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Autore: Ily Briarroot    23/04/2020    3 recensioni
[Storia partecipante al contest “Non ci resta che sognare” indetto da Soul_Shine e Sabriel_Little Storm sul forum di EFP]
"Si guarda le mani e le gambe che stavolta toccano il pavimento; il benessere che ha percepito qualche ora – o minuto – fa ora è sgretolato, preda di timori e di un'insicurezza che non è in grado di gestire.
Comprende di essersi persa in un'illusione meravigliosa nella quale si sarebbe fermata volentieri, rendendosi conto all'improvviso di trovarsi di nuovo nel corpo della trentenne piena di insicurezze."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come neve al sole



Elena percorre lo stesso corridoio come se lo facesse per la prima volta, lentamente, attraverso passi leggeri e impercettibili; la suola delle scarpe cigola appena contro il pavimento liscio.
Prosegue e il silenzio tra quelle pareti diventa assordante, doloroso, perché sa quanto rumore, quanta storia, si nasconde tra queste: si tratta di una sensazione palpabile, un sussulto che la colpisce dritta al cuore.
Una casa di solito chiassosa e che ora, invece, profuma soltanto di ricordi e di mancanze.
L'ha frequentata quotidianamente per quasi trent'anni senza prestare attenzione fino in fondo, senza ascoltare realmente a causa del frastuono che mal sopportava e che, adesso, vorrebbe riempisse quel vuoto terribile.
Raggiunge la cameretta, il suo posto più caro – quello in cui è cresciuta – e si siede delicatamente sulla poltroncina vicino alla scrivania. I cuscini sembrano cedere, dopotutto è trascorso molto tempo da quando si divertiva a saltarci sopra con Daniele, ma la sensazione è sempre identica.
È tesa e non ne capisce il motivo, non del tutto.
Non riesce a godersi appieno il calore di quelle mura, come se la causa fosse qualcosa che non tornerà più - così come una parte di se stessa.
Volge il viso verso la lieve luce bianca che penetra attraverso il vetro fragile della portafinestra e fissa un punto qualunque del cortile, perdendosi nei meandri della mente come faceva spesso quando si trovava lì.
Socchiude gli occhi, riuscendo a cogliere finalmente la tranquillità in quel silenzio. Prova a concentrarsi in modo che ciò che la circonda non le faccia più male e percepisce qualche brivido leggero dietro la schiena.
Quando solleva lo sguardo, il cortile non ha più lo stesso aspetto di poco fa; le automobili parcheggiate sono diverse – vi sono modelli più vecchi che probabilmente non esistono neanche più, ricorda di averli visti da piccola – e il parcheggio è interamente occupato.
Riconosce quella con la carrozzeria arancione del signore burbero e anziano che è mancato circa venti anni fa e che abitava al piano di sotto.
Sorride, pensando di essersi persa troppo a fantasticare dentro certi ricordi, finché una figura raggiunge la soglia della stanza; il cuore perde un battito nel momento in cui se ne rende conto.
“Elena, siediti composta”.
Il dialetto che non sente da molto, la mancanza più grande che colora la casa e che la rende quella casa, di un'infanzia intera.
In questo momento si accorge che essere rimproverata da quella voce è qualcosa di meraviglioso tanto che non le risponde a tono come avrebbe fatto in passato.
Avere con lei sua nonna un'altra volta, questo le basta.
La ragazza si sistema compostamente sulla poltrona mentre osserva la donna anziana raggiungere il divano di fronte e, nel sedersi, spostare i pupazzi accanto al bracciolo; non riesce a fare a meno di notare i capelli corti di quel bianco puro, le guance più paffute rispetto l'ultimo periodo in cui l'ha vista e la determinazione così familiare in quei gesti. Un'immagine così scalfita nella memoria che adesso torna alla ribalta con la potenza di un uragano.
È talmente concentrata nel rivederla che non si accorge subito del bambino assonnato che sta entrando nella cameretta; tuttavia, quando lo vede, è impossibile non riconoscerlo.
Ora che è adulto - da qualche parte in quel mondo o in una realtà differente, quella vera – si è trasformato, ma il ricciolo sulla nuca e gli occhietti vispi che aveva, e che adesso la scrutano innocenti, le strappano un sorriso.
Daniele si avvicina alla nonna, i piedi scalzi e sottili – è ancora così magro rispetto ad ora – si muovono velocemente sulle piastrelle della stanza per quanto sono fredde. 
“Dopo guardiamo i cartoni animati? Oggi scelgo io”.
La voce di suo cugino è infantile e sgrammaticata - non può avere più di quattro o cinque anni - e lei non riesce a fare a meno di ridere. Le manca tanto anche quel lato cresciuto troppo in fretta del piccolo che le ha fatto compagnia durante l'infanzia per la quale si è sentita responsabile e protetta contemporaneamente, un rapporto che è sempre stato fraterno.
È strano - e malinconico - pensare che lo stesso bambino ora veste tutti i giorni con giacca e cravatta per recarsi a lavoro e che ha dovuto crescere in fretta a causa di eventi più grandi di lui.
“Va bene, scegli tu”.
La giovane donna realizza di essere tornata indietro nel tempo soltanto quando si guarda le mani e si accorge che le gambe sono più corte, poiché i piedi non toccano le piastrelle. È sempre lei, ma non la quasi trentenne che non sa ancora cosa fare della propria vita, né quella fragile con problemi d'ansia che la sommergono del tutto: si tratta della bambina che non conosce il mondo fuori da quelle pareti. È la nipotina, la cuginetta con cui giocare.
Tuttavia non importa.
Non importa perché sta bene.
Può dedicarsi – chissà per quanto - a un'altra vita, un involucro protettivo costituito da quella stanza e dalle persone che ne fanno parte. La sicurezza, quella vera, quella che non esiste più al di fuori di ciò che sta vivendo.
La stessa donna anziana e paffuta che l'ha cresciuta inizia a infilare i calzini a Daniele; uno per uno, tirandoli su con calma, e ne approfitta per raccontare del nonno, dei parenti che ha lasciato nella sua terra nativa, del fruttivendolo e del ragazzo che consegna l'acqua, finché le sue parole non iniziano a sbiadirsi, a diventare un'eco soffusa.
Elena segue lo sguardo di suo cugino e si volta di nuovo oltre il vetro della portafinestra senza una vera ragione; si lascia cullare dal suono di quella voce e la luce bianca diventa più densa.
Ora si guarda da fuori – vede tutti – come se si stesse distaccando dalla scena: sua nonna si allontana ed è quello che le fa più paura; ha tanto da dirle e da chiederle, vorrebbe ascoltarla ancora e ancora.
Dopodiché lo stesso chiarore le fa muovere impercettibilmente le palpebre a causa del fastidio che provoca agli occhi e, nel momento in cui li riapre, si trova sulla medesima poltrona ma davanti a lei non vi è nessuno.
Si sente improvvisamente strana, ha la vista offuscata – fastidiosa – e quando si passa le dita sulle guance si stupisce di trovarle umide di lacrime.
Si guarda le mani e le gambe che stavolta toccano il pavimento; il benessere che ha percepito qualche ora – o minuto – fa ora è sgretolato, preda di timori e di un'insicurezza che non è in grado di gestire.
Comprende di essersi persa in un'illusione meravigliosa nella quale si sarebbe fermata volentieri, rendendosi conto all'improvviso di trovarsi di nuovo nel corpo della trentenne piena di insicurezze. Realizza che il muro della camera è sempre bianco, il divano di fronte è lo stesso. Sono le persone a mancare, quelle voci, quei rumori.
Di colpo, è tutto dannatamente vuoto.
Adesso è di nuovo sola, con il ricordo di un sogno che si è sciolto come neve al sole.








Note dell'autrice
Dunque, questa storia è molto particolare: nata per partecipare a un contest in cui il tema principale sono i sogni, in realtà dietro queste righe – come avrete notato – c'è un castello fatto d'introspezione e di realismo. Elena ha sicuramente qualcosa di mio e ha trovato il giusto spazio per esprimersi.
Grazie mille a tutti coloro che si fermeranno a leggere.
Ile 
  
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