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Autore: Sophie_Wendigo    07/04/2020    1 recensioni
- Lei, da bambina, di nascosto, leggeva storie di mare, di assalti, di tesori, di pirati, e si sentiva più viva che mai. -
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Una elaborazione del personaggio di Elizabeth Swann, con il pretesto dei vuoti fra film e fra scene originali, ma con un (grosso) pizzico di Sparrabeth :D
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elizabeth Swann, Jack Sparrow
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Era subito tornata a sedersi al suo posto, scompostamente, lo sgabello che gemé quando vi si abbandonò sopra di nuovo, troppo stanca per rimanere in piedi, la testa completamente svuotata, lo stomaco intrecciato e un peso sul petto che, ne era certa, presto o tardi l’avrebbe soffocata.
Elizabeth Swann non si curò dell’entusiasmo degli altri, che inebriati dalla prospettiva di salvare il loro capitano perduto già si avviavano alle scialuppe, ormeggiate fuori dalla baracca di Tia Dalma, guidati da niente meno che il Capitan Barbossa ritornato dalla terra dei morti.
Neppure lo sguardo insistente di Will la scosse dal suo torpore, sentiva i suoi occhi preoccupati su di lei, qualsiasi donna non avrebbe potuto desiderare di meglio: Il suo amore per lei era come miele, dolce, dolcissimo, l’avvolgeva, viscoso, le colava addosso, fino a sommergerla, le scivolava in bocca, negli occhi, nel naso, la faceva sua, tutta sua in un tiepido mare di melassa che l’avrebbe protetta, salvata, annientata, avrebbe ovattato ogni dolore, per sempre.
Si aspettava da un momento all’altro che la raggiungesse, che la baciasse, e l’aiutasse ad alzarsi e a raggiungere il resto della ciurma, ma lei non si sarebbe mossa, si sarebbe sgretolata come una scultura di sabbia sotto le sue labbra, e si sarebbe sparsa a terra, scomparendo nelle fessure del pavimento rovinato. 
Questo desiderava: pagare per quello che aveva fatto, non meritava altro. 
Ma forse la punizione che le spettava non era di sparire, polvere fra le crepe nel pavimento, era di rimanere intatta, e continuare a tormentarsi per aver condannato a morte Jack Sparrow, per essersene pentita, e per non desiderare di affogare nella melassa come qualsiasi ragazza della sua età.
Ma Will non tentò di salvarla, non ancora, dissuaso da un cenno della Sciamana che lo invitò a raggiungere gli altri e lasciarle sole. 
Tia Dalma si inginocchiò di fronte alla ragazza, i suo occhi neri, profondissimi, invasero il suo campo visivo, costringendola a riemergere dal vortice di pensieri in cui si stava lasciando trasportare. Ancora non sapeva cosa, ma c’era qualcosa di spaventoso e attraente in quegli occhi.
“Pensavo saresti stata felice di poterlo salvare, Bambina, di poter disfare ciò che è stato fatto.”
Elizabeth sentì il respiro fuggirle dai polmoni, e il peso sul petto schiacciarla ancor più forte. “Non so di cosa tu stia parlando.” Sussurrò a corto di fiato.
“Non mentirmi Bambina, non ce n’è bisogno. Ciò che hai fatto non è sbagliato, il motivo per cui l’hai fatto lo è.” Si alzò, torreggiando su di lei ancora seduta sul basso sgabello, che la guardava con gli occhi gonfi spalancati, già carichi di lacrime e rabbia. “Non è giusto affidare alla morte una tua scelta. Non è giusto per te, né per William, né per Jack.”
“L’ho fatto per salvarci tutti.” La voce uscì come un sibilo dai suoi denti.
“L’hai fatto per non decidere.” Quelle parole caddero come macigni nel silenzio della stanza. “Riposa la tua mente, riposa il tuo cuore, Bambina, ti aspetta un lunghissimo viaggio. Arriverà un momento in cui la tua mente non ti riconoscerà più tanto sarai cambiata, ma il tuo cuore saprà ciò che è giusto fare ed essere, il cuore non mente mai.” Le carezzò i capelli biondi ancora incrostati di sale, poi scendendo con la punta delle dita sul suo viso madido di lacrime e sudore, le tracciò ghirigori misteriosi sulle labbra, le palpebre, la fronte, al ritmo cantilenante della sua profezia.
Elizabeth era accecata da quelle accuse, da quelle parole così dolorosamente schiette, ma il tocco dei suoi polpastrelli sembrò ammansire il turbinio di pensieri che di lì a poco l’avrebbe fatta esplodere distruggendola, le lasciò la mente più silenziosa, intorpidita ancora, ma non dal dolore, da una stanchezza profonda, che le chiedeva solo di dormire e riposare.
 
Non riusciva a respirare, l’aria calda faticava ad entrarle nei polmoni, sentiva il petto e il ventre costretti, come da uno sgradevole abbraccio. 
La luce l’accecava, iniziava a girarle la testa, annaspò un ultima volta e poi il vuoto, il vento che le sferzava i capelli perfettamente acconciati sotto al suo cappellino col nastro di raso, il vestito preziosamente ricamato si agitava nell’aria come se volesse strapparglisi di dosso, e poi, l’acqua, fredda, salata, la luce che riverberava in mille sfaccettature sopra di lei, il peso del mare addosso, che la spingeva sempre più in basso.
Poi niente, e poi una presa salda l’afferrò per le spalle, un braccio le scivolò attorno alla vita, senza tante cerimonie, sgraziatamente. 
Due occhi neri puntati sul suo viso, incorniciati da capelli corvini fittamente intrecciati che fluttuavano nell’acqua agitata da mille bolle, non la persero mai di vista, come nella puerile convinzione che non sarebbe scappata fra le braccia della morte fintanto che non avesse smesso di guardarla.
Non respirava da minuti ormai, ma se morire significava continuare ad essere guardata ancora per un pò da quegli occhi, tutto sommato le andava bene.
Di nuovo buio, e all’improvviso, quell’abbraccio soffocante che le impediva di respirare, si sciolse. L’istinto le ordinò di prendere ossigeno, di riempirsi i polmoni, tossì fuori fiotti d’acqua salata, e finalmente respirò, l’aria le bruciò la gola, svegliandola da quelle visioni brumose. 
Un volto spigoloso, cotto dal sole, gli occhi neri che ancora non si erano staccati da lei, quando riuscì a mettere a fuoco le sembrò di annaspare di nuovo in quello sguardo profondo, in cui vorticavano preoccupazione, sollievo e curiosità.
Un infinito attimo di calma, subito interrotto da voci concitate, passi pesanti, uniformi, lame, fucili, suo padre. 
Si ritrovò con una catena al collo, nelle mani dell’uomo misterioso che l’aveva salvata, che adesso cercava di salvare se stesso.
“Siamo pari adesso.” Quella voce soffiata le rimbalzava fra le tempie, pochi centimetri li separavano, non era mai stata così vicina a qualcuno, tantomeno ad un uomo, tantomeno ad un pirata. 
Il cuore le batteva impazzito, l’odore di salsedine mischiato ad un accenno di rum le pizzicava il naso, fissava quegli occhi furbi in cui sarebbe volentieri annegata un istante prima, e adesso era furiosa, spaventata, forse no, forse eccitata, si sentiva viva, era mai stata così viva? Ed era giusto sentirsi vivi nelle grinfie di un pirata? Lei, una giovane dama indifesa, figlia del governatore, con un brillante futuro d’avanti, con spasimanti degni delle migliori favole che le leggevano da bambina, non poteva che essere terrorizzata, e furente per un simile affronto. 
Eppure lei, da bambina, di nascosto, leggeva storie di mare, di assalti, di tesori, di pirati, e si sentiva più viva che mai.
Jack Sparrow sembrò cogliere che quell’ira stava mascherando qualcosa, dietro quel viso d’angelo intravide una scintilla che aspettava solo di essere resa incendio e inferno, quindi continuò a sfidarla con lo sguardo, chissà quanto avrebbe resistito? Si sarebbe divertito a giocare all’infinito con una tale meraviglia, ma il tempo stringeva, quindi si limitò a saziarsi la vista con quella creatura tremante e in bilico, e come sempre razziò ciò che potè: la strinse ancor di più a sé e godé nel sentirla fremere, fra rabbia ed eccitazione, annusò i suoi capelli e distinse sotto la salsedine il profumo di balsami pregiati, gettò lo sguardo sul suo corpicino perfettamente delineato dalla sottoveste bianca ancora zuppa di acqua di mare, e infine, con un ghigno soddisfatto, sussurrò:
Piratessa
Poi la baciò, un bacio che si prese il suo tempo, la lingua calda e dolciastra che le leccò via l’acqua salata dalle labbra, i baffi arricciati che le solleticavano il viso. E poi fuggì.

 
Elizabeth trasalì, quel nomignolo che echeggiava ancora tutt’attorno, si sarebbe voluta gettare al suo inseguimento, picchiarlo fino a farlo pentire di averla provocata, e baciarlo fino a pentirsene. Al diavolo Port Royale, il Commodoro, suo padre, Will, la sua vita da principessa.
Ma ciò che vide, non fu Port Royale, o la silhouette di Jack in lontananza mentre tentava una rocambolesca fuga, ma piuttosto il cielo stellato, lo sguardo indecifrabile di Tia Dalma che si stagliava in mezzo ad alcune facce preoccupate della ciurma, e Will accanto a lei ma più distante che mai. 
Era sulla scialuppa, in viaggio verso il primo porto in cui trovare una nave con cui partire per la fine del mondo, aveva sognato.



La quarantena gioca brutti scherzi: tipo la voglia di scrivere dopo ANNI che non scrivi, tipo la pazza idea di ricominciare a scrivere proprio con una sottospecie di studio introspettivo di Elizabeth post maratona di POTC, e poi ma sì, dai, facciamolo anche Sparrabeth già che ci siamo :D

Auguro buona fortuna a coloro che si spingeranno fino in fondo a questa strana creatura/creazione <3 
 
PS: Recensioni molto molto molto ben accette, mi farebbe davvero piacere avere dei pareri dopo così tanto tempo che non scrivo qualcosa!
 
  
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