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Autore: PervincaViola    30/03/2020    3 recensioni
Fangorn reca i segni del tempo più di Lothlórien, più di ogni altra foresta della Terra di Mezzo.
«Una volta anche tu non ti saresti fidato di me».
{Legolas/Gimli ♥ Three times they caught each other by surprise, and one time they did not}
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gimli, Legolas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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All'ombra degli alberi
 {Three times Gimli and Legolas caught each other by surprise,
and one time they did not}









 
Arod ritorna al fianco di Hasufel e dietro la guida di Ombromanto alle pendici della Foresta di Fangorn; Gandalf si avvicina al più maestoso dei destrieri di Rohan, dai crini lucenti e con gli zoccoli come diamanti, e Legolas si perde ad ammirarlo, accorgendosi di Arod e Gimli solo in un secondo momento.
Il destriero che il Maresciallo del Mark ha affidato loro è anch’esso una bestia splendida: Arod ha il manto pomellato, bianco di neve e ardesia d’acciaio, e la criniera argentea come le sponde dell’Anduin e le gambe sottili e nevrili di una creatura nata per correre.
«Ti sei goduto la scampagnata, bestione?» sbuffa il Nano quando il cavallo gli si avvicina e strofina gentilmente il muso contro la sua spalla, eppure gli accarezza furtivamente le froge frementi, con una dolcezza inaspettata per qualcuno dallo spirito di fuoco come lui.
Legolas si prende qualche istante per osservarli, prima di saggiare nuovamente la morbidezza del pelo dell’animale tra le dita quando e prima di montargli in groppa, e quando avverte la potenza dei suoi muscoli sotto le cosce e i talloni è certo che anche Gimli, issato dietro di lui, lo ricordi lanciato nel suo impetuoso galoppo. Il Nano è infatti teso come la prima volta che hanno cavalcato insieme, talmente immobile da parer davvero una delle sue amate pietre di Erebor, e Legolas non riesce a reprimere un sorriso.
«Braccia attorno alla mia vita, messer Nano» gli suggerisce, e a dispetto delle velate maledizioni che escono dalla sua bocca Gimli gli si stringe immediatamente contro, come se ne andasse della sua sopravvivenza.
Legolas lancia Arod al galoppo, nella scia di Aragorn e Gandalf, e attorno a loro il giorno lascia posto al tramonto e poi al crepuscolo, e di nuovo ad un’alba chiara e fredda. Rallentano l’andatura solo alla vista di Meduseld, un baluardo che s’innalza fiero sotto un sole rosso che sembra esplodere nel cielo.
«Siamo quasi alla fine di questo tormento, finalmente» commenta il Nano con uno sbadiglio, tentando in ogni modo di stiracchiare la schiena indolenzita senza che le sue mani abbandonino la presa attorno ai fianchi dell’Elfo.
«Non lo chiamerei tormento, sei tu che sei troppo rigido» ribatte Legolas, e anticipando la risposta inalberata dell’altro si affretta ad aggiungere: «Inoltre credevo che anche voi Nani foste soliti montare dei pony».
«Aye, è così. Ma certamente non sono così grandi» precisa Gimli, scorbutico, dopo aver taciuto per un momento. «E senza dubbio non se ne vanno a pascolare nel bel mezzo di una missione!»
La risata di Legolas si perde nella luce del giorno che nasce all’orizzonte.
 
Il mattino del loro commiato da Edoras, Legolas si leva che la città è ancora sonnolenta nella foschia dell’alba. Gli uomini di re Théoden già s’affaccendano svelti attorno ai propri cavalli e Legolas scorge Gimli fra loro, nelle immense scuderie del palazzo d’oro: il Nano parla ad Arod, e l’Elfo si stupisce di vederlo allungargli furtivamente quello che riconosce essere un quarto di mela – forse grinzoso e non più croccante, ma ancora dolce e succoso.
«Noi Nani non siamo fatti per stare a questa altezza. Ricaveremmo invece delle succulente salsicce da questo stupido bestione» borbotta Gimli più tardi, attento che nessuno dei Rohirrim sia in ascolto, mentre si rimettono sulla strada per il Fosso di Helm, e Legolas non riesce proprio a trattenersi.
«Salsicce accompagnate da salsa di mele e miele, mellon nîn?» chiede innocentemente.
A Gimli occorre qualche istante per realizzare le sue parole, dapprima confuso, poi rigido d’improvviso imbarazzo. «Maledetti voi e la vostra vista» bofonchia, ma senza alcuna convinzione.
«Potresti arrivare a cavalcare Arod da solo prima che la nostra avventura giunga al termine» scherza Legolas, chinandosi a carezzare il collo altezzosamente arcuato della loro cavalcatura, e le braccia del Nano si serrano con più forza attorno alla sua vita.
«Forse quando tu brandirai la mia ascia senza tremare di fatica, Elfo».
Sotto di loro, Arod sbuffa, scuotendo fiero la bianca criniera nel vento.


 
*
 
 
La notte è un drappo scuro che si distende sui Cavalieri di Théoden nella sosta tra le Montagne Nebbiose e le propaggini di Nan Curunír, un abbraccio che porta con sé sussurri lontani e stelle inquiete. Legolas percepisce ancora l’odore pungente dei Guadi lasciati indietro, alza gli occhi verso ovest, sulla grande spirale di vapore fumogeno che appassisce nella fioca luce.
Gimli dirige lo sguardo nella medesima direzione. «Quel fumo non promette niente di buono» considera, scuotendo la testa, e quando Legolas si volta a guardarlo lo vede pallido e immobile, bagnato dai raggi evanescenti della luna, e ricorda che è stato ferito appena due notti fa.
«Va’ a sederti» lo esorta, cercando poi con gli occhi le erbe medicinali che gli occorrono. «Devo controllarti la ferita».
«Sto benissimo!» protesta veemente Gimli. «Serve ben più di un Orco per mettere fuori combattimento Gimli figlio di Glóin!»
Legolas alza gli occhi al cielo, un sorriso esasperato che si fa strada sul suo viso, e si allontana verso l’erba alta, lasciando Arod nelle mani del Nano. «Ti raggiungo fra poco, mellon nîn».
 
Lo ritrova in un angolo remoto e silenzioso dell’accampamento, tra i Cavalieri già abbandonati al sopore e quei pochi che ancora s’attardano solitari davanti al fuoco. Gimli è sdraiato a ridosso di una piccola collina, le braccia appoggiate mollemente al proprio petto e l’ascia pronta accanto a sé, e osserva le stelle con espressione assorta; Legolas gli si siede accanto con la grazia che gli è propria e allunga una mano sulla sua fronte, a toccare la benda fortunatamente asciutta.
«Aragorn ha fatto un buon lavoro. Sento che il taglio si è chiuso» mormora il Nano con voce sonnacchiosa, quando inizia a levargli delicatamente il bendaggio, con tutta la leggerezza di cui dispone. La ferita, scopre, è coperta da uno strato di pelle fresca, vecchia già di qualche giorno, eppure Gimli sussulta lievemente quando l’Elfo gli sfiora la pelle con la punta delle dita.
«Ma non è ancora completamente guarito» ribatte con dolcezza. Allora gli passa una mano sulla fronte, a scostare gentilmente le ciocche ribelli che gli solcano il viso, e con l’altra applica sul taglio semichiuso un impiastro verde muschio, dal profumo intenso.
«Un intruglio elfico?» domanda Gimli, diffidente, tuttavia l’improvvisa sensazione di freschezza lo fa sospirare di sollievo.
«Impacco di felce e cerfoglio, ha effetti curativi» chiosa Legolas, mentre prosegue e cosparge con l’inebriante unguento buona parte della sua fronte, e divertito soggiunge «La tua testa dura di Nano ha subito pochi danni, anche se dubito di poter dire lo stesso della lama del tuo nemico».
A quella constatazione, Gimli ride di cuore, una risata piena e rumorosa, come uno scoppio di tuono, e totalizzante allo stesso modo. «Questa sì che era una battuta!»
Legolas si unisce alla sua risata, asciugando poi la mano in un panno morbido, e si concede di osservare il Nano: è nella stessa posa di prima, forse più rilassato, e ha le palpebre abbassate e la chioma che riluce con le ultime braci. Gimli ha i capelli folti e spessi, rossi d’autunno, dai riflessi di caldo rame, e la barba che è anch’essa una cascata di fiamme, e lui prova l’assurdo istinto di stendere nuovamente il braccio e passarvici attraverso le dita.
Gli occhi di Gimli si spalancano di stupore quando Legolas cede e tocca quei capelli inaspettatamente soffici, eppure non fa cenno di volersi muovere. «È apparsa una ferita anche lì senza che io me ne accorgessi, giovanotto?»
L’Elfo scuote la testa, elude la domanda. «Posso intrecciarti i capelli?» chiede invece, quasi con timidezza, anche se è consapevole che le trecce hanno un significato particolare nella cultura dei Nani, che, come gli Elfi, non si lasciano intrecciare la chioma da chiunque – anche se è certo che incontrerà un rifiuto. C’è un guizzo che illumina il viso di Gimli, tra gli occhi d’ossidiana che lo scrutano e la bocca che per un istante assume una piega stranamente compiaciuta, e Legolas s’immobilizza con la mano ancora fra i suoi capelli, esitante, già pentito della propria sfacciataggine.
«Solo una treccia» gli concede, infine, e quando Legolas si riprende dalla sorpresa deve imporsi di non sorridere largamente, di non sembrare uno sciocco. Si sistema più comodamente e passa le dita in quella matassa di fuoco, riavviandola e districandone i nodi sparsi e canticchiando tra sé e sé sopra al respiro pesante e regolare di Gimli che è come una nenia.
Domani, pensa, dovrà trovare un modo di spiegare quella treccia agli occhi attenti di Gandalf e Aragorn.
 

 
*


L’orizzonte disegna una linea sottile sporca di nubi e sangue, una gola che divampa e divora ogni cosa e che feroce li attende. La terra di Mordor sputa fiamme d’ombra e morte a miglia di distanza, eppure ha già avvelenato il cielo di Gondor: non c’è nessuna stella che abbacina lontana, nessun bagliore a poggiarsi sulle mura candide e stanche di Minas Tirith.
Gimli è una figura poggiata al davanzale di pietra, scura e all’apparenza inamovibile, non fosse per gli sbuffi di fumo e il carminio della brace che fuoriescono dalla sua pipa. Legolas occhieggia la stanza, l’armatura e l’ascia lucidata che giacciono accanto al letto – un monito di quello che li aspetta – e gli si affianca sotto quella notte senza stelle.
«Dovresti riposare» gli dice, eppure sa che nessuno riuscirà a dormire, non quando dovranno combattere una battaglia senza speranza, non quando sono sul ciglio dell’abisso e non rimane che cadere.
Il Nano inspira lentamente ed esala una lunga boccata di fumo che si disperde nell’aria in mille volute. «Anche tu, o almeno fare quella cosa inquietante che voi chiamate “dormire”» replica, e l’Elfo ricorda i propri sogni ad occhi aperti e pensa Ho paura di quello che potrei vedere tra veglia e sonno – ma non lo dice.
Ai loro piedi la città conserva il pallido bagliore dell’ultima candela che viene spenta, avvolta da un silenzio irreale che odora di paura; è Gimli a squarciarlo nuovamente, dopo averlo studiato la sua figura con la coda dell’occhio.
«Hai intenzione di andare in battaglia così?» gli chiede, e davanti alla sua espressione confusa indica i suoi abiti da combattimento con un cenno del capo. «Nessuna cotta di maglia, nessun elmo o scudo?»
Legolas abbassa lo sguardo sul giustacuore di cuoio, sui parabracci che indossa da sempre, e non riesce a capire.
«Gli Elfi non soffrono forse il lento declino del tempo, non conoscono l’inesorabile avvicinarsi della morte, ma in guerra frecce e lame trapassano anche la carne elfica» gli fa notare, rivolgendogli uno sguardo penetrante. «In guerra neppure tu sei immortale».
L’Elfo socchiude le labbra e quasi arretra di un passo, folgorato da quelle parole, e ha l’impressione che il mondo prenda a girare più veloce.
«Ti preoccupi per me, mel nîn?» domanda, la voce che rivela tutta la tenerezza che prova, e vede i cerchi di fumo che s’alzano dalla pipa di Gimli farsi sempre più piccoli e ravvicinati.
«Qualcuno dovrà pur farlo!» bercia alla fine, ammettendolo con una ruvidezza che nasce dal suo orgoglio.
Legolas ride piano, a dispetto di sé e del domani, e di qualunque sorte li attenda nella terra di Sauron. Cerca allora la mano di Gimli, enorme e rovente, che non rifugge la sua stretta sebbene il fremito delle dita tradisca lo stupore per quel contatto, e poi cerca i suoi occhi di una assurda trasparenza e li trova senza sforzo pur in tutta quell’oscurità.
«Abbi fiducia. In Aragorn e Gandalf, in Frodo» lo incoraggia, e mentre la sua mano viene stritolata da una stretta vigorosa il Nano solleva gli angoli della bocca, nel sorriso sgualcito dal sonno e dalla fatica di chi non ha ancora imparato a perdere. «Ci proteggeremo a vicenda».
 

 
*


Tutto ciò che c’è da abbracciare con lo sguardo sono alberi e foglie e tutte le sfumature che uno smeraldo può offrire. Fangorn reca i segni del tempo più di Lothlórien, più di ogni altra foresta della Terra di Mezzo, e lo racconta con il suo respiro incessante, con l’intrico di radici contorte che si sfiorano al livello della terra e le cortecce solcate da verde muschio e stille di resina.
Legolas procede lesto sotto il sole che gioca fra i rami più alti e le liane di licheni, impaziente di vedere e toccare ogni cosa, ma fermandosi spesso per indicargli un bocciolo dal colore insolito, per pronunciare per lui il nome elfico di un albero.
Gimli lo segue lento, Arod che gli cammina accanto, i timidi fiori del sottobosco che si piegano sotto i suoi piedi e il peso rassicurante dell’ascia contro la propria schiena; tiene lo sguardo ancorato alla figura che si muove leggiadra davanti a lui, un principe dei boschi, e scuote piano la testa, tramutando un sorriso in uno sbuffo – un Elfo fin nei lombi, pensa, ma senza alcuna acredine. Legolas si volta, lo guarda con gli occhi lucidi di felicità.
«Riesci a udire le loro voci?» chiede, entusiasta, e Gimli corruga drammaticamente le sopracciglia.
«Eppure pensavo che dopo tutto questo tempo ti fossi accorto che non ho le orecchie a punta di voi Elfi» brontola con ovvietà.
«Non è quello, mel nîn» replica, con un sorriso non scalfito dal sarcasmo del Nano, forse persino divertito. «Forse non puoi ascoltarli parlare, o comprendere con esattezza le loro parole, ma puoi avvertire lo scorrere della vita della Foresta. Il mormorio di una foglia che nasce o il frastuono di un arbusto che cade, la melodia del vento che fruscia tra le fronde più alte… È la natura che cambia e che si guarda cambiare».
Ritorna sui suoi passi mentre parla, poggia il palmo della mano su un tronco vecchio di secoli e segnato dalle scanalature, un bianco pallore sul marrone brunito, e nella sua voce c’è una tale emozione che Gimli ha l’impressione di avvertire davvero il palpito di vita della foresta, l’odore dell’estate che sta arrivando – per la prima volta realizza che c’è un intero cosmo intorno a loro, un luogo dove il tempo è un eterno ritorno come nelle caverne di Erebor. E Gimli il Nano, che ama le solide certezze e la stabile pietra che non cambia, si guarda infine attorno e si sofferma sulla chioma d’oro chiaro di Legolas che riluce sotto le fronde ora più rade, e pensa: è bella anche la luce fuggevole che danza fra gli alberi.
«E allora cosa dicono, questi alberi?» si costringe a domandare, dopo una pausa di silenzio, pur di non ammettere l’inconfessabile per un Nano. Riprende a inoltrarsi verso il cuore della foresta, e Legolas gli s’incammina alle spalle, la gaiezza inconfondibile nella sua voce.
«Si meravigliano che due compagni tanto diversi si siano avventurati all’ombra delle loro fronde».
 
Il crepuscolo scende in una morbida carezza di riflessi amaranto e ombre viola. S’accampano ai margini di una radura, nelle prossimità di un ruscello, un nastro d’acqua cristallina e ciottoli levigati che scorre sinuoso; Gimli v’immerge le mani e sospira, rigenerato dalla frescura, mentre alle sue spalle Legolas canticchia quietamente e prepara quella che sarà la loro cena. Si china aggraziato su bisacce e provviste, ma non accenderà alcun fuoco: nella foresta aleggia ancora il ricordo dei roghi di Isengard, della follia che ha trasformato il verde lussureggiante in terra bruciata – una ferita che impiegherà anni per rimarginarsi.
La carne salata è una delizia per il palato, accompagnata da una pagnotta scura e innaffiata dalla birra di malto che tanto piaceva a Merry e Pipino, eppure Gimli non riesce a ingoiare un commento su quanto sarebbe stato infinitamente meglio gustarla davanti a calde e allegre fiamme.
«Cerca di capire, mel nîn. Gli Ent e tutti gli abitanti della foresta hanno sofferto molto per le malvagità commesse da Saruman e pagato un caro prezzo per la propria libertà» spiega pazientemente Legolas, e Gimli rimugina in silenzio per qualche momento.
«Non riescono a fidarsi neppure di un Elfo?» chiede infine, schietto, ed è improvvisamente consapevole che il Nano arrivato a Gran Burrone tanti mesi prima non avrebbe mai osato formulare un simile pensiero.
Legolas lo guarda come se avesse compreso, inclinando leggermente il capo, e gli rivolge un sorriso pieno di tenerezza. «Una volta anche tu non ti saresti fidato di me».
Non c’è alcun rancore che vuole rivangare vecchi dissidi tra le loro razze, ed è una constatazione così inaspettata che le parole gli vengono meno, proprio a lui che ha sempre la risposta pronta sulla lingua, e si costringe allora ad accendere la pipa per non dover rispondere a sua volta. Per un istante pensa che, un tempo, quel fumo odoroso avrebbe fatto storcere il naso al bell’Elfo, e invece adesso Legolas gli rimane accanto e si limita ad alzare gli occhi per studiare le stelle che squarciano il cielo ad est e a cantare sommessamente una canzone così elfica, e così dolce – e Gimli davvero non sa spiegarselo.
 
Quando si coricano la luna è già alta nel cielo, un astro luminescente e panciuto. Gimli ha le palpebre abbassate e la mano pronta a scattare verso l’ascia pur nel dormiveglia – un’abitudine dura a morire dopo tutti i pericoli incontrati – quando ode una risata leggera.
A un braccio di distanza da lui, disteso morbidamente sul suolo erboso, Legolas ha gli occhi aperti e vigili. «Lo spirito della foresta non ti è ostile» gli dice, la voce che risuona carezzevole nel silenzio pacifico che li circonda, e il Nano grugnisce qualcosa che non sa bene come articolare, tuttavia abbandona la propria arma in un gesto che vuole essere di assenso.
L’aria fragrante promette l’arrivo dell’estate, ma c’è l’umidità della notte che scava nelle vesti, la rugiada che s’insinua sotto il mantello donato da Dama Galadriel e attraverso la coperta poggiata sul terreno, e Gimli rabbrividisce appena, maledicendo l’Elfo per non aver voluto accendere alcun fuoco. Eppure, lo sguardo dell’Elfo non l’ha mai lasciato, e prima che riesca a capacitarsene gli si fa vicino, è improvvisamente sotto il suo mantello a condividere con lui il suo lieve tepore.
Tutt’intorno è buio, ma alla luce della luna Legolas ha i capelli come onde d’argento, e gli occhi limpidi e impossibili, e quando le sue dita sottili s’avventura sul suo volto Gimli dovrebbe esserne sorpreso, eppure non lo è – e lo lascia fare trattenendo solo un po’ il respiro. Il Nano ne avverte il tocco delicato nella barba, su fronte e naso, in un impalpabile disegno che sale e scende e s’arresta sulle sue labbra.
Legolas accosta la bocca alla sua e lo bacia con la naturalezza disarmante del sole che tramonta, con un sorriso che non vuole dare a vedere ma che c’è.
«La foresta non ti farà del male, non finché sarai con me» lo rassicura, scherzando ma forse neppure così tanto, e con la sua mano ancora sulla gota Gimli riesce a pensare solo che è un Elfo e lui è un Nano, e capisce che non gli rimane altro da fare se non lasciar andare il proprio orgoglio – mai fidarsi di un Elfo, gli diceva suo padre, e guarda come sono finiti.
«Contare sulla protezione di un Elfo» mormora roco, mentre lo stringe appena sopra i fianchi e se lo porta più vicino, tra i capelli di Legolas che gli solleticano il viso e la sua risata quieta che gli fa vibrare il petto di riflesso, «Come mi sono ridotto».


 














Angolino della Vì:
Giuro che avrebbero dovuto essere flash, ma non so contenermi, e specialmente Fangorn esigeva il suo spazio ew. In ogni caso sono molto contenta di essere riuscita a pubblicare una seconda volta su di loro, sono diventati proprio una mia OTP ♥ E la sintesi di questi quattro momenti è: Gimli ha un cuore di panna, quindi amatelo come lo ama Legolas.
Il titolo è un rimando all’ultima parte del racconto: è quello che avrei utilizzato se fosse diventata una OS a sé stante e mi dispiaceva non usarlo. Spero di essere riuscita a rimanere abbastanza fedele alla caratterizzazione del libro, ma rispetto a questo un riscontro tramite recensione mi fa sempre piacere!
Spero di avervi regalato una buona lettura! As usual, stay home & stay safe ♥


 
Varie note: 1) In realtà Gimli cavalca con Gandalf mentre si dirigono a Edoras; 2) Non so se ci siano effettivamente delle usanze specifiche per le trecce, ma credo davvero che abbiano un significato presso Elfi e Nani (ho trovato molte fanart sul braiding e dovevo scriverci sopra, ecco la verità); 3) Se in qualche punto viene descritta l’armatura di Legolas a me è sfuggito (al limite mi appoggio al movieverse); 4) Il punto di vista è diventato quello di Gimli perché volevo un pov esterno su Legolas che ammira gli alberi, ecco.
Mellon nîn: amico mio
Mel nîn: mio caro/adorato (come già detto, Gimli non capisce niente)
 
   
 
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