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Autore: _happy_04    22/04/2020    0 recensioni
[ Black Star/Death the Kid | modern!AU | slice of life, con una buona dose di amarognolo nelle backstories ]
παλιγγενεσία (palinghenesìa): in filosofia, rinascita; concezione della realtà come eterno divenire, introduce anche quella di una ricorrente rinascita, di un "eterno ritorno" delle cose e della trasmigrazione delle anime.
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A volte, nella vita, bisogna allargare i propri orizzonti. Succede, per esempio, quando il figlio di un giudice e un ex-criminale appena uscito di prigione vanno a vivere insieme. Quando due mondi completamente diversi si scontrano, ma la collisione porta alla creazione, invece che alla distruzione.
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{linguaggio leggermente scurrile; menzioni di potenziali triggers; note e avvertimenti potrebbero cambiare nel corso della storia}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Black Star, Death the Kid, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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da zero

 

 

Quel giorno, Death the Kid aspettava suo padre.
Nella grande piazza illuminata dal caldo sole delle dieci del mattino, l’aria aveva un profumo di relax e di croissants appena sfornati; i bambini che passavano correvano energicamente, sollevando stormi di pigri piccioni, osservati dai genitori, che tutto quel vigore nel corpo non lo avevano, ma compensavano con l’amorevolezza nei loro occhi. I bar sistemavano i tavolini sui sampietrini, all’esterno, in alcuni casi coprendoli dal sole con grandi ombrelloni di tela chiara, perché in fondo il caffè ha tutt’un altro profumo, quando accompagnato dalla brezza tiepida primaverile. Anche i negozianti stavano all’aperto, appoggiati agli stipiti delle entrate, ridendo con i colleghi, quasi dimentichi del proprio reale mestiere, tranne il grassoccio omino nell’edicola, che sfogliava con trasporto un giornale, chissà se per pubblicità o per genuino interesse.
Seduto ad un tavolino dal grazioso piano bianco, Kid si godeva la vista del proprio croissant caldo e della generosa tazza di caffellatte, rimpiangendo di non essere in grado di sentirsi del tutto sereno; continuava a controllare eventuali segni di vita del padre, che ancora non vedeva da nessuna parte, ma tutto ciò di cui le notifiche del telefono lo avvisavano erano le attività su Instagram di Maka – con ogni probabilità, foto della strepitosa colazione preparata da Soul, o qualcosa del genere.
Sospirò. Avrebbe voluto credere che il grande giudice conosciuto come Shinigami volesse semplicemente trascorrere una tranquilla mattinata tra padre e figlio, ma sapeva bene che si trattava di vane speranze. Con tutto lo stress e la fatica che quel corpo di sessantenne accumulava durante la settimana, il sabato mattina era, a meno di processi importanti o emergenze, dedicato al sacrosanto diritto di svegliarsi tardi. Doveva esserci in ballo qualcosa di grosso, se aveva voluto incontrarlo proprio in quel momento.
Accese ancora una volta lo schermo del cellulare, che portava le dieci e trentadue. Con questo, erano già diciassette minuti di ritardo.  Con l’ennesimo sospiro, quantomeno, prese un sorso del caffellatte e diede un morso al cornetto, scoprendolo ancora più buono di quanto si aspettasse, la pasta ancora calda e la crema pasticcera che pareva sciogliervisi dentro.
Fu in quel momento, diciannove minuti dopo l’appuntamento previsto, che Shinigami giunse sul posto, i capelli che non tagliava da forse troppo tempo stretti piccolo codino nero striato di grigio, la camicia azzurro cielo e l’immancabile giacca elegante nera, anche se la spilla appuntata al contrario sul taschino segnalava chiaramente che non aveva speso troppo tempo a prepararsi.
«Oh- Papà!» fece per salutare Kid, per poi rendersi conto a scoppio ritardato di avere ancora il boccone di cornetto in bocca. Ridacchiando appena e strappando un sorriso anche all’uomo seduto davanti a lui, si prese un attimo per deglutire. «Papà, mi fa piacere vederti! Anche se sei in ritardo.»
Quello rise appena, un bonario imbarazzo nella sua voce. «Hai ragione, scusami. Ashura mi ha chiesto all’ultimo secondo di portargli dei documenti importanti, e non potevo negarglielo.»
Kid non riuscì a trattenere un sorriso, al sentirgli nominare il fratello. «Oh, capisco. È un po’ che non lo sento, Ashura come va?»
«Sta aspettando la promozione a maggiore, in questo momento.» spiegò Shinigami, nell’ordinare una brioche con un cappuccino. «Dovrebbe arrivare a breve, non c’è ancora nulla di ufficiale ma è praticamente certo.»
Il ragazzo annuì, pulendosi le mani dalle briciole del croissant. «Mi fa piacere, allora. Uno di questi giorni dovremmo cenare un po’ tutti e tre insieme.»
«Tu, invece? Tutto a posto all’università?» chiese, distraendosi nell’ammirare l’invitante dolce che gli si poneva davanti.
«Niente di nuovo. A breve dovrebbe iniziare la sessione estiva, ma per luglio voglio chiudere, così ci si rivede a settembre. Ho bisogno di un po’ di relax.» Al solo pensiero, strizzò gli occhi, tenendosi per un attimo la radice del naso tra le dita, scuotendo appena la testa per scacciare quell’ombra di emicrania che già si apprestava a sfiorare la sua testa.
«La terapia come va?» Shinigami aveva cercato di tenere un tono di voce normale, mal celando una sfumatura di preoccupazione nelle sue parole.
Kid si irrigidì appena. «Meglio.» si limitò a dire, facendo spallucce, mantenendosi più o meno tranquillo per quella che in fondo era la sua normalità. «Questo ritmo di studio mi sta un po’ stressando, ma Stein dice che non ho avuto una ricaduta particolarmente preoccupante, quindi abbiamo solo aumentato un po’ la frequenza delle sessioni.» concluse, sorseggiando ancora il caffellatte.
«Comunque,» riprese, cercando di riprendere in mano la situazione e i propri pensieri. «sbaglio o volevi parlarmi di qualcosa, che credo non fosse una semplice chiacchierata?»
«Beh, effettivamente no.» ammise Shinigami, con un abbondante morso alla sua brioche. «Vedi, martedì mattina uscirà di prigione Black Star, non so se ne hai sentito parlare…»
Effettivamente, quel nome non era nuovo alle orecchie di Kid, ma ebbe bisogno di scavare nei ricordi risalenti a tanti, tanti anni prima, ed ebbe bisogno di compiere uno sforzo non indifferente per isolare le informazioni che gli servivano. «Intendi l’erede superstite di quella famiglia di sicari? Quello arrestato per spaccio e furto a quattordici anni?»
«Proprio lui.» L’uomo sembrò fare un po’ troppa fatica a trovare le parole, picchiettando con le dita sul tavolino. «So che ti sto chiedendo un grosso favore, ma in questo momento sei la persona di cui mi fido di più… Soprattutto trattandosi di una cosa del genere.»
Una cosa del genere? Kid si morse un labbro, facendo schioccare appena le nocche delle mani, nel tentativo di scaricare quella leggera ansia nel non capire dove volesse andare a parare suo padre. Anche se la parte della persona di cui si fidasse di più non era stata male.
Shinigami fece un respiro profondo, prima di dar veramente voce alla sua richiesta. «Vorrei che lo tenessi d’occhio, quando uscirà, almeno per un po’.»
«Come?» Sperò di aver sentito male. «Papà– Papà, cosa dovrebbe significare? Cioè, tipo, spiarlo mentre cammina in strada? Guardare dove va, cosa fa? Come dovrei fare questa cosa? E poi, lo avete messo in libertà, no? Vuol dire che è un uomo libero. Pulito. Nuovo.»
«Ne sono consapevole, Kid, ma quel tipo ci ha messi tutti, tutti in difficoltà.» Si sporse appena, e il ragazzo vide il giudice che era n lui, probabilmente con gli stessi modi di quando si occupava dal vivo del caso. «La famiglia Star è una famiglia con una tradizione secolare, anche lui è stato cresciuto con un’educazione volta all’assassinio; lui è stato arrestato per spaccio e per furto, oltre ad essere stato accusato di aggressione a civili e a pubblico ufficiale, ma nel suo file non c’è neanche un omicidio, neanche uno non premeditato. È assurdo.»
Kid si accarezzò il mento con le dita. Avrebbe potuto pensare che semplicemente non avesse voluto continuare l’attività di famiglia, da una parte; ma il fatto che non avesse ucciso alcuna persona neanche inavvertitamente, pur avendo delle aggressioni a proprio carico, era strano davvero. Fuori da ogni schema, quasi. In fondo, per quanto si potesse plasmare la propria persona, il DNA esisteva, e lui lo sapeva bene.
Si grattò appena la testa, con uno sbuffo. «In pratica, tu vuoi che io lo controlli, così da capire il perché di questa incongruenza nella sua fedina penale?»
«Proprio così.» Shinigami lo guardò negli occhi, cercando di individuare eventuali ripensamenti il figlio avesse avuto e – lo aveva imparato bene – non gli avesse detto. «So bene che sei affidabile, quando si tratta di controllare qualcosa… anche se mi rendo conto che può essere pesante per te, quindi… Non so, che ne pensi?»
Kid sollevò gli occhi al cielo, scandagliando ogni possibilità. Quello che era vero, da una parte, era che probabilmente dover controllare ogni attività di un ex-criminale con dei dati simili nel curriculum avrebbe potuto portargli ulteriore stress, e che forse conciliare quella situazione con i propri impegni non sarebbe stato affatto facile; d’altro canto, però, avrebbe mentito se avesse detto che tutta quella situazione non lo intrigasse, e a questo punto sarebbe stato impossibile per lui uscirsene e lasciar perdere per sempre quel puzzle. Oltretutto, forse c’era un modo per controllarlo senza dovergli stare troppo dietro e distrarsi troppo dai suoi impegni.
Rivolse al padre un mezzo sorriso, incrociando le braccia. «Si può fare.» Vide il suo volto distendersi, la schiena abbandonarsi di nuovo sulla sedia, mentre si infilava in bocca la metà della brioche che ancora aveva tra le mani. «Se qualcosa va male, in ogni caso, ti avverto e vediamo come risolvere. A proposito, papà, per caso è molto lunga la procedura giudiziaria perché una persona venga a vivere, tipo, ufficialmente con qualcuno?»
Shinigami parve affogare sulla propria colazione, per un attimo, gli occhi sbarrati. «Dici sul serio?»
Sollevò le spalle, Kid. «Perché no?»
 
Come credi che dovrebbe essere la scritta sulla vetrina?
Io direi in dorato, sul vetro magari
Kid inviò il messaggio a Soul, ma lui sembrava essere già uscito da Whatsapp. Sorrise, pensando all’impegno che quei due stavano impiegando per avviare quell’impresa. Poi, il suo occhio cadde sull’orario, in alto nello schermo – le undici e tre minuti. Ritardo, anche qui.
Spense il cellulare, guardando di nuovo il portone del carcere, che, ancora, era chiuso, né si intravedeva la presenza di anime vive dietro. Era un quarto d’ora che aspettava, appoggiato in piedi alla propria automobile, in un martedì mattina già pieno di pensieri. Vero che lui era arrivato in anticipo, ma non c’era nulla che odiasse più dell’aspettare oltre gli orari che erano programmati. Già stava per avviare un esercizio di respirazione per placare quel leggero misto tra panico e irritazione che avvertiva nello stomaco, quando il cancello si aprì, due guardie dietro di esso, mentre ne usciva un ragazzo dalla carnagione scura, i muscoli ben definiti, lasciati scoperti dalla maglietta bianca a maniche corte, e i capelli di un singolare azzurro cielo, una piega che somigliava in modo inequivocabile ad una stella. Frugava nervosamente nel borsone che portava sulla spalla, mentre camminava; si vedeva fin dalla postazione di Kid quanto tutto in quella borsa fosse stato gettato praticamente alla rinfusa, e stavolta dovette veramente prendere un respiro.
Poi il ragazzo si fermò e tornò indietro, gridando alle guardie «Lo spazzolino, ho dimenticato lo spazzolino, cazzo!», sfoggiando un ampio vocabolario di volgarità quando i poliziotti non lo fecero rientrare e le porte gli furono chiuse in faccia. Rimase ad insistere davanti al cancello per almeno due o tre minuti, fino a che tirò un pugno alle sbarre, con un sonoro clang di metallo, e si diresse verso Kid. Il ragazzo, doveva ammetterlo, avrebbe avuto come primo istinto mantenere una distanza quanto più larga possibile, oppure infilargli le mani nella borsa per riordinarla almeno un po’; invece, si limitò a dirgli, secco: «Salta su, ci fermiamo al supermercato e te ne compro uno nuovo.», già passando dall’altro lato della macchina per sedersi sul sedile del guidatore.
Non vide la sua espressione quando Black Star gli rispose un «Oh– beh, grazie», sistemando il proprio borsone sui sedili posteriori e sedendosi al posto del passeggero.
Kid ebbe a malapena il tempo di uscire dal parcheggio, prima che il nuovo arrivato chiedesse: «Tu sei quel tipo, vero? Death the Kid, il figlio del giudice. Quello con cui dovrei andare a vivere?»
«Proprio così.» Il ragazzo mantenne un tono secco, anche se neanche lui era sicuro del perché. «E tecnicamente, è solo per tenerti un po’ d’occhio, finché non ti sarai trovato un modo per sistemarti da solo.»
«Capisco.» Si portò le mani dietro il collo, accavallando le gambe con un ghigno divertito. «Mi è capitato di andare a vivere con persone, anche se mai con il figlio di un giudice.»
«Non farti strane idee.» lo fulminò Kid, netto, senza neanche sbilanciarsi sull’ampliare la risposta.
Ci fu qualche secondo di silenzio, prima che Black Star borbottasse un «Era una bugia. Volevo solo vedere come avresti reagito se ti avessi messo a disagio.»
Stavolta, furono le labbra di Kid a piegarsi appena all’insù. «Allora hai a che fare con la persona sbagliata. Sono piuttosto bravo a controllare le mie emozioni.»
L’espressione dell’altro parve indurirsi, come se qualche bottone fosse stato premuto dentro di lui. «Scemo. Forse puoi controllare le reazioni, ma le emozioni fanno tutto da sole. Schifezze.»
In qualche modo, la risposta di Black Star lo destabilizzò. Strinse le dita sul volante, un treno di pensieri che investiva la sua psiche in quel modo che tanto odiava; cercò di concentrare lo sguardo sulla strada, sperando che la corsa di quel convoglio finisse in fretta, respirando a fondo e ripetendo quelle tecniche che aveva speso tanti anni ad imparare.
Sentì lo sguardo dell’azzurro posarsi confuso su di lui, come se non si aspettasse una reazione del genere. «Che hai?»
Anche se sentiva ancora i pensieri un po’ intorpiditi, scosse la testa, essendo più o meno riuscito a riprendere in mano se stesso. Sollevò il mento,rilassando le mani sul volante, la fronte corrucciata che tornava a distendersi. «Nulla. Ora scendiamo, piuttosto, dobbiamo prendere lo spazzolino, no?» domandò, accostando la macchina al marciapiede e già scendendo.
Per qualche motivo, Black Star parve sorpreso. «Quindi dicevi davvero!»
«Certo.» Aprì il portello anche allo sbigottito compagno. «Non faccio mica promesse a vuoto. E a proposito, prima potrò aver usato la parola sbagliata, ma le reazioni sono in grado di gestirle davvero.»
Il ragazzo lo fissò per un attimo, ancora più sorpreso da quelle affermazioni; poi, il suo viso si contrasse in un ghigno intrigato. «Devo dire la verità, non ho una passione per gli sbirri e i loro compagni, ma tu mi piaci.» Si sollevò in piedi sul marciapiede, e contro ogni aspettativa gli tese una mano. «Io sono Black Star, è un piacere conoscerti.»
Kid guardò per un attimo quella mano, vagamente confuso. In qualche modo, era un modo per ricominciare da zero, per far davvero partire quel rapporto che almeno un po’ sarebbe stato quasi forzato. Era la volontà di accettarsi l’un l’altro, di trovare un punto d’incontro, a metà tra quei due mondi opposti, un ponte, anzi.
Sorrise, e gliela strinse a sua volta. «Death the Kid, il piacere è tutto mio.»
 
Per tutto il viaggio in macchina fino all’appartamento, Black Star, ormai a suo agio, raccontò la “strepitosa storia” di quando uno dei suoi fratelli maggiori si era infilato uno spazzolino su per il naso, e ci erano voluti sia nonni che genitori che un paio di fratelli per tirarlo fuori e farlo riprendere dal dolore e dall’emorragia. Per un attimo, Kid si chiese se sarebbe mai stato più in grado di lavarsi i denti senza provare il desiderio di vomitare.
Fun quindi ben felice di parcheggiare nel suo posto del garage condominiale, e di accompagnare Black Star nell’appartamento. Lo condusse nella camera degli ospiti, attraverso il corridoio e le stanze decorate da soprammobili e di quadri alle pareti; non era una casa molto grande, ma aveva compensato alle dimensioni ristrette con un certo senso dell’estetica.
Aprì le tende bianche della stanza, e la luce del sole mattutino inondò lo spazio. «Per il momento, questa sarà la tua camera da letto. Nel frattempo…» Fece per uscire, fermandosi invece sullo stipite. «Benvenuto.»

 

angolino dell'autrice ||


Buonasera a tutti!!
Questa è già la seconda fanfiction su Soul Eater che pubblico qui, nonché la prima long da... non so, un sacco di tempo!! Era molto che non facevo neanche un tentativo, non avendo la costanza di pensare una trama complessa e portarla a termine, ma eccoci qui. Spero di finire, oof, anche perché ho dalla mia 1. il fatto di essere in quarantena e avere un bel po' più di tempo libero, e 2. due beta readers che mi motivano giorno per giorno ad andare avanti nella scrittura. Incrociamo le dita!
Spero di ricevere feedback, e che la storia piaccia! Sì, il primo capitolo è abbastanza liscio, un po' basic... l'ho fatto apposta. Giuro. Cioè, sarà una sottospecie di slice of life, quindi comunque non aspettatevi alieni che cadono dal cielo o sparatorie con esplosioni fighe, ma ho lavorato con attenzione alle backstories e ho già progettato lo scheletro della storia, quindi... sono ottimista, suppongo?
Per chiudere, anche se nel fandom italiano non li conosce nessuno, io amo questi due idioti. Punto.
Ci si vede nel prossimo capitolo!

_choco

   
 
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