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Autore: clairemonchelepausini    11/04/2020    0 recensioni
“Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano” – Paulo Coelho
Un amore combattuto, due persone che hanno dovuto lottare contro il tempo, i nemici e una guerra che avevano iniziato gli altri e di cui loro ne avevano preso parte.
Peeta e Katniss erano così diversi ma allo stesso tempo così simili.
Raccolta di drabble, flashfic e one shot su Peeta e Katniss, su un amore perfetto solo se visto con i loro occhi, su momenti, pensieri, riflessioni e ogni più piccola emozione o sensazione che ci riporta a loro.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTE
 Iniziativa: Questa storia partecipa all'evento  Lock DEown a cura di We are out for prompt
★ Prompt/Traccia :  Hunger Games, Peeta x Katniss ”Il cambiamento nei suoi occhi, Peeta l’aveva visto. Solo che nessuno dei due era riuscito a dargli un nome” di Jey M.T. Acherman
 

 


 
 
L’aveva sempre guardato con rassegnazione come se sapesse che non aveva nulla da offrirle, eppure dietro quelle occhiate si nascondeva altro.
«So che io non sono più quello che ero, ma…» iniziò Peeta quasi con timore che lei potesse dargli una delle sue risposte o parlare di qualcosa che nemmeno ricordava.
«Io non ti mai chiesto nulla» si difese subito Katniss,  avanzando verso di lui cosa che gli mise quasi paura e, quando vide quell’espressione arretrò.
«Scusa, io…»
«E per questo… per momenti come questo che non capisco perché tu sei voluta rimanere» gli disse, gesticolando con le mani evidenziano la loro distanza, il loro modo di comportarsi.
«Non lo so» affermò lei alzando le spalle e afflosciandole un secondo dopo, come se questo bastasse a fermarlo.
E così, nel giro di poco iniziarono una delle conversazioni più lunghe e sicuramente stancanti di sempre.
Aveva affrontato quegli stressi argomenti più e più volte, eppure Peeta non se né capacitiva, continuava a ribattere sugli stessi punti, ma lui doveva capire.
«Perché?» urlò verso di lei investendola con quella rabbia che non pensava nemmeno di possedere.
«Non lo so… è così e basta» asserì Katniss passandosi le mani tra i capelli e spostando il peso da una gamba all’altra.
«Non te lo so dire perché sono rimasta, va bene?» a sua volta gridò e gli puntò il dito contro, come se quello avrebbe magicamente interrotto quella conversazione, ma non fece che peggiorarla.
Iniziarono a comportarsi come degli isterici, a rinfacciarsi torti, bugie e quant’altro e seppure la sua memoria avesse dei buchi, qualcosa la ricordava ancora e così rincarava la dose su quei ricordi.
Peeta e Katniss si sedettero ai due angoli opposti della veranda, chiusero gli occhi e lasciarono che il sole riscaldasse la loro pelle e che… li catapultasse in un’altra vita.
 
«Potrò non ricordarmi molto, ma credo che una delle cose comune nei miei ricordi siano queste» gli disse, poco prima di darle una vaschetta con delle piccole piantine di primule, pronte per essere piantate nel giardino.
Peeta la guardò, cercò di capire perché fossero tanto importanti per lei, ma non ricordava e le bastò lanciargli un’occhiata per sapere dove erano diretti i suoi pensieri.
«Sono importanti perché mia sorella si chiamava Primrose che io associo sempre ai fiori di primula» rivelò Katniss imbarazzata.
Lui fu felice di vedere quel sorriso sul suo volto, di aver fatto la cosa giusta e se ne compiacque promettendosi che avrebbe sempre cercato di farle venire quell’espressione sul viso.
 
«Che cosa hai fatto?» domandò esterrefatto e allibita Katniss quando una mattina rientrò in cucina dopo la caccia e si accorse che la tavola era bandita di tantissime prelibatezze.
«E’ assurdo scoprire quante cose ti possono riservare se sei un vincitore, ancora in vita, degli Hunger Games» affermò Peeta con un sorriso sghembo e grattandosi la testa impacciato.
Il signorino in questione aveva chiesto tutto il materiale per mettersi in cucina, non si era limitato agli ingredienti, ma anche a diversi macchinari. Poteva aver perso molti ricordi, ma… ricordava ancora come essere un panettiere e come cucinare.
«Tu sei… completamente pazzo» ammise Katniss, mettendosi una mano sulla bocca e sorridendo ancora incredula di ciò che aveva davanti agli occhi.
Quel sorriso, lo stesso che lui cercava di ritrovare sempre nei suoi occhi.
 
Katniss non riusciva a dormire, se ne stava distesa nel letto a riflettere, pensare e sperare di dimenticare.
Era difficile per lei essere lì, in vita e non capiva perché il fato avesse fatto quella scelta, perché non aveva preso lei al posto di sua sorella o, di Cinna o, di qualsiasi altra persona più degna di lei.
Si alzò dal letto cautamente e lasciò che Peeta riposasse, almeno uno dei due doveva farlo, ma non si era accorto che anche l’uomo accanto a sé era tormentato dagli stessi demoni.
La veranda era il suo posto di pace, quella distesa davanti a lei che la portava a casa e allo stesso tempo la allontanava. Le bastava chiudere gli occhi per trovarsi in un altro posto, dove lei era felice, nessuno era morto e poteva essere in pace con se stessa.
«Non riesci a dormire neanche tu?» domandò Peeta sedendosi al suo fianco e facendo penzolare le gambe oltre gli scalini.
«Sì, e tu perché sei sveglio?»
«La testa mi si affollava d’immagine, vecchie, nuove e… non ce la facevo più, dovevo alzarmi» confessò con voce debole, lasciando che lei gli poggiasse una mano sulla propria.
«Vuoi che ti aiuti a fare chiarezza?»
«No, non voglio che rivivi ancora quei ricordi e poi… ho iniziato pian piano a capire» e, senza aggiungere altro si alzò, la trascinò con lui e per un attimo fecero finta di essere solo due ragazzi normali.
Peeta aprì una stanza nella quale lei non era mai entrata, lui gli lasciò la mano e andò ad accendere la luce. Lo spettacolo che si parò davanti alla ragazza fu qualcosa di mai visto prima, i muri erano dipinti di momenti, di scene che i due avevano condiviso, di ricordi che facevano a pugni per uscire dalla sua mente.
«Peeta tu…» sussurrò balbettando Katniss rimanendo a bocca aperta e gli occhi sbarrati.
Quello che stesse vedendo era… uno spettacolo, un capolavoro.
«L’ho disegnato tutte le sere in cui non riuscivo a dormire, in cui la mia mente non smetteva di farmi impazzire. E so che potevo svegliarti, ma riesci a dormire per poche ore la notte e non volevo farlo e così… così ho aperto questa stanza, ho visto colori, tele,  pennelli e ho pensato che non potevo fare del male a nessuno» confessò imbarazzato, spostando il peso da una gamba all’altra e grattandosi la testa, permettendole per la prima volta di vedere quei disegni.
«Ma… ma ci sono io quasi in ogni disegno?» domandò sbalordita, ma non c’era bisogno di una risposta perché la conosceva già, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
 
Ritornarono entrambi presto alla realtà, quando piccole gocce di pioggia li raggiunsero iniziando a bagnarli e, furono costretti a spostarsi.
Si avviarono nella loro stanza, camminavano a testa basta, indifesi delle emozioni che stavano provando e che con ostinazione volevano nascondere.
Prima di addormentarsi si volse l’uno verso l’altro e fu lì, in quell’esatto instante che avvenne.
Il cambiamento nei suoi occhi, Peeta l’aveva visto. Solo che nessuno dei due era riuscito a dargli un nome. Non ancora almeno.
 
 
 
 
 
 
   
 
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