Film > Alice nel paese delle meraviglie
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Autore: Jo The Strange    20/04/2020    4 recensioni
-Dove ci troviamo? – domandò, curiosa.
-Oh, Alice – sospirò il Cappellaio, scuotendo la testa -Non ricordi cosa ti ho detto l’ultima volta? Dove ci saremmo incontrati di nuovo? –
Alice corrugò la fronte, cercando di fare mente locale tra i suoi ricordi. Una scintilla le attraversò la mente e le esatte parole del Cappellaio tornarono a galla: -Nei Giardini della Memoria… -
-Nel Palazzo dei Sogni... – aggiunse il Cappellaio.
-E’ lì che noi due ci rivedremo – conclusero all’unisono.
Alice fece una smorfia, sogghignando: -Credevo che fosse una metafora, che non esistesse davvero un luogo simile, a Sottomondo –
Tarrant le lanciò uno sguardo eloquente: -Mia cara, qui le cose o sono o non sono. Non esistono le metafore! Forse in passato esistevano, ma credo si siano estinte parecchio tempo fa. E poi, chi può sapere fino a dove si estende Sottomondo? Un Paese delle Meraviglie può davvero avere dei confini? –
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Liddell, Cappellaio Matto, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nei Giardini della Memoria, nel Palazzo dei Sogni

Alice salì sulla sua nave con sguardo fiero e trionfante, salutando il popolo cinese -il quale non aveva alcuna intenzione di perdersi la partenza di quella strana fanciulla europea dai capelli color dell’oro, così inusuali nella loro terra – con una mano e ringraziando con un profondo inchino l’imperatore, con il quale aveva appena stipulato l’accordo più importante della sua carriera. Fece rientrare l’ancora, spiegò le vele e salpò alla volta dell’Inghilterra, verso la sua casa.

Quando il porto, il popolo e l’imperatore non furono altro che minuscoli puntini lontani, Alice si coprì il viso con le mani, ancora incredula per ciò che aveva fatto, non riuscendo a trattenere un largo sorriso. Aveva viaggiato in lungo e in largo per due anni, da quando sua madre aveva venduto la sua casa e aveva fondato la “Kingsleigh & Kingsleigh”, ricoprendo un ruolo sempre più importante tra le grandi compagnie commerciali d’Inghilterra e quell’ultimo trattato stipulato con l’imperatore stesso della Cina poteva considerarsi la ciliegina sulla torta che stava aspettando da anni: grazie a quell’accordo la compagnia navale di Hamish Ascot sarebbe finita sul lastrico in meno di sei mesi e sarebbe stata costretta a vendere parecchie quote alla “Kingsleigh & Kingsleigh” per non fallire completamente, cosa che avrebbe procurato a lei un grande piacere. Non le importava granché dei soldi, era sua madre quella maggiormente attaccata al denaro, ciò che lei realmente voleva era una piccola vendetta nei confronti di quel borioso Ascot che alcuni anni prima le aveva quasi rovinato la vita.

Alice s’immaginò la faccia disgustata e terrorizzata di Hamish quando avrebbe scoperto che il trattato siglato con la Cina lo avrebbe tagliato completamente fuori dai giochi. Rise sonoramente tra sé e sé, beandosi di quella sensazione di benessere. Inspirò profondamente e realizzò che negli ultimi giorni aveva dormito veramente poco, a causa della redazione del trattato e dei molteplici incontri con Sua Maestà Imperiale.

Forse è ora di riposarmi come si deve” pensò Alice, stiracchiandosi per bene le braccia e dirigendosi verso la sua cabina personale. Non appena mise piede nell’umido loculo della nave, si gettò sulla sua branda, coprendosi fino al naso con una coperta. All’improvviso, con la stessa imprevedibilità di un fulmine a ciel sereno, qualcosa smorzò il suo raggiante sorriso, facendola sospirare tristemente.

Se solo potessi raccontare loro quello che ho fatto…

Alice realizzò solo in quel momento che, con molta probabilità, non ci sarebbe stato nessuno ad accoglierla calorosamente a Londra. Nessuno le sarebbe corso incontro per abbracciarla, smanioso di sentire ogni singolo dettaglio delle sue avventure. I suoi veri amici non sarebbero mai stati in prima fila, al porto di Londra, a condividere un momento così importante con lei.

Loro esistevano solo nella sua testa.

Quel pensiero non fece altro che rattristare ancora di più Alice, la quale affondò il viso nel cuscino, trattenendo a stento le lacrime. Aveva cercato di mettersi in contatto con i suoi amici e di tornare a Sottomondo un milione di volte, per mezzo dei sogni o cercando di attraversare nuovamente qualche specchio vecchio e impolverato (dato che le tane di conigli bianchi scarseggiavano in mezzo al mare), eppure tutto era risultato vano. Quel regno meraviglioso, i suoi abitanti e tutte le stranezze che lo caratterizzavano sembravano svaniti nel nulla.

Anche lui era svanito nel nulla.

Ciò che per Alice risultava più difficile da accettare era il fatto che non avrebbe mai più rivisto il Cappellaio. Tarrant Altocilindro, quel buffo e folle personaggio dalla mente contorta e dalla risata contagiosa le aveva rubato il cuore sin dal primo momento in cui lo aveva visto, quel giorno seduto a prendere il tè con i suoi compari matti, il Ghiro e il Leprotto Marzolino. I momenti più belli a Sottomondo li aveva trascorsi con lui e due anni prima aveva fatto letteralmente una corsa contro il tempo per poterlo salvare da morte certa. Nessuno, nel suo mondo, poteva essere come lui. Nessuno sarebbe mai riuscito a guardarla con lo stesso sguardo con cui lui la scrutava.

Dio, quanto le mancava.

-Affronterei mille Ciciarampa e correrei cento volte contro il tempo solo per poterti vedere di nuovo, Cappellaio– sussurrò Alice, asciugandosi una lacrima solitaria sfuggita al suo controllo.

La ragazza chiuse gli occhi e si abbandonò ad un sonno profondo, il primo dopo parecchio tempo. Sognò una stanza bianca immersa nel nulla, un enorme pendolo dorato che rintoccava le ore con un boato assordante e uno stranissimo orologio color crema che al posto delle lancette aveva delle posate (un cucchiaino per le ore, una forchetta per i minuti e un coltello per i secondi). L’orologio dondolava pericolosamente in quella stanza vuota, come se fosse in bilico su un mobile invisibile e fosse sul punto di cadere da un momento all’altro. All’improvviso, l’orologio iniziò davvero a precipitare e Alice ebbe l’impressione che le sarebbe finito dritto in faccia. Tentò di fuggire ma non ci riuscì, i suoi piedi erano come immersi nel bianco della stanza circostante, incollati saldamente ad un pavimento che non esisteva. Certa che l’orologio l’avrebbe centrata in pieno, Alice alzò le braccia per proteggersi il viso e chiuse gli occhi, pregando che quello fosse solo uno dei suoi incubi. Il grande orologio dalle strambe lancette era ormai a pochi centimetri dal suo viso, quando Alice sentì solo una leggera pioggerellina di polvere raggiungerle il naso, gli occhi e la bocca.

Terrorizzata dall’idea che l’orologio potesse piombargli addosso da un momento all’altro, Alice impiegò qualche secondo per decidersi ad aprire gli occhi, ma quando lo fece, notò immediatamente di non essere più in quella strana stanza bianca, circondata da pendoli e orologi. Si trovava in un salone gigantesco, simile ad una sala da ballo. Le pareti, interamente occupate da enormi e bizzarri dipinti colorati, erano abbellite con imponenti colonne di marmo bianco, a loro volta impreziosite da intagli e bassorilievi d’oro. Il soffitto sembrava inesistente: le pareti svettavano verso l’altro per parecchi metri, fino a quando non iniziavano a diradarsi, come se stessero svanendo, per poi fondersi completamente in un ammasso di nuvole bianche e dorate dall’aria celestiale.

-Che meraviglia! – sussurrò Alice, guardandosi intorno con aria curiosa. Quello doveva essere decisamente un sogno: nel suo mondo non poteva esistere un luogo così bello.

La ragazza rimase impalata a fissare l’enorme salone in cui si trovava per qualche minuto, fino a quando un miscuglio di voci concitate non ruppero l’incantesimo.

-Alice! Alice è tornata! -  gridò una vocina sottile ma squillante.

-Oh, cielo! – biascicò un’altra voce -Intendi “quella” Alice? –

-E chi altri dovrebbe essere, di grazia? – concluse, retoricamente, una voce maschile.

Alice non ebbe bisogno di voltarsi per sapere a chi appartenessero quelle voci, le avrebbe riconosciute tra mille. Il suo cuore perse un battito quando vide il Ghiro, il Bianconiglio, la regina Mirana, lo Stregatto, il Leprotto Marzolino, Bayard e i gemelli Pinco Panco e Panco Pinco correrle incontro con aria festosa.

-Amici miei! – gridò, fiondandosi a braccia aperte verso l’improbabile combriccola. Abbracciò tutti calorosamente, leggendo nei loro sguardi quanto fossero felici di rivederla dopo tanto tempo -Dove siamo? Non ricordo nessuna stanza del genere a Marmorea –

La Regina Bianca volteggiò su sé stessa, tendendole una mano con un movimento leggiadro: -Oh no, mia cara. Siamo molto lontani da Marmorea. Questo è un luogo molto speciale –

Alice socchiuse gli occhi, non cogliendo appieno dove volesse andare a parare Mirana. Ma, d’altronde, che le importava? Sarebbe tornata anche alla Rocca Tetra pur di rivedere i suoi meravigliosi amici.

-Ho così tante cose da raccontarvi – riprese Alice, in preda alla foga – Mi sono successe tante cose splendide in questi ultimi due anni, ho vissuto avventure incredibili! –

-Oh, ma non sarà necessario, mia cara. Sappiamo già tutto – disse la Regina Bianca con un sorriso, smorzando immediatamente l’entusiasmo di Alice.

-Co- cosa? C- come fate a… - balbettò lei, più confusa che mai.

Lo Stregatto le si avvicinò, fluttuando a mezz’aria e le appoggiò una mano sul petto, all’altezza del cuore: -Siamo sempre stati con te, Alice. Qui dentro –

-Non ce ne siamo mai andati – rincarò il Ghiro, abbracciandole la caviglia.

Alice cercò inutilmente di trattenere le lacrime, ma alla fine si ritrovò comunque a singhiozzare come una ragazzina.

-Ora, dovresti essere tu ad andare – la invitò Mirana, spingendola verso il portone della sala – Qualcuno ti aspettando –

Alice dapprima non comprese, poi d’un tratto s’illuminò, realizzando solo in quel momento che il Cappellaio non era lì con i suoi amici. Era stata travolta da così tante emozioni da non accorgersi che la persona a cui teneva di più al mondo non era presente.

-Ci rivedremo ancora, non è vero? – domandò Alice, voltandosi verso i suoi amici.

Tutti annuirono, accennando un sorriso.

-Saremo sempre qui ad aspettarti – biascicò il Bianconiglio.

La Regina Mirana sventolò la mano, in segno di saluto: -Abbi cura di te –

Alice li salutò un’ultima volta, prima di attraversare l’enorme portone della sala da ballo e di ritrovarsi – come per magia- all’ingresso di uno splendido giardino. Notò che anche i suoi vestiti erano cambiati: la severa uniforme blu da capitano della marina britannica era stata sostituita da un meraviglioso abito leggero del color del cielo, simile a quelli che aveva indossato durante la sua prima avventura a Sottomondo.

Alice osservò il paesaggio intorno a sè: davanti ai suoi occhi si estendeva un enorme giardino rigoglioso, colmo di fiori e alberi di qualunque specie. Nel giardino era collocato uno strambo labirinto, al centro del quale – dedusse lei – doveva trovarsi il Cappellaio.

L’ennesimo trucco” pensò, sogghignando.

Senza perdere altro tempo, Alice iniziò a correre all’impazzata attraverso i cunicoli del labirinto, pregando di riuscire a trovare il suo centro il più presto possibile. Moriva dalla voglia di rivedere il Cappellaio e di gettargli le braccia al collo. Corse come una forsennata per un tempo che le parve infinito, schizzando da una parte all’altra come una freccia impazzita e infischiandosene del fiato corto e del crescente dolore alle gambe.

Quando scorse in lontananza una piccola recinzione ricoperta di edera verde e una porta dorata, Alice capì di essere ormai prossima alla sua meta. Raggiunse il cuore del labirinto con passo tremante e si fermò dinnanzi alla porta con la mano a mezz’aria. Il cuore le batteva all’impazzata e non solo per la stancante corsa appena fatta. Fece un respiro profondo e, dopo aver raccolto tutto il suo coraggio, piegò la maniglia della porta, entrando nel minuscolo giardino segreto.

Non appena varcò la soglia, il suo cuore perse un battito. Il Cappellaio era in piedi davanti a lei e le dava le spalle. Indossava, come al solito, il suo bizzarro cilindro scuro, dal quale spuntavano gli inconfondibili riccioli arancioni, e un lungo soprabito blu cobalto.

-Cappellaio… - sussurrò Alice, consapevole che sarebbe presto scoppiata a piangere.

Sentendo la sua voce, lui si voltò all’improvviso, scrutandola con le sue enormi iridi smeraldine e lasciando che un sorriso raggiante si dipingesse sul suo volto.

-Alice… -

La ragazza si fiondò verso di lui, gettandosi a capofitto tra le sue braccia, lasciandosi stringere e abbandonandosi a quel dolcissimo profumo di vaniglia che lo caratterizzava. Gli accarezzò la guancia diafana con il dorso della mano, fissandolo negli occhi, terrorizzata dall’idea che il Cappellaio potesse svanire sotto i suoi occhi.

-Sei proprio tu – piagnucolò lei, perdendosi in quelle meravigliose iridi verde brillante.

Il Cappellaio raccolse una lacrima solitaria che stava rotolando sulla guancia di Alice, stringendola ancora di più a sé: -Certo che sono io, mia cara. Chi mai potrebbe essere anche solo vagamente simile al sottoscritto? –

Alice accennò un sorriso e si lasciò completamente trasportare dalle emozioni. Strinse le braccia attorno al collo del Cappellaio e lo baciò appassionatamente, sentendosi felice come non accadeva da tempo. Lui fu colto di sorpresa, ma non si tirò di certo indietro, accogliendo la bocca della giovane sulla sua con voracità e desiderio.

Quando si staccarono, entrambi rimasero immobili a guardarsi negli occhi per qualche secondo. Non avevano bisogno di parlare per comunicare ciò che provavano, i loro sguardi erano più eloquenti di qualunque parola.

Alice si voltò, guardando in direzione del portone da cui era entrata e notando solo in quel momento che in lontananza, ai piedi del giardino in cui si era ritrovata poco prima, sorgeva un gigantesco castello bianco e dorato, dalle innumerevoli torri e guglie, paragonabile solo a quelli delle illustrazioni delle favole che suo padre le leggeva quando era bambina.

-Dove ci troviamo? – domandò, curiosa.

-Oh, Alice – sospirò il Cappellaio, scuotendo la testa -Non ricordi cosa ti ho detto l’ultima volta? Dove ci saremmo incontrati di nuovo? –

Alice corrugò la fronte, cercando di fare mente locale tra i suoi ricordi. Una scintilla le attraversò la mente e le esatte parole del Cappellaio tornarono a galla: -Nei Giardini della Memoria… -

-Nel Palazzo dei Sogni... – aggiunse il Cappellaio.

-E’ lì che noi due ci rivedremo – conclusero all’unisono.

Alice fece una smorfia, sogghignando: -Credevo che fosse una metafora, che non esistesse davvero un luogo simile, a Sottomondo –

Tarrant le lanciò uno sguardo eloquente: -Mia cara, qui le cose o sono o non sono. Non esistono le metafore! Forse in passato esistevano, ma credo si siano estinte parecchio tempo fa. E poi, chi può sapere fino a dove si estende Sottomondo? Un Paese delle Meraviglie può davvero avere dei confini? –

Alice cercò di seguire il contorto ragionamento del Cappellaio, ma capì che se le avesse dato corda sarebbero precipitati entrambi in un folle discorso senza senso, così preferì cambiare argomento.

-Mi sei mancato immensamente – sussurrò lei, appoggiando la testa sul suo petto, lasciandosi cullare dal suo respiro e dal battito del suo cuore.

Il Cappellaio le accarezzò i lunghi boccoli dorati, inebriandosi del profumo di limone che emanavano: -Sono sempre stato con te, mia dolce Alice. Ho visto tutte le avventure che hai vissuto, i grandi risultati che hai ottenuto, i luoghi meravigliosi che hai visitato. Sono così orgoglioso di te! Non hai perso neanche un briciolo della tua moltezza –

Alice accennò un sorriso poco convinto: -A volte, vorrei che tu non fossi solo qui – disse, toccandosi il petto -Vorrei che tu potessi essere al mio fianco, nel mio mondo –

Il Cappellaio sospirò rammaricato e sul suo viso si formarono delle profonde occhiaie violacee, in netto contrasto con i suoi occhi verdi luminosi: -Non credo che il tuo mondo abbia spazio per uno come me –

-Io avrò sempre bisogno di qualcuno come te, di qualcuno matto quanto me – Alice iniziò a ridere, realmente divertita -Pensa che cosa succederebbe se mi presentassi con te al mio fianco ad uno di quei noiosissimi balli degli Ascot. Sarebbe uno spettacolo unico! –

Il Cappellaio scrollò le spalle, accennando un sorriso: -Forse non potrò mai presenziare al tuo fianco al ballo degli Ascot, ma nulla mi impedisce di portarti comunque ad un ballo, perciò – fece un profondo inchino e porse il braccio ad Alice. Forse in quel modo sarebbe riuscito a scacciare quella tristezza dal suo cuore -Signorina Kingsleigh, vorreste concedermi l’onore di un ballo qui e subito? –

Alice strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Non si sarebbe mai aspettata una simile galanteria da un personaggio strambo come il Cappellaio. Rimanendo al gioco, la ragazza annuì e fece una riverenza. Il Cappellaio le fece il baciamano e la strinse a sè, mettendosi in posizione per un valzer. Con uno schiocco di dita dell’uomo, un’orchestra invisibile iniziò a suonare e una musica alquanto particolare cominciò a diffondersi tutt’intorno. Era un trionfo di tamburi, fiati, violini e violoncelli, una melodia stranissima, ben lontana da un banale valzer terrestre, ma che ad Alice arrivò come la canzone più bella che avesse mai sentito. Una volta stretta la mano del Cappellaio, si lasciò completamente trascinare da quella melodia ipnotica e insieme al suo uomo iniziò a danzare serena, creando ampi cerchi con la gonna vaporosa dell’abito. I suoi occhi e quelli di Tarrant erano inchiodati gli uni negli altri, le loro menti connesse e i loro cuori battevano all’unisono. Era tutto perfetto.

Danzarono per qualche minuto, o forse qualche ora, nessuno sarebbe stato in grado di dirlo. Si fermarono solamente quando videro un grande specchio apparire dal nulla, al centro del piccolo giardino segreto. Alice si bloccò, osservando terrorizzata quella lastra di vetro, ben conscia di cosa significasse.

-E’ troppo presto – biascicò, scuotendo la testa -Non posso perderti ora, ti ho appena ritrovato. Non posso andare via. Io non voglio andarmene – gridò.

Il Cappellaio le afferrò il viso e la obbligò a guardarlo dritto negli occhi: -Tu noi mi perderai mai, Alice. Io sarò sempre con te: nei tuoi pensieri, nel tuo cuore, nei tuoi ricordi e nei tuoi sogni –

Alice ricominciò a singhiozzare, appoggiando la sua fronte su quella del Cappellaio: -Ma non ricordi? I sogni non possono essere reali… -

-Allora, ho qualcosa per te, per dimostrarti che ti sbagli –

Il Cappellaio infilò una mano nella tasca del lungo soprabito blu che indossava e tirò fuori un mucchietto di stoffa bruciacchiata e spiegazzata che ricordava vagamente un cappello a cilindro. Era il suo primo capello, quello che aveva fabbricato da solo quando era ancora un bambino.

-Voglio che tu custodisca questo per me – disse Tarrant, consegnando il piccolo cappello ad Alice e coprendolo con le sue mani.

Alice rimase senza parole. Il Cappellaio le stava affidando una delle cose a cui teneva di più al mondo. Si portò il mucchietto di stoffa al cuore e disse: -Lo custodirò gelosamente per sempre –

-Nah, non per sempre – la corresse il Cappellaio, facendo una smorfia – Tienilo fino a quando non ci incontreremo di nuovo. In questo modo avrò un’altra occasione per vederti –

Alice non resistette più e si gettò a capofitto tra le braccia del Cappellaio, baciandolo di nuovo. Si beò delle sue dolci e morbide labbra per più tempo possibile, cercando di imprimere nella sua memoria le sensazioni di quegli attimi e pregando che quel maledetto specchio sparisse e la lasciasse per sempre a Sottomondo ma -ovviamente – nulla di ciò accadde.

Quando si staccò dal Cappellaio, Alice infilò il piccolo cappello in una tasca dell’abito e si avvicinò allo specchio. La lastra si increspava ad ogni singolo tocco, come se fosse una superficie acquatica, e Alice ebbe il terrore che se la avesse attraversata si sarebbe ritrovata in mare aperto. Deglutì e osservò ancora una volta il giovane Cappellaio, il quale non riuscì a nascondere un velo di tristezza nel vederla andare via.

-Buon viaggio a vederci, mia dolce Alice – disse lui, lasciandole un casto bacio sulla guancia.

Alice infilò un piede nello specchio e in pochi secondi la lastra di vetro la risucchiò, reclamandola a sé. Sentì un vuoto opprimente riempirle lo stomaco, come se stesse precipitando nel buio, quando all’improvviso spalancò gli occhi e si rese conto di essere tornata nel suo mondo.

Intorno a sé non c’erano più castelli dorati, giardini rigogliosi e il Cappellaio, ma solamente la mobilia malandata della sua buia e umida cabina. Alice si stropicciò gli occhi e si rese conto di aver pianto per davvero e che le lacrime sparpagliate sul suo viso non erano frutto della sua immaginazione. Tuttavia, non indossava più quel magnifico abito azzurro, ma solamente la sua divisa da capitano.

Non sapeva a cosa credere.

Terrorizzata dall’idea di rimanere delusa, ma comunque curiosa di vedere fino a che punto i suoi folli sogni potevano diventare realtà, Alice infilò una mano nella tasca della giacca e le lacrime ricominciarono a sgorgare copiose dai suoi occhi blu non appena la sua mano afferrò qualcosa di piccolo e morbido al tatto. Un minuscolo cappello di stoffa spiegazzata e bruciacchiata le riempì il palmo tremante. Rimase a fissarlo per qualche secondo, temendo di non essersi ancora svegliata da quel bellissimo sogno.

Ma quella era la realtà.

Alice infilò il piccolo manufatto in una taschina interna della giacca, vicino al cuore e vi appoggiò la mano sopra, senza riuscire a smettere di piangere.

-Buon viaggio a vederci, Cappellaio -

Spazio Autrice:

Ciao a tutti!                                                                                                                                                 
Dopo quasi un anno di lontananza da questa piattaforma, sono tornata con una piccola one shot su una delle mie coppie preferite degli ultimi anni. Le parole del Cappellaio nel finale di  "Alice through the looking glass" mi hanno sempre colpito molto, così, dopo svariati ripensamenti ho deciso di scriverci qualcosina.                                                                                                                                        
Il sogno con il pendolo e l'orologio a posate che fa Alice nella mia storia è il risultato di un mio sogno di qualche sera fa. Probabilmente sto impazzendo anche io, colpa della maledetta quarantena... 
Alla prossima storia!
Un bacio

              Jenny Burton

   
 
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