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Autore: Mercurionos    31/03/2020    2 recensioni
In un breve dialogo introspettivo, un autore si confronta con il peso della propria creazione. Tanto tempo passato a giocare credendosi dio di un mondo in cui forse non credeva abbastanza hanno annebbiato la sua vista e, ora che si è convinto di aver capito come funziona la vita, viene salvato da un'idea.
Questa è una breve storia che ho scritto come per "chiedere perdono" a quei personaggi che sono rimasti intrappolati nelle mie storie. Sì, è abbastanza arzigogolata e filosofeggiante, ma è nata dal desiderio di poter scrivere in modo quanto più accurato e rispettoso nei confronti di coloro che hanno creato i mondi che tutti noi amiamo.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Trascendenza

“Umano.”
 
Mi svegliai, chiamato da quella voce.
 
Trasalì.
 
Quello che mi trovavo davanti era Vegeta.
 
Hah, divertente. Quanto cazzo ho bevuto, ieri?
 
No, sono astemio. Credo. Chi sono?
 
Chiusi gli occhi. Li riaprii. Era ancora lì. E mi guardava dritto negli occhi.
 
Vidi di nuovo gli occhi mia madre, quando stava per picchiarmi, un’altra volta. Gli occhi di mio padre, mentre si ergeva davanti a me definendomi una delusione. Erano gli occhi del professore che ritenevo meno stronzo, quando mi diede un cinque immeritato. Gli occhi del mio maestro di pallavolo, quando capì che mi ero tirato indietro. Gli occhi di quel vecchio amico che non vedo da tempo, quando comprese che gli avevo mentito, senza motivo.
 
Ebbi paura, e sperai di svegliarmi presto da quell’incubo orrendo.
 
Ma non accadde.
 
Sentii il sudore strisciarmi gelido lungo le tempie e cadermi sulle gambe. Fu allora che mi accorsi di dove fossi: ero seduto su una sedia, nel centro di un’infinita stanza nera. Mi sentivo legato come un criminale di guerra, ma non lo ero. Alzai le braccia, gustando quella ritrovata libertà.
 
Vegeta si trovava ancora dinanzi a me. Seduto anch’egli su una sedia uguale alla mia, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Continuava a fissarmi, senza emozioni. Non stava dicendo nulla, né pareva voler parlare. Mi alzai, deciso ad esplorare quell’insolito sogno.
 
“Sta’ seduto.”
 
Crollai sulla sedia. Strano, non volevo ascoltare le parole di quel Vegeta, ma mi ritrovai incollato alla seggiola in una frazione di secondo. Questo sogno è particolarmente noioso, uno di quelli che non ricorderò nemmeno nel momento in cui mi sveglio.
 
Vegeta si alzò e mi venne incontro: “Vuoi sapere quando ti sveglierai?”
 
Oh, ha capito a quello che pensavo.
 
Un istante che durò un’eternità ebbe luogo di fronte al mio sguardo. Vidi chiaramente la mano dell’uomo alzarsi di scatto, chiudersi salda su sé stessa per poi proiettarsi sul mio setto nasale. Mi sentii esplodere, il cervello mi sobbalzò avanti ed indietro nel cranio. Un tremendo dolore saettò attraverso il mio corpo mentre volavo per aria, ero stato colpito in volto ma sentivo soffrire le ossa delle gambe, come affilate lame di vetro che mi trapassavano da testa a piedi. Caddi a terra ruzzolando più e più volte, la mia faccia dilaniata macchiò il terreno di caldo sangue.
 
Finì di rotolare, ma non urlai: istintivamente portai le mani al volto, ed era ancora intatto.
 
Devo svegliarmi, non posso rovinare tutta la giornata perché il mio subconscio ha deciso di farmi soffrire.
 
“Non è il tuo subconscio, terrestre. Sono io.”
 
Allora non intuisce. Sa!
 
“Sì, so. Se prestassi attenzione, idiota, avresti notato che non ho ancora aperto bocca.”
 
Era vero! Vegeta mi stava parlando, ma le sue labbra restavano sigillate. Che comoda la telepatia nei sogni. Perché non mi capita mai?
 
“Non aprirai gli occhi fin quando non avrò recapitato il mio messaggio.”
 
Tentai di rialzarmi in piedi, ma feci un errore. Il saiyan si trovava già sopra alla mia testa, roteando un colpo micidiale sul mio cranio. Crollai in avanti, spezzato, sfracellandomi sul suolo. Sentii il collo staccarsi di netto dal resto del corpo, come il tappo di uno spumante agitato un po’ troppo. Ma di nuovo, era tutto svanito poco dopo. Stetti seduto a terra e, ammetto leggermente intimorito, guardai gli occhi di Vegeta.
 
Il suo sguardo era dolore. Per nulla differente dalle due martellate che mi aveva scagliato contro. Solo a quel punto pensai più a fondo: perché mi stava infliggendo quel dolore surreale?
 
“Perché? Perché ti credi un dio.”
 
Udii il mio fiato congelarsi, i legamenti contorcersi dallo spavento. La situazione era troppo ridicola per la mia testa: un personaggio inesistente mi stava accusando di comportamento blasfemo. Ripensai ancora un attimo e sì, credo proprio di essere astemio. Magari quelle cotolette non erano freschissime, dopotutto.
 
“Ti sembrava inesistente il dolore che hai percepito?”
 
Cosa? No, per essere in un sogno, capivo perfettamente di aver sofferto.
 
“Allora comprendi la realtà in cui vivo.”
 
La mia mente si svuotò. Realtà? Lui non vive, è…
 
“Inventato. Tutti voi pensate ciò, come prima cosa. Ma non per questo sono meno degno di essere vivo.”
 
Non pensai. Non avevo obiezioni, né risposte. Semplicemente, forse non stavo capendo.
 
“Con la tua mente, con i tuoi mezzi, è così che hai creato tutti quei mondi. E in tutti quei mondi hai messo me. E bravo il signor dio, gli basta un’idea e una penna, del tempo e una tastiera. E il desiderio di fare di me ciò che vuole.”
 
Ciò che voglio? Cosa sta dicendo?
 
“Scrivi di me?”
 
Oh no, è questo a cui fa riferimento. Forse si è arrabbiato per quella volta che l’ho messo alla cassa di un McDonald’s. Merda, l’ho anche ficcato in azienda. Ma… mi sono impegnato tanto!
 
“Pensi davvero di conoscermi?”
 
Che significa? Certo che lo conosco, è il principe Vegeta. Dragon Ball, capitolo… 228, uno dei momenti più iconici della cultura contemporanea, oserei dire.
 
“Bastardo, anche tu cominci da lì.”
 
Spaventato pensai ad altro. Ma mi venne in mente solo Vegeta, Vegeta, Vegeta. La sua morte, la sua arroganza, la sua cecità. Ma poi anche il suo sacrificio, la sua sincerità, la sua ascensione.
 
L’uomo stette a fissarmi in silenzio.
 
“Perlomeno non neghi l’accaduto.”
 
Negare? Cosa devo negare?
 
“Tu pensi di conoscermi. Ti sbagli. Io non sono quella persona. Io non sono un’immagine, un’ombra proiettata su fredde pareti. Tu vedi, ma non osservi. Credi a quello che vedi, a quello che leggi. E ad un certo punto… fai tue quelle memorie.”
 
Vidi davanti ai miei occhi il volto del saiyan. Lo vidi affrontare Goku, in quella landa desolata, a lamentarsi del poco sangue versato, a vantarsi della feroce spietatezza dei saiyan. Ricordai quel sadico e spiacevole sorriso, accompagnato dalla solita cantilena sull’essere il principe dei saiyan, sull’avere un cuore di pura rabbia. Se quello era il principe dei saiyan… Uff, non immagino i suoi sudditi.
 
“Deficiente!”
 
La mia testa si svuotò di nuovo. Istintivamente mi sbilanciai sulla schiena, pronto a fuggire all’indietro. Che stupido, dove sarei fuggito?
 
“Quella non è realtà! Tu vedi ed impari a vedere! Ma ti sei limitato a conoscere solo ciò che desideravi. La tua stupida, cieca fede nelle tue opinioni connetteva le tue idee su di me a ciò che sono veramente! Vedevi il mio volto, così pensavi al mio retaggio. Ma non sei mai andato oltre le tue stesse convinzioni.”
 
Io, limitato? Cos’altro potevo fare se non vedere e far tesoro delle mie memorie?
 
“Quello che chiami tesoro non è altro che muffa, un velo che ti copre la vista, una nebbia che ti occlude la mente. Hai deificato insulsi concetti di ferocia e violenza, creando nella tua mente mondi in cui ho vissuto come una belva, e così hai fatto vivere tutto il mio popolo, come tanti altri. Ma tu, atteggiandoti da dio, non hai dato peso alle tue macchinazioni e hai proseguito per la tua strada, mai la tua mente è stata lambita dalla possibilità che i tuoi ideali fossero sbagliati.”
 
Abbassai lo sguardo. Erano troppe informazioni, troppi paroloni complicati dei quali non comprendevo il significato.
 
“GUARDAMI!”
 
I miei occhi si chiusero serrati. Avevo davvero paura. Paura di guardare, di sapere, di pensare. Se solo con il mio pensiero creavo dolore, allora tanto valeva non pensare.
 
“Anche tu non sei altro che un arrogante ladro di anime. Quante menti, quanti corpi hai deturpato per il tuo divertimento?”
 
Non lo so, non so cosa significa!
 
“Significa che sei tu la causa. In un certo modo, sei la causa di tutto ciò che tu e i tuoi simili vedete.”
 
Il mio pensiero ammutolì.
 
Smisi di guardare il nero pavimento.
 
Nella mia mente ancora vedevo la vivida immagine di Vegeta, il suo sguardo furioso, iniettato di sangue, rivolto su di me.
 
E alzai lo sguardo.
 
Guardai quell’uomo.
 
E poi lo vidi.
 
Quello… non era Vegeta.
 
Se è per questo non era nemmeno un uomo. E non si stagliava sopra di me, era nelle mie mani. Quello che stringevo tra le mie dita era un libro, un piccolo volumetto tascabile con delle scritte colorate. Sulla copertina un ragazzo dalla capigliatura ridicola mi salutava. Un numero catturò la mia attenzione.
 
19.
 
Sfogliai rapidamente le pagine. Eccolo.
 
Quella vignetta è fantastica. Sento il rumore del vento, il battito dei loro cuori. Li vedo, li guardo direttamente.
 
Cosa ho fatto finora?
 
Quelli che vedevo nella mia memoria non erano che riflessi. E mi ero accontentato.
 
Non sbagliavo.
 
Ma la mia idea non era realtà.
 

 
Uscì da quella stanza che mi sembrava infinita. Non c’era luce, quindi supposi che non ci fossero pareti. In verità erano solo pareti nere.
 
Fuori era notte, le stelle brillavano nel cielo insieme alla luna. Che sogno fantastico che stavo vivendo: nemmeno dal mio appartamento, nelle notti più tranquille, ormai si vedevano le stelle.
 
Allora mi girai e guardai la porta che avevo appena valicato. Forse dovrei rientrare e dirlo a tutti.
 
“Guardate cosa ho trovato, è il volume 19. È bellissimo.”
 
“Ehi, avete letto l’ultimo capitolo? Non si può proprio raggiungere Toriyama, si vede davvero che non è lui a disegnare.”
 
“Non ti è piaciuto il film? Come mai? Perché fai così? Voglio saperlo, davvero!”
 
“Parlarne con altri è una delle cose più belle.”
 
Che utopia.
 
Fossi rientrato forse, per un motivo o per l’altro, non sarei più uscito.
 
Allora presi il libricino che avevo stretto in mano e lo gettai nell’oscurità di quella stanza gridando: “Guardate!”
 
Lasciai la porta aperta.
 
Mi voltai e le stelle erano svanite all’orizzonte.
 
Ma era ancora notte, così decisi di correrle dietro.
   
 
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