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Autore: _EverAfter_    30/03/2020    0 recensioni
Otto anni prima.
Iwatobi Swimming Club.
Haruka e Makoto frequentano le elementari. Nagisa è il solito demente. Rin è ancora incastrato alla Sano.
Nel club c'è una bizzarra bambina che nuota a stile libero.
E' distratta. Imbranata. Ha due occhi diversi l'uno dall'altro. Insomma, sembra uscita da uno di quei racconti sugli yokai.
Haruka, tra tutti, non la sopporta; è chiassosa, invadente e priva di tatto. Così diversa da lui.
Ma la vita cambia sempre, e quando la sua antitesi si trasferisce, tutto sembra tornare alla normalità.
Tutto, tranne lui.
Otto anni dopo.
Rin, di ritorno dall'Australia, non è più lo stesso.
Haruka e Makoto frequentano le superiori. Nagisa anche, ma rimane comunque il solito demente.
Un nuovo sogno. Una nuova avventura. Un nuovo club. Un componente che invece di fare atletica si da al nuoto senza sapere come rimanere sul pel d'acqua...
... E due occhi dai differenti pigmenti che si posano sull'insegna dell'Iwatobi High School.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Nuovo personaggio, Rin Matsuoka
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Lo sclero di ver

Ed eccomi tornata!
E' passato un bel po' di tempo dall'aggiornamento di questa storia, ma spero comunque mi perdonerete. Mi sto improvvisamente rendendo conto di quanto sia complicato gestire il tempo a disposizione per ogni singolo lavoro di scrittura, e questa storia ne è la prova lampante.
Tuttavia, giacché amo Free! ed ormai ho cominciato, porterò avanti questo lavoro che mi appassiona, per cui a chiunque segua la storia chiedo solamente un po' di comprensione per questi capitoli che si fanno sempre attendere! ^^"
Detto ciò, spero che il proseguo vi piaccia, a presto!

_EverAfter_










CAPITOLO IV
Storia di un quattrocchi e d'una nuotatrice che lo minacciò di morte





    Quella sera è stanca ed affaticata, ma non ha alcuna voglia di tornare a casa.
    Ha lasciato gli altri da poco, utilizzando la banale scusa di dover disimballare i cartoni, ma la realtà è che vuole rimanere da sola. Le capitava spesso anche in Francia, quando aveva troppi pensieri per la testa.
    Cammina svogliata lungo la strada, con le mani nascoste dai profondi tasconi del cappotto; la sciarpa riesce a proteggerla dal freddo che soffia impetuoso dal mare, ma le dita intirizzite l’ammoniscono di non sostare ancora a lungo all’aria aperta. Dopotutto, è ancora inverno.
    Durante il tragitto non fa che sentire il suo fastidioso scalpiccio. Dannate scarpe nuove, se le avesse indossate un po’ di più quando le ha comprate non farebbero tutto quel casino.
    Ha la testa invasa da mille pensieri: l’ansia di non essere ancora riuscita a raccontare la verità agli amici, l’istituzione del nuovo club di nuoto, la voglia di nuotare e la paura di non riuscirci… non più, almeno. Iwatobi, persino in quel momento, non le pare casa sua.
    Alza lo sguardo, stupita di trovarsi di fronte all’ITSC, o almeno a quello che ne rimane. Si sente triste; nessuno le ha detto che fosse ormai abbandonato.
    Rimane in silenzio a contemplare la grande scritta rossa e il bambino dipinto sopra che scorrazza felice in mezzo alle onde. Ricorda d’essere stata gelosa da piccola, di quel bambino. Era talmente felice da farla innervosire. Adesso, al contrario, sembra pianga lacrime di ruggine.
    L’iscrizione bianca dell’ingresso cattura la sua attenzione: Iwatobi Swimming Club.
    Se ripensa ad ogni momento passato lì dentro, non riesce a trovarne uno che non abbia un bel ricordo associato. È come un’istantanea della sua vita passata, quando la bambina dentro di lei ancora si dilettava a nuotare per passione, non per punteggio.
    Serra i pugni; a volte sa di essere troppo severa con se stessa, ma va bene così. Se non lo facesse lei, non lo farebbe nessuno al suo posto.
    Fa per riprendere la via del ritorno, ma s’accorge che il portone d’ingresso è stato lasciato socchiuso e da dov’è lei può tranquillamente sbirciare dentro il lungo corridoio che porta nella hall. Si morde un labbro, certa che l’idea che l’è appena venuta in mente sia davvero pessima.
    Si guarda intorno, accertandosi che non vi sia nessuno nei paraggi. Fissa il pomello della porta semiaperta, chiedendosi se sia davvero una buona idea gironzolare per un edificio abbandonato. Preme delicatamente le dita contro il vetro opaco; un allarmante scricchiolio le conferma che l’uscio è ormai del tutto spalancato.
    «Coraggio, baka» si dice, mentre intraprende i primi passi lungo il corridoio buio. «In fondo, ci sei venuta un sacco di volte.»
    Deglutisce a fatica; l’aria è decisamente pesante, la polvere e lo sporco accumulatisi nel tempo hanno reso quel luogo una sciagura anche per i polmoni più allenati.
    S’appoggia alla parete vicina, facendo scivolare la mano lungo di essa per cercare d’orientarsi nell’oscurità che avvolge l’androne. Espira profondamente con la bocca; le tremano le gambe e sente il fiato corto, ma si dice che vuole arrivare agli spogliatoi a tutti i costi.
    Dei passi riecheggiano per il circolo; Mizuko è sicura non si tratti dei suoi: sono più pesanti, molto più lenti. Si blocca sul posto, nascondendosi dietro un angolo.
    Ma come cazzo faccio a finire in queste situazioni? Si rimprovera, mentre affonda il viso nella sciarpa per soffocare l’improvviso affanno. Oddio… e se fosse un serial killer?
    Si porta una mano alla gola, affacciandosi leggermente sul corridoio per controllare che sia libero. Prende un profondo respiro, prima d’incamminarsi in punta di piedi verso l’uscita. Appena s’accorge che i passi in lontananza si sono fermati, intraprende una corsa impazzita verso l’ingresso, stando ben attenta a non inciampare.
    Dovrei esserci, pensa, svoltando l’angolo della hall. Quando lo fa, il suo cuore esplode come impazzito: le da la schiena una sagoma indistinta avvolta nel nero, con addosso un capello che rende impossibile il riconoscimento facciale.
    Si lascia scappare un grido, mentre la figura sobbalza, voltandosi a guardarla. Mizuko ha gli occhi serrati nelle palpebre e la voce isterica; la parte più inconscia di sé la implora di scappare e di non rimanere lì impalata a farsi uccidere.
    «P-passavo di qui per caso!» urla disperata. «Non mi uccidere, ho una lista di cose che voglio fare prima di morire e non ne ho ancora completata la metà e poi devo risolvere un sacco di…»
    «Ohi.» Il cuore le si ghiaccia non appena sente la voce roca dello sconosciuto.
    «S-sì?» balbetta, mentre sente il sudore infradiciarle la nuca.
    «Cosa ci fai qui?» le domanda, con un tono che le appare alquanto perplesso.
    Deglutisce rumorosamente, rifiutandosi di aprire gli occhi. «È stato il mio circolo di nuoto.»
    Sente silenzio; è come se la sagoma si fosse dissolta, ma non può ancora accertarsene fin quando continuerà ad avere lo sguardo avvolto nell’oscurità delle palpebre.
    «Sei tu, allora.» Sobbalza, al sentire di nuovo quei toni bassi.
    Schiude un occhio, permettendo alla sua curiosità di vincere sulla paura. Quando mette a fuoco l’ambiente, rimane sorpresa di trovarsi davanti al ragazzo dagli occhi rossi conosciuto durante la loro incursione alla Samezuka. Gli punta un indice contro, cercando di ricordarsi il nome che tanto ha sentito pronunciare durante quei pochi giorni in cui è tornata. È assurdo che l’abbia completamente rimosso, ma alla fine si convince che sia soltanto una riprova di quanto non lo sopporti.
    «Ren» dice, sorridendo vittoriosa.
    Il ragazzo la scruta, alzando un sopracciglio. «Rin, tonta.»
    Sbuffa, infastidita dal canzonatorio nomignolo che le ha conferito. «Sarò pure una tonta, ma alla fine pensavo avessi un nome da maschio» borbotta tra i denti, ma con tono abbastanza alto perché lui possa sentirla.
    Lo squalo si porta le mani nelle tasche della felpa, scrutando l’esile corpicino davanti a lui: non può davvero fare nuoto, quella figura così gracile. Fa un passo verso di lei, sogghignando non appena la vede indietreggiare. «Guarda che non mordo.»
    «Un po’ presto per dirlo, non credi?» constata lei, aguzzando lo sguardo. Le appare subito come una di quelle vipere d’acqua pronte ad azzannarlo. Probabilmente ce l’ha ancora con lui per la storia della sera prima.
    Sospira, alzando le mani in segno di resa. «A questa distanza riesci a parlare senza che ti tremino le gambe?»
    Lo guarda indignata, mentre gira la testa di lato. «Tanto per essere chiari: tu non mi fai affatto paura.»
    «Detto dalla stessa persona che un minuto fa mi ha implorato di risparmiarle la vita» le fa notare, con un insopportabile sorriso dipinto sul volto.
    «Che diavolo avrei dovuto pensare, solamente uno psicopatico verrebbe qui a quest’ora della notte» gli risponde, incurante dell’assurdità di quell’affermazione.
    «Vorrei ricordarti che ci sei anche tu, qui.» Il rosso la scruta. È divertito dalla paradossale situazione, ma più di tutto dallo sguardo vigile di lei, che lo fissa in cagnesco. «Hai finito di guardarmi come se mi volessi uccidere?»
    «Affatto.»
    «Esattamente, con chi pensi di parlare?»
    «Rin Matsuoka.»
    «E tu sei…» Il cremisi attende paziente una risposta.
    Vorrebbe davvero staccargli dalla faccia quel sorriso sornione, ma si convince che apparirgli come una schizzata pazza non sia una delle migliori soluzioni.
    «Mizuko Hoshino.» Cavolo, avrebbe potuto inventarselo, un nome dell’ultimo secondo. Si dà mentalmente della stupida per non essere mai abbastanza sveglia da pensare preventivamente a piani perfetti.
    Lentamente riporta l’attenzione su di lui, agganciando il suo sguardo che sembra squadrarla da capo a piedi. Arrossisce di colpo, stringendosi nelle spalle. «C-che c’è?»
    Rin avvicina di scatto il viso al suo, cercando il bizzarro sguardo iridescente.
    «O-oh!» sbotta la ragazza, inarcando la schiena all’indietro per mantenere le distanze da quel corpo così minaccioso. «Che ti prende?»
    «Dì un po’» le chiede infine. «Nuoti davvero?»
    La guarda trattenere il respiro per un attimo e non può fare a meno di pensare che sia buffa. Si chiede se non sia stata la mascotte del club prima del suo arrivo. A quei tempi, avrebbe anche potuto trovarla adorabile.
    La osserva mettere uno strano broncio, misto tra rabbia e incredulità. Trattiene a stento una risata non appena la vede.
    «Mi stai dicendo che non ho il fisico per farlo bene?!» sbotta infine, flettendo la schiena verso di lui con fare minaccioso.
    Adesso che è più vicina, s’accorge di quanto sia anche terribilmente bassa. Un tappo con le braccia, per essere più specifici.
    «Ti sto solo chiedendo se nuoti» sbiascica infine, al colmo dell’esasperazione. Sono lì da minuti ormai e lei ancora si ostina a mostrargli la diffidenza di un cane randagio.
    Al sentir pronunciare quella domanda, qualcosa cambia nell’atteggiamento della ragazza; la scheggia impazzita che si trovava di fronte a lui qualche istante prima sembra placarsi e uno sguardo raddolcito prende forma dalle iridi cangianti, mentre un sorriso le si dipinge addosso, lasciandolo sbigottito.
    «Sì, nuoto anche io» gli risponde semplicemente, mentre s’accosta alle fotografie appese sulla parete alle sue spalle. «È in questa piscina che ho gareggiato per la prima volta.»
    Anche il tono della sua voce è cambiato; è più mite e sobrio, come se abbia dimenticato il motivo della sua precedente indisposizione.
    Rin s’accorge di averla vista solo due volte, eppure non gli ha mai concesso di sentire il timbro pacato di adesso – d’altronde l'ha sentita solo sgridarlo o sbraitargli addosso.
   Lo fissa, indicandogli con l’indice sottile una foto posta in mezzo alle altre. Lo squalo le si affianca, studiando attentamente il soggetto immortalato, nonostante la polvere abbia ormai sbiadito quel ricordo su istantanea.
    Non ha dubbi che si tratti di lei. È una bambina piccola, con il sorriso sdentato e gli occhi pieni di gioia. Stringe a sé un piccolo trofeo, reso ancora più altisonante dalla medaglia che le sbrilluccica al collo, che sembra decisamente troppo grande su quel petto da infante.
    S’abbassa a leggere l’etichetta posta sotto la cornice e rimane stupito di trovarla senza alcuna usura.


1° Posto
Sezione: Stile libero
MIZUKO HOSHINO


    «Fai stile libero, eh?» sussurra, non aspettandosi di ricevere una risposta.
    Studia minuziosamente la fotografia; s’incupisce man mano che focalizza l’attenzione su un dettaglio alle spalle della piccola vincitrice. Non ha dubbi: quello è Haruka, e il suo sguardo sta proprio fissando la giovane nuotatrice.
    «Non ci posso credere» scatta infine, con le mani tra i capelli. «Oddio, sei proprio tu!»
    Mizuko lo fissa, con uno sguardo che chiaramente lascia intuire la sua perplessità. Rin la squadra da capo a piedi, certo ormai di trovarsi di fronte alla famosa M.H.
    «Dì un po’, per caso il tuo armadietto era accanto a quello di Haru?»
    La vede sgranare gli occhi e prova un inappagabile senso di soddisfazione nel constatare che finalmente ha potuto conoscere il fantasma che perseguitava l’amico già cinque anni addietro. Si sente un po’ deluso onestamente: è davvero quella ragazzina sciatta la ragione del malessere profondo che si celava nelle profonde iridi blu del compagno?
    Gli scappa un’altra risata.
    La ragazza lo fissa senza dire niente. Non ride, a stento respira, in quel mare di fuliggine risvegliatosi dal lungo torpore.
   Quel ragazzo ha davvero qualcosa di spaventoso: non riesce a capire se associare il suo disagio ai denti aguzzi o agli occhi che brillano di un’insolita rabbia repressa. Per qualche istante è convinta che non sia la polvere a farle mancare l’aria.
   Pian piano il ghigno malefico dello squalo scompare; si sente osservato dallo sguardo indagatore e perfido della piccola ragazza che gli sta di fronte, ma non riesce a capire come mai se ne stia zitta senza proferire parola. Sbuffa, infastidito da quell’atteggiamento supponente. «E adesso che hai?»
    La vede fare spallucce. «Niente.»
    «E allora piantala di guardarmi.»
    «Non ti sto guardando.»
    «Ah!?» Ma com’è possibile che neghi l’evidenza fino a questo punto? È davvero assurda. «Non ti hanno mai insegnato che fissare le altre persone è da maled-»
    «Perché sei tornato?»
    Mizuko non è una persona che risponde facilmente alle domande che le vengono poste. Forse sarà dovuto al fatto che ha troppi interrogativi in testa da non avere altro spazio anche per risolverli. Il rosso non ha alcuna intenzione di risponderle. È teso come una corda di violino, incapace di poter spiegare ad una sconosciuta cosa l’abbia portato nuovamente in Giappone, quale problema si celi dietro la sua apparente spavalderia. È certo che una tipa come lei non sia abbastanza sveglia per capirlo.
    «Potrei farti la stessa domanda» brontola acido, voltandole le spalle. «Non sei stata tu la prima ad andartene?»
    «Sì.»
    Deve ancora abituarsi a quei modi così diretti, si dice, mentre torna a fissarla. «Perché allora lo domandi a me?»
    La ragazza si stringe nelle spalle, arrossendo leggermente. «Beh, perché vedi… tu sembri davvero triste.»
   Per la prima volta da quando l’ha incontrata, lo sguardo cremisi trema; non sa spiegarsi bene il motivo, ma la facilità con la quale riesce a leggerlo lo destabilizza. Una maledetta mocciosa che puzza ancora di latte non potrebbe mai capirlo, è ovvio che stia solo cercando di soggiogarlo.
    «Che diavolo ne puoi sapere tu, stupida!» sbraita, improvvisamente incattivito.
    Mizuko non sembra scomporsi affatto, ma rimane passiva a fissare lo sguardo infuocato di Rin, sempre più rabbioso e senza controllo. È ovvio che in lui ci sia qualcosa che non va, ma quella rabbia non riesce a giustificarla neanche ipotizzando che c’entri la rivalità con il delfino. È più dura, la realtà. Lo sente. Gli fa più male di quel che dovrebbe.
    Trattiene un sospiro; non vuole irritarlo, sa che certi pensieri possono annebbiare la mente, a volte. Lei ne è un esempio vivente.
    ‘Fanculo, pensa, arrendendosi. In fondo, non credo ci riparleremo più.
    «Sono tornata perché voglio trovare delle risposte» dice, ignorando il fatto che nella testa dello squalo ci siano domande ben più importanti di quella che le ha fatto. «Su me stessa.»
    «Risposte?» Lo sguardo amarantino sembra placarsi, vittima di un’improvvisa curiosità.
    La bionda sorride, sfiorando con le dita sottili la fotografia polverosa di una lei molto più felice. «Sì, risposte. Sai, quelle che si danno quando si fanno delle domande.»
    «Anche spiritosa» lo sente mormorare, ma nella sua voce non vi è più alcun accenno di cattiveria.
    «Oh, certo.» Mizuko gli si para dinnanzi. «Sono un vero spasso.»
    «E modesta.»
    Rin si lascia scappare una risata, riuscendo a dimenticare per un istante il suo inferno personale. Quella ragazzina è strana come poche. S’accorge che, nonostante i suoi modi siano assolutamente insopportabili, il suo modo spicciolo di vedere la vita gli piace. È come avere a che fare con una bambina, con i suoi grandi occhi cangianti che scrutano un mondo solo a colori.
    «Ohi.» Sa che non dovrebbe parlarne proprio con lei, ma non riesce a frenare la curiosità. Quando riesce ad attirare la sua attenzione, le labbra si muovono da sole. «Cosa c’è tra te ed Haru?»
    La giovane nuotatrice rimane a fissarlo, sorpresa da quella domanda inaspettata. Di tutte le cose che ha pensato potesse chiederle, quella sicuramente non rientra nell’elenco.
    Oddio, e adesso cosa risponde? Trovare una risposta ad un quesito così complesso è tutto fuorché facile. Deve pensare a qualcosa di sensato da dire, ma ogni volta che prova a rispondere, i magnetici occhi blu del libero le occupano la testa e si sente come una di quelle teenager che stravedono per l’idol di turno.
    Dio, che scena raccapricciante.
    «E-ehm» prova a dire, schiarendosi la voce. «In realtà è difficile spiegarlo.»
    Magari riuscirà ad eludere la domanda, ma non appena osserva gli occhi impazienti che le stanno di fronte capisce che non ha alcuna via di fuga.
    Respira profondamente, mentre con un unico forte sospiro butta via tutta l’aria accumulata nei polmoni. Bene così, dovrà pur trovare un modo per parlarne. Meglio con lui che con Makoto o, peggio, Nagisa. Già se lo immagina, il coetaneo, mentre lei si confida e lui la scruta con gli occhi rosei illuminati dalla luce della malizia.
    Giammai.
    «Io non lo so» sbotta infine, passandosi una mano tra i corti capelli biondi. «Per lui in realtà credo di essere una palla al piede.»
    «Credi questo?» Il rosso sembra sorpreso, ma non riesce a spiegarsene la ragione.
    La ragazza fa spallucce, strofinandosi il naso infreddolito contro la sciarpa. «Quando eravamo più piccoli passavamo molto tempo insieme – ah beh, non farti strane idee, solo in piscina in realtà – e credo di averlo fatto spesso arrabbiare.»
    «Davvero?»
    «Eh, già. Ero sempre molto chiassosa e imbranata e goffa e…»
    «Eri?» Rin ripensa alla crisi isterica che le ha visto fare durante la sera precedente, trattenendosi dal canzonarla. Crede davvero di essere tanto cambiata?
    Mizuko lo fissa, immusonita. «Sono un po’ migliorata» borbotta, girando lo sguardo di lato.
    Lo squalo sorride sotto i baffi: si sorprende di trovare la sua compagnia piacevole. «E adesso?»
    «Adesso è diverso.» La ragazza sospira, portando le mani dietro la schiena e strofinandosi le dita. «Se è vero che io non sono cambiata, allora forse è cambiato lui. Anche se…»
    «Anche se…?»
    «Il modo in cui nuota.» La osserva sorridere. Un sorriso del tutto nuovo, dolce e malinconico al tempo stesso, di quelli che quando si vedono impediscono allo sguardo di guardare altrove. «Il modo in cui nuota è sempre meraviglioso.»
    Rin non riesce a capire cosa prova. Sente di essere arrabbiato e tuttavia vuole sentirla parlare ancora, con quegli occhi illuminati dal pensiero del rivale e col cuore in mano, trasognante. Come esistere all’interno della sua bella favola rosa, fatta dei più variopinti colori. Si convince che dev’essere bello, vivere lì.
    «Sembri davvero felice quando parli di lui» le dice, maledicendosi per l’astio vagheggiante della sua voce.
    Mizuko abbassa lo sguardo, fissandosi le punte degli stivaletti.
    «Beh… è perché io amo Nanase-kun» sussurra, con lo sguardo perso in chissà quali dolci ricordi.
    Rimane a fissarla, turbato al pensiero di quelle parole; allora è vero che tra loro c’è davvero qualcosa. Mentre cerca di replicare, lei lo ferma, scuotendo freneticamente le braccia.
    «Ma non c’è da preoccuparsi!» sbraita, improvvisamente conscia di quanto appena detto. «È un amore a senso unico! Decisamente a senso unico! Figurati se una come me può piacere ad uno come lui, cioè mi hai vista?»
    Ride così come parla, pensa il rosso. Istericamente.
    Non dev’essersi accorta in tempo di quello che ha detto, è certo che non glielo avrebbe mai confidato se fosse stata presente a se stessa. In effetti, non può che essere d’accordo con lei: come potrebbe mai piacere ad uno come Haruka? È nevrotica, irragionevole, maldestra e dice sempre cose che non dovrebbe dire, risultando per lo più fuori luogo.
    Ha tutte le carte in regola per essere il peggior incubo dell’avversario. Dovrebbe essere così. Eppure, il ricordo degli occhi blu del rivale che la cercano, che s’illuminano a guardarla… quello Rin non l’ha sognato, ne è sicuro.
    Sbuffa infastidito, afferrandola per un braccio.
    «Oh!» grida lei, colta di sorpresa. «Dove diavolo stiamo andando?»
    Il rosso la fulmina con lo sguardo. «Non avrai intenzione di tornartene a casa da sola, mocciosa.»
   Mizuko lo fissa, socchiudendo la bocca e rimanendo imbambolata a fissarlo, mentre Rin le fa un cenno con la mano, cercando di destarla da quella improvvisa catalessi. È proprio un caso perso, si dice, mentre s’incammina all’uscita dell’edificio trascinandola di forza – non che sia un problema in realtà, la ragazza pesa a stento un terzo di quanto pesi lui.
    Sul serio Haru, come fai? Vorrebbe chiedergli. Come riesci a tenere il passo di questa qui?
    «Ohi, Rin» si sente chiamare.
    «Cosa vuoi?» Non si volta a guardarla, né si ferma. È stanco e vorrebbe solamente andare a dormire.
    Per un attimo è tentato di controllare che stia bene; qualche istante dopo la sente mugugnare qualcosa di incomprensibile.
    Sospira, ormai arresosi al suo atteggiamento bipolare. «E adesso cos’hai detto?»
    «Non è importante.»
    «Dillo e basta!»
    «Ho detto grazie, ok!? Però dato che faccio ancora fatica a ricordarmi l’accento di alcune parole non volevo sbagliare!» sbraita, dimenandosi come una pazza.
    Non ridere, si ammonisce. Non ridere o lei s’incazzerà ancora di più.
    «Sono arrivata» dice, una volta giunti in prossimità di un bel cancello in ferro battuto. «Buonanotte, Matsuoka-san.»
    «Mi hai chiamato Rin per tutto questo tempo, perché adesso te ne esci con Matsuoka-san?»
    La ragazza si stringe nelle spalle, arrossendo di colpo. «N-non mi ero accorta di chiamarti per nome.»
    Il rosso si dà una manata sulla fronte, frastornato. «Lascia stare. Va bene Rin.»
    «O-ok.»
    «Buonanotte, Mizuko.»
    Quando finalmente la vede chiudere la porta di casa, lo squalo non riesce a smettere di sorridere.
    È decisamente fuori di testa, quella.





    Amakata-sensei studia attentamente i volti dei presenti, facendo svolazzare un foglio vicino ai loro nasi. «Dunque, per quanto riguarda il modulo del club di nuoto che avete compilato… dopo un’attenta analisi da parte del nostro istituto…»
    Ha sempre odiato chi si diletta con la suspense altrui. Sarà dovuto al fatto che in Francia c’era una docente che non faceva altro che parlare per puntini di sospensione.
    «… 
È stato approvato!»
    Le mette subito tenerezza l’espressione sollevata del bel castano, mentre l’isteria del più piccolo tra i presenti prende il sopravvento su qualsiasi altra forma d’esultanza.
    «Magnifico! Sapevo che potevamo contare su una ex dipendente di una compagnia di costumi!» esclama, mentre la sensei sdrammatizza le sue lusinghe, risultando più falsa di quel che crede.
    «Ragazzi, c’è una condizione in particolare…» s’affretta a dire poco dopo la docente, dissipando l’ilarità generale. «Beh, vedete…»
    Una volta fuori, la piscina appare come un campo abbandonato. Mizuko la studia attentamente: le recinzioni sono del tutto arrugginite, strozzate dall’edera rampicante che sembra soffocarle; la piscina, oltre agli evidenti segni dell’usura temporale, sembra territorio di caccia d’erbacce e piante opportuniste insinuatesi lungo le crepe allargate dalle intemperie; vi sono anche dei considerevoli tronchi di legno marcio e qualche cartone buttato qui e lì a mo’ di deposito. È impossibile distinguere persino le linee bianche che separano le corsie.
    «Wow, sembra l’Amazzonia» mormora il biondino, ancora con l’argento vivo addosso.
    «Vuol dire che…» prova a dire Makoto, ma la professoressa lo precede.
    «Esatto, dovrete rendere utilizzabile questa piscina.» Il tono perentorio della sua voce manifesta subito una rilevante necessità, non c’è dubbio.
    Senza piscina, in effetti, nuotare è abbastanza difficile.
    «Il va y avoir du ménage à faire[1]» sussurra la ragazza, portandosi una mano sulla bocca per non apparire troppo stupita del disastro dinnanzi ai suoi occhi.
    Haruka la fissa, confuso. «Cos’hai detto?»
    «Ah!» Scuote freneticamente la mano, sdrammatizzando il suo commento poco felice. «Niente di importante. È un riflesso incondizionato, scusa!»
    Il libero la guarda perplesso; distoglie lo sguardo da lui, ripensando alla confessione fatta al suo rivale la sera prima.
    Sono un’idiota! Si dice, ripensando allo sguardo incuriosito del rosso. Oddio e se dovesse dirglielo?! Ma no, in fondo non si parlano, giusto?! Però sono amici, potrebbero anche fare pace e allora vuol dire che lui potrebbe in qualche modo confidargli quello che gli ho detto, oddio no impossibile…
    «Mizuko.» Scatta sull’attenti al suono della voce sospettosa del corvino. «Qualcosa non va?»
    Si volta, cercando di mantenere il contegno. Quando lo vede, lo sguardo blu che tanto adora è visibilmente preoccupato. Si rimprovera per essere lei la ragione della sua angoscia.
    «No.» Certo, come no. «È tutto ok.»
    Perché diavolo quando gli sta così vicino deve comportarsi da stupida? Non può far finta d’essere una ragazza normale, magari riservata, un po’ misteriosa, capace di attirare la sua attenzione?
    Certo che no. Lei è la solita vecchia amica infastidente e con lo scarso senso d’equilibrio, si dice, mentre inizia a strappare ogni ciuffo d’erba che osa sfidare la sua forza fisica. Incazzarsi con se stessa è ormai diventata una delle prerogative più urgenti.
   Dà uno sguardo veloce alle crepe delle pareti della piscina, interrogandosi su chi abbia mai permesso di trascurarla a quel modo. Studia la situazione, cercando di ricordarsi come fare per poterle riparare.
    «Mizuko.» Makoto le si avvicina, accovacciandosi vicino a lei. «Sei stanca?»
    Scuote la testa, tornando a fissare il muro d’azzurro sbiadito. «Sto pensando ad una soluzione per questo schifo.»
    «T’intendi di riparazioni?»
    «Assolutamente no» ride lei, sfiorando con le dita la crepa. «Però possiamo provare a stuccare e poi ridipingere sopra. In fondo, queste spaccature non sono poi così profonde.»
    «No, hai ragione» conviene il castano, mentre li raggiungono gli altri due membri del club.
    Haruka le si accosta, porgendole una mano per farla alzare da terra. Arrossisce un po’, ma le ciocche non permettono al moro di notarlo. Santi capelli.
    «Cosa facciamo, quindi?» domanda Nagisa, portando le braccia dietro la nuca. «Abbiamo ancora un po’ di tempo.»
    «Beh, potremmo provare ad andare da DolphinS, sicuramente avrà tutto l’occorrente» fa notare Makoto, mentre s’avviano verso lo studio di Amakata-sensei.
   Una volta in macchina con la docente, l’allegro gruppetto si lascia andare ad una serie di fantasticherie su come verrà su la piscina a lavoro finito, ognuno emozionato a modo suo su come possa apparire nuova e tirata a lucido.
    Prendono tutto il necessario per riparare le fessurazioni e il colore per ridipingere; Mizuko dà una rapida occhiata alle vernici bianche, poi si fa indicare da un commesso dove poter trovare le barre galleggianti – certa che quelle conservate non siano più utilizzabili. Afferra decisa il portafoglio, mentre Makoto e Nagisa tentano disperatamente di dissuadere il libero dal buttarsi dentro una vasca ricolma d’acqua – a volte la vita degli amici di Haruka Nanase può essere particolarmente difficile.
    Nei giorni a seguire proseguono la loro tabella di marcia, continuando ad allestire la piscina affinché sia pronta in poco tempo; Nagisa ed Haruka si danno al disegno, coadiuvati dal club di arte per la produzione di locandine al fine di sponsorizzare l’apertura del nuovo club – lavoro in cui l’arte cubista del primino incontra quella più classicheggiante ed apprezzata del nuotatore prodigio.
    Mizuko passa il suo giorno di meritato riposo sulla terrazza, intenta a fissare in lontananza un giovane ragazzo che pulisce la piscina. Persino da quella distanza riesce a vedere come brillino i suoi occhi al pensiero di poter finalmente tornare a nuotare.
    Sente aprirsi alle sue spalle la porta d’acciaio ed una voce chiamare proprio il ragazzo che sta in piscina. Sorride ad un Makoto chiaramente sorpreso di trovarla lì. «Mizuko!»
    «Buongiorno, Makoto» gli dice, affacciata alla ringhiera. «Se cerchi Nanase-kun è lì.»
    Indica un piccolo omino immerso nella nuova pittura azzurra della piscina. Il castano non può fare a meno di sorridere. «S’impegna tanto, eh?»
    «Più di tutti noi» gli fa notare la ragazza, con lo sguardo trasognante. «Mi chiedo se esista davvero al mondo qualcuno che possa competere con l’amore che prova per il nuoto.»
    L’orca la fissa, contento di trovarsi lì con lei. Gli è sempre piaciuta, Mizuko.
    Non nel senso vero del termine, o almeno crede. È che lei è quel tipo di ragazza che, una volta che entra nella vita altrui, non si può proprio dimenticare. Haruka non c’era riuscito, ma se è per questo neanche lui. S’era interrogato più volte, in passato, per sapere come stesse, se fosse felice; non ha mai sopportato l’idea che potesse essere triste, forse perché è sempre stato abituato a vederla sorridere.
    Forse chiamarlo amore è inesatto. No, non lo chiamerebbe affatto amore. Forse per paura o forse solo perché è troppo semplice: è quel tipo di affetto che non pretende d’esser visto; è piccolo e forte, capace di sbocciare anche nel mese più freddo; non è geloso, non è arrogante né narcisista; non è vanitoso o violento.
    È il volere che lei sia felice, null’altro.
    Vorrebbe tanto chiederle cos’abbia vissuto lontana da Iwatobi, se abbia riso, pianto, se abbia trovato qualcosa d’importante o sia stato solo un lungo viaggio per poter tornare lì. Eppure, ogni volta che è sul punto di domandarglielo, il suo sguardo incrocia quello di Haruka e improvvisamente si sente in difetto, proprio come se lui non avesse diritto di starle così vicino, d’essere al fianco dell’amica.
    Sa che è solo una sua fissazione: l’amico non dubiterebbe mai di lui, questo lo sa bene, ma forse è proprio per questo che si sente messo da parte.
    Non ha mai potuto competere in acqua, con Haruka. E adesso non può farlo neanche per lei, perché anche ad un orbo parrebbe evidente come Mizuko non abbia occhi che per il delfino.
    Non è un tipo che rischia, Makoto. Forse è per questo che non ha mai potuto davvero essere se stesso; nel suo atteggiamento paterno e protettivo si è dimenticato com’è essere bambino. Quando le persone sognavano di se stesse, lui sognava di loro, nel suo piccolo mondo sentimentale fatto solo di amicizie preziose, d’affetti sinceri, dove non ha mai trovato spazio per le menzogne. È difficile da trovare, una persona del genere.
    «Makoto» si sente chiamare dalla voce canterina. «Tutto ok?»
    «Sì» le risponde subito, portandosi una mano a carezzarsi il collo tornito. «Perché?»
    Mizuko lo guarda con quei suoi adorabili globi luminescenti, preoccupata che possa essergli accaduto qualcosa. «Sembri strano.»
    Si lascia scappare una risata nervosa, mentre porta lo sguardo a cercare la figura dell’amico intento a pulire la piscina. No, non può decisamente competere contro di lui. Non su questo.
    «Non è niente» risponde, reprimendo il flusso di quei pensieri ingiusti, troppo lontani da quella che è la sua persona, il suo essere.
    Quel sentimento non è un oceano in cui è in grado di nuotare. Rischierebbe di affogare. Per cui, perché tuffarsi? «Non è niente.»
    Fa per andarsene, con una decisione che gli pesa addosso più di tutto il resto. La sente, la parte di sé che sta affondando, quella che sta urlando. Ma non importa.
    Lui è Makoto. L’amico su cui si può sempre contare. La spalla su cui piangere.
    Non è proprio fatto per l’egoismo, lui. Per una volta, però, avrebbe tanto voluto essere diverso.
    Peggiore di così.





    «L’avete ripulita proprio per bene!»
    Per una volta deve convenire con Amakata-sensei. La piscina è sempre più bella, si dice, mentre ripassa per l’ennesima volta le strisce delle corsie con un pennello per l’imbiancatura.
    «Non potrebbe alzarsi da lì e darci una mano?» sbotta innervosito il biondino, con attorno un mucchio d’oggettistica che non sa bene come utilizzare.
    Il solito imbranato, le viene da pensare, udendo in sottofondo la voce della docente che accampa la scusa dei raggi ultravioletti per godersi ancora la tranquillità della sua sdraio.
    A pochi metri di distanza da lei, un Makoto entusiasta dipinge la parete più lunga della vasca.
    «È divertente» lo sente dire, rivolgendosi al corvino. «È come se fossimo tornati alle elementari.»
    «Alle elementari di sicuro non ti chiedono di sistemare una piscina» gli risponde, irritato.
    Mizuko sorride; è proprio da lui non sopportare l’idea di attendere ancora per potersi tuffare in acqua.
    Come se percepisse il suo sguardo addosso, il corvino si volta a fissarla. Rimangono in silenzio per qualche istante: ormai non vi è più alcun imbarazzo, quando i loro sguardi s’incontrano. È un tacito accordo tra colori dissonanti, il blu profondo dello sguardo del delfino che brama d’esser visto, scrutato dal corallo e dall’azzurro di lei.
    È il cuore a lanciarle i primi segnali; sembra esploderle dal petto non appena lo vede sorridere.
    Oddio. Non ha pensato a nulla di intelligente da dirgli. Maledetto cervello che non pensa mai a niente.
    Quando è ormai sul punto di avvicinarsi a lui, avverte alle sue spalle la voce fastidiosa della giovane Matsuoka. Tempismo perfetto, e lei che sta
ancora lì a si chiedersi come mai non la sopporti.
    «Ah Gou!» sente esclamare il coetaneo. «Sei venuta ad aiutarci?»
    «Ti ho detto di chiamarmi Kou, altrimenti non ti darò nulla!» gli risponde acida, indicandogli il sacchetto con dentro i rinfreschi.
    Ti chiami Gou, perciò non rompere. È quello che pensa, ma sta ben attenta a non parlare. Non è la prima volta che rischia di fare una figuraccia a causa della sua indole troppo impulsiva.
    «Eh?! Sei cattiva!»
    «Nagisa» lo chiama, puntando i piedi ed attirando l’attenzione degli altri due ragazzi. «Andiamo.»
    Il biondo la guarda, confuso. «Dove?»
   Mizuko s’aggrappa al bordo della piscina, issandosi sulle braccia per poterne uscire. È arrabbiata, ma non ne capisce bene il motivo. Forse è perché la rossa davvero non le piace – insomma, come diavolo fa a sbucare sempre nei momenti meno opportuni?
    «Andiamo a fare pubblicità, no?» Fissa il compagno, attendendo che la raggiunga.
    Quando si allontanano, Makoto non può fare a meno di notare quanto Haruka sia turbato. Ha sempre creduto fosse solo frutto della sua immaginazione, ma adesso ne è fermamente convinto: l’amico è geloso di Nagisa, anche se forse neanche lui sa bene cosa sta provando. Lo fissa, sorridendo.
    «Che c’è, Haru?»
    «Niente» mugugna, continuando a dipingere.
    Perciò è questo, pensa il castano, osservando lo sguardo sempre più accigliato del compagno. È proprio un libro aperto.
    Mentre i due senpai continuano le rifiniture della piscina ormai prossima all’apertura, Mizuko e Nagisa corrono per i corridoi come due esaltati, in cerca di qualcuno abbastanza folle da unirsi al loro club. È difficile, si dicono, mentre ogni studente che incontrano trova una scusa qualsiasi per potersi defilare quanto prima dai loro filosofici discorsi su quanto sia salutare nuotare.
    «Ragazzi! Nuotiamo e divertiamoci insieme!» esclama Nagisa, con addosso gli occhialini e una tavoletta azzurra con sopra un pinguino.
    «Perché dovremmo nuotare in una piscina, quando c’è il mare a due passi?» rispondono due ragazzi del primo anno.
    «Se vi iscrivete subito, avrete in regalo una fornitura annuale della mascotte dell’Iwatobi: Iwatobi-chan!» continua il biondo, ad un altro gruppo.
    «No, grazie» rispondono tutti in coro.
    La ragazza appare sempre più arrendevole: il nuoto non è uno sport che va per la maggiore, dopotutto. Non è popolare come il basket o energico come il calcio.
    Si dice che preferisce trovare poche persone che abbiano davvero voglia di nuotare insieme a loro e, per la prima volta, sente davvero la necessità di potersi tuffare anche lei nel primordiale elemento e gustare appieno l’adrenalina di ogni falcata, di ogni bracciata. Non vede l’ora.
    Persa a fantasticare su come potrebbe essere nuotare di nuovo insieme ai suoi vecchi compagni, sbatte la testa contro qualcosa d’estremamente duro. Tiene la mano premuta contro il naso, sperando di non iniziare a sanguinare. «Ma si può sapere che cos-»
    La frase le muore in gola, mentre mette a fuoco la sagoma sorpresa del suo vicino di banco: Ryugazaki.
    «Oh!» gli grida contro, facendolo sobbalzare. «Ma guarda dove vai!»
    «Io?! Ma sei tu che mi sei venuta addosso!» sbraita lui di rimando.
    «Mizu-chan!» Nagisa le si affianca dopo qualche istante, preoccupato. «Mizu-chan, ti sei fatta male?»
    «No, sto bene» risponde, lasciando cadere la mano sul fianco.
    Rimane zitta, mentre i due compagni di classe intraprendono una sciocca lite sul perché Ryugazaki non presti attenzione alla gente più bassa di lui. In realtà, sta osservando da vicino il bel fisico del turchino: sarebbe davvero perfetto per il nuoto.
    Scruta attentamente i deltoidi, dà una rapida occhiata ai polpacci ben evidenti anche da sotto il pantalone. Sì, potrebbe davvero funzionare.
    «Senti, Ryugazaki-kun» lo chiama, distogliendo la sua attenzione dal biondino. «Perché non ti unisci al club di nuoto?»
    La fissa perplesso – stessa espressione che vede ben presto dipinta sul volto dell’amico, che comprende subito il motivo per il quale la ragazza sia così interessata al giovane che sta loro di fronte.
    «Impossibile» risponde infine il blu, distogliendo lo sguardo. «Mi sono già iscritto al club di atletica.»
    Mizuko non sembra voler desistere. «Il club di atletica è davvero noioso.»
    «E tu che ne sai?!» le urla addosso, irritato dalla sua fastidiosa supponenza.
    La nuotatrice fa spallucce. In realtà non sa molto di quello sport, per cui non avrebbe il diritto di poterne parlare. Forse, in realtà, non riesce proprio ad ammettere che possano esistere persone che apprezzino altre discipline all’infuori del nuoto. La cosa è alquanto indigeribile.
    «Cosa c’è di emozionante in un tizio che fa un salto con l’asta?» chiede, seriamente dubbiosa.
    Rei la fissa sconcertato, aggiustandosi gli occhiali che sembrano scivolargli dal naso. È chiaro come lei non abbia mai visto davvero un atleta, si dice, mentre trattiene una delle sue solite risate maniacali.
    «Non capisci, vero?» le domanda, lasciando da parte la rabbia di poco prima. «Non può capire chi fa uno sport esteticamente brutto come il nuoto.»
    Mizuko sgrana gli occhi, mentre sente un fuoco divamparle dentro come il peggiore degli incendi. Nagisa l’afferra al volo, avendo previsto la reazione spropositata dell’amica. Come sempre, non è cambiata neanche in quello.
    «Ripetilo se hai il coraggio!» urla, mentre l’amico la trattiene per le braccia. «Quattrocchi esaltato!»
    «I-io non sono esaltato!» Rei si nasconde dietro una porta, certo che se la ragazza dovesse sfuggire a quella presa probabilmente lo ucciderebbe.
    «Rimangiati quello che hai detto!»
    Se si concentra, può veder uscire del fumo dalle sue narici. Deglutisce, certo delle sue convinzioni. «No!»
    «Ah!?»
    «Ho detto no!»
    «Nagisa, lasciami andare!» grida contro l’amico, in procinto di perdere l’equilibrio.
    «Mizu-chan, sta’ calma!» la rimprovera quest’ultimo, sperando di guadagnare tempo. Se ci fosse stato Makoto, sicuramente trattenerla sarebbe stato più semplice.
    «Sarà lento e doloroso, mi senti?!» Rei trema al sentire quella voce così iraconda. «Ti farò morire di atroci sofferenze, sai dove te la puoi ficcare quell’ast…»
    «Hoshino-san!» La voce del docente la riporta alla realtà, distogliendola dal suo soliloquio. «Che stai facendo?!»
    «Mi sto prendendo una vita sensei, ne stia fuori!» continua a rimbeccare, contorcendosi come una biscia. «Nagisa, lasciami andare!»
    «Aiuto! Makoto!» grida il biondino, nella speranza che l’amico più robusto possa sentire la sua richiesta.
    L'indaco, terrorizzato, proprio non riesce a capire il perché di quella reazione. Non osa muoversi da dietro la porta, certo che lei gli salterebbe addosso, pronta a spezzargli la cervicale.
   Deglutisce, immaginando la scena. È da quando l’ha vista in classe che quella ragazza non gli piace, e adesso sa anche il perché: oltre a quell’aria trasognante che si porta sempre addosso, il giovane atleta non sopporta lo sguardo con cui studia tutti, certa di poter avere tutte le risposte. Lui, che è così vittima di se stesso, non può comprendere cosa si celi dietro quel comportamento sconsiderato.
    Mizuko non è in grado di esprimere ciò che prova, se non così. D’altronde, non è mai stata brava a spiegarsi e, spesso, ha anche dovuto rinunciare a farlo. In fondo, quale beneficio avrebbe mai potuto trovare in persone che non la capivano?

    Si è sentita spesso sola, questo non lo nega. Eppure, in cuor suo ha sempre saputo di parlare una lingua che gli altri non capiscono; quella silenziosa e che non esprime mai, se non quando è in acqua.
    Mizuko, quando è arrabbiata, nuota. Quando è triste, nuota. Quando è felice, nuota.
    Non conosce un altro modo per pronunciarsi.
    Questo Nagisa lo sa perfettamente, e perciò non si meraviglia affatto che l’amica voglia scuoiare vivo un ragazzo che ha osato insultare ciò che le è più indispensabile. In realtà, gli viene da sorridere.
    Nonostante la tenga ferma e senta la voce del sensei tentare di farla ragionare, il nuotatore di rana pensa a tutt’altro, ormai lontano da quel furioso battibeccare.
    È per questo che lei ed Haruka sono così vicini, pensa. Perché provano le stesse cose.
    È malinconico, quel pensiero. Perché lui, che è tanto bravo a farsi comprendere, non ha la minima idea di che cosa si provi.
    Quando parli, ma nessuno ti capisce.





    Qualche ora dopo Mizuko esce dall’aula professori, sfinita. Suppone d’aver finalmente sfatato il mito d’essere una ragazzina per bene. Peccato, cominciava a piacerle l’idea d’essere trattata con un occhio di riguardo – nonostante il sensei non sia stato affatto duro con lei, ma si sia limitato semplicemente ad ammonirla.
    Tutto per colpa dell’orbo narcisista.
    Cos’ha provato durante la lite neanche riesce a ricordarlo. Sa solo di non essere stata abbastanza svelta da sottrarsi alla presa altalenante di Nagisa, che in qualche modo è riuscito a contenere la sua furia.
    Si dà della stupida, mentre ripensa al modo poco ortodosso di relazionarsi col compagno di classe. In fondo, è stata lei a cominciare.
   Percorre svogliata il corridoio d’ingresso agli spogliatoi, pronta alla ramanzina che sicuramente anche Amakata-sensei le avrebbe fatto – e d’altronde non si stupisce affatto, persino lei si sarebbe autopunita per il gesto sconsiderato di pensare d’uccidere un suo coscritto.
    Quando apre la porta che la separa dall’ingresso del club, Nagisa è già lì, con la faccia di chi ha voglia di fare un mare di domande. «Mizu-chan!»
    Haruka la guarda di sottecchi, continuando ad intagliare Iwatobi-chan dall’aria spenta, mentre un Makoto sempre più in ansia le si avvicina circospetto.
    «Cos’ha detto il sensei?» domanda, sperando che gli occhi verdi non tradiscano la sua eccessiva preoccupazione.
    «Niente di particolare» lo tranquillizza lei, portandosi una mano dietro la nuca. «Suppongo fosse solo sorpreso del mio atteggiamento.»
    Il bruno si alza in piedi, scrutandola con fare minaccioso. Mizuko sobbalza, vittima di quello sguardo blu che tanto ama e che adesso si sta avvicinando a lei sempre più iroso.
    «Ti rendi conto cosa sarebbe potuto accadere?» Il tono della sua voce è baritonale, non molto diverso dal solito timbro apatico, ma uno strano luccichio del suo sguardo rende manifesta una rabbia mal celata. «Ti avrebbero potuta sospendere.»
    «Lo so, ma io…»
    «No!» sbotta infine il delfino, afferrandola per le spalle. «Tu non lo sai, baka! Altrimenti non lo faresti.»
    Makoto e Nagisa rimangono in disparte, inquietati dalla scena mai veduta del loro amico così arrabbiato. Sotto certi aspetti sono quasi sollevati che qualcuno riesca a suscitargli un simile istinto. Si scambiano una veloce occhiata, prima di congedarsi silenziosamente da quella lite che sembra non riguardarli affatto.
    L’orca si volta a fissarli, prima di richiudere la porta alle sue spalle. Sorride. A vederli così, sembrano proprio una coppia di giovani innamorati, si dice, mentre raggiunge il primino.
    Mizuko rimane in silenzio, chinando il capo; vuole piangere, lo avverte dal modo in cui le tremano le palpebre.
    Tutti. Può davvero litigare con tutti, ma con lui proprio non ci riesce. Non riesce a rispondergli, a dirgli la verità, che lei non voleva, che l’è partita la testa nel momento stesso in cui ha sentito una voce insultare ciò che lei ritiene più prezioso.
    «Io…» prova a dire, ma si blocca.
    Le labbra le tremano, gli occhi gonfi non mettono a fuoco più nulla di ciò che un istante prima riusciva a vedere del pavimento, la gola secca le vieta qualsiasi tipo di spiegazione.
    Haruka è arrabbiato e lei si sente come una bambina insultata dal proprio genitore, mentre avverte la presa sulle sue spalle divenire sempre più stretta.
    «Mizuko» si sente chiamare, ma non ha il coraggio di guardarlo in faccia. «Di’ qualcosa.»
    Attende paziente una risposta della giovane, sperando si volti a guardarlo e gli conceda di vedere nel suo sguardo il motivo che l’ha spinta a comportarsi in quel modo. Sa cosa pensa lei; è convinta che lui sia arrabbiato – ed in effetti lo è – ma non riesce affatto a comprendere quanto si sia preoccupato quando Nagisa ha spiegato loro ciò che era accaduto.
    Gli succede solo con lei, di preoccuparsi. Forse perché tutte le persone di cui si è sempre circondato non sono così pazze da voler spellare vivo un liceale.
    China il capo, posando la fronte contro la sua chioma bionda; socchiude gli occhi, mentre trasforma la presa attorno alle sue spalle in un abbraccio pacato, privo di rabbia. Le sfiora la schiena con le dita, cercando di tranquillizzarla, quando i primi singhiozzi fuoriescono dalla sua piccola bocca, scuotendole la colonna vertebrale.
    «Scusa» la sente dire, mentre avverte le sue piccole mani stringergli la camicia. «È quello che ha detto lui… lui… non doveva dirlo.»
    «Cosa?»
    «Io ho solo l’acqua» continua la ragazzina, lasciando le lacrime scivolare lungo le guance. «Io non me ne sono accorta, davvero, volevo solo che si rimangiasse quello che aveva detto.»
    «Cos’ha detto di così sbagliato?» le domanda, cercando di trattenere un sorriso. Quando fa così gli sembra davvero di parlare a una bambina.
    «Che il nuoto è uno sport brutto» risponde, imbronciandosi. «Ma lui che ne sa, mica l’ha mai fatto, no?»
    Haruka sospira, serrando la presa attorno alla minuta vita di lei. «Sei proprio una baka
    «Lui lo è di più.» Mizuko alza la testa per fissarlo e, per un istante, si sente smarrito nel vedere lo sguardo di lei inumidito dalle piccole gocce attorno alle ciglia. «Lui è proprio un bako
    «Si dice baka anche per gli uomini» la riprende il corvino, dimenticandosi d’essere ancora incollerito.
    «Ah» gli risponde, scoppiando a ridere.
    Il delfino osserva la scena: stringe tra le braccia una ragazza dagli occhi rossi e gonfi che ha il sorriso perlaceo e il collo solcato da tanti piccoli rivoletti di frustrazione, rabbia e paura. Una ragazza completamente sbagliata, che attenta costantemente alla sua vita puntando a farlo ammattire.
    E c’è solo un modo per evitare che questo accada. «Smettila di andartene in giro solo con Nagisa.»
    Mizuko lo fissa, mentre il bel sorriso scompare. Studia attentamente il ragazzo di fronte a sé e riesce a scrutare un lieve rossore in prossimità degli zigomi.
    «A-allora la prossima volta vieni tu con me» dice, affondando il viso nella sua camicia. Se la guardasse adesso, il delfino vedrebbe solamente una grande faccia rossa.
    Haruka sorride. Quelle parole gli piacciono, gli piacciono terribilmente. Persino lui si sorprende d’accontentarsi di così poco.
    «U-uhm.» È un’affermazione, anche se non riesce a esprimerla come vorrebbe.
    È così rilassato da non rendersi neppure conto di quanto quell’abbraccio sia divenuto insolitamente lungo e intenso, ma non gli importa. Fin quando può stare con lei in quel modo, a lui non importa davvero.
    «Amakata-sensei mi sgriderà» continua a dire la piccoletta stretta tra le sue braccia. «Credi che se la raccontassi la verità mi perdonerebbe?»
    «Probabilmente» le risponde, lasciando scivolare le sue dita lungo i fili dorati di lei.
    Mizuko adora quel contatto. Adora sentire le mani di lui, così gentili e piene di riguardo. La fanno sentire speciale.
    Gli occhi le tremano, ma questa volta non è affatto per una crisi di pianto. Ogni volta che gli è vicina, non può fare a meno di pensare a quanto possa essere bello stare sempre con lui, bearsi del suo sguardo, tranquillizzarsi al suono della sua voce.
    Ripensa alle parole rivolte a Rin la sera prima: è vero, ad uno come lui non può piacere una svampita come lei. Ne è certa.
    E allora, perché? Perché vuole tanto illudersi che non sia come pensa? Perché vuole tanto credere di poter essere più di quello che è?
    La gente normale si accontenterebbe, in fondo. Quando due persone sono così incompatibili, di solito è un bene porre delle distanze. Eppure, lei non riesce a farlo. Ha paura.
    Paura di perderlo, paura di non poter più sentire le sue dita sfiorargli i capelli, il suo respiro giungerle lieve all’orecchio.
   Vorrebbe tanto trovare la forza per chiederglielo, ma sa di non essere coraggiosa abbastanza per farlo. È troppo imbarazzante, ma soprattutto la verità può farle male, e lei non ha alcuna voglia di soffrire ancora.
    «Sei ancora arrabbiato?» gli chiede, cercando il suo sguardo. Quando lo incontra, l’oceano si è finalmente placato.
    «No» risponde. «E comunque lo sapevo.»
    «Cosa?»
    «Che avresti trovato un’altra scusa assurda per abbracciarmi» le fa, sorridendo.
    La giovane sbarra gli occhi, evitando a tutti i costi di arrossire. È avvinta dal calore di quel corpo che le sta pressato contro e una strana sensazione la porta a credere d’essere un po’ vittima del ragazzo che le sta accanto: Haruka la conosce, sa cosa le piace, sa cosa la fa arrabbiare; fa esattamente quello che lei fa con tutti. Studia.
    Solo che lei lo fa un po’ più rumorosamente, ecco tutto.
    «A me piace abbracciarti, Nanase-kun» gli dice, con un sorriso nascosto nel bianco della sua camicia.
Il ragazzo rimane a contemplare la chioma bionda, cercando di scorgere il viso che vuole tanto vedere: come sempre Mizuko non è in grado di mentirgli, né di nascondere ciò che prova. Non vuole ammetterlo, ma quell’aspetto del suo carattere gli piace, e tanto.
    Non le risponde. Sa che con lei non ce n’è bisogno. Capisce i suoi silenzi meglio di chiunque altro.
    «D-dovremmo andare» la sente dire, mentre le piccole mani s’allontanano dal suo petto.
    Istintivamente stringe la presa, riportandola contro il suo torace.
    Non sa bene cosa fare, non è nella sua indole comportarsi in quel modo; si sorprende d’essere così vulnerabile quando è con lei. Come se si dimenticasse di tutto il resto. Persino in questo momento, con la piscina quasi pronta e gli amici in attesa di vederli, a lui non va di staccarsi da lei. Non gli va proprio.
    «N-Nanase-k…»
    «Haru.» Sente il cuore di lei accelerare i battiti. «Solo Haru.»
    Finalmente si volta a guardarlo; i suoi occhi disorientati sono davvero magnifici, si dice il corvino, mentre la osserva schiudere la bocca per lo stupore.
    Quella bocca, che è così tremendamente vicina alla sua.
    Le si appressa, sfiorando la punta del suo naso con la propria. Il respiro flebile di lei è un piacevole invito ad assaporare la dolce brezza di quei margini schiusi e tremanti. Nonostante questo ancora s’interroga, ancora si domanda cosa prova. Eppure, è ormai così evidente.
    Che desidera quelle labbra tanto quanto desidera nuotare.





NOTE:

[1] Dal francese: “Ci sarà un gran casino da pulire”.
  
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