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Autore: pensierisucarta    16/04/2020    1 recensioni
Larry!AU in due parti di pura introspezione
Se cercate un racconto d'azione o se siete amanti delle storie con molto dialogo, mi dispiace, ma questa fic non è ciò che fa per voi.
Dove Harry è un artista, Louis è un poeta, siamo fuori da uno spazio definito, in un tempo imprecisato, non accade nulla e l'unica cosa che conta è l'amore per l'arte e per quel genere di arte particolare che sono certe persone
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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AUTOBIOGRAFIA 


A Louis non piaceva parlare. Harry, nelle sue lettere, spesso lo aveva preso bonariamente in giro per questa sua avversione per le conversazioni, ricordandogli quanto fosse loquace da piccolo e rinfacciandogli quanto fosse paradossale che un uomo che viveva di parole odiasse effettivamente pronunciarle. Ma proprio perché le parole facevano parte di lui come il sangue, Louis aveva gradualmente imparato a comprenderne il valore, scoprendo quanto a volte gli facessero paura e come a volte il silenzio fosse preferibile ad una serie di suoni senza reale scopo. Inoltre, Louis non odiava il parlare in generale, ma era piuttosto il parlare di sé che lo faceva precipitare in una voragine di sensazioni negative. Aveva smesso di esporsi subito dopo il trasferimento, quando aveva capito finalmente che nessuno dava valore alle parole che gli uscivano di bocca. Il non sentirsi mai preso sul serio in considerazione, come se la sua età pregiudicasse il valore delle sue affermazioni, lo portò nel giro di poco tempo a chiudersi in un mutismo inusuale per un ragazzo vivace come lui. Poi, componendo, aveva capito che c'era una sostanziale differenza tra il parlare di sé e lo scrivere di sé. Poteva parlare quanto voleva senza essere mai ascoltato e compreso fino in fondo, con la gente intorno a lui che fingeva di prestare attenzione sentendo, ma non capendo le sue parole, mentre lo scrivere di sé non richiedeva necessariamente un interlocutore, era soltanto una continua catarsi, un lasciarsi andare, uno scavarsi a fondo le vene senza far uscire del sangue. Di fronte ad un ascoltatore Louis si ritrovava a chiedersi di continuo quanto l'interesse dimostrato fosse genuino, mentre una lettura presupponeva necessariamente la voglia di conoscere quanto lui avesse da raccontare. La lettura richiedeva del tempo e della concentrazione, ma soprattutto la volontà di spendere quel tempo abbandonandosi all'empatia e alla simpatia intesa nel suo significato originale, mentre quelle imbarazzanti conversazioni che si ritrovava a fare quando era in fila da qualche parte o mentre era a tavola con qualcuno erano un semplice diversivo per ingannarlo e occuparlo. Inoltre, esporsi attraverso la scrittura era tutt'altra cosa rispetto allo spiattellare i fatti propri ai quattro venti senza sapere se l'interlocutore eventuale fosse sul serio degno di fiducia. Scrivere di sé lasciava sempre un margine di fuga per cui era facile proteggersi dall'esterno nascondendosi dietro alla carta della finzione poetica. Stava spesso, se non sempre, alla sensibilità del suo lettore decidere se quanto stesse leggendo fosse vero o no. A Louis veniva facile ingannare i suoi lettori; non doveva loro niente, tanto meno un racconto sincero. L'unico che sapeva ascoltarlo davvero anche attraverso la carta era Harry. Lo era sempre stato. Poteva infarcire le sue lettere di bugie fin quanto volesse, ma Harry riusciva sempre a scorgere le autentiche richieste d'aiuto di Louis dietro alle belle parole, carpiva i suoi sentimenti dai piccoli dettagli, sapeva cosa significasse un abuso degli avverbi quando il suo amico aveva sempre detto che in poesia fossero di una pesantezza unica, poteva indovinare il suo stato d'animo dalle metafore che si lasciava scappare anche quando a tutti i costi cercava di produrre un racconto genuino delle sue giornate. Louis aveva provato a scrivergli di getto più volte, ma come per deformazione professionale si ritrovava sempre a correggere le piccole sbavature di cui notava l'esistenza e spesso finiva per aggiungere una postilla con delle scuse quando gli sembrava che la lettera fosse venuta fuori più costruita e confezionata del solito. Harry apprezzava i tentativi, ma ormai non gli pesava più filtrare tutte quelle parole per cercarne la sfumatura giusta di significato; sapeva scalare quei muri che Louis aveva frapposto tra sé e gli altri e provava un certo compiacimento all'idea di essere il solo in grado di poterlo fare. Non potevano più parlare come quando erano piccoli, e se Louis aveva smesso di farlo in generale, allora non sarebbe servito a nulla rimpiangere le vecchie stupide conversazioni. Gli piaceva leggere la poesia di Louis e cercare aspetti di lui nelle sue immagini poetiche quando erano lontani, e ora che lo aveva vicino gli stava bene semplicemente godere in silenzio della sua compagnia e della sua vista. Non avevano bisogno di parlare, e infatti le loro conversazioni non erano state né frequenti né particolarmente profonde. Avevano da subito imparato a riempire i silenzi, a comunicare tramite gesti, tramite le piccole accortezze che si riservavano vicendevolmente. Louis aveva capito molte cose dell' Harry adulto semplicemente guardando le sue tele, cogliendone gli stimoli profondi, venendo a conoscenza di quanto potessero essere evocative le metafore anche in pittura. Harry a volte gli aveva mandato dei bozzetti insieme alle lettere, quindi Louis aveva ormai una certa familiarità con il suo stile, ma osservare finalmente da vicino l'uso attento, estremamente meticoloso, che l'amico faceva del colore era un'esperienza di lettura alternativa. Attingevano ad una lingua comune, ma la rendevano con simboli e suoni differenti: questo era ciò che Louis pensava, e per questo non aveva avuto il coraggio di rompere l'ennesimo equilibrio precario della sua vita affrontando Harry a parole. Non aveva accennato all'autoritratto, né fatto riferimento alla sua notte brava o trovato la forza di parlare dei suoi sentimenti ingarbugliati; aveva soltanto fatto finta che la loro routine non fosse stata affatto scalfita o alterata anche solo leggermente e che tutto fosse perfettamente normale per quanto avulsa dalla realtà potesse essere la loro definizione di normalità. Adesso gli rimaneva soltanto di imparare a controllare il suo corpo come controllava la sua poesia. E di controllare Harry di soppiatto.

Nella notte in cui aveva riportato Louis a casa completamente ubriaco, Harry per un momento si era sentito davvero sul punto di perdere il controllo; gli era bastato lasciare per due secondi di troppo gli occhi puntati in quelli di Louis, in quel blu liquido per l'alcol, per vacillare. Poi era stato il calore del corpo dell'amico a dargli il colpo di grazia. Mentre lo stringeva a sé, facendosi carico del suo peso, ne avvertì un altro ancora più forte depositarglisi al centro del petto. E aveva pensato di disfarsene subito, per paura, scaricandolo addosso ad un Louis che probabilmente, sbronzo come era, non ne avrebbe compreso la portata, ma poi era tornato in sé e si era limitato a tirare un respiro profondo, convinto che l'amico non meritasse un trattamento simile. Dopo averlo messo a letto, aveva cercato di fare ordine tra i suoi pensieri. Si era messo di fronte alla tela, sicuro che dipingere l'avrebbe aiutato a recuperare l'equilibrio, a smaltire il leggero senso di annebbiamento causato dai bicchieri di troppo. La maggior parte dei suoi pennelli era ancora sporca di blu, quel colore freddo e profondo che solo poco prima gli aveva procurato una scarica di calore in corpo e che era l'unico in grado di scaldargli il cuore. Se Harry, in quel momento, avesse avuto la sua consueta forza di ragionare lucidamente, avrebbe lasciato cadere i pennelli e si sarebbe sforzato di andare a dormire. Ma l'arte è irrazionale, non bada a orari, non vede limiti, è avida di sensazioni. E Harry l'aveva scelta e si era lasciato scegliere da lei perché ella si nutrisse di quell'ingorgo di sentimenti che teneva a bada con fatica da anni, e che solo sulla tela riusciva a districare. La consapevolezza dell'esistenza di quei sentimenti era stata fin dall'inizio il punto di partenza della sua arte, ma le loro ragioni profonde, nonostante una ricerca ostinata, gli erano sempre sfuggite. Poi Louis era tornato a casa, e ora che Harry si trovava di fronte alla matrice originale delle sue ossessioni, la consapevolezza sembrava non essere più un mezzo sufficiente ad arginare il fiume in piena dei suoi pensieri, e l'abusare del blu non bastava più ad esorcizzare le sue emozioni. Quella sera l'arte aveva deciso di venirgli in soccorso nel modo più subdolo, costringendolo per la prima volta a tirare fuori non solo quei sentimenti che credeva di provare, ma il suo io più profondo e nascosto, a esporsi e rivelarsi e a mettersi letteralmente a nudo sulla tela insieme alle sue paure, alle sue manie, alle sue passioni. Così Harry si era abbandonato all'abbraccio avvolgente del colore, l'aveva accolto come una morte dolce, e mentre il suo io affogava nel blu del dipinto, era riuscito a sentire la marea dei suoi sentimenti, scaturitagli dal cuore come dal vaso di Pandora, innalzarsi e sopraffarlo prima di ritirarsi.

Nel corso del suo fallimentare tentativo di osservare Harry con occhi diversi, Louis aveva finito invece per ritrovarsi ad analizzare se stesso. La prima cosa che l'aveva colpito era stata il rendersi conto di non poter guardare la schiena di Harry senza avvertire immediatamente il bisogno di bere, e non era ancora riuscito ad interiorizzare del tutto l'informazione che già l'ennesima realizzazione improvvisa era arrivata a scombussolarlo, provocandogli fisicamente lo stesso effetto di una sbronza pesante. Se non fosse stato un codardo, Louis avrebbe confessato ad Harry di avere il terrore di dipendere emotivamente da lui. Se non fossero stati entrambi dei codardi, avrebbero tirato giù i muri e si sarebbero dati reciprocamente il cuore in pasto, parlandosi come mai prima avevano fatto. Invece, profondamente destabilizzato, Louis non solo non riusciva a spiccicare parola, ma addirittura nemmeno a scrivere si sentiva più capace. Aveva tentato di esaudire i desideri del più piccolo buttando giù qualche riga che gli potesse permettere di affacciarsi, anche se solo da una piccola fenditura, da un misero spioncino, nella sua mente, ma parlare di Harry significava giocoforza parlare di sé, e Louis non si sentiva ancora pronto per questo. Non avrebbe retto all'ennesimo infrangersi di un equilibrio, non con la consapevolezza che, prima o poi, sarebbe dovuto tornare alla sua vera abitazione, lontano da lì, lontano da Harry, dalla bellezza della campagna, dall'illusione della felicità e portandosene pure dietro i cocci. Gli veniva meno, così, l'unico vero mezzo di comunicazione con cui riusciva a connettere la sua testa scapestrata con quella dell'amico, il sussurrare discreto della voce poetica, il ritmo rassicurante e allo stesso tempo angosciante dei versi. Sapeva bene che consegnare ad Harry un discorso raffazzonato ma sincero gli sarebbe costato una fatica enorme, ma anche una poesia rifinita aveva il suo prezzo. Harry l'avrebbe letta in silenzio, immaginandosela recitata dalla voce di Louis che nella realtà sentiva così poco, l'avrebbe prima lasciata fluire, poi scomposta, vivisezionata e avrebbe scovato, nascosta in un frammento, la piccola parte d'anima che l'amico vi aveva sepolto e l'avrebbe messa al sicuro, perché era così che funzionava sempre tra loro, con la bellezza che intercedeva e rendeva superflua ogni parola. Parlavano i gesti, gli occhi, i versi, le campiture, le rifiniture, ma mai le voci. L'arte non ha bisogno di spiegazioni. E di contro Harry, neanche a dirlo, nei lineamenti di Louis vedeva la dolcezza del marmo scolpito, la grazia di una scultura neoclassica, e di fronte a lui e alla sua sacralità sentiva di poter comprendere nel profondo Stendhal con tutte le sue vertigini e la sua confusione.

Spinto dal borbottare del suo stomaco, Louis si offrì volontario per andare a comprare per entrambi qualcosa da mettere sotto ai denti. Avevano scorte abbondanti di tè in cucina, ma non potevano pensare di sopravvivere con la sola acqua bollita e anche lasciarsi morire di fame così giovani era fuori discussione. Per Harry, almeno, che credeva che un'eventuale morte prematura di Louis fosse un oggettivo spreco di talento e liquidava la discussione con poche salaci battute. Louis, invece, ci aveva pensato più volte sul serio a cosa avrebbe rappresentato per lui morire precocemente. La nostra morte, quando si palesa, non ci riguarda tanto quanto quella degli altri, e questo a Louis non andava bene. Voleva poterne trarre un qualche vantaggio, una sorta di premio di consolazione per gli anni che lei gli avrebbe sottratto. Voleva che anche la sua morte avesse un qualche impatto reale sulla sua vita, che vi apportasse una miglioria; aveva paura di morire solo, raggrinzito e dimenticato, sconquassato non solo dai problemi di salute che con l'età sarebbero inevitabilmente sopraggiunti, ma anche e soprattutto dallo sfiorire parallelo della sua poesia, che vedeva già perdere di attrattiva e di portata e finire relegata in qualche scaffale polveroso, dove nessuno avrebbe messo mano. Meglio morire all'improvviso e costringere tutti a piangere la scomparsa di quello che i giornali avrebbero definito di sicuro un poeta promettente, anche senza la pretesa di finire nelle antologie scolastiche, ma con la certezza di smuovere la curiosità morbosa di molti, che si sa, nessuno sfugge al gusto del macabro, e lasciare un'impronta, seppure piccola o passeggera, nelle loro vite. Meglio morire prima di diventare incapaci di scrivere, o peggio, di trasformarsi in scribacchini. Ma visto che la nostra morte non ci riguarda come riguarda gli altri, mentre tornava a casa con le provviste, Louis pensò con un pizzico di vanità che una sua precoce dipartita avrebbe segnato Harry più di quanto si meritasse, e che valeva la pena sacrificare un incremento di popolarità postuma per vedere i suoi occhi brillare a lungo. E mentre lavava un po' di frutta appena comprata, per portarla ad Harry come spuntino e mangiarla insieme a lui, la sua mente andò ancora oltre quel primo pensiero; se avesse avuto la possibilità di invecchiarci, con Harry, forse l'idea di morire con il peso di molti anni e altrettanti fallimenti sulle spalle non gli avrebbe messo poi tanta paura. Voleva comunque un premio dalla morte però, quello sì: voleva il permesso di non sopravvivere ad Harry, e se lei non glielo avesse accordato, allora ci avrebbe pensato da solo. Ora, la poesia insegna che l'amore e la morte sono legati a doppio filo, e questa era l'unica giustificazione che Louis riusciva a dare a se stesso per quei ragionamenti lugubri che gli attraversavano la mente mentre i suoi occhi venivano incatenati dalle labbra di Harry, lucide e più rosse ancora della frutta che stavano avvolgendo. Aveva sempre detto che sarebbe morto solo e soltanto per la poesia libera e per la strenua difesa dei suoi versi, ma adesso non era più tanto sicuro di quell'esclusiva. Adesso sapeva bene che sarebbe morto per Harry, senza esitazioni. Perché adesso sapeva che lo amava.

E qualcosa gli suggeriva che adesso sarebbe durato a lungo, ma solo nella sua testa. La convivenza con Harry era soltanto una parentesi nelle loro vite, e come tale non poteva durare per sempre. Louis tendeva a dimenticarsi spesso che quello non era davvero il suo posto, ma l'elefante nella stanza, lo spettro di una partenza obbligata, di una chiusura di quell'inciso, diventava sempre più ingombrante. Harry un giorno gli aveva confessato che tendeva a non leggere le cose che venivano scritte tra parentesi; credeva che se erano state messe lì era semplicemente perché non avevano importanza, e non valeva la pena di sprecare tempo con delle futilità. Louis aveva obiettato che potessero contenere delle precisazioni, magari anche delle vere e proprie spiegazioni, ma Harry aveva ribattuto che avere bisogno di chiarimenti del genere poteva solo significare che non si era intelligenti abbastanza per capire quello che stava accadendo proprio sotto i nostri occhi, e che quindi non si era molto degni nemmeno di parteciparvi. Era grato che in pittura non ci fosse niente di simile e che Louis si fosse dato alla poesia piuttosto che alla prosa, perché generalmente i poeti non abusano delle parentesi. Eppure, Louis stava esattamente abusando di una parentesi, di quella loro fragile bolla privata, sempre sul punto di scoppiare, ma così bella coi suoi riflessi colorati. Era diventata il centro della sua frase, e se davvero nessuno si fosse interessato ad essa, se tutti l'avessero ignorata e saltata come se non avesse alcuna rilevanza nell'economia del periodo, allora Louis avrebbe fatto di tutto per abbellirla, per arricchirla di subordinate e approfittarsi della libertà che si portava con sé, così protetta e nascosta nel suo essere palese. L'avrebbe resa il fulcro della sua poesia, esattamente come l' amicizia con Harry, ora era chiaro, lo era per la sua banale esistenza. Forse Harry sbagliava, pensò Louis; la gente che non legge tra le parentesi lo fa perché si accontenta, o perché si sente arrivata. Chi ha fame scava, si mette in discussione, si intestardisce su una stupida precisazione, perché unicamente per bulimia conoscitiva si soddisfa e solo cercando ha già trovato.

Nella mente di Louis, Harry era un'anima pura, e l'unico sporco che gli avrebbe mai visto addosso era quello dei colori. Avrebbe pagato perché gli ripulisse via le macchie dall'anima come ripuliva i pennelli. Lo aveva appena visto risciacquarne uno al limite del greto del fiume, perché aveva terminato i solventi, e il disperdersi del colore nell'acqua, fino ad essere inglobato nella sua trasparenza, l'aveva profondamente colpito, tanto che si era quasi sentito attaccato. Erano tornati al fiume perché sarebbe stato un sacrilegio non approfittare del bel tempo. Potevano lavorare lì come a casa, senza temere di essere disturbati, che tanto raramente qualcuno si recava sul posto, perché di fatto non ce n'era motivo. Quando Louis e Harry erano piccoli, accadeva loro ogni tanto di trovarci un pescatore alle prime armi, capitato lì senza sapere che quello non era un buon punto per pescare. Harry, dopo la partenza di Louis, aveva visto quelle comparse farsi sempre più rade, e ovviamente ai bambini non era permesso andare a giocare così vicino al fiume, dove anche dei bravi nuotatori rischiavano nei periodi di piena di farsi più o meno male. Loro due, a quanto pareva, avevano rappresentato da sempre un'eccezione, liberi come erano di andarsene a zonzo anche in tenera età senza controlli, sprezzanti del pericolo così come solo i bambini sanno essere. Louis si sentiva anche quel giorno sprezzante del pericolo. Aveva deciso che non gli importava se Harry si fosse accorto del suo sguardo insistente, l'avrebbe guardato quanto e come gli pareva, alternando momenti di concentrazione sul lavoro alla pura contemplazione del corpo dell'amico. Gli sembrava giusto prendersi questa libertà perché così erano pari, visto che Harry perseverava in quella sua abitudine di baciargli la guancia. Quel secondo di contatto tra la sua pelle e le labbra di Harry era diventato il suo momento del giorno preferito, anche se non aveva idea di quando sarebbe effettivamente capitato. Poteva succedere prima di andare a dormire così come appena svegli, oppure al ritorno da una commissione o come ringraziamento per il tè. Al momento, ad esempio, non aveva ancora ricevuto la sua razione giornaliera e si divertiva ad ipotizzare quando finalmente l'avrebbe ricevuta. Tutta quella spensieratezza, lo spremersi le meningi su una cosa tanto frivola, sorprendentemente stava alleggerendo i suoi versi, ma senza svuotarli, cosa che di rado accadeva, perché i suoi pezzi migliori erano quelli pregni di dolore. La felicità non aveva mai fatto di lui un buon poeta, ma tutto era permesso adesso nella sua calda, accogliente parentesi, persino godere delle novità. Il buonumore doveva essere contagioso comunque, perché anche Harry era semplicemente radioso. Non aveva smesso un secondo di sorridergli da quando erano usciti di casa. Aveva un'energia addosso che traboccava, e per cui la tela non sembrava rappresentare un argine sufficiente. Sulle sue mani era difficile ormai scovare un centimetro di pelle che non fosse coperto di colore. Era una visione, il tesoro alla fine dell'arcobaleno. Louis lo vedeva sempre più vicino e sempre più inafferrabile, gli sfuggiva via come fanno a volte le parole sulla punta della lingua. Ancora non sapeva con esattezza come comportarsi con lui; lo trattava come aveva sempre fatto, cercando di non far trasparire alcun cambiamento, ma era certo di tradirsi ripetutamente e in fondo, sotto sotto, la cosa iniziava a non dargli più fastidio. Adesso che la realizzazione l'aveva finalmente travolto in pieno, senza lasciargli più alcun appiglio, Louis era riuscito a stabilire un nuovo, stimolante equilibrio, che consisteva nello stare in bilico tra la sfrontatezza e la presa in giro bonaria. Ogni tanto si sbilanciava da una parte, lasciandosi sfuggire un complimento, un gesto o uno sguardo di troppo, ma con la sicurezza di poter correre ai ripari se ce ne fosse stato bisogno, smorzando il tutto con una battuta. Mai fino a quel momento, in ogni caso, aveva dovuto far ricorso a tale espediente. Harry si crogiolava in tutte quelle piccole attenzioni, solo non riusciva mai ad approfittarne, ad afferrare il coltello dalla parte del manico, e così quelle mutavano di continuo in piccole occasioni perse. Nessuno dei due aveva ancora osato fare un primo passo per paura di aver frainteso ore, giorni, settimane, forse anche mesi e anni di esistenza. Nessuno aveva mai insegnato loro cosa fosse la vita reale; quella gli era estranea, tutto il loro mondo si basava sulla finzione, sulle rappresentazioni e sulle rielaborazioni, sulle metafore. Fare un passo verso il tangibile, rompere un'atmosfera, avrebbe significato esporre l'altro ai problemi e alle difficoltà del vivere, al giudizio e alla condanna degli uomini, all'esposizione, forse alla gogna. Finché veniva giudicata la loro arte, ma non la loro persona, erano sempre in tempo per ritrattare. Ma non esporsi non doveva significare per forza non giocare sulle ambiguità e fare un tira e molla continuo. Per Louis funzionava un po' come una satira in versi, sulla quale incombeva la scure della censura. Gli sarebbe piaciuto davvero essere in grado di fregarsene e smettere di limitarsi a dei sorrisi a mezza bocca, ma il coraggio, come ben si sapeva, non era esattamente il suo forte. Il massimo che poteva fare era tentare di ricambiare Harry con la sua stessa moneta, emulare i suoi incerti tentativi di spingersi in avanti. Gli prese, all'improvviso, una gran voglia di andare a disturbarlo. Voleva rappresentare per Harry la stessa continua distrazione che rappresentava per lui. Posò i suoi fogli per terra, ci mise una pietra sopra per evitare che il vento disperdesse i suoi pensieri, vanificando i suoi sforzi, fece forza sulle gambe e si alzò. I passi che lo avvicinarono ad Harry gli costarono tanto e gli procurarono un certo vuoto nel petto. Sentiva il cuore e lo stomaco in allarme, ma allo stesso tempo avvertiva la smania e il bisogno di stabilire un contatto immediato con l'altro, e toccarlo, provarne la concretezza. Gli si piazzò di fianco e si alzò sulle punte dei piedi per potergli baciare la guancia. Harry non distolse lo sguardo dal suo lavoro, ma si irrigidì un attimo prima di rilassare di nuovo i muscoli del corpo, e Louis percepì nettamente quel passaggio, nonostante fosse stato repentino.
  - E questo per cosa era? - gli chiese.
Prima ancora di riuscire a frapporre un filtro tra testa e bocca, Louis si lasciò sfuggire una risposta che mai in condizioni di lucidità gli avrebbe concesso.
- Per ringraziarti di essere così bello -
Harry si girò velocemente verso di lui, sorridendogli di cuore. Gli accarezzò la guancia con la mano sporca di tempera verde, lasciando una traccia del suo passaggio. Aveva appena firmato il suo capolavoro e si sentì quasi sopraffare dalla portata di quel gesto. Aveva resa sua la più bella di tutte le opere d'arte ancora prima che fosse creata e non voleva condividerla con nessuno. Per questo baciò Louis, d'istinto, prima di potersene pentire. Uno sfioramento lieve, che lo stordisse, che suggellasse l'opera, che ne rendesse unica e irripetibile  l'esperienza. Poi lo baciò di nuovo, per lasciargli la possibilità di rifiutarlo. E lo baciò ancora, quando si accorse di avere fame del suo sapore, di essere improvvisamente diventato incapace di fermarsi e di non avere alcun ostacolo sulla sua strada. 
- Voglio dipingerti - gli sussurrò sulle labbra.
Scaraventò a terra alla cieca pennelli e colori, mentre con gli occhi restava ancorato al viso di Louis, spiandone le espressioni con la paura di vederlo riscuotersi all'improvviso e scostarsi. Ma Louis non aveva voglia di elaborare le proprie emozioni in quel momento, voleva solo lasciarsi trasportare dal ritmo martellante del suo cuore e guidare dalle mani e dalla bocca di Harry. Così, quando Harry, inginocchiatosi sull'erba, cercò di trascinarlo giù con sé tirandolo gentilmente per la camicia, Louis si fece manovrare senza opporre la minima resistenza e ne approfittò, anzi, per rubare un altro sfioramento di labbra, prima di finire schiena a terra. Le mani di Harry si fermarono di nuovo sulla sua camicia bianca, poteva sentirne il calore attraverso il tessuto. Alcune piccole tracce di colore erano già visibili sull'indumento nel punto in cui Harry l'aveva stretto. Louis era appena diventato la sua tela. Sì sporcò le dita di tempera e prese a passarle tra i bottoni della camicia, poi sulla sua pelle. Gli prese il viso tra le mani mentre lo baciava di nuovo, segnandogli anche quello. Avere Louis letteralmente in suo controllo, malleabile come creta, gli stava facendo riscoprire il volto carnale dell'arte. Le scie di colore erano una testimonianza del suo percorso sul corpo di Louis, il blu dei suoi occhi lucidi la sfumatura giusta che dopo tanto sperimentare aveva finalmente trovato. 

Rimasero sdraiati indisturbati nell'erba per ore. Il sole aveva fatto seccare velocemente la tempera sulla loro pelle. Louis non si era rivestito, il corpo di Harry mezzo abbandonato addosso al suo, con la testa sul suo petto, gli garantiva sufficiente calore. I suoi capelli gli solleticavano il fianco, ci giocava, si divertiva ad arrotolarseli tra le dita, smettendo solo di tanto in tanto per spostare la mano più in giù ad accarezzargli dolcemente le guance. Non sentivano il bisogno di parlare, perché ogni tocco, ogni minima accortezza, risultava fin troppo eloquente. Il torpore dovuto al contatto e all'esposizione diretta al sole più volte li traghettò lentamente verso il sonno. Harry non si era mai sentito tanto tranquillo e rilassato prima. Louis non aveva pensato all'alcol nemmeno per mezzo secondo. Si decisero a rialzarsi solo quando, col sole che già si era abbassato, realizzarono di non poter ritornare a casa attraversando il paese in quelle condizioni, sporchi come due pezze per pulire i pennelli. Harry propose di darsi una risciacquata veloce nel fiume e approfittare dell'ultimo sole per asciugarsi. Fu molto veloce come suo solito ad immergersi. Louis rimase un attimo indietro, ancora intorpidito, un po' frastornato. Harry gli allungò di nuovo la mano per convincerlo ad entrare in acqua, e nell'esatto momento in cui le sue dita si intrecciarono in quelle dell'amico, l'ennesima rivelazione sembrò farsi strada nella sua testa sconvolta. Quella mano l'aveva aiutato a rialzarsi, poi l'aveva fatto cadere in trappola proprio in quel fiume, e ora gli stava offrendo un'ancora, lo stava spronando a lavarsi via di dosso ogni impurità per rinascere dall'acqua, in una sorta di battesimo della vita. La strinse più forte che poté, per far capire ad Harry che si fidava di lui, che aveva compreso, poi gli si gettò praticamente addosso, sbilanciando entrambi sott'acqua. Harry aveva più volte avvertito negli anni la sensazione di soffocare; che fosse un soffocamento fisico o solo metaforico, un affogare nella proprie lacrime, nella bile o nel sangue, o perdere la capacità di respirare di fronte ad un capolavoro, era comunque un' immagine costante nella sua testa. Gli piaceva nuotare nell'acqua alta per capire fino a che punto sarebbe sopravvissuto con la testa sotto prima di affogare, ad esempio. Era uno dei suoi metodi di catarsi preferiti. Adesso, immerso fino ai capelli, con ancora una mano ingabbiata in quella di Louis, pensò che l'unica volta che aveva davvero avuto paura di soffocare era stata quando si era reso finalmente conto di amare qualcuno. Mentre riemergevano, si diede dello stupido. Louis era il suo primo respiro profondo dopo una lunga apnea.  

Fu difficile per entrambi percorrere la strada del ritorno a poca distanza l'uno dall'altro senza potersi toccare. Ogni tanto, per aggirare il problema, Harry si sforzava di tenere cavalletto, tela e annessi con un solo braccio, così da poter lasciar ciondolare l'altro lungo il fianco e sfiorare discretamente la mano di Louis. Per la prima volta, riempire gli spazi con chiacchiere futili a Louis non diede fastidio, né gli sembrò una perdita di tempo. Harry ogni tanto si interrompeva per salutare qualcuno per strada, ma nessuno sembrava notare i loro capelli ancora umidi o le risatine che si lasciavano sfuggire non appena uno beccava l'altro a sbirciarlo o a mordersi le labbra gonfie. Finché non furono a casa, Louis ebbe la certezza che quello fosse il giorno più bello della sua vita, senza iperboli. Ma Harry notò che c'era della posta ad attenderli, e Louis riconobbe immediatamente la calligrafia nervosa di una delle sue sorelle. Decise di aprire subito la missiva per sbirciarne il contenuto velocemente e condividerlo poi con Harry. Ma la lettera era alquanto concisa e con una scorsa rapida Louis riuscì ad afferrarne il messaggio; sua sorella lo esortava a tornare a casa, sua madre non stava affatto bene. Louis alzò gli occhi dalla lettera per fissarli in quelli di Harry. La bolla era scoppiata.

Ci mise poco a preparare la valigia, ma non riusciva a decidersi a partire. La notte prima aveva dormito di nuovo nel letto di Harry, che l'aveva stretto a sé, incapace di stargli lontano, e aveva avuto paura di lasciarlo andare così presto. Era preoccupato per la sua situazione familiare, ma una parte di lui, egoista fino al midollo, si mangiava i gomiti al pensiero di dover lasciare la loro casa senza avere la sicurezza di poterci tornare o con il rischio di rendere le cose imbarazzanti. Una voce dentro di lui gli garantiva amaramente che sarebbero di nuovo passati anni prima che avesse potuto riabbracciarlo. Un po' si pentiva di quanto era successo tra di loro, perché se non fosse stato in grado di sentire ancora la pressione delle mani di Harry sul suo petto, per lui la partenza sarebbe stata più facile. Avrebbe sofferto, ma con moderazione, come dopo una sbronza pesante. Uscì di casa lasciando Harry ancora a letto, dirigendosi senza quasi accorgersene verso la stazione. Era arrivato che aveva paura di perdersi tra le vie, mentre ora camminava sicuro, orientandosi perfettamente tra le strade tutte uguali, sperando quasi di sbagliarsi solo per allungare un po' la camminata e avere più tempo per pensare. Alla stazione pagò una somma eccessiva per un posto in un treno che non era sicuro di voler prendere e su cui invece avrebbe passato per forza la notte. Prima di uscire si era messo in tasca il pezzo di carta che l'aveva perseguitato dal giorno in cui era arrivato e sentiva che era arrivato il momento di piangerci sopra. Lo doveva ad Harry, e se non l'avesse scritto in quel momento, non l'avrebbe fatto più. Si diresse verso il posto in cui aveva passato la sua prima mattina in paese. Si sedette di nuovo all'ombra del suo fidato albero e piegò la testa su quel maledetto foglio stropicciato. Pianse, mentre scriveva, come mai gli era capitato.

Harry lo vide rientrare con gli occhi gonfi e arrossati, ma non fece domande. Lo tirò a sé sull'uscio e rimasero lì abbracciati per qualche minuto, poi Harry si staccò e si diresse in cucina per mettere su un pranzo raffazzonato con il poco cibo che c'era in casa. Mangiarono silenziosamente e Harry propose di lasciare qualcosa da parte per Louis perché potesse avere una piccola scorta nel caso sul treno gli fosse venuta fame. In realtà, Louis aveva lo stomaco chiuso, aveva faticato per buttare giù qualche boccone del pranzo ed era sicuro che non avrebbe messo altra materia solida sotto ai denti per un po'. Non si erano mai fatti grandi problemi per mangiare, e tutta quella preoccupazione sembrava quasi surreale; era un palese tentativo di mantenere una facciata, di prendersi cura l'uno dell'altro fino all'ultimo, senza trascurare nemmeno un dettaglio, e per quanto facesse male, Louis sentiva di apprezzare quel gesto e così impacchettò in silenzio anche il cibo. 

Al momento della partenza, Harry si offrì di accompagnarlo in stazione, ed era già ben vestito sulla porta quando Louis lo fermò, quasi implorandolo di risparmiargli la vergogna di piangere affacciato al finestrino del treno in presenza di sconosciuti. Era certo che la vista di Harry e delle sue lunghe gambe ferme vicino al binario gli avrebbe impedito di partire. Riaprì al volo la valigia per assicurarsi di avere tutti i suoi libri e i soldi con sé, poi si diresse verso l'uscita. Sulla soglia, il suo corpo quasi spontaneamente si fece vicino a quello di Harry. Aveva urgenza di baciarlo e le sue labbra erano proprio lì ad un centimetro da quelle dell'altro, perché Harry doveva aver avvertito lo stesso bisogno e ridotto la distanza tra i loro visi, ma non riuscì a trovare la forza di sfiorarle, toccarle, e finì per far scontrare solo dolcemente le loro fronti prima di girarsi, ricacciare indietro una lacrima e andarsene tirandosi dietro la porta.

Mentre copriva per la terza volta in un giorno la distanza tra la casa di Harry e la stazione, senza osare guardarsi indietro e obbligandosi a mantenere un contegno, Louis ripensò all'enorme sforzo ultimato in mattinata come al gesto più coraggioso che avesse compiuto in tutta la sua esistenza. Mentre Harry si affaccendava in cucina, si era intrufolato nella sua camera, dove il letto, ancora sfatto, portava i segni dei due corpi che per una notte l'avevano abitato, e aveva nascosto sotto al cuscino il foglio con l'ode che aveva composto per lui. Era sicuro che Harry non l'avrebbe cercato, perché ormai sembrava essersi rassegnato a non veder soddisfatta la sua richiesta, e comunque non l'avrebbe trovato prima di sera. A quel punto, Louis sarebbe stato già lontano e Harry non avrebbe potuto chiedergli alcuna spiegazione né rispondergli in alcun modo. Si sarebbe solo potuto sdraiare, stringendo a sé quel pezzo di carta, senza riuscire per l'intera notte a prendere sonno mentre Louis, rannicchiato nel suo posto sul treno, avrebbe ugualmente vegliato, affidando al chiarore della notte tutto il suo malessere e ringraziando di non essere stato tanto masochista da trascrivere una copia della sua confessione per martoriarsi il cuore con le sue stesse parole. Quell'ode era la cosa più onesta che avesse mai scritto e nessuno, oltre a Harry, l'avrebbe mai letta.









 

Note: Scrivere questa cosa per me è stato faticoso, ma necessario. Immagino che leggerla sia altrettanto faticoso. Se siete arrivati fino in fondo vi ringrazio di cuore. Spero non ci siano troppi refusi.

 

  
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