ma conosceva il nome di quel luogo. Una voce nella testa lo accompagnava, o forse era solo il suo inconscio. Sotto di lui un medaglione – una vetrata? Non avrebbe saputo definirne la consistenza, ma era abbastanza solida da fungere da pavimento. La luce doveva provenire dal basso, perché tutto attorno c’era solo oscurità. Non del tipo che era abituato a combattere, era semplice buio, assenza di colore e di forma.
Delle figure componevano l’immagine del medaglione. Una, quella centrale e più grande delle altre, era circondata di azzurro e blu. Aveva i capelli lunghi e chiari e sembrava triste, anche se il suo viso era neutro. Non sorrideva né aveva qualche espressione particolare. Il fatto che avesse gli occhi chiusi gli fece immaginare il colore di cui potevano essere. La maggioranza degli abitanti delle Destiny Islands aveva gli occhi azzurri, ma inconsciamente, Sora era certo fossero verdi. Non si faceva domande, sapeva e basta, quello era il suo mondo, la parte più interna e nascosta di sé.

Lo riconosci?

La voce risuonò, difficile dire se dentro o fuori dalla propria mente. Non aveva bisogno di rispondere, sapeva già la risposta, ma scosse comunque la testa.
Attorno alla figura c’era una ragazza, anche lei dai capelli chiari, anzi, tutto di lei sembrava chiaro ed impalpabile. Aveva gli occhi così azzurri da sembrare liquidi. Infine, un terzo figuro incappucciato, ma al solo vederlo a Sora veniva da ridere. Era il re Topolino: le inconfondibili orecchie paraboliche uscivano fuori dal cappuccio rendendo vano qualsiasi suo tentativo di nascondere la propria identità.

L’aria sembrò tremare per un istante. La voce stava ridendo.

Non sai proprio tenertele strette, le cose importanti.


*


Sora si svegliò nella propria camera. Attorno a lui i contorni familiari si disegnarono attraverso il buio: doveva essere ancora piena notte.
Non era la prima volta che aveva sogni del genere. Non era un tipo da starci a riflettere, però questa volta era diverso. Era come se un ingranaggio si fosse mosso, nel suo cervello e nel suo cuore. Di solito si risvegliava con la consapevolezza di aver sognato, ma non ricordava mai lucidamente. Stavolta un volto gli si era incastrato nella testa. Se avesse allungato le dita avrebbe potuto sfiorarne i contorni invisibili.
Gli sembrava di bruciare, cos’era quella fastidiosa sensazione che cresceva alla base dello stomaco?
Senza controllo, calde lacrime cominciarono a cadere. Sora si toccò le guance umide. Non sarebbe mai riuscito a riprendere sonno.
Le gambe si mossero ed in poco tempo era pronto ad uscire, non sapeva per dove, voleva solo uscire. Ad un tratto l’aria della sua camera gli sembrava irrespirabile.
Si calò giù dalla finestra, ormai era un’abitudine. I suoi genitori non avrebbero detto nulla se avesse usato la porta principale, anzi, sarebbero stati ben felici di sapere almeno dove stesse andando, o se sarebbe tornato.
Non avrebbero potuto fermarlo, non ne avevano mai avuto la facoltà. Quando si metteva in testa qualcosa era difficile anche solo provare a dissuaderlo. Ma sarebbe stato bello se quel figlio, tornato dopo quasi due anni, avesse condiviso con loro una parte della sua vita.
Eppure, per Sora era come se vivessero in due mondi separati. Con gli altri non aveva nulla in comune, nulla di cui parlare. Quello che aveva vissuto era fuori dalla loro orbita di comprensione e gli sembrava di sprecare preziose parole e preziosi ricordi per qualcuno che non avrebbe mai capito fino in fondo quanto. Quanti sentimenti, quanta felicità, quanta fatica. Ma adesso era tutto finito. Era tornato in quella realtà ingiallita, dove i colori non erano veri colori e sembrava tutto sbiadito. Le giornate passavano e lui era sempre lo stesso, imprigionato in un tempo ciclico che lo intrappolava come sabbie mobili.
Era come se mancasse qualcosa, e non parlava in questo modo perché si era abituato ad un tipo di vita completamente diverso, ma c’era fisicamente una mancanza che lo allontanava da tutti gli altri.
Sua madre si ostinava a chiedergli cosa avesse fatto, dove fosse stato, ma lui restava muto.
Pensava a queste cose, mentre attraversava le strade deserte della città. Gli alberi di paopù contornavano la spiaggia ed alcuni dei frutti più maturi erano già caduti in terra. Condividere uno di quei frutti equivaleva a formare un legame indissolubile con un’altra persona, almeno secondo la leggenda.

Forza, lo so che vuoi provarne uno!

“Ma che stai dicen– !” Sora si mise le mani alla testa.
Il ragazzo del sogno si era materializzato davanti a lui. Per un attimo, per un solo attimo, era stato trasportato in un altro posto, in un altro tempo. L’allucinazione era così viva che per un istante gli sembrò di aver perso l’equilibrio, ma i suoi piedi erano ancora ben saldi al terreno.
All’improvviso anche il silenzio gli sembrò estremamente pesante.


*


“Sora!”
La voce di Kairi lo risvegliò dal torpore. Aveva passato metà della mattinata a guardare fuori dalla finestra.
“Tutto ok?” sembrava seriamente preoccupata.
Non sapeva se potesse essere sincero fino in fondo, con Kairi. Era conscio che tra tutti, l’amica era l’unica che potesse in parte capire quello che provava. La frustrazione dell’attesa di qualcosa, qualcosa che avrebbe squarciato tutta quella farsa in cui si erano calati.
Anche se lei sembrava felice di essere tornata alla normalità. Cosa rendeva i combattimenti con gli Heartless, le avventure tra i mondi, meno reali di andare ogni giorno a scuola?
“Sì, credo, il professore è una vera noia!”
Kairi rise, come a dire implicitamente sempre il solito Sora. Sembrava si fosse tolta un gran peso ed apparve subito rasserenata. In un attimo aveva fugato la paura che potesse sfuggirgli da un momento all’altro. Aveva spesso la sensazione che la sua migliore amica temesse potesse andare in frantumi e consumarsi come un’illusione davanti ai suoi occhi.
Anche con lei c’era stato un distacco, era avvenuto lentamente, ma c’era stato. Si erano allontanati perché anche se Kairi aveva potuto vedere il suo mondo dallo spiraglio si era accontentata solo di quello, non voleva andare oltre. Come quando erano bambini e giocando sulla spiaggia Kairi non si allontanava mai con loro al largo.
Loro?
Per un attimo il suo cervello aveva proiettato una sagoma sbiadita. C’era qualcun altro con loro.
“Kairi, ti ricordi quel bambino che giocava sempre con noi?”
Lei parve pensarci su un attimo.
“Non credo di ricordare” scosse la testa.
Eppure, ora che si sforzava di pensare, era così naturale che ci fosse anche lui.


*


Il sole lo colpì dritto negli occhi, inondandolo violentemente di luce e colori. L’immagine dell’Isola dei Bambini gli riempì il campo visivo. Era tutto come qualche anno prima. Le grida dei genitori che gli intimavano di rincasare erano lontane. Aveva tutta la giornata davanti a sé, mille possibili avventure limitate solo dalla sua immaginazione. Era a casa, di nuovo, insieme alla sensazione familiare del vento in faccia e dei piedi affondati nella sabbia rovente.

Sora!

Qualcuno lo stava chiamando, ma Sora non vedeva la fonte della voce. Il fatto che non riuscisse a trovarla lo fece rabbuiare. D’un tratto il mare ed il cielo cambiarono colore, diventando di un angoscioso nero pece.
“Sono qui!”
Il suo grido cadde nel vuoto. Al suo posto una miriade di occhietti gialli rispose. Gli Shadows lo accerchiarono prima che potesse anche solo pensare di allontanarsi.
Si mise allora in posizione di battaglia, in attesa il keyblade gli comparisse tra le mani, ma tutto quello che riuscì ad evocare non fu altro che un robusto ramo. A Sora venne istericamente da ridere, prima di lanciarlo in mezzo alla mischia di nemici nella speranza di farsi strada fuori da quell’assembramento.
Corse a perdifiato. Le gambe si muovevano da sole e lui non pensò troppo a dove lo stessero conducendo.
Senza volerlo si ritrovò all’interno della caverna nascosta, dove ancora giacevano i disegni che lui e Kairi si erano divertiti a fare da bambini. Ma alcuni di quei disegni erano nuovi: una terza persona compariva in mezzo alle facce sorridenti di lui e di Kairi.
“Perdonami, non riesco a ricordarmi di te” accarezzò il disegno coi polpastrelli.
“Proprio non ci riesco.”
Sora crollò a terra appoggiato alla parete. Faceva così male. Sapeva che era importante, ma era come se non riuscisse a sfondare quel muro, la porta che lo separava da quella persona così familiare. Non riusciva a ricordare nemmeno il suo nome.
Batté i pugni alla parete, ma quella rimase muta. Ben presto l’orda di nemici lo raggiunse, e Sora fu ben lieto di lasciarsi avvolgere dall’oscurità.


*


Per la testa aveva tante domande. C’era qualcosa che finalmente aveva senso, ma ancora non riusciva a capire completamente, ed era così frustrante voler raggiungere qualcosa con tutto sé stesso ed essere capace di racimolare solo briciole e brandelli.
L’unica persona a cui si sarebbe potuto rivolgere era il Re, che in qualche modo sembrava connesso ai suoi sogni, ma ora che i passaggi dei mondi erano finalmente chiusi come fare?
Era sicuro del loro legame, ma non aveva ancora poteri di telepatia. Sora si diede mentalmente dell’idiota per averci anche solo pensato. Il fatto era che la sua vita sembrava attualmente dipendere da quella persona, il cui ricordo, per quanto vago, gli aveva scatenato delle sensazioni che credeva di non aver mai provato in vita sua o di aver perso per sempre. Perché si sentiva così? Perché ogni volta che ci pensava poteva sentire le lacrime premere tra le ciglia e le guance bruciare?
Sora era stanco. Stanco perché più cercava risposte e più si trovava ad annaspare al buio, in un’oscurità divoratrice come quella del suo sogno. Una voce, nella testa – ormai ci era abituato a non essere più padrone di sé, lo spingeva verso l’Isola dei Bambini.
Non che non avesse già accarezzato l’idea di andare a controllare dentro la caverna se il ragazzo fosse effettivamente comparso sulle pareti, ma gli sembrava di comportarsi in maniera irragionevole.
Non era mai stato una mente complessa, ma da quando vedeva fantasmi ed ombre gli pareva di essersi trasformato in altro da lui – e non era la prima volta.

Fidati di me, Sora.

Non aveva nulla da perdere.


*


Si era abbandonato a quella voce carezzevole, cui la sua mente rispose come un richiamo lontano, come il canto di una sirena.

Ti aspetto

Non aveva nulla da temere.

Sono qui.

Varcata la soglia della caverna, un’immagine luminosa si parò davanti ai suoi occhi.
“Chi sei?”
“Sai perché sei qui?” il richiamo prese la forma evanescente di una ragazza.
Era la stessa ragazza dagli occhi liquidi che era più volte comparsa nel suo inconscio. La forma di luce sembrava appartenerle. Pareva a suo agio, nella sua inconsistenza.
“C’è qualcosa che non riesco a ricordare.”
Naminé sorrise nostalgica, come se si fosse già trovata davanti a quella scena.
“Sai chi è lui?” disse indicando il disegno sulla parete di roccia.
Gli inconfondibili occhi verdi si erano materializzati dal suo sogno alla realtà.
“Una persona importante. Conosci il suo nome?”
“Dovresti almeno conoscere il nome delle persone importanti.”
Rise, ma di un suono triste e fioco, come ad accusarlo di una colpa che non dipendeva fino in fondo da lui.
“Sai – riprese, sono successe delle cose, non dovrei parlartene, ma ormai non ha più senso nasconderle, entrambi scompariremo a breve in ogni caso.”
Una scossa nelle gambe mise Sora in allerta. Non voleva fuggire, ma qualcosa gli stava urlando di correre via.
“Di che stai parlando?”
“C’era un prezzo da pagare, ma glielo dovevo. Non ti ricorderai mai di me, però almeno vi potrete dare un ultimo addio.”
Il sorriso della ragazza si stampò a fuoco nel suo cervello, mentre svaniva in una miriade di scintille luminose. Era in pace.

Arrivederci, Sora.


*


“E’ da un po’ che non ci vediamo.”
La prima cosa che il suo cervello gli disse di fare fu di esplodere nelle lacrime. Tutta la frustrazione di quei giorni svanì in un solo istante. C’erano solo Riku e lui.
“Mi dispiace.”
Gli dispiaceva veramente, per averci messo tutto quel tempo. Per aver anche solo osato lasciarsi sfuggire i loro ricordi.
“Lo so, non è colpa tua.”
Ed era sincero. Sora poteva vedere nei suoi occhi il rimpianto, un rimpianto cocente. Se avesse potuto sarebbe rimasto con lui. Ad ogni costo, in ogni modo, disperatamente. Riku ancora, per l’ennesima volta, stava cercando di portare sulle sue spalle il peso di una colpa che vedeva come solo sua. Lo stava abbandonando.
Li vedeva tutti, i suoi ricordi, finalmente ricomposti come una foto strappata. Riku era morto, scomparso, ridotto in cenere, eppure non gli era mai sembrato più vivo come in quel momento.
“Perché?”
Solo una parola poteva riassumere il destino che gli era toccato. Perché, tra tutti, proprio lui.
Il suo cervello, libero dalle catene, era finalmente in grado di ricordare.
Stavano combattendo. Era il combattimento finale tra loro e Xemnas, e non si era mai sentito così connesso a lui come sul campo di battaglia. Ad ogni suo movimento ne corrispondeva uno di Riku che si incastrava perfettamente con il proprio. Erano come un sol uomo, ma per difenderlo Riku era stato ferito fatalmente.
Fuggiti nel mondo dell’oscurità, Sora ricordava di essere precipitato in un abisso ancora peggiore. Avevano vinto, ma a quale costo. Anche ora che i suoi ricordi erano tornati intatti non aveva una chiara immagine di quanto successo. Ricordava le grida ed il dolore, come se fosse stato lui quello a sanguinare, come fosse il proprio dolore.
Il re li aveva trovati abbracciati sulla spiaggia oscura. Aveva dovuto forzarlo a lasciare il cadavere di Riku, mentre urlava e scalpitava come una madre che non vuole abbandonare i propri piccoli. Era stato in quel momento che il re aveva capito che, se voleva preservare quella vita per cui Riku si era sacrificato – ed avrebbe fatto qualsiasi cosa per adempiere alle ultime volontà di una persona a cui aveva voluto bene come un figlio, era necessario Sora dimenticasse. Evocare la strega era stato il passo successivo, doveva agire subito. Ma le cose non erano andate secondi i piani. Naminé non avrebbe lasciato cadere Riku nel vuoto. L’oblio, per lei che era un nessuno, sembrava essere una maledizione peggiore della morte. Così, al prezzo di sacrificare i propri ricordi nei cuori degli altri, aveva fatto sì che le memorie di Riku si condensassero in un’ultima effimera illusione.
“Non piangere Sora, guardami.”
E lui lo fece, il corpo scosso dai singhiozzi.
“Mi è stato permesso di salutarti, questa volta.”
“Non ha senso, tutto questo non ha senso! Dovrei essere felice ed accontentarmi di un saluto?”
“Tu no, ma io sì.”
Allora Sora realizzò. Per la prima volta in tutta la sua vita non si parlava di lui, si trattava degli ultimi momenti del proprio migliore amico.
Rimise insieme i propri pezzi, prima di alzarsi fieramente in piedi. Voleva che l’ultima immagine che avesse avuto di lui fosse perlomeno dignitosa.
“Verrò a riprenderti, ad ogni costo.”
Riku rise.
“Sono queste le tue ultime parole?”
Sora allungò le palme verso l’immagine di luce, trovando solo calore sui polpastrelli.
Avvicinò la mano al petto in segno di promessa.
“Ci vediamo nella prossima vita.”
E Riku sparì. Lasciandosi dietro pezzi di ricordi che avevano la consistenza affilata di cocci di vetro.
 

 




****


A voi che siete sopravvissuti fin qui… Come state? Non mandatemi le parcelle dei vostri terapisti per favore, che ho già da pagare il mio T^T
Comunque, a scanso di equivoci, ecco alcune precisazioni (sì, sono una persona estremamente cattiva, perdonami Riku). La storia si colloca alla fine di Kingdom Hearts II. Ho preso molto dall’idea di base di Kingdom Hearts Chain of memories, solo che mi sono detta: perché non pasticciare ancora un po’ con i ricordi di Sora? Quindi in questo multiverso (tanto abbiamo capito che questa parola piace molto a Nomura) Riku è morto nella battaglia finale contro Xemnas. Il re per evitare a Sora di soffrire, anche perché ha paura faccia qualcosa di cui pentirsi, decide di chiedere a Naminé di farlo dimenticare, ma tranquilli, ci penso io, volevo dire Naminé preferisce piuttosto sacrificare il proprio ricordo per far dare a Riku un ultimo addio a Sora. Sì, le cose facili non ci piacciono e mi sembra di aver riassunto tutto questo senza respirare mai. Forse potrei anche togliere tutta la punteggiatura ed aprire una gara e a chi ripete più velocemente la trama gioco applicabile anche a tutta la trama di Kingdom Hearts ahahahahahah.
Dopo questo poema, passiamo alle mie perplessità: ho paura Sora possa risultare OOC, ma la trama è piuttosto dark e Sora nei giochi appare sempre cartoonesco e spensierato, quindi… fatemi sapere i vostri pareri in merito. Ho calcato troppo la mano?
Spero di avervi intrattenuto un po’ amanti dell’angst <3
Alla prossima <3<3
 

 


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