Ci sono due cose
che non tornano mai indietro: una freccia scagliata e un’occasione perduta.
(Jim Rohn)
∞
‘Non ci serve un medico!’ Clint Barton - detto Occhio di Falco o Falco
per gli amici, l'arciere più talentuoso dei Nove Regni esistenti, ex assassino
e mercenario, agente dello S.H.I.E.L.D., capelli castani, occhi azzurri freddi
come i cubetti di ghiaccio che galleggiavano nella sua Coca Cola - con le gambe
stese sulla seggiola della sua vicina, un cestino pieno di patatine fritte
sulle ginocchia e un panino farcito nella sinistra, era oppositivo su ogni
cosa!
Nick Fury, il Direttore dell'Agenzia governativa e suo diretto
superiore - un nero alto e corpulento, con una benda di pelle sull'occhio
sinistro - si stava scocciando dei modi sgarbati del proprio sottoposto, una
vera testa calda. Dopo l'assurda giornata trascorsa, lo avrebbe preso
volentieri a calci nel sedere!
Accomodati al tavolino del ristorante semidistrutto in cui servivano
lo shawarma turco, proposto da Tony Stark, i sei Avengers si erano ritrovati
davanti il Capo in persona, che, camminando fra le macerie della battaglia coi
Chitauri, aveva esposto un’idea pessima…strampalata 'Insisto. Avete bisogno di andare
in terapia, per metabolizzare quanto accaduto...ognuno di voi. Eravate gravemente
disadattati prima, figurarsi ora'.
'Disadattato mi piace, è azzeccato al mio caso clinico' commentò
proprio Stark, allungato sulla sua sedia; maglietta dei Black Sabbath indosso,
il miliardario playboy benefattore dell'umanità - che, con la propria mente geniale era il
contenuto del guscio metallico dell'armatura gialla e rossa di Iron Man - aveva
fatto l'occhiolino a Nick, grattando il pizzetto scuro come il carbone, della
stessa nuance dei suoi occhi spiritati.
'Lo strizzacervelli no, per favore!' si lamentò l'arciere. Aveva
frequentato più di uno psicologo, in vita sua, ed erano state esperienze
disastrose, pessime, inutili.
'Strizzano il cervello?' domandò Thor, incredulo. I capelli biondi,
sporchi, gli ricadevano sul viso, intanto che si ingozzava, famelico, di anelli
di cipolla panati, dando prova di un appetito invidiabile. Dio del Tuono, erede
di Odino, era venuto sulla Terra dal pianeta Asgard alla ricerca del fratello
adottivo Loki, portando con sé il proprio martello, l'arma prodigiosa che lo
caratterizzava.
Loki, impadronitosi del Cubo Magico, contenente la Gemma dello Spazio
- che permetteva di essere in qualsiasi luogo nello stesso momento - aveva
aperto, utilizzandola, un portale spaziale nel cielo di Manhattan, da cui si
erano materializzati i Chitauri, una razza aliena che lo aveva affiancato nella
battaglia all’ultimo sangue per conquista del pianeta contro il gruppo messo su
da Fury: gli Avengers.
Il moro principe asgardiano si era esibito in una scia di nefandezze,
lasciandosi dietro innumerevoli cadaveri, non prima di coinvolgere con un
incantesimo l'agente Barton, asservito immediatamente al suo nefasto servizio.
'Sì, Point Break, friggono il cervello, peggio di tuo fratello; fanno
mille domande personali e vogliono capire se tu sia matto davvero’ il Falco rispose,
chiamandolo con l'epiteto affibbiatogli da Stark, legato ad un film di successo,
i cui protagonisti erano più muscolosi del novello collega.
'Altezza, non rischi nulla. Sei sano di mente e domani tornerai ad
Asgard con Loki. Loro cinque no. Per rimanere nell'Agenzia, avrete l'obbligo di
due o più sedute a settimana, con lo specialista che ho scovato per voi, il più
preparato, per le vostre… ehm… difficoltà. Il dottor Andrea Allen. Andy,
vieni!' Fury invitò il medico, assertivo: detestava i capricci più di quanto
l'arciere odiasse i terapisti, e si impose.
'Buonasera, ciao' una giovane donna - capelli castani
lisci, lunghi sulle spalle, gli occhi marroni intensi, un ovale perfetto
ed una bocca sensuale - li salutò, gentilmente, sbucando dal retro del locale
‘Sono Andy Allen' fece un sorriso aperto, mettendosi accanto a Nick.
Squadrava gli astanti, tentando di mantenere la calma: erano sporchi e
maleodoranti, non troppo felici di vederla, come aveva previsto, e…muti. Li
riconobbe, dalle foto sui fascicoli che aveva ricevuto prima di incontrarli e letto
al volo, dando un nome a ciascun volto.
'Di male in peggio, è una donna' si urtò il Falco, scrutando la
moretta davanti a lui: tutto pareva tranne una psicologa. Jeans, ballerine
beige e maglioncino di cotone rosa, il contenente di un gran bel fisico,
flessuoso e aggraziato. Ricordava una studentessa universitaria, del tipo da
più di un invito a sera.
'Sì, Barton, è una donna, ovviamente, non un villano come te; in bocca
al lupo!' il nero si mosse verso la porta ed uscì, lasciandoli con la Allen.
Che se la vedesse la dottoressa, in fondo le avrebbe pagato una parcella salata
per la consulenza ed era la migliore che avesse reperito in poco tempo.
La terapista, in mano una cartellina grigia, si accomodò, sedendo
vicino al Capitano Steve Rogers e tendendogli la mano.
Capitan America - biondino, occhi azzurri, un fisico potenziato e
possente - era a capotavola, puntellato coi gomiti sulla tovaglietta di carta,
la tuta blu, bianca e rossa strappata, lo scudo buttato a terra, il viso
contrariato.
Contraccambiò la stretta di mano, per mera educazione, in attesa che
fosse la signorina a parlare. Avrebbe mosso la mascella solo per ingurgitare il
panino ripieno di pezzettini di carne d'agnello e salse varie, suggerito da
Iron Man. Era tradizionalista e molto stelle e strisce, anche nella scelta del
cibo; tuttavia la fame gli avrebbe fatto divorare qualsiasi cosa commestibile
ed il sandwich di derivazione mediorientale gli aveva sollazzato le papille
gustative.
'Come vi ha anticipato Fury, dovrete partecipare ad almeno due sedute
settimanali; prenderete accordi sugli appuntamenti futuri con la mia segretaria
Jenny, quando verrete al mio studio. Il primo è già stato fissato, per
ciascuno di voi. Troverete scritti ora e giorno, dietro il mio biglietto da
visita, per comodità. Ecco a voi' li consegnò, girando intorno al tavolo,
tranne a Thor, spiegando 'andrò in ordine: prima Barton, poi Banner, gli altri
a seguire'.
'Cavolo, sei laureata e non sai nemmeno l'alfabeto. Banner viene prima
di Barton' Clint la prese in giro, uno sguardo di sbieco.
'Non si tratta di procedere in ordine alfabetico, lo ha dedotto
erroneamente!' fu lapidaria e seria, dandogli del lei. Conosceva il suo pollo -
sempre di uccello si trattava - e aveva già messo in conto l’evidente ostilità
'Ed un'ultima cosa; due appuntamenti consecutivi mancati, senza avvisarmi, e
sarete fuori dal programma. Troverete un'altra terapista, al mio posto.
Chiaro?'.
Non risposero e lei salutò, stringata, certa l’avessero ascoltata ‘A
presto, buona serata’. Andò via, facendo attenzione ai detriti davanti a sé.
‘Maledizione, che storia è? Domani!!!!’ il Falco era furioso. Il
figurino del corpo femminile ancora nella mente, si inquietò, sbottando;
rigirava il bigliettino da visita fra le dita unte di salsa…la data per il suo
primo incontro con la dottoressa era il giorno successivo!
‘Non tutto il male viene per nuocere, magari chiacchierare un po’ con
lei gioverà. Soprattutto a te. Il lavaggio del cervello di Loki ti ha parecchio
destabilizzato, devi ammetterlo’ la sua amica del cuore, Natasha Romanoff -
detta Vedova Nera, un’affascinante assassina e spia sovietica dai lunghi
capelli rossi e dagli occhi verdi da gatta, redenta a nuova vita lavorativa
proprio grazie al legame con Barton, che l'aveva convinta a diventare un'agente
- sembrava ottimista, positiva.
L’altro si stizzì, tanto per cambiare: diamine, persino Nat lo
spronava a farsi aiutare!
‘Io andrò di sicuro, la dottoressa è davvero carina, assomiglia a
quell’attrice mora…l’ex moglie di Tom Cruise!’ Tony, sensibile al fascino
femminile, l’aveva apprezzata, per le curve, in primis.
‘Appunto, un’attrice!’ Clint era sempre più nero.
‘Ti lamenti troppo. Se ci avessero affibbiato uno psicologo, o peggio,
uno psichiatra anziano coi capelli a porcospino tipo Einstein, avresti avuto
ugualmente da ridire. Aprirci con qualcuno, in senso generale, ci farà bene…sempre
se non diventerò verde nel suo studio, sai che figuraccia…’ Bruce - indosso i jeans
strappati ed una camicia omaggiata da un cameriere - tra un boccone e l’altro,
parlava da scienziato, piuttosto timoroso di trasformarsi davanti alla
dottoressa.
Il professore esperto di radiazioni - un quarantenne timido e delicato
nei modi, capelli ricci e occhi scuri, un viso paffutello e gli occhiali da
lettura sul naso - dopo essere stato esposto a una dose eccessiva di raggi
gamma, se soggetto a rabbia o eccitazione. Si tramutava in un mostro
incredibilmente grande e forte, oltre che verde: Hulk!
‘Proviamo, per lo meno, che abbiamo da perdere?’ Steve li esortò con
saggezza, intanto che, terminato il pasto, si alzavano per tornare a casa.
∞∞∞
Steve era uno schiacciasassi, un rompiscatole di prima categoria, il
primo della classe in ogni campo e, presumibilmente, nato di sette mesi.
Dopo aver sentito, per la notte intera, la voce di Loki nella testa,
sovrapposta alla propria, ed essersi addormentato soltanto alle prime luci
dell'alba, Clint aveva ricevuto una chiamata del collega sul telefono fisso -
posto sul comodino della stanza da letto del suo bilocale, a volume altissimo,
dati i propri problemi di udito - ed era balzato a sedere, col cuore in gola:
forse doveva correre alla base per un’emergenza…no, purtroppo!
Il Capitano - utilizzando la vocetta melensa che proponeva
all’interlocutore, per non essere ingiuriato in un decimo di secondo - lo aveva
avvisato che sarebbe passato a prenderlo, con la propria moto, per
accompagnarlo all'appuntamento con la terapista; la scusa era che stavano
ancora sgomberando le strade di Manhattan dalle macerie della battaglia con Chitauri.
Era il solito pretesto banale di Rogers; voleva accertarsi che ci andasse, da
buon samaritano. Il maledetto buon samaritano di Brooklyn, santo cielo!
L’arciere - indossato il paio di protesi acustiche che non lo
abbandonavano mai, come una nefasta appendice - aveva bofonchiato un sì, per
non offendere l’amico più che permaloso, e si era buttato sotto la doccia;
bevuto un caffè al volo, aveva recuperato, a caso, degli indumenti puliti
nell'armadio. La sua divisa: camicia a scacchi, jeans sdruciti e giacca di
pelle. Non aveva abbigliamento particolarmente raffinato, solo tute e capi
sportivi: non era un incontro galante e non voleva fare una buona impressione, anzi!
Sentì suonare il citofono, a lungo, come se Rogers avesse incollato il
pollice sul pulsante.
'Scendi!' udì la voce imperiosa del biondino, che lo aspettava sulla
sua Harley; lo trovò, con il secondo casco in mano, che gli ordinava 'muoversi,
Falco’.
'Hai una vitalità, amico, ed io un sonno colossale! Che razza di
tortura! Debbo proprio?' si lamentò, mentre sfrecciavano, nel traffico
aggravato dai lavori stradali.
'Sì, devi. Parlale un po', starai meglio, è una ragazza carina' provò
a convincerlo 'Ecco, è il suo portone' indicò un palazzone di uffici di una
trentina di piani nell’Upper East Side 'Ciao, ci vediamo alla base' lo salutò e
quello fece un cenno con la testa, scocciatissimo.
Allen, ventiduesimo piano: si tratta bene, la ragazza, pensò
l'arciere, prendendo l'ascensore nell'edificio curato e lussuoso, dove nulla
risultava fuori posto, nemmeno il cestino della carta riciclata.
Figurarsi lo studio della dottoressa: era semplice, arredato in stile
moderno, due grandi divani nella sala d'attesa ed una scrivania, con la sua
segretaria che spiccava, una donna di mezza età, di colore, grassottella,
indosso un variopinto vestito a fiori rosso vermiglio.
Lui si presentò 'Sono Clint Barton'.
La nera lo scrutò 'La dottoressa Allen la riceverà subito, si
accomodi' additò uno dei sofà e delle riviste, ma Clint, troppo nervoso, rimase
in piedi, vicino la porta di ingresso.
Passati due minuti esatti, la terapista uscì dalla sua stanza 'Agente
Barton, buongiorno: vuole già fuggire?'. Aveva indovinato subito le sue
intenzioni 'mi segua’ si mosse verso l'interno della camera.
Barton entrò, titubante; si aspettava il solito lettino per le sedute.
Al contrario, nello studio, troneggiava una scrivania di cristallo, con
seggiole di acrilico bianco e nero di design, e, un po' più spostate, due
poltrone morbide, rivestite in alcantara carta da zucchero, una di fronte
l'altra, oltre a un divanetto abbinato.
Sulla parete, alle spalle del tavolo da lavoro notò, incorniciati, la
laurea della dottoressa, altri attestati di masters e corsi frequentati, ai
lati dello studio librerie alte fino al soffitto, stracolme di tomi e testi,
soprattutto legati ai propri studi.
Una portafinestra affacciava su una grande terrazza, esposta a sud e
illuminata dal sole.
'Prego, si accomodi' sedette su una delle due poltrone, e lui si mise
sull'altra, frustrato.
Intanto che Andrea apriva un piccolo libretto nero tipo Moleskine, la
rimirò; era più professionale, quel giorno. Indossava un tailleur, con la gonna
corta ed uno spacchetto laterale sulla coscia, grigio chiaro, una camicia
bianca di seta dal taglio maschile e delle décolleté nere.
Una lunga collana di perle al collo, che terminava con una margherita
gioiello con i petali di onice, contorniata da strass, completava l’outfit
serioso; i capelli erano stati raccolti in uno chignon morbido, da cui
sfuggivano delle ciocche castane ai lati del viso. Era molto carina, come aveva
detto il Capitano, soprattutto con le splendide gambe, accavallate, in un posa
non voluta, estremamente provocante.
L’uomo deglutì, tentando di riprendere aria…gli pareva di essere in
apnea e non riuscire a risalire dal fondo del mare, verso la superficie.
'Possiamo darci del tu?' la mora chiese, gentilmente.
'Sì' borbottò, lo sguardo fisso sul parquet scuro doussie africa.
'Clint, vuoi dirmi come ti senti?' Andy tentò una via amichevole: l'Avenger
arciere, vestito da boscaiolo, aveva un'aria strafottente ed era sulla
difensiva.
'Sto benissimo'.
'Sul serio? Non sembra' lo contraddisse.
'Non sembra a te...senti, dottoressa, sei cortese e non voglio
risponderti male: però, non ho bisogno del tuo aiuto' fu assertivo.
'La prima regola per la riuscita della terapia è la volontà di
parteciparvi; per cui, se non desideri sottoporti alle nostre sedute, quella è
la porta. Non ti trattengo, sei libero e puoi andartene quando vuoi' era
sincera. Aveva sbattuto le lunghe ciglia scure, provocandogli l’ennesimo sussulto,
ma non importava, avrebbe dato la mano con cui teneva la freccia per
teletrasportarsi altrove, come il Capitano Kirk di Star Trek.
Si alzò, incredulo. Era così semplice? 'Allora, ciao, vado'.
'Va bene; dovrai avvertire il Direttore Fury, personalmente, spiegando
perché hai preferito non usufruirne. MI pagherà lo stesso, anche se non vi
presenterete, e profumatamente. Falco, se salterete gli incontri, per scelta o
per qualsiasi altro motivo, dovrete renderne conto a lui e non a me' fece un
sorriso sghembo, seducente e diabolico!
Cavolo, l'aveva fregato; chi lo sentiva Fury, porca miseria, era
peggio di Rogers. L'arciere dovette abbozzare e si rimise a sedere, intrecciando
le gambe, concentrato sulla suola delle scarpe da ginnastica.
'Come ti senti, alla luce di quanto accaduto ieri e nei giorni
antecedenti?' Andrea ripeté la domanda, a vuoto.
Trascorsi cinque inutili minuti di imbarazzante silenzio, l’Avenger la
vide sollevarsi in piedi e camminare verso la terrazza, senza una parola,
spalancare la finestra ed uscire sul balcone.
La sua voce gentile lo chiamò 'Agente Barton! Avvicinati!'.
Incuriosito dal gesto inaspettato e ben poco professionale, la
raggiunse; Andy stringeva la balaustra di ferro con le mani, il viso era alzato
verso il cielo, gli occhi chiusi, sotto il sole di maggio.
'Adoro la primavera. Vieni qui, vicino a me' lo esortò, voltandosi
verso di lui.
'Sarebbe la tua terapia?' chiese, stuzzicato.
'Forse!' ridacchiò e Clint si convinse. In effetti, aveva ragione, era
bello sentire il volto colpito dal calore dei raggi solari, e New York, in quel
periodo era splendida, rigogliosa.
Dal lato nord della terrazza si apriva un panorama incantevole su
Central Park. La psicologa era molto attraente, emanava un profumo dolce,
femminile e persistente, segnato dalle note del gelsomino e dei fiori
d’arancio. Buttò un occhio alle macerie in strada, con un respiro rumoroso
'Guarda che disastro!'.
'Abbastanza; fra pochi giorni tornerà tutto alla normalità'.
'Ne sei convinta?' profondamente scettico, utilizzò un'inflessione al
limite del sarcasmo.
'In città sì; per te, invece, Falco?' la voce era vellutata, suadente.
Non apparteneva ad una terapista, ma ad una confidente affettuosa.
Maledizione, la Allen ci sapeva fare. Si sbottonò, un minimo 'Mi
ritrovo al punto di partenza. Avevo messo in un cassetto la mia vita precedente
di mercenario ed assassino, credevo di essermi ripulito, di aver lavato l’onta
di un passato macchiato da misfatti e nefandezze. In un attimo, quando Loki mi
ha toccato il petto con lo scettro, sono tornato indietro di molti anni'.
'Non sei più quella persona, da tempo, secondo ciò che ho letto di te
e che dicono i tuoi amici e il Direttore dell’Agenzia. Lo stesso principe
asgardiano ti ha scelto, come scudiero, per il tuo grande cuore, un motivo ci
sarà. Vedi rovine nella nostra amata Grande Mela, poteva essere peggio. Hai
salvato il mondo, insieme ai tuoi colleghi, a rischio della tua stessa vita.
Non conta?'.
'Non lo so! Non so più nulla!' poggiò il viso fra le mani unite, a
coprirlo. Aumentava il senso di sconforto e confusione; la sua interlocutrice
aveva ragione, almeno un po’. Aveva combattuto, a fianco degli altri Avengers,
e sconfitto i Chitauri; Iron Man aveva rimandato al mittente il missile
nucleare spedito dal Governo per distruggere l’isola di Manhattan,
accompagnandolo nel nucleo dell’astronave aliena al limite del passaggio nello
spazio aereo newyorkese. Il merito era stato della loro squadra, al completo;
li aveva premiati il lavoro d’equipe, il talento, la forza di carattere.
'Qualcosa saprai' lo incoraggiò.
'Sì, che dormo male la notte e che l'analisi non fa per me' disse, in
un soffio, con voce flebile.
'Se volessi, potrei prescriverti un leggero sedativo, per il primo
problema; ti potrebbe aiutare a ritrovare il ritmo naturale del sonno' sul
secondo aspetto non si espresse, l’avversione dell’arciere per la psicoterapia
si percepiva, a pelle. E non era poca.
'Preferirei di no, grazie ugualmente'.
'Soprassediamo; invece, ho un regalo per te, per rendere più leggera e
costruttiva la terapia' lo prese sottobraccio, accompagnandolo all’interno
dello studio. Il loro contatto le provocò più di un pensiero, che allontanò
velocemente; Clint Barton era un paziente, e pure un caso complesso, doveva
evitare imprevisti di natura personale.
Dentro un cassetto della scrivania, recuperò un piccolo libretto dalla
copertina viola e glielo porse 'Scrivi le cose belle che ti accadono, le più
significative, da ora, fino alla prossima volta che ci incontreremo. Ho scelto
il violetto, perché è il colore della tuta di Occhio di Falco, l’ho intravista
al ristorante, ieri'.
L’arciere sfogliò le pagine bianche e intonse, stupito del pensiero
gentile e propositivo 'Te lo riporterò vuoto...grazie lo stesso'. Probabilmente
per gli altri clienti era risolutivo, per sé un limite ulteriore.
'Ci vediamo venerdì, a presto' Andy lo salutò, informale, in linea
all’intera seduta appena trascorsa…quarantacinque minuti volati.
'Ciao, dottoressa' al limitare della porta, Clint alzò la mano
sinistra, stringendo il quadernino viola nella destra, stranamente sudata.
∞∞∞
'Com'è andata?' Tony lo aveva chiesto, sinceramente curioso e
preoccupato, non appena il Falco aveva messo piede alla base dello S.H.I.E.L.D.,
nel primo pomeriggio; Barton se l'era presa comoda, dopo aver bighellonato in
giro per evitare di incrociare Loki, svaporato col suo muscoloso fratello verso
Asgard all’ora di pranzo, secondo il programma stabilito, attraverso il Bifrost,
una sorta di ponte di energia che univa i Nove Regni dell’Universo.
Il moro, nemmeno un saluto, aveva iniziato un serrato interrogatorio.
Avesse avuto delle bacchette di bambù, le avrebbe conficcate sotto le unghie
del collega, a mo’ di tortura del regime della Cina di Mao, per ottenere ogni
più piccolo dettaglio.
Con Clint nulla era scontato. Più che Occhio di Falco, il suo nome di
battaglia sarebbe dovuto essere Lupo Solitario, come sosteneva il Direttore.
Circostanza di cui Andrea era certamente al corrente.
La nota avversione volatile alla psicoterapia aveva un fondamento
spiacevolissimo. Entrato nei ranghi dell'Agenzia in cerca di redenzione, Barton
si era scontrato con più di un medico, che aveva tentato di aiutarlo coi suoi
problemi di gestione della rabbia: una rabbia atavica nei confronti del resto
del mondo, incancrenita nella sua anima dagli abusi fisici e mentali subiti in
tenera età e, non ultimo, dalla perdita quasi totale dell'udito, conseguenza di
una sfortunata operazione di diversi anni prima.
Burbero, schivo, arrogante e sfrontato, faceva della misantropia la
sua unica filosofia di vita. Solo era e solo sarebbe rimasto! Il resto
dell'umanità era stato relegato fuori dalla porta dello spazio che si era
ritagliato per l’equilibrio mentale, quello in cui tirava con l'arco,
scordando ciò che di brutto lo circondava e lo aveva circondato, fino a quel
momento.
L’ansia di Iron Man era lecita; dunque, attese il verdetto, a mani
giunte.
'Bah, secondo me, non è una vera psicologa!' Clint era scettico,
dubbioso.
'Perché dici così? Sul biglietto da visita era chiaramente indicato
anche il numero dell’iscrizione all’Albo. Fury non ci avrebbe indirizzato a una
scarsa’ Stark si meravigliò dell’affermazione, che confutò.
'È una sensazione'.
'Poco professionale? Antipatica?'.
'No, non è questo...' troppo brava forse, troppo attraente, troppo
gentile: c’era qualcosa sotto, impossibile la Allen fosse tanto perfetta, non
gli quadrava.
La perfezione era di un altro mondo, forse il Regno di Asgard di Thor,
lo sapeva bene; e lui era più imperfetto che mai.
‘Io mi sono trovato bene…immensamente’ intervenne Banner, limitrofo
‘sono andato dopo di te, e mi ha compreso; credimi, è la prima volta in vita
mia. Non ha usato parole strane o arzigogoli cervellotici, è stato semplice,
spontaneo. Ha talento!’ pareva esaltato.
‘Se lo dici tu…’ Barton toccò, con la punta delle dita, il libretto
dalla copertina viola, rimasto nella tasca del proprio giubbotto; la presenza
dell’oggetto lo rassicurò, stranamente. Preso da ragionamenti senza senso sulla
seduta con Andy, si accomiatò dai due amici, dirigendosi verso la palestra, per
allenarsi con il suo arco.
∞∞∞
Clint aveva rimuginato, nei tre giorni seguenti, sull’incontro con la
Allen e sul libretto viola. Non gli era venuto in mente nulla da scrivere,
poiché niente di bello gli era accaduto, come aveva previsto.
Soprattutto, non riusciva a togliersi, definitivamente, la voce di
Loki dalla testa; ogni tanto ricompariva, come d’improvviso, a metterlo in
subbuglio, insieme al viso della dottoressa, quell’ovale perfetto con la
boccuccia rosea a forma di cuore, dove spiccavano i bottoni rotondi del colore
del cioccolato fondente. E lui adorava il fondente, ne faceva scorpacciate!
Spaventato all’idea dell’appuntamento seguente, immerso in folli
elucubrazioni tali da aver trascorso la notte in bianco a fissare il soffitto,
era crollato alle sei del mattino, e aveva spento la sveglia, puntata al giusto
orario, quando era suonata, per rigirarsi nel letto: solo altri cinque minuti
di sonno che male avrebbero fatto?
Come accadeva in quei casi, i cinque minuti erano diventati diverse
ore: si era destato molto più tardi e si era precipitato nello studio di Andy,
senza fare la doccia, raccattando gli abiti del giorno precedente destinati
alla lavatrice dalla sedia accanto al letto e guidando, come un folle, la sua
Jeep grigia scura grigia, con stampata sugli sportelli anteriori l'aquila nera,
simbolo dell'Agenzia.
Era sì piombato lì come un falco, ma in condizioni indecenti. Sudato,
trafelato, trasandato…atroce!
Jenny aveva fissato la camicia gualcita e mal abbottonata ed i capelli
arruffati, con lo sguardo di chi avesse assistito ad una scena simile centinaia
di volte.
‘Posso vedere la dottoressa Allen? Avevo un appuntamento e devo
scusarmi con lei!’ Clint, col fiatone, provò.
‘No, ho preso nota; non si è presentato né ha avvertito, signor
Barton. Ora la dottoressa è impegnata con un altro paziente. Alla prossima’ si
oppose la nera.
‘Aspetterò!’ l’arciere sedette sul divano; non aveva programmi e
doveva parlarle, a quel punto. Tentò di sistemare i capelli con le mani e
allacciò la camicia correttamente. In tasca trovò una scatolina di mentine e ne
succhiò una…nemmeno si era lavato i denti, che disdetta.
Passata mezz’ora, Andy aprì la porta, accomiatandosi da un uomo di
mezza età.
Accidenti, l’agente Barton! La fissava, con un viso stravolto, due
occhiaie profonde e l’espressione stralunata.
‘Ecco…io…’ balbettò il Falco, gli occhi azzurri spiritati, tentando di
mettere una parola ben in fila dietro l’altra.
‘Hai saltato l’incontro…’ lei si avvicinò a Jenny, per prendere
visione dei messaggi e poi si diresse verso l’uscita ‘e non hai chiamato…fissa
un altro appuntamento, per favore, ho un impegno personale e non posso
trattenermi’ lo avvisò.
L’uomo la seguì, comunque, verso l’ascensore ‘Debbo spiegarti perché
ho mancato la nostra seduta…ho avuto un problema’ la fissò, entrando nello
spazio ristretto insieme a lei.
La mora indossava un vestitino verde di seta, morbido, lungo al
ginocchio, ed un impermeabile marrone…era fascinosa ed elegante,
perfetta…perfettissima come al solito, lui al confronto era peggio di uno
spaventapasseri di un film dell’orrore.
‘Non importa e non mi interessa’ lo interruppe ‘tutti hanno
imprevisti: devi imparare ad essere responsabile ed attento: una telefonata o
un messaggio si possono sempre fare o mandare, si tratta di educazione e
rispetto per gli altri, che evidentemente ti mancano!’. Suonò come un
rimprovero e non fu affatto gentile.
Gli stava dando del maleducato, Clint non poteva crederci. ‘Stai
scherzando, Andy, vero?’ si indispettì, usando il nomignolo sentito dalla bocca
del suo Capo.
‘Barton, non prendiamoci confidenze di questo tipo. Non sono tua
amica, sono la tua terapista! Ancora per poco, a quello che immagino!’ a passo
svelto, la Allen varcò il portone del suo palazzo ed attraversò la strada, in
un punto dove non c’erano strisce pedonali o semafori, pericolosamente.
Il Falco le si accodò, facendo lo slalom fra le auto ‘Vai piano,
dottoressa, che ci lasci le penne!’
‘Il pennuto sei tu, Occhio di Falco!’ Andrea ridacchiò, stemperando i
toni di una conversazione che stava virando sul pesante.
‘Sì, in effetti’ lui arrossì come un adolescente! Era una forza, la
Allen!
‘Che prendi?’ la terapista lo chiese, fermandosi davanti ad un chioschetto
che vendeva caffè e ciambelle, tirando fuori una banconota dalla tasca del
trench.
L’arciere si intimidì, avrebbe voluto offrire lui, poi si riprese;
meglio accettare educatamente, il suo scopo era fare ammenda per il mancato
incontro e non inimicarsela ‘Un caffè, nero e senza zucchero, grazie!’.
‘Quello, per il mio amico, Frank, per me il solito…ed aggiungi
un’altra ciambella!’ porse il bicchiere di plastica a Clint, oltre che il
dolce; era chiaro si recasse lì spesso, dalla confidenza con il ragazzo
italoamericano dai capelli scuri, che gestiva la piccola attività commerciale.
‘Non l’ho ordinata!’ le segnalò, ritrovandosi la pasta in una mano,
avvolta in un tovagliolino di carta, e il bicchiere di polistirolo nell’altra.
‘Secondo me, sei venuto qui digiuno…di solito faccio due passi fino al
parco, per di là’ era a cinque minuti e ci passava le pause fra un paziente e
l’altro, quando poteva.
‘In effetti, sei intuitiva’ addentò la ciambella, con un languorino
allo stomaco e forse anche in altre parti del corpo ‘è molto buona!’.
‘Vero…lì c’è una panchina libera’ Andy sedette, accavallando le gambe
e gustò un sorso di caffè, alternandolo a pezzettini di dolce, che staccava,
portandoli alla bocca, lentamente.
Il Falco era in difficoltà e non riusciva ad articolare una parola, avrebbe
dovuto scusarsi e non sapeva come. Perché Andy era così bella? Perché? Perché
avrebbe voluto essere una ciambella?
‘Visto che il gatto ti ha mangiato la lingua, inizio io’ la ragazza -
lo sguardo imperturbabile sull’apparecchio acustico inserito nell’orecchio
destro del suo paziente, in parte coperto dai capelli castani - capì che doveva
colmare i vuoti della chiacchierata ‘questa non è una seduta né sostituisce
l’appuntamento a cui non ti sei presentato; è il mio momento di relax e durerà
pochi minuti e…non l’ho mai passato in compagnia di un paziente…per cui,
conviene che tu vada subito a bersaglio, per usare un gergo che ti è consono’
abbozzò un sorriso dolce e lui sentì liquefarsi un pezzo di cuore.
‘Avevi ragione tu, ho difficoltà a riposare tra il lavaggio del
cervello del principe asgardiano ed altro che mi ronza in testa’ si mantenne
sul vago, non poteva certo spifferarle di aver sognato soprattutto lei, ad
occhi aperti e chiusi ‘stamattina non sono riuscito a svegliarmi, dopo una
notte insonne. E’ il motivo della mia assenza’.
La dottoressa sospirò ‘Sei sempre contrario all’ipotesi di un
sedativo? Si tratterebbe di un blando medicinale e per un breve periodo. Non ti
darà assuefazione, potrai tirare con l’arco, andare in missione e smetterlo,
non appena il tuo ciclo del sonno si regolarizzerà’.
Clint la fissò, negli occhioni marroni, le lunga ciglia scure che
sbattevano come ali di farfalla, senza cedere di un millimetro ‘Vorrei tentare
da solo, anni fa mi prescrissero dei farmaci e ne ho un ricordo spiacevole’.
‘Va bene, è giusto che scelga per te stesso. Senza colpevolizzarti
troppo o pensare di essere debole, se ti farai aiutare da qualcosa o da
qualcuno’ il riferimento non era casuale, era a se stessa; Andy finì il caffè e
dette l’ultimo morso al restante pezzettino di ciambella che aveva in mano ‘Ora
devo scappare! Ciao, Clint! Non mancare la prossima volta!’ sgattaiolò via,
veloce come era arrivata al parco, in preda ad un’emozione sconosciuta, lasciandolo
lì, seduto sulla panchina, ugualmente confuso.
∞∞∞
'Meno male! Ho trovato il tempo di avvisare la Allen che saltavo la
terapia' Nat, seduta sul Quinjet, fece un sospiro di sollievo. Aveva inviato un
messaggio a Jenny, in un momento di pausa dal recente combattimento.
'Solita esagerata, eravamo in missione. Siamo Avengers e salviamo il
mondo, la sua regola non vale in questo caso' Clint minimizzò, Vedova Nera era
eccesiva.
'Non credo' la collega alzò gli occhi al cielo, intanto che facevano
atterrare il velivolo, al ritorno da un'operazione in Azerbaijan, durata
quattro giorni.
Trovarono Fury, ad attenderli, alla base della scaletta dell’aereo,
incavolato, con un’espressione truce e in mano una bustina di carta 'Agente
Barton, è per te. Siamo sempre alle solite' la consegnò e se ne andò, scocciato
alla sola vista dell’arciere. Mai una gioia, con lui!
Il Falco l'aprì: due righe scritte a mano, in bella grafia...'Ti lascio il numero di telefono di una
collega molto valida. In bocca al lupo' seguiva la firma della dottoressa
Allen, insieme al biglietto da visita di un'altra terapista...porca miseria,
aveva ragione Romanoff!
Senza nemmeno pensarci, ancora vestito con la tuta nera e viola, si
precipitò al garage, per recuperare la jeep direzione studio di Andy! Macinò i
chilometri che lo separavano dal centro di Manhattan, alla stregua di un pilota
di Formula Uno e entrò, come un fulmine, nella sala d’aspetto.
La segretaria lo bruciò sul tempo; era stata avvisata dalla sua
datrice di lavoro e si era preparata a placare i bollenti spiriti dell’ex
paziente 'Signor Barton, la sua terapia è terminata, la prego di uscire; in
caso contrario chiamerò la polizia'.
'No, rimango!' si oppose, quasi gridando, sperando di spaventarla. Fu
inutile, non ci riuscì; la vide comporre il numero delle forze dell’ordine e
capì che la nera avesse vinto il primo round. La cicciona non scherzava!
Se ne andò, con la coda fra le gambe; si sistemò in macchina,
parcheggiata sotto il portone del palazzo dello studio, ed attese. Prima o poi
Andy terminerà le sedute ed uscirà, si disse, lui non aveva fretta.
Accese più di una sigaretta, nervoso, fin quando la vide, dal vetro
dell'ingresso, muoversi. Verso di sé, pensò. Invece, no, cavolo! Andava
incontro ad un uomo alto e moro, di bell'aspetto, che recava un mazzo di fiori
in mano… un regalo per lei, forse era il suo ragazzo. No, ecco, lo aveva
salutato senza effusioni, era solo un corteggiatore o un amico. Stranamente
sollevato, strombazzò col clacson, per farsi notare e la Allen si voltò,
indosso un tailleur blu ed un top scollato, lo sguardo corrucciato.
Barton scese dall'auto, più inquieto che mai, gettando la cicca a terra.
'Sei diventato matto, Clint? Che fai qui? Vestito così, poi!' la
dottoressa era basita; gli occhi del Falco fiammeggiavano, le parvero braci
ardenti. Fece cenno al suo accompagnatore di indietreggiare, doveva risolvere
la questione per conto proprio e avanzò lei, in direzione dell’Avenger.
'Sono sanissimo, di te non posso dire altrettanto! Puoi tenerlo!'
Barton le ridiede la bustina di carta, sbattendogliela sotto il naso.
'A me non serve; ho un appuntamento privato e nulla da chiarire. Sapevi
della regola delle due sedute, l’ho ripetuta molte volte' la riprese, comunque,
per evitare cadesse a terra.
'Ero in missione con gli Avengers, non a un tè con la Regina
d'Inghilterra! Devi giustificarmi!' le sibilò.
'I tuoi colleghi hanno chiamato, tu non hai neanche provato' lo
rimproverò 'Comunque non è un problema mio. Non più. Addio, arciere!' buttò il
biglietto dentro l'auto, dal finestrino aperto, raggiungendo il suo presunto
amico, affiancandolo.
Diavolo! Clint diede un pugno al cofano del fuoristrada, vedendola
allontanarsi sottobraccio a quel ragazzo fortunato. ‘Non finisce qui,
dottoressa, ci puoi giurare!’ bofonchiò, minaccioso.
Tornò a casa, senza ripassare per la base, con un piano ben preciso in
testa; avrebbe seguito Andy, a partire dalla mattina seguente e, prima o poi,
lei avrebbe ceduto e lo avrebbe ripreso come paziente.
Era stato un assassino spietato, un mercenario, era Occhio di Falco,
un Avenger. Le avrebbe fatto cambiare idea, poco ma sicuro.
∞∞∞
Sicuro...proprio no!
Andrea lo aveva evitato, come la peste, capitone le intenzioni. Era in
gamba. Cambiava le sue abitudini, usava l'uscita di emergenza, l’ascensore di
servizio. Tuttavia, Clint era un ottimo investigatore e ne aveva seguito le
tracce, studiando i suoi orari: palestra, lavanderia, serate con le amiche,
precisina come un orologio svizzero. Nessun fidanzato pervenuto, grazie al
cielo.
Ogni volta che si erano incrociati, la donna era riuscita a
dileguarsi, e non gli aveva detto mezza sillaba. Occhi bassi, bavero
dell’impermeabile tirato sul viso, scappava a gambe levate.
Il Falco aveva tentato persino un colpo da maestro: aveva portato con
sé arco e faretra e assemblato una rosa rossa a stelo lungo su una freccia. Sistemato
allo stesso piano del palazzo di fronte lo studio - dove si era fatto ospitare
da una famiglia, che lo aveva preso in simpatia, e a cui aveva mentito, dicendo
che doveva riconquistare la sua ragazza - quando la moretta aveva aperto la
finestra della terrazza, aveva scagliato il dardo all’interno della stanza,
certo di aver mirato alla scrivania di cristallo.
Tempo tre minuti, la portafinestra era stata richiusa e mai più spalancata.
E sì che lui aveva creduto fosse il gesto ideale, per ottenere il suo perdono…quasi
romantico! Evidentemente non era stato apprezzato.
Augurandosi che non tutto fosse perduto, aveva proseguito nel
pedinamento. La Allen era rimasta sulle sue, per i quindici giorni di
appostamenti, in cui Barton aveva consumato le ferie arretrate che il Direttore
gli aveva concesso poco volentieri.
Quella ragazza era un osso duro, peggio di Loki e dei Chitauri. Era
bellissima, intelligente, colta, una psicologa brillante; lui, in fondo, era
solo un arciere…riflettendoci, toccava con il pollice sinistro il callo
formatosi al bordo della mano a causa del costante allenamento, in cerca di
conforto e di una soluzione.
Osso duro, ma non indistruttibile…Approfittò di un momento in cui non
avrebbe potuto negarsi.
La sera che la terapista si era ritrovata l’Avenger al cinema,
sedutole accanto - in mano un cestello gigante di popcorn, un bicchierone di
Coca Cola e un sacchetto zeppo di gelatine alla frutta - aveva, infatti, dovuto
fare buon viso a cattivo gioco; era lì, con le sue tre amiche storiche del liceo,
che non facevano che sgomitarla, alle occhiate e sorrisetti scemi del Falco,
numerosi ed insistenti.
Quell'uomo senza vergogna la stava mettendo in imbarazzo, con la sala
gremita!
Era la prima del quarto titolo di Mission Impossible, la saga
con protagonista Tom Cruise, l'attore che fangirlavano fin da ragazzine; erano
cresciute col poster di Top Gun - la pellicola che lo aveva lanciato
nell’Olimpo di Hollywood - appeso sopra il letto e non l’avrebbero persa, per
nulla al mondo.
Il film aveva un cast stellare; il coprotagonista Jeremy Renner era
casualmente anche l'attore prediletto dell'arciere, che, quindi, si era
presentato al multisala, armato di buone intenzioni e leccornie comprate nella
casetta di Hansel e Gretel, per irretire le sue compagne…un piano ben
architettato, complimenti, Falco, rifletté la Allen.
Di che ti lamenti? E’ un bel tipo, avevano
segnalato le sue accompagnatrici, pure simpatico. Per loro, era tutto
molto genuino e buffo; si erano divertite un mondo a chiacchierare con l’agente
Barton, che gli aveva offerto le gustose caramelle e le aveva intrattenute, fra
battute e risate.
In effetti, Clint faceva anche la sua figura, per una volta, con una
giacca in panno blu scuro, i jeans avvitati e una camicia azzurra. Era
sbarbato, ben pettinato e aveva utilizzato l’acqua di colonia muschiata al
posto del bagnoschiuma; l’aroma intenso, arrivato nelle narici della Allen, l’aveva
quasi intossicata, un moderno oppio per i sensi.
Terminata la proiezione, anziché proseguire con la pizza programmata,
gli si era avvicinata, nulla contenta, per redarguirlo aspramente, mentre
uscivano dal cinema 'Che vorresti dimostrare con i tuoi folli appostamenti? Sei
peggio di uno stalker!'.
'Eh, addirittura' il Falco rise, con le labbra arcuate 'hai ceduto,
alla fine sei venuta da me!'.
'Mi tormenti! Per di più, so che non hai contattato la mia collega. È
molto brava, devi andarci' spostò la conversazione sul lavoro, perché evitasse
fraintendimenti.
'Ti preoccupi per me e prendi informazioni: ti interesso e molto' si
vantò.
'Che vorresti insinuare, Clint?'.
'No, niente...' glissò, per non fare la figura dell'idiota 'hai perso
il treno delle tue amiche, stanno andando via: ceni con me?'. Le tre ragazze,
appena in strada, erano salite come missili su un taxi, chiamato con un
fischio, consapevoli del feeling fra la terapista e l’arciere.
'Come hai detto?' si allacciò l’impermeabile beige, sopra i jeans
skinny blu scuri e il maglioncino nero, stringendo al corpo la borsa squadrata
di Gucci. Era stata colta da un attacco di brividi, evidentemente la
temperatura si era abbassata.
'Mangiare…mangiamo una cosa e ti accompagno a casa. È vietato? Magari
non sarai la mia psicologa in futuro, ma mia amica sì'.
'Una cosa veloce!' cedette, non riusciva a toglierselo dai piedi,
aveva fame, e - doveva ammetterlo - era divertente da morire! E gli uomini
simpatici erano in numero esiguo. Il mondo era pieno di svitati, che le davano
parecchio lavoro; difficile rimanesse disoccupata.
'Domani è sabato e non lavori, mi sono informato. Ti piace il
sushi?'.
'Falco, mi hai seguito come un’ombra e non lo sai? Fai il furbo: vado
tre volte a settimana dal giapponese'. Lo adorava.
'Visto quanto sto attento? Mi hai accusato di essere superficiale, ti
smentirò' le aprì lo sportello dell'auto, per farla accomodare, con estrema
galanteria.
'È la prima volta che ceno con un quasi paziente' si lamentò,
allacciando la cintura di sicurezza.
'Non c’è nulla di male'.
'Invece sì, non è professionale'.
'Allora non sono più tuo paziente, in via definitiva. Non tenterò di
convincerti a riprendermi in terapia come caso umano, anzi, dopo stasera,
sparirò dalla tua vita. Contenta? '
'Mi hai esaurita; mi arrendo. Stai bene?' chiese, dolcemente.
'Ora che sei con me sì, Andy' ammise, sincero. La confessione gli era
scappata, sfuggita via dal cuore, come un dardo!
Lei si ammutolì, in grande imbarazzo, e rimase in silenzio, fissando
fuori dal finestrino, fino al ristorante, un locale raffinato, aperto da poco,
in pieno centro, a Tribeca.
'Pare la cucina sia favolosa qui' commentò, stupita della scelta
sofisticata.
'Ci è venuto Stark, ed ho detto tutto!' fece una battuta e la Allen
rise 'È ossessionato da ciò che luccica, armatura compresa' aggiunse, ammirando
la location di grande prestigio, che era, in precedenza il building delle poste
della città, con arredamento d’epoca, estremamente caratteristico.
'Ordina per me, dottoressa, sono più tipo da hamburger e patate fritte,
in generale cibi cotti’ seduto al tavolo appartato che aveva preferito per
un’atmosfera più intima, la pregò.
'Potevamo andare dove piaceva a te'. Era evidente che avesse optato
per il giapponese, perché gradito a lei. Era stato premuroso; se ne rallegrò,
spulciando il menù.
'Sarà per la prossima volta' era sicuro che ci sarebbe stata, ci si
sarebbe giocato il suo arco.
‘Vedremo; non gonfiare il petto di vanità, solo perché ho accettato il
tuo invito…sei un rapace, non un pavone’ ridacchiò, ordinando al cameriere riso
croccante al tonno speziato per il suo dirimpettaio, insieme a un’insalata di
aragosta shiitake con salsa piccante al limone; per lei, tartare di salmone e
sashimi.
A differenza di Barton, il crudo di pesce era la sua passione, e
rimase stupita dalla qualità della materia prima e dall’eccellente preparazione
dei piatti; erano ottimi al palato e splendidi alla vista, curatissimi.
Accompagnando il pasto con una bottiglia di Franciacorta Satèn, un frizzante
e leggero spumante italiano, si erano imbarcati in un lunga conversazione su
argomenti diversi.
Avevano parlato tutta la serata, zero pause e silenzi, nel rispetto di
un primo appuntamento coi fiocchi.
Si erano raccontati delle rispettive vite, dei tempi della scuola e
delle relazioni passate, ognuno cercando di mostrarsi al meglio, di nascondere
i propri difetti e sottolineare i propri pregi, fino alla chiusura del locale.
Tirando giù una delle saracinesche, il proprietario li esortò, con
cortesia, a liberare i propri dipendenti e Clint pagò il conto, con la carta di
credito, direttamente alla cassa, intanto che Andrea tornava dalla toilette, i
capelli che le incorniciavano il volto, gli occhi sfolgoranti che illuminavano
la notte.
Non bastava una vita per incontrare una ragazza così! L'Avenger ne fu
consapevole, in quel preciso attimo, distraendo la mente, cercando di non
fissarla più del necessario, più di quanto avesse già fatto.
Tanto era stato loquace durante l’ottima cena, tanto si era chiuso di
nuovo, a riccio, nel tragitto fino all’appartamento della terapista.
Fu Andy a rompere il ghiaccio del suo mutismo; aveva la domanda in
punta di lingua e la pose, all’accostarsi del fuoristrada, davanti l’entrata di
casa sua 'Clint, primo o poi il silenzio ti ucciderà. Riesci a dormire la
notte?'.
Barton ci pensò su 'Ero stanco morto, a causa degli appostamenti: sono
crollato, ogni sera'. Nemmeno se ne era accorto o vi aveva dato troppa
importanza, sconvolto dai pedinamenti e dal nervosismo di aver perso la Allen
come terapista e forse come altro!
'Bene. Avevi ragione tu, quindi, sul farmaco'.
'Sì, so quale medicina mi serve!' la fissò, accorato, con uno sguardo
non fraintendibile, e i topazi azzurri che la trafiggevano, come le frecce che
scoccava lui.
La dottoressa non abbassò la testa, non poteva permetterselo 'Il
libretto delle cose belle? Hai scritto qualcosa?'.
Il Falco arrossì, stranamente, e, recuperatolo dalla tasca della
giacca di panno, glielo passò, a testa bassa 'Leggilo quando sarai da sola, per
favore'.
'D'accordo' non riuscì a non prenderlo 'grazie per la cena,
buonanotte' scese dall’auto, prontamente, come avesse il diavolo alle calcagna.
'Buonanotte, dottoressa' Barton rimase a guardare il portone un tempo
infinito, immobile. Non si era neanche voltata! Eppure…
La moretta salì in ascensore, aprendo, curiosa, il
taccuino...Clint aveva scritto solo una parola...Andy! Il suo nome! Era lei
l’unica cosa bella capitatagli in sorte da molto, moltissimo tempo a quella
parte!
Le tremarono le mani, inserendo la chiave nella serratura. Il mazzo
sfuggì e cadde a terra, mentre accendeva la luce del piccolo soggiorno.
Si abbassò a raccoglierlo e lo sguardo, nel rialzarsi, andò al tavolo
rotondo del soggiorno. In bella vista, dentro un vaso di cristallo, poggiato su
un centrino bianco lavorato all'uncinetto, spuntava un dardo: la freccia che il
Falco aveva tirato nel suo studio, magistralmente. L'aveva portata nel
proprio appartamentino assieme alla rosa rossa che l'accompagnava. Quando
quest'ultima era appassita, la freccia ne aveva preso il posto, all’interno del
vaso. Una freccia in un vaso...Stranissimo, per una razionale e quadrata come
lei.
Perché non aveva gettato via né l'una né l'altra? si chiese, il
libretto viola ancora aperto alla pagina che conteneva il suo nome. Il muscolo
cardiaco aveva cambiato frequenza, nel suo torace, pareva in procinto di
esplodere.
Andy Allen, sei la migliore strizzacervelli sulla piazza...quante
storie...medico, cura te stesso. Si trattava di lei, di ciò che sentiva quando
era con Clint. Era solo questo. Banale, nero su bianco...semplice! Ognuno aveva
una medicina speciale, la propria terapia personale!
Afferrò il dardo e si precipitò sul pianerottolo, forse faceva ancora in
tempo a fermare Barton.
L'ascensore era occupato, maledizione! Prese le scale in fretta, un
gradino via l'altro.
Forzò il portone con una spallata, per ritrovarsi in strada, certa che
l'Avenger fosse già diretto a casa, il fiato corto e il respiro mozzato.
Sussultò, più forte.
Clint era poggiato allo sportello della jeep, un sorriso lieve, a
braccia conserte 'Vedo meglio da una certa distanza, come un falco!'. Il suo
dardo spiccava stretto nella manina femminile della creatura meravigliosa che
si muoveva verso di sé.
Andy gli arrivò di fronte, in preda all'emozione più intensa che
avesse mai provato. Poggiò la punta della freccia sul proprio cuore, sopra
l'impermeabile beige 'Cupido mi ha trafitto' sussurrò, languida.
Barton le sfilò il dardo dalle manine, per ripetere lo stesso gesto,
sul proprio torace 'Tu hai trafitto me, amore mio'. Piegò il volto,
lateralmente, alla ricerca della posizione perfetta, per un primo bacio
perfetto, cingendola per la vita, in un primo abbraccio perfetto.
Quando le sue labbra scoprirono quelle morbide, profumate e sensuali
di Andy Allen, Clint Barton capì che, d'ora in avanti, anche la loro vita
insieme sarebbe stata perfetta.
Sarebbero stati, per sempre, l’uno la terapia dell’altra!
Fine