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Autore: raven rachel roth    09/04/2020    2 recensioni
"Una Fiaba Sterile" non è una vera fiaba per bambini. Non ci sono principi e principesse, è una fiaba finta, una fiaba che rappresenta chiunque. Questa fiaba è "sterile" perché i personaggi sono sterili di emozioni oltre che di senso letterale.
Liberamente ispirata al personaggio di Ermione della "Andromaca" di Euripide, in un'altra realtà, condizione sociale e nazione.
Genere: Drammatico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Una Fiaba Sterile


Avanzava lentamente.

Non si capiva come facesse a camminare, a porre un piede davanti all’altro.
Avanzava e basta. Sembrava un fantasma, ma non per il volto emaciato o i modi assenti, no. Il volto e i modi non si vedevano neppure.
Sembrava un fantasma vero, di quelli che circolano come pilastri coperti da un telo e i drappi e gli orli nascondono le forme del corpo.
Se qualcuno fra i presenti non avesse saputo la tanto chiacchierata vicenda, certo non avrebbe capito che sotto quel rotolo di tessuto, quel fagotto ambulante, vi era una persona.
Ma questo dubbio non lo aveva nessuno. Tutti sapevano e comunque di rotoli colorati se ne vedevano in giro. Alcuni spingevano addirittura delle carrozzine. Raramente per le vie secondarie, più comunemente dietro le colonne delle case aperte.
E le notizie correvano. Sotto quei rotoli si celavano fili intrecciati, tessuti fitti fra loro, canali di comunicazioni trasparenti, pronti a rendere visibile ogni nuova vicenda interessante.
Così, di nascosto, si comunicava e si apprendevano le cose, e così, di nascosto, si era saputa anche la sua favola.
 
Intanto il fagotto avanzava, sotto gli sguardi sdegnosi e le labbra corrucciate, pronte ad umiliarlo. Nessuno poté vedere gli occhi serrati, le guance aride.
Doveva aver pianto, ma d’altronde “per un marito morto si piange. Non farlo è peccato”.
Quello che era un po’ meno scontato però, era il fatto che la donna non aveva pianto per il lutto, quanto per la sua condizione. Provava semplicemente paura.
Aveva vent’anni ma il corpo ne dimostrava molti di più.
 
L’infanzia era stata abbastanza felice, in una Casa Bianca e squadrata. I ricordi della madre erano di una donna silenziosa dai modi teneri e dal corpo minuto. Quelli del padre, di un uomo vecchio con i capelli bianchi e il corpo tozzo e abbondante. Ricordava quando, tornando il pomeriggio dopo una giornata di lavoro, sedendosi a gambe incrociate sul tappeto di lino rosso, la faceva accucciare sulle sue ginocchia raccontandole fiabe che parlavano di animali meravigliosi. Aspettava con ansia quel momento. Si affaccendava per casa tutto il giorno insieme alla mamma, poi correva a preparare un buon Darjeeling per il padre.
 
Ora, invece, spingendo i piedi faceva passi piccoli, cercando di rallentare il corteo che seguiva. Si fermò un attimo vedendo il padre fra la folla.

Un pomeriggio più caldo degli altri era rientrato prima del previsto. Non aveva avuto il tempo di preparare il tè. Imbarazzata, era corsa a salutarlo con un abbraccio ma il padre la respinse con uno sguardo severo, strano.
Quello sguardo non si addiceva a quel volto buffo e paffuto.
«Il prossimo mese ti sposerai. Ho trovato un buon pretendente, ha disposto tremila rupie per il matrimonio.»
Poche parole, concise.
Non vi era traccia dei colori che il padre usava per descrivere gli animali protagonisti delle sue storie. Lo guardava con incertezza, come si guarda qualcuno che ti ha “regalato” qualcosa che non puoi né rifiutare, né cambiare per educazione… ma che in fondo non avresti voluto. Suo padre, però, era comunque un uomo.
«Purtroppo, ho dovuto rassicurarlo per la sua iniziale diffidenza… sei sempre stata piccola di statura, era timoroso di non avere figli. Ma tu sei forte, gliene darai molti, vedrai.»

Quel pomeriggio la sua infanzia era finita. Improvvisamente si era accorta di avere un corpo, un seno, un ventre e i suoi quindici anni diventarono pesanti.
Il tempo delle fiabe si era concluso.
 
Un altro rotolo pesante la spinse, sussurrandole sgarbatamente di riprendere il cammino.
 
C’era stato il matrimonio. Semplice, veloce, sbrigativo. Aveva avanzato lungo un corridoio con tappeti ricamati di fili oro e arancio, con un velo le cui fronde perlinate pendevano sulla fronte. Anche allora era stata un rotolo. Aveva scambiato la promessa di moglie. Sarebbe stata un tempio per il marito, fortezza della casa, generatrice di forti figli, aveva promesso. Ne avrebbe avuti tanti quanti una gatta in calore, aveva pensato, così nessuno avrebbe potuto lamentarsi del suo corpo e la casa sarebbe stata protetta dagli dèi. Non aveva neanche visto il marito in faccia. Per quello c’era ancora tempo. Dopo la funzione, gli uomini andarono a festeggiare, le donne a preparare la sposa in camera da letto. Nella sua vita era arrivato anche quel momento. Qualche ora più tardi, il suo cuore avrebbe battuto più del dovuto.
 
Due vicine di casa sussurravano parole note a tutti che il rotolo poteva sentire, lungo la sua marcia. I modi villani attirarono la sua attenzione. Si fermò ancora. Ci fu uno scambio di sguardi improvviso e le donne si zittirono, colte a sparlare dal loro oggetto di pettegolezzo. Il rotolo non si stupì nemmeno.
 
Un’ombra esile entrò nella stanza buia. Accese una candela e si sedette sul letto. Il rotolo guizzò con gli occhi fuori dalle lenzuola, con l’orlo che lo copriva interamente fino al naso.
L’ombra si girò e finalmente poté vederlo. Le sorrise.
«Ecco mia moglie.» le aveva sussurrato.
Si sedette scostando il lenzuolo e le si avvicinò, liberando finalmente il rotolo dai pesanti veli colorati. Adesso la moglie aveva finalmente un volto. La fronte era sudata, un po’ per l’ansia di non piacere al marito, un po’ per il calore asfissiante che si concentrava sotto la stoffa, e un po’ per quello che sarebbe accaduto di lì a poco. L’uomo guardò quel viso liscio e giovane e fu colto dalla sorpresa. Si studiarono a lungo, cercando di memorizzare i dettagli del viso, l’uno dell’altra. L’uomo era decisamente più vecchio. Doveva avere trent’anni o più. Aveva un naso lungo, occhi piccoli e guance senza spigoli. Aveva pensato che fosse un bell’uomo, normale. Trovava i suoi baffetti a punta buffi. L’uomo si mostrava davvero stupito. I suoi occhi viaggiavano ovunque.
«Perché non parli? Non ti piaccio?» le chiese. Le era stato insegnato che gli uomini non chiedono mai, che i mariti sono liberi di prendere dalle mogli. Quella domanda le era sembrata strana, perciò si era limitata a far “” con la testa, senza aprire bocca per rispetto.
L’uomo dai baffi buffi le prese con uno scatto il viso fra le sue mani piccole, pur con una inappropriata delicatezza. La guardò ancora.
«Sai, sei molto bella, mi piaci molto. Aspetto questo momento da molto tempo, da quando tuo padre mi ha mostrato la tua foto. Sarà una splendida notte.» Non le diede tempo per pensare. Di lì a poco, le sue mani piccole avrebbero preso a serpeggiarle ovunque, spogliandola con piccole morse. Pensò che quelle mani si stessero espandendo sul suo corpo, un corpo che non aveva mai guardato nudo e che ora si stava modellando come creta su di lui. E non accorgendosi neppure di quello nudo, maschile e pulsante del marito, subito si era contorta come carta straccia.
 
Un gigante aveva appena calpestato una margherita.
 
Anche nei mesi a seguire avrebbe avuto la sensazione di essere calpestata, sempre da dentro. Tuttavia, al posto dei petali, non nasceva niente. Il gigante era arido e al suo passaggio non lasciava nuovi semi. Strappava le radici, ma non ne piantava di nuove. E quando le famiglie si accorsero della sterilità, non capendo che provenisse dal marito, accusarono lei e il suo corpo esile. Il marito però non voleva ripudiarla. Anche se le sorrideva appena, anche se aveva sperato in lei, anche se la reputava la causa di tutto, anche se in poco tempo aveva iniziato a guardarla appena, la voleva comunque nel suo letto.
Non capì mai il motivo di quel gesto. Se una donna non sa diventare madre, non viene tenuta in casa. Nessuno terrebbe nel cassetto un pettine senza denti o un libro senza pagine. Glielo aveva sempre detto suo padre, per questo le aveva dato tante raccomandazioni nei giorni precedenti al matrimonio.
Eppure, il marito si ostinava nel voler tornare a casa e trovarla in salotto, ad accoglierlo con il Darjeeling.
 
Poi un giorno, la sua vita cambiò ancora. Stavolta adolescente, quasi arrivata all’età matura, fu costretta ad invecchiare. Lo aveva trovato steso sulla soglia, la porta semiaperta, con le labbra che assaporavano polvere e sangue, poggiato su un fazzoletto di pezza consunto.
«Cancro al pancreas» avrebbe detto il medico «gli restano due mesi.»
Forse per quello non l’aveva ripudiata. Forse l’aveva voluta con sé ancora per un po’, tanto alla fine l’avrebbe congedata comunque. Gli restò accanto, fino all’ultimo respiro. Non pianse, non lo aveva mai amato. Le era stato un buon amico, ma era pronta a trovarne un altro.
 
O almeno così pensava, quando sua suocera, donna estremamente tradizionalista, varcò i giardini di casa per piangere il lutto. La accolse salutandola senza mai parlarle davvero. In due anni di matrimonio, non le aveva mai rivolto la parola se non per criticarla, convinta di averle avvelenato il figlio così da non farsi ripudiare. Per l’ennesima volta, non ebbe scelta. Si sentì dire che era una sciocca a pensare di risposarsi. In fondo, era condannata a restare sola. Ma cosa credeva? Nessuno avrebbe voluto sposare una vedova sterile. La casa non era nemmeno sua, prima o poi avrebbe dovuto lasciarla, allora che avrebbe fatto? Inoltre, la buona suocera lo aveva capito da tempo, ma finalmente ora tutti conoscevano la verità.
 
«Con le arti oscure, hai infestato e ucciso i figli di mio figlio. Non ti resta che adempiere al tuo compito di moglie.»
Nuove parole l’avevano spaventata. Doveva farlo per educazione, per buon costume. Era una donna, solo una donna.
 
Infine, il corteo avanzava.
 
Senza più pensare si era lasciata trascinare, seguita da veli neri svolazzanti a lutto simili ad onde del mare. Erano arrivati. Una grande folla li circondava, una grande folla di persone che erano accorse per vedere lei, conosciuta, umiliata dalle male lingue, creduta al pari di un Rakshasa. Tremava. Non voleva, ma era una donna, una vedova, e le vedove senza figli lo fanno. Così si dimostra l’amore, così il rispetto. Quattro uomini posarono il corpo del marito su una pira. La guardarono e accesero il fuoco. Lingue alte si levarono in cielo. Indietreggiò insicura. Guardò la suocera che l’aveva spinta tutto il tempo. Le annuì con occhi ridotti a fessure. Si guardò ancora intorno. Rotoli e uomini, uomini e rotoli. Vide suo padre, accigliato, che abbassò lo sguardo. In quel momento avrebbe voluto ascoltare una sua favola. Calò il silenzio. Solo il crepitio del fuoco interrompeva l’aria. Sguardi curiosi, questa volta fissi su di lei.
 Si domandarono quando lo avrebbe fatto.
 
Un sospiro.
 
Il rotolo corse e si gettò nel fuoco.

 
   
 
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