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Autore: Haruma    22/04/2020    2 recensioni
Apparentemente quel ragazzo aveva una routine, e quella routine coincideva con la sua: 7:45 caffè, 8:00 unione studentesca poi alle 8:55 raccoglieva i suoi libri e se ne andava, e a quel punto Katniss chiudeva le tendine per il resto del suo turno e cercava di convincersi di non aver passato l’intera ora a osservarlo.
[AU || Everlark || TRADUZIONE]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: AU, Soulmate!AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa: Vi basta cliccare sui titoli delle canzoni per ascoltarle. Giù in basso trovate il link della storia originale.



Don’t stand so close to me


«Ehi, credo sia il tuo turno».
Katniss sussultò quando una spalla urtò leggermente la sua. Girò la testa per guardare la persona dietro di lei e si accigliò.
Lui le sorrise timidamente e le indicò il bancone dietro il quale un barista alquanto scocciato se ne stava con le mani in mano.
«Tocca a te» ripeté.
Lei lo fulminò con lo sguardo anche se sapeva che il ragazzo stava solo cercando di essere gentile. Prima di prendere il suo caffè mattutino Katniss era intrattabile. O meglio, Katniss era intrattabile, punto. Non ci sapeva proprio fare con le persone.
Avanzò di un passo e ordinò facendosi poi da parte per aspettare che la sua bevanda fosse pronta. Il bar dell’università era sempre affollato a quell’ora del giorno – 7:45, appena prima che iniziassero le lezioni delle 8:00, e quella mattina non era da meno: corpi stretti in angoli scomodi di quello spazio così piccolo.
Katniss era circondata da un mucchio di sconosciuti, fin troppo vicini per sentirsi a suo agio, ma per qualche motivo l’unico corpo di cui era cosciente era quello del ragazzo. Mister “Perché non ordini il tuo caffè?”, anche lui in attesa, era terribilmente vicino.
«Caffè nero!» gridò il barista, sollevando una tazza fumante.
Lui si fece avanti per prenderla. Stronzo pretenzioso.
Di tutti i percorsi possibili per uscire da quel negozio angusto, il giovane si infilò proprio dove c’era lei. «Scusa» disse, quando i loro corpi erano ormai praticamente schiacciati l’uno contro l’altro, e le sorrise.
«Mocaccino, doppia panna!».
Katniss stava ancora osservando la testa bionda e ondulata del ragazzo che si muoveva attraverso il mare di  clienti senza volto. Prese la sua adorata bevanda dolce e attraversò l’edificio fino ad arrivare alla cabina radiofonica.
Finnick era già seduto alla consolle, intento a cambiare una qualche traccia appena terminata con la successiva, inserendo nel mezzo un rapido promemoria riguardo l’inizio del festival di primavera che si sarebbe tenuto da lì a una settimana e come quest’ultimo avrebbe influito sui posti parcheggio.
«Dov’è il mio?» le chiese notando il caffè.
«Non saprei, dove l’hai lasciato l’ultima volta?» domandò lei ironicamente, tirando fuori la sedia con le rotelle che era accanto all’amico.
«Abbiamo davvero bisogno di uno stagista» sospirò Finnick mentre metteva da parte le sue cuffie.
«Ma noi siamo stagisti. A meno che io non abbia fatto finta di ritirare la busta paga negli ultimi tre anni».
«L’esperienza non ha prezzo» qualcuno la interruppe.
Katniss alzò gli occhi al cielo. «Grazie professor Abernathy». Non c’era del sentimentalismo nelle parole di quell’uomo, piuttosto aveva detto quella frase solo per ricordare ai due studenti che i loro curricula non ne avrebbero di certo risentito. Il professor Abernathy non era per niente un tipo sentimentale.
La stazione radio era una stanzetta con un’enorme finestra che si affacciava sulla mensa dell’università. Katniss aveva l’abitudine di chiudere le tendine. Osservare gli studenti che mangiavano non era una sua abitudine, ma Finnick amava farlo e inventava sempre strane storie per ogni persona seduta ai tavoli  mentre le canzoni suonavano in sottofondo.
Katniss allungò la mano verso il cordoncino per abbassare le veneziane, le sue dita erano attorcigliate al filo quando i suoi occhi si posarono su un ragazzo biondo seduto da solo a un tavolo pieno di libri. Lui bevve un sorso del suo caffè e Katniss strinse le labbra.
«Che succede?» chiese Finnick, attirando la sua attenzione.
«Che?» disse lei con voce vacua.
«Sembri più scontrosa del solito. È come se volessi staccare a morsi la testa a qualcuno».
«Sicuramente la tua» rispose digrignando i denti. Guardò di nuovo fuori dalla finestra. «Hai qualche canzone sul deck?»
«No, il mio turno è ufficialmente finito» fece picchiettando sul suo orologio. «È tutto tuo, sorella».
Katniss si girò sulla sedia per sfogliare i vinili. Avevano un sacco di musica digitale nella loro biblioteca  ma trovava ci fosse qualcosa di particolarmente piacevole nell'impostare il giradischi e nell’abbandonarsi alle canzoni.
Scelse Zenyatta Mondatta, mettendo in coda la prima traccia mentre fissava il ragazzo attraverso la finestra. Don’t Stand So Close to Me cominciò a suonare nell’edificio. E le sue labbra si piegarono in un ghigno.


///


Apparentemente quel ragazzo aveva una routine, e quella routine coincideva con la sua: 7:45 caffè, 8:00 unione studentesca poi alle 8:55 raccoglieva i suoi libri e se ne andava, e a quel punto Katniss chiudeva le tendine per il resto del suo turno e cercava di convincersi di non aver passato l’intera ora a osservarlo.
Era difficile che si incontrassero al bar universitario, ma qualche volta Katniss desiderava lo facessero, magari arrivando qualche minuto prima o qualche minuto più tardi, occasionalmente urtandolo mentre usciva…
Odiava che le importasse.
Cominciò a girare sulla sedia, picchiettando un dito sul mixer mentre noncurante aspettava che la canzone finisse.
Lui non stava nemmeno studiando quel giorno. Se ne stava seduto, a fissare il vuoto.
Katniss trovò “Magical Mystery Tour” nella pila di vinili e lo posizionò sul giradischi libero, regolando il bilanciamento in modo che si collegasse agli altoparlanti.
Il ragazzo accennava distrattamente al ritmo incalzante di "Fool on the Hill" ma dopo alcune battute si fermò, riconoscendosi in quelle caratteristiche e il suo sguardo si posò sulla stazione radiofonica. Il suo sorriso diventò radioso quando i loro occhi si incontrarono e lei dovette imporsi di non sorridere di rimando. Si indicò il petto. «Io?» mimò.
 Katniss annuì.
Lui si strinse nelle spalle e fece un gesto di assenso.
La mora detestò l’improvviso e piacevole brivido che la percorse.


///


Alcuni giorni dopo il giovane era in compagnia di una ragazza che si sedette di fronte a lui e iniziò a chiacchierare vivacemente per poi rubargli un pezzo della sua torta al caffè. Era carina e bionda e Katniss non aveva assolutamente nessuna ragione per odiarla, eccetto forse per il fatto che sedesse insieme a lui. Un ragazzo che alla fine lei nemmeno conosceva.
Si stava comportando da pazza, lo sapeva, e nonostante questo, quando la ragazza si alzò per andarsene con un altro tipo, Katniss si sentì soddisfatta.
Another One Bites the Dust” risuonò a tutto volume.
Il biondo la guardò, indicando la sedia dove la ragazza di prima era stata seduta e indicò se stesso, poi scosse la testa energicamente.
Lei fece finta che non le interessasse, ma le importava.


 ///


«Accettate richieste?» le chiese affiancandola. Quella mattina non aveva nessun bicchiere di caffè tra le mani.
Katniss prese un piccolo sorso dal suo intuendo fosse troppo caldo e soffiò attraverso il beccuccio per far raffreddare la bevanda. «No».
«Allora ti lasci trascinare dall’istinto?» disse. Aveva le mani nelle tasche, i gomiti e le spalle stretti, ma la sua voce era così vellutata, morbida che non sembrava nervoso.
Lei invece lo era. «A volte» rispose. Si schiarì la gola. «Perché? Ne hai una?».
«Ne ho alcune».
«Non sono autorizzata a mettere Taylor Swift» lo avvisò ironica.
Lui rise. Le piaceva davvero tanto la sua risata. «Stavo per chiederti come ti chiami».
«Il mio nome?».
«È la mia richiesta» chiarì.
«Oh. Katniss» mormorò.
«Peeta» rispose.
Dagli altoparlanti dell’unione studentesca, Jennifer Paige cominciò a cantare “It’s just a little crush. Not like I faint every time we touch
*.
Finnick riusciva a malapena a contenere le risate e Katniss lanciò un’occhiataccia in direzione della finestra della cabina radiofonica.
«Ne ho un’altra. Di richiesta» continuò Peeta, fingendo di non aver fatto caso alla presa in giro dello stagista. «Ti andrebbe di prendere un caffè con me qualche volta?». Accennò alla tazza come per darle un ulteriore chiarimento.
La musica le rimbombava nelle orecchie. Sentiva il cuore in gola. Annuì. «Sì, va bene» rispose.
Lui sorrise. «Ci vediamo, Katniss».
Quando entrò nella cabina, non riuscì a guardare Finnick negli occhi. Gli diede un pugno sulla spalla e abbassò la testa per nascondere il rossore che le colorava le guance.


///


Peeta spostò il piatto al centro del tavolo non appena notò che la ragazza stava fissando il suo cinnamon roll. Non ci volle molto per convincerla a mangiarlo, infatti ne prese subito un morso.
«Quando inizia il tuo turno?» le domandò.
«Ho altri cinque minuti» rispose, pulendosi un angolo della bocca dalla glassa.
«Posso rivederti?».
Lei sorrise. «Non credo sia più necessario che tu me lo chieda». Quello era il quinto giorno consecutivo che prendevano un caffè e dividevano un dolce insieme.
Il suono morbido di una chitarra cominciò a strimpellare attraverso gli altoparlanti, poi si unì quello di un flauto. Gli occhi di Katniss si spalancarono e la sua testa si girò di scattò verso la cabina radiofonica dove con sconcerto vide Finnick ondeggiare dolcemente. L’inno adolescenziale di fine anni ‘90 dei Sixpence None the Richer procedeva mentre Katniss sibilava, «Io lo uccido».
«Per cosa?».
«Kiss me» la colonna sonora si faceva sempre più incalzante.
Peeta rise. «Oh, questa?» Il suo sorriso si allargò e si sporse sul tavolo puntellandosi con i gomiti. «Sembra che il tuo amico accetti le richieste».
Lei inarcò le sopracciglia. «È opera tua?».
I suoi occhi azzurri si posarono brevemente sulle labbra della mora e poi incontrarono il suo sguardo. «Be’, sì, pensavo ti piacesse comunicare in questo modo».
«Ah davvero? Allora vorrà dire che metterò su un bel po’ di musica per ragazzine arrabbiate» asserì.
«Credevo non ti piacesse Taylor Swift» le disse. Lei rise. «Non è necessario».
«Cosa?».
Il biondo accennò con la testa alla musica mentre Leigh Nash cantava: “Kiss me”.
Senza alcuna esitazione Katniss premette le labbra su quelle di lui.



///


* È solo una piccola cotta. Non è che svengo ogni volta che ci tocchiamo.

///

Haruma's back in town

Complice la quarantena e le varie maratone di saghe che stanno trasmettendo in tv - guarda caso manca proprio The Hunger Games - qualche giorno fa ho deciso di riprendere questa trilogia e di rileggerla.
Quando ho aperto il primo volume sono completamente andata nel panico e stavo quasi per riporlo sulla sua mensola perché avevo paura che la storia non mi prendesse più come in passato, che la trovassi mediocre e continuavo a ripetermi "E se non mi piacesse più come mi piaceva quando avevo 16/17 anni? E se la rivalutassi?", ma fortunatamente mi sbagliavo.
The Hunger Games è come il vino che più passa il tempo e più diventa buono. È una storia tragicamente bella, spietatamente reale e sì, credo di amarla ancora di più adesso.
Mi sto imponendo di leggere lentamente per poter analizzare bene ogni frase, per poter capire ogni personaggio - rendermi effettivamente conto che Katniss e Peeta hanno solo sedici anni quando entrano nell'arena per la prima volta è stato come fare una doccia gelata, come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Sono troppo piccoli.
COMUNQUE COMUNQUE.
Non è certo così che avevo immaginato di ritornare in questa sezione di EFP, pensavo più che altro di postare qualcosa di mio, non una traduzione.
Il mio intento era quello di scrivere una AU Everlark ma non avevo abbastanza idee quindi ho deciso di cercare un prompt che mi ispirasse
ma poi ho trovato questa cosuccia tanto carina in lingua inglese che ho subito pensato “E se la traducessi?”.
È molto molto semplice e ammetto che avrei tanto voluto aggiungere un po’ più di particolari e descrizioni (in realtà una cosa del genere l’ho già fatta, così da evitare di ripetere sempre gli stessi termini e anche per rendere alcune frasi più chiare e scorrevoli) ma non mi sembrava affatto giusto. È stato comunque un piacere leggerla.
Disclaimer: non sono una traduttrice, ho solo cercato di fare del mio meglio dando alle frasi un senso compiuto.

#andràtuttobene

   
 
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