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Autore: Sky_7    25/04/2020    1 recensioni
Perché qualcuno sceglierebbe mai di essere il cattivo di una storia? Da che esiste la divisione tra bene e male, nessuno si è mai definito cattivo, esistono solo due schieramenti dovuti a due opinioni contrastanti. è sufficiente questo a definire chi è il cattivo e chi il buono? E chi lo decide? Perché, da che mondo è mondo, sono i vincitori a scrivere la storia, che siano buoni o cattivi.
Se non fosse mai stato capitan Hook il cattivo? Se fosse solo stato una vittima delle circostanze, reso folle dai pensieri che non gli fanno trascorrere notti serene, dalla ricerca di quella vendetta contro un demone immortale che gli ha portato via non solo la mano destra ma anche la vita.
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Una storia in cui le cose sono andate diversamente rispetto a come le conosciamo.
Una storia che racconta il passato, presente e futuro del capitano James Hook, con tutti i retroscena e elementi inediti che racconteranno la sua storia e aspirano a dare un lieto fine a questo personaggio che nella sua lunga, lunghissima vita ha conosciuto solo dolore.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Wendy Darling
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4

Aprire gli occhi richiese uno sforzo immane, paragonabile quasi alla scalata del monte Everest. Sforzo inutile, pensò Hook in un primo momento. Non vedeva niente. Dovette stringere le palpebre più e più volte prima di riuscire a distinguere più di qualche chiazza di colore. Era in una stanza dal soffitto in legno, e questo già lo sapeva, quello che notò questa volta, senza neppure muovere la testa, era che si trovava su un letto.
Faticosamente, mosse di poco la testa per guardarsi intorno: si trovava nella cabina di una nave, ne riconosceva una quanto la vedeva. Il mobilio fissato alle assi del pavimento non lasciava molte altre opzioni, così come le carte nautiche sullo scrittoio e le finestre, tre ad arco stretto.
Provò allora a sollevare la testa, anche se di poco, ma fu presto costretto a ricadere sul cuscino sopprimendo un gemito di dolore. La testa gli doleva come se fosse stata stretta in una morsa, solo allora riapparve il dolore anche a tutto il resto del corpo, come appena ridestatosi. Sicuramente si sbagliava, sicuramente il dolore è sempre stato presente ma lui, troppo inebetito e, in un certo senso, abituato non vi aveva fatto caso. Ci riprovò, prese un profondo respiro e si sollevò sui gomiti, poi ignorando il capogiro che lo colse si guardò di nuovo attorno. Non vide molto perché subito dopo la porta della cabina si aprì e, circondata dalla luce del giorno, si fermò sulla soglia una figura femminile.
“Siete sveglio, grazie a Dio” quella voce dolce gli era familiare e la identificò subito come la voce che più di una volta aveva sentito parlare nella sua incoscienza, felice in cuor suo di poter associarle finalmente associare un volto.
Con un altro sforzo non da poco, provò a mettersi seduto per poi pentirsene un attimo dopo quando sentì tirare la pelle del fianco, avvolta in bende bianche.
“Oh no no no, non siate cocciuto e ritornate giù. Avete passato quattro giorni nella piena incoscienza e in preda alle convulsioni, sinceramene non mi aspettavo neanche che vi sareste svegliato, non così presto almeno” la donna gli si avvicinò ignorando il suo sguardo inceneritore e con tocco gentile gli posò una mano sulla fronte. Solo allora, tra lo sconcertato per la totale assenza di timore da parte della donna che gli stava accanto e la curiosità, si fermò a guardarla
“La febbre sembra essere un po’ scesa, ma è ancora presto per cantare vittoria” che fosse bella era indubbio, forse la donna più bella che James avesse mai visto in tutta la sua vita. Aveva un viso armonioso circondato da una cascata di capelli color mogano; gli occhi erano marrone scuro, profondi e caldi; il naso leggermene all’insù e labbra rosse e carnose che spiccavano sulla sua pelle olivastra. Parlava in inglese ma non aveva l’aspetto di qualcuno originario di quelle terre fredde e umide.
“Dove sono e chi sei tu?” la sua voce risultò più rauca e tremante di quella che avrebbe voluto e pregò che la donna non l’avesse notato. Era già abbastanza umiliante per un uomo come lui farsi vedere in quelle condizioni.
“Ve lo dirò a patto che torniate a stendervi”
“Non osare ricattarmi” in risposta quella donna senza nome buffò sonoramente, alimentando in Hook l’ipotesi che non fosse in tipo di donna che sottostà agli ordini altrui. In altre parole quella donna gli avrebbe dato filo da torcere.
“Non lo chiamerei ricatto, bensì compromesso. Avrei anche potuto semplicemente ignorare le vostre domande e porvi le mie. Non me lo vieterebbe nessuno, meno che le regole della buona educazione” James digrignò i denti dal fastidio e gli occhi scuri della donna si posarono sul braccio che aveva più vicino, tremava segno che non avrebbe retto ancora per molto il peso del suo orgoglioso proprietario che non ne voleva sapere di rimettersi comodo
“Esigo delle risposte”
“Come potrei esigerle anche io, ma esistono delle cose chiamate priorità” 
“Se proprio non volete sdraiarvi, lasciatevi aiutare a mettervi seduto. Nel caso ve lo stesse domandando non ho voglia di dovervi di nuovo ricucire, o peggio cauterizzare, una ferita” compromesso. Nel momento in cui si vide costretto a cedere alla volontà di quella donna sconosciuta, James scoprì di odiare questa parola.
Si fece aiutare a mettersi seduto e poggiò le spalle ai cuscini che la donna aveva posto in verticale in modo che la pelle nuda non toccasse le assi di legno, un’accortezza che Hook non aveva mai visto essergli rivolta.
“Chi sei” ripeté ancora, con un tono che non ammetteva repliche. Al che la donna volse gli occhi al cielo con fare esasperato.
“Vi risponderò, ma voi farete altrettanto”
“Non permetterti donna! Tu non hai idea di chi ti stai mettendo contro!”
“Esatto” fece lei con uno sguardo e un tono risoluto, accomodandosi elegantemente sulla sedia posta accanto al letto “Io non ho la più pallida idea di chi voi siate e la cosa è reciproca” se gli occhi avessero potuto lanciare fiamme, per come Hook la fissava avrebbe potuto morire di autocombustione in quel preciso istante, ma non se ne curò continuando a fronteggiare orgogliosamente il suo sguardo.
“Fortunatamente ad almeno una di noi due sono familiari le lezioni di buone maniere, così inizierò io: il mio nome è Emily Catherine Rogers e in questo momento vi trovate su un qualche atollo non ben identificato delle isole inglesi dell’America meridionale” isole inglesi? Si trovava alle Bahamas!
“Devo andarmene da qui”
“Non vi azzardate a muovervi. Adesso sono io che esigo delle risposte, signore, e non la lascerò andare finché non le avrò ottenute” ignorando ancora il dolore alla testa, alla schiena e, soprattutto, al fianco, il pirata riuscì a mettersi in piedi e sovrastare la donna con la sua altezza. Lei, Emily, nonostante gli arrivasse appena al mento, non sembrò affatto intimorita, anzi continuò a sfidarlo. Hook si chinò leggermente in avanti per essere più vicino alla sua altezza e così guardarla negli occhi
“Prova a fermarmi” parole dette con tono sprezzane e sarcastico che accesero gli occhi della sconosciuta, bloccando quelli di ghiaccio del capitano in quei suoi tizzoni ardenti. La conversazione continuò tra di loro anche se nessuno poté sentirla, fu un discorso fatto di sguardi, domande e risposte che si scambiarono senza dire più neanche una parola.
Ad interromperli fu una nuova voce, più roca, dell’uomo che decise di ridacchiare.
“Vedo che neanche l’essere a un passo dalla morte basta a renderti più accondiscendente” con uno scatto di cui si pentì intimamente immediatamente dopo, Hook si voltò nella direzione della porta, imitato con meno enfasi dalla donna. A braccia conserte e appoggiato con la spalla destra alla parente c’era un uomo dai lunghi capelli castani legati alla ben e meglio quanto basta per evitare che gli finiscano davanti agli occhi; occhi cerulei, penetranti e socchiusi quasi come fosse infastidito dalla luce del sole; barba corta ma curata.
“Chi non muore si rivede, James Turner”
“Potrei dire lo stesso, Charles Vane” le labbra di entrambi si curvarono in un sorriso che arrivò a illuminare gli occhi di entrambi. Dopo un tempo che a entrambi parve infinito, i due eredi di Barbanera erano di nuovo a fronteggiarsi, uno di fronte all’altro. Tante erano le cose che volevano dirsi, tanti i pugni che avrebbero voluto darsi, ma in quel momento rimasero semplicemente in silenzio. Ci sarebbe stato tempo per tutto il resto.
Il suono delle lame che si scontravano era l’unico suono udibile a bordo del vascello, James e Charles combattevano senza esclusione di colpi dando il meglio di loro stessi, incuranti di avere addosso lo sguardo attento e imperscrutabile del capitano Teach. L’uomo li osservava meravigliato, quanto c’era voluto perché i due ragazzini che, a distanza di un anno l’uno dall’altro, aveva accolto sulla sua nave lasciassero il posto a due uomini? Relativamente poco, così come fu breve il tempo che James impiegò a trasformare quello schiavo dallo sguardo furente in un abile spadaccino. Trasformato, sì, perché Barbanera non poteva giustificare una cosa del genere se non sostenendo che Turner avesse fatto qualche tipo di magia. James, di rimando, ammetteva che una magia c’era stata ma non del tipo che il capitano credeva: la sua magia non aveva avuto a che fare con fate o megere, era un potere insito nelle sue parole che Charles ascoltava come oro colato.
“Attento a dove metti i piedi moccioso” ghignò il maggiore con sarcasmo “Oppure farai la fine di un maiale allo spiedo sulla mia spada”
“Pensa per te! Perché sei così lento? Già stanco, vecchio mio?” quello era il miglior talento di Charles, oltre al saper togliere la vita ai suoi avversari senza inutili rimorsi di coscienza: esasperare l’avversario dal punto di vista mentale. In altre parole Charles Vane sapeva come far saltare i nervi a chiunque, a volte anche solo con lo sguardo, e sapeva bene quanto delicato fosse per James l’argomento età. Purtroppo per lui, James Turner, per quanto avventato, ponderava bene ogni sua mossa che era studiata al solo scopo di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. In quel momento, infatti, non impiegò molto a tendere una corda che si trovava tra i piedi del minore, il quale inciampò e cadde rovinosamente diventando un bersaglio fin troppo facile. Il loro era un duello che vedeva fondersi con straordinaria armonia le regole della scherma e la lotta bruta dei pirati in cui tutto era lecito: la loro unica regola durante questi allenamenti: fino alla resa.
A guardarli non si riusciva a non restarne incantati, ne sapevano qualcosa le donne di malaffare di Nassau. James dimostrava ora circa venticinque anni, portava i capelli neri e ondulati sulle spalle che odiava legare, in completo contrasto il viso è perennemente liscio e curato, non si è più separato da quella giacca rossa, puntualmente tenuta aperta. Charles, invece, adesso aveva vent’anni, anche lui portava i capelli lunghi in una sorta di imitazione di quello che considerava suo fratello maggiore, ma al contrario suo li legava in modo che non andassero davanti agli occhi, inoltre portava la barba, seppur corta e perfettamente curata.
Il risultato, seppur scontato, colse comunque impreparato il minore dei due che non riuscì a sopprimere uno sbuffo frustrato quando sentì la spada del suo avversario solleticargli il collo poco sotto l’orecchio sinistro.
“Sei bravo, moccioso, ma tu combatti solo con il corpo e non con la mente”
“Che vorresti dire?!” chiese scontroso mentre rinfoderava la spada.
“Voglio dire che per quanto tu possa essere bravo non riuscirai ad avere la meglio in uno scontro alla pari, non finché non avrai una tua spada nel cuore”
“Vuoi che mi ammazzi? Ti sei bevuto il cervello?!”
“No idiota! Una spada nel cuore è il motivo che ti spinge a impugnare una spada e togliere una vita”
“Allora dimmelo tu”
“Non posso, non è così che funziona. Devi trovare da solo il motivo che ti convinca a combattere perché deve essere il cuore a muovere la tua spada e non solo il braccio” Charles si poggiò con la schiena al parapetto della nave e guardò l’altro a braccia conserte
“Ti ascolto James, ma non sempre ti capisco. Ti fermi mai a pensare che, magari, la vita non è così complicata come ti ostini a descriverla?”
“Evidentemente ho vissuto un’altra vita che nessuno può comprendere” fu quello il momento in cui James Turner si fermò per la prima volta dopo sei lunghi anni al suo passato abbandonato su un’isola magica nascosta nei cieli. Era arrivato il momento di tornare e, per quanto facesse male, d’ora in avanti il ragazzo che aveva davanti avrebbe dovuto cavarsela senza di lui.  Furono questi pensieri a spingerlo, quel giorno stesso, a chiedere di conferire in privato con il capitano. Barbanera lo attese nella stanza attigua alla sua cabina, stravaccato sulla sedia e con i piedi incrociati sul grande tavolo, incurante delle carte che stropicciavano.
“E così, vorresti una nave tua?” esordì con tono di scherno quando James concluse il suo discorso, riassumendo il tutto con quattro parole in croce “E, sentiamo, perché?”
“Non ti ho mai detto che avrei trascorso qui la mia vita, la prima volta che parlammo della proposta di entrare a far parte della tua ciurma ti dissi chiaro e tondo che sarebbe stato a tempo determinato. Per quanto mi riguarda, ho rimandato questo momento fin troppo. Ho imparato tanto in questi sei anni, sono il miglior spadaccino che la Queen Anne’s Revenge abbia mai visto, anche con le armi da fuoco sono migliorato considerevolmente e mi sono fatto un nome, come tu hai insistito che facessi, non esiste uomo a Nassau e in tutta l’isola di New Providence che non si guardi bene alle spalle prima di pronunciare il nome di James Turner”
“TUTTO QUELLO CHE SEI LO DEVI A ME!” James non batté ciglio alle urla di quello che era ancora il suo capitano, era abbastanza abituato a quegli scatti iracondi e non li temeva
“E adesso credi di poter lasciare la mia nave e il mio equipaggio senza conseguenze? Come se nulla fosse?” rise, una risata piena di scherno e sarcasmo “Una mia parola e nessuno a New Providence o in qualsiasi altra isola di pirati sarà disposto a seguirti. NESSUNO ANDRÀ CONTRO IL CAPITANO BARBANERA” si alzarono entrambi, fronteggiandosi a pochissimi centimetri di altezza di differenza, occhi azzurri contro occhi scuri di un colore non ben identificato. 
Lo sguardo di James si accese di un qualcosa che non fece che aumentare la furia del capitano, ma James lo anticipò dal dire qualunque altra cosa. Si tirò dritto con la schiena, assumendo quell’atteggiamento nobile, quasi regale, che sapeva dare molto fastidio al capitano
“Dove io andrò a nessuno importa del tuo parere. Dove andrò non esiste nessun capitano Barbanera” e uscì dalla stanza, consapevole di aver avuto l’ultima parola, ridendo quando udì il rimbombo di uno sparo e il proiettile bucare la parete alla sua sinistra.
Aveva fatto ciò che riteneva giusto, aveva reso partecipe il capitano Teach dei suoi piani il che costituiva anche l’ultimo tassello che avrebbe portato buona parte degli uomini dalla sua parte. Per gli uomini era una grande prova perché aveva dimostrato di non temere Barbanera, qualcosa che per molti era a dir poco impossibile. Ora mancava la nave, ma se la sarebbe procurata. Il prossimo abbordaggio, non importava quanto sarebbe stata grande o piccola.
“Metti su un tuo equipaggio e progetti di andartene senza dirmi nulla? Da te non me lo sarei mai aspettato Turner”  il tono di Charles Vane mascherava appena il fastidio che il giovane provava. James rimase di spalle per essere sicuro di non tradirsi con lo sguardo o qualche espressione.
“Questa non è la tua battaglia, Charlie”
“NON CHIAMARMI CHARLIE!” solo allora James, dopo aver indossato la sua maschera di freddezza che aveva faticosamente forgiato in anni e anni, si voltò nella direzione della seconda persona che in tutta la sua vita avrebbe mai potuto chiamare fratello.
“Non sono obbligato a renderti partecipe dei miei progetti, Charlie. Quella che mi attende è la mia battaglia e la cosa non ti riguarda”
“Quindi te ne vai e basta? E io che cazzo dovrei fare?!”
“Non ho più nulla da insegnarti. Il mio ultimo precetto te l’ho impartito questa mattina, trova la tua motivazione che giustifichi le gesta della tua spada. Non ho altro da aggiungere, buona fortuna ragazzo”
Da qualche parte, James aveva letto o sentito dire, non ricordava, che il destino mischia le carte e gli uomini giocano. L’urlo che seguì quello scambio di battute fu un’ulteriore conferma di aver fatto le scelte giuste. 
“VELE A SUD!”
La nave che requisirono alla marina inglese era un imponente vascello con tre alberi a vele quadrate e quaranta cannoni, la regina delle navi da guerra agli occhi di James che se ne innamorò all’istante. Venti pirati tra gli equipaggi della Queen Anne’s Revenge e la Margaret lo seguirono, altri venti li reclutò tra i soldati che chiesero pietà per le loro vite, poi, come era usanza tra i pirati, la ciurma elesse il loro capitano.
Non vi furono parole d’addio tra James e Charles, il primo per non ammettere a sé stesso che mai più avrebbe visto il ragazzino, il secondo troppo orgoglioso per mostrarsi debole nel vedere il suo migliore amico partire verso una meta a lui sconosciuta.
Quando furono abbastanza lontani dalle altre due navi, James estrasse il fischietto d’argento dalla tasca. Quello che chiese tacitamente ai suoi uomini in quel momento, mentre soffiava nel fischietto esprimendo il suo desiderio, fu una grande e, diciamocelo, folle prova di fiducia, ma non ne rimasero delusi. La nave fu circondata da quelle che sembravano le luci di centinaia e poi migliaia di lucciole, erano fate. Migliaia di fate che sollevarono la nave dalla superficie dell’oceano e poi, spediti, verso la rotta che solo il giovane capitano tra i presenti di quella nave conosceva: seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino.
 
“Parlami della mamma, è lei la Mary del tuo racconto. Vero?” Hook guardò la ragazza, osservandone incantato i lineamenti dolci e non ancora perfettamente adulti, così simile a sua madre
“Sì Wendy, è lei”
 
Incontrò Mary il giorno stesso del suo ritorno, al tramonto. La bambina non poteva avere più di dodici anni, per lei non erano trascorsi che pochi giorni da quando era giunta a Neverland,  lui invece un uomo fatto e finito. Non riusciva a capire, Mary, come fosse possibile: il tempo non scorreva a Neverland ma uno dei suoi amici era cresciuto e l’altro scomparso nel nulla.
 
“Sentimento strano l’amore... Un qualsiasi uomo potrebbe trascorrere una vita intera senza di esso, senza riconoscerlo e non averne bisogno, pur sentendosi incompleti. Le donne, invece, riconoscono l’amore al primo sguardo. Loro ci cedono davvero, lo alimentano, arrivano a farci credere anche al più cieco degli uomini e lo condannano a una vita di sofferenze nel momento in cui non ci credono più” sorrise il capitano al ricordo del momento in cui vide una Mary quasi adulta andargli incontro su quella spiaggia innevata di Neverland.
 
Successe tutto nel giro di una notte. Mary si svegliò quella mattina che non era più una bambina, ma una giovane donna di circa vent’anni, l’età che avrebbe avuto se non avesse lasciato il mondo reale. Colei che James si vide venire incontro era una bellissima donna dai capelli scuri lunghi e spettinati sulle spalle, con indosso una camicia da notte troppo corta e un po’ stretta che le arrivava appena a metà coscia. Neppure lei seppe spiegare cosa era successo, come fosse possibile che fosse diventata adulta nel giro di una notte e James lo attribuì a una sorta di effetto collaterale della magia di Neverlad che aveva provato sulla sua pelle: quando aveva lasciato l’isola dimostrava più anni di quelli che aveva e invecchiava a una velocità superiore. Era possibile che lui, per chissà quale ragione, aveva aperto gli occhi ed era cresciuta. Mary era l’unica distrazione di James, l’unica in grado di distrarlo dalle sue mappe e dai suoi progetti di vendetta, l’unica che riusciva a farlo tornare a sorridere. Non seppe mai dire cosa lo fece innamorare di lei, se era un motivo particolare o, semplicemente, se perché era l’unica persona dell’altro sesso a cui si fosse mai realmente legato venendo anche ricambiato. Purtroppo James sembrava l’unico tra i due a vedere quanto tra loro due non potesse esserci nulla. Sebbene fosse cresciuta nell’aspetto, il più delle volte Mary si comportava ancora come quella bambina che amava ammirarsi allo specchio, e l’amicizia con le sirene non aveva che peggiorato questa sua indole. L’altro errore lo fece il capitano in persona, era stato lui a insegnarle a leggere e l’aveva fatto con un romanzo che aveva trovato lì sulla sua nave. Un libro che conteneva molte parole nuove di cui la ragazza chiedeva i significati, tra questi ci fu anche la parola amore.
Mary gli disse di amarlo una mattina mentre lo osservava scarabocchiare su delle carte e per poco non rischiò di versare l’inchiostro su tutto ciò che aveva davanti. In un primo momento, e nei giorni seguenti, cercò di convincerla che quello non era amore.
“PERCHÉ NON TI PIACCIO JIMMY?! PERCHÉ NON MI AMI?” urlò furiosamente battendo i pugni sul suo petto per poi distruggerlo definitivamente quando sollevò lo sguardo e lo fissò con gli occhi scuri traboccanti di lacrime “Non sono abbastanza carina?”
Non abbastanza carina? Mary era bellissima. Qualsiasi cosa indossasse non risultava mai volgare e poi quel sorriso, quello che illuminava il viso, lo ammaliava più del canto delle sirene. Ma si morse la lingua per non pronunciare quelle parole. Mary era una creatura incantevole e meritava un futuro degli di lei: meritava di diventare una donna, di innamorarsi, di stringere tra le braccia i figli che avrebbe avuto e invecchiare circondata dall’amore dei suoi nipoti. Tutte cose che lui, corrotto dal desiderio di vendetta che lo obbligava a vivere, non avrebbe mai potuto darle.
Ma James era anche un uomo egoista e avventato e per questo si chinò su di lei e la baciò. Quella che si concessero fu un’unica notte di passione e la mattina dopo, senza essere riuscita a chiudere occhio, prese la decisione che lo avrebbe dilaniato non solo nello spirito ma anche nel fisico: Mary doveva tornare a casa.
 
“La mattina dopo andai a cercare le fate con un manipolo dei miei uomini e sulla strada di ritorno ci imbattemmo in Pan. Combattemmo e fu in quell’occasione che persi la mano destra che, ovviamente, fu divorata dal coccodrillo. Quella notte stessa partimmo per Londra e da allora non rividi più Mary” Wendy ascoltò in silenzio il finale della storia, osservando il capitano che, nonostante gli anni trascorsi, sembrava percepire ancora sulla pelle il grande dolore provato quella notte. Di rimando, James aveva lo sguardo fisso in un punto indefinito, gli occhi chiari di tanto in tanto attraversati da lampi rossi.
“Io non capisco... Noi, io e te, abbiamo lasciato Neverland. Perché non l’abbiamo dimenticata?” quella domanda ridestò Hook che sollevò lo sguardo sulla ragazza, l’espressione di Wendy dimostrava apertamente il suo stato confusionale e la curiosità mista al fastidio di non riuscire a fare un collegamento che, era certa, sarebbe stato banale.
“Non lo so” sgranò gli occhi alla risposta, decisamente inaspettata del capitano. Di rimando lui ghignò davanti a quello stupore, fortunatamente aveva altro da aggiungere “Mi piace pensare che sia una sorta di faccenda in sospeso lasciata qui, una faccenda che se non risolta non è capace di farti andare avanti. La mia è Pan, ma tu? Cosa ti ha spinto a tornare Wendy Darling?”
“Tu... E questa storia lasciata a metà, suppongo” rispose la giovane chinando il capo
“Onorato milady, ma non darmi meriti che non ho. Ma non è importante adesso, bentornata a casa ragazza”  

 
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