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Autore: PervincaViola    27/04/2020    3 recensioni
{Partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP}
«Perché Lisbona?»
«Ci sono stato una volta, anni fa. Al tramonto era così luminosa che potevi camminare solo ad occhi chiusi»
.
{Raquel/Professore ♥ post-s2}
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Il professore, Raquel Murillo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Coordinate sparse








 
L’odore è quello pungente dell’acqua salata, della salsedine che stempera arrendevole nel vento; Raquel ingoia sale e desiderio e respira con quei pochi ansimi rotti che riesce a concedersi prima di chinarsi sulle labbra di Sergio, macchiate dall’arancione stremato del tramonto.
C’è il calore umido della sabbia a carezzarle le ginocchia, quello familiare di Sergio tra le cosce, e tra di loro solo la stoffa bagnata dei vestiti che grondano onde che è come una seconda pelle da scoprire.
«Sei bellissima, Raquel» esala, come una preghiera, mentre la sua mano sale dall’addome e le traccia delicata il solco tra i seni, mentre la sua barba le pizzica le costole e la bocca reclama tutto quel che è disposta a dargli, e lei ride nei suoi capelli scuri perché non gli crede, perché è felice.
Raquel lo conosce già quel sapore, quei sospiri come velluto nell’incavo della gola, una conoscenza così esatta da spezzare il fiato – due mondi che mai si sarebbero toccati, e chissà come hanno fatto a trovarsi (chissà come sono arrivati a questo punto, lontani da tutti e rovesciati l’una sull’altro, a fare l’amore su quella spiaggia solitaria di Palawan che non conosce inverno).
Ci sono giorni normali e giorni logoranti fatti apposta per spezzare la vita di un uomo (e di una donna), e il Professore è entrato nella sua vita quando ormai i giorni logoranti erano in una fila così ordinata da poterli contare, e l’ha fatto senza chiedere il permesso, la stessa mattina fredda in cui i Dalì dalla tuta rossa sono entrati alla zecca di Stato, e insieme hanno mandato tutto in pezzi, perché le sue resistenze sono crollate prima ancora che potesse rendersene conto e non rimaneva nient’altro da fare.
Ci sono giorni normali e giorni logoranti e giorni felici, pensa Raquel, dondolandosi sul ventre di Sergio, e una parte di lei si vergogna da morire di stringerlo così forte, di stare baciandolo come se baciarlo fosse molto più importante di fermarsi a respirare – una minuscola parte di lei si vergogna, ma ci sono cose che non si possono dire a parole (che lo voleva tanto da andare a cercarlo dall’altra parte del mondo, che lo ama da star male, che non si è pentita della propria scelta neppure per un momento).
E per anni ha avuto paura di ogni cosa (del giudizio degli altri, della propria debolezza, di vedere i lividi sbocciare sul proprio corpo per mano di Alberto e non venire creduta) e lei e Sergio si sono tolti tutto, e adesso rimangono solo i loro corpi che s’incastrano e le dita che si cercano e il bacio con cui soffoca il suo orgasmo.
Quando crolla su di lui ha le gambe che ancora le tremano e le mani di Sergio sulla schiena, un principio di risata che le solletica il petto e quella voglia un po’ matta di vivere che l’ha fregata in pieno.
Sergio la lascia scivolare accanto a sé, sulla sabbia dorata che trattiene l’ultimo calore del giorno, e non smette mai di guardarla sorridendo da dietro gli occhiali appannati e un po’ storti sul naso, e Raquel si sente come una ragazzina – come chi rincorre la vita e vede lontano.
L’odore è quello pungente dell’acqua salata, quello più dolce di Sergio che allunga una mano, a sistemarle dietro l’orecchio una ciocca umida di sale e sudore, e la lascia lì sulla sua guancia.
«Lisbona» dice, leggero, e basta.  
E non serve chiedere, per averne la certezza; dovremmo trovare un nome di città anche per me, ricorda di avergli detto Raquel, e sul suo viso si fa spazio quel sorriso complice che riserva a lui soltanto – forse è la felicità, forse è solo che quel nome suona così giusto che non c’è altro da aggiungere.
 


 
Yo no quiero ignorar estas ganas de sentirme vivo
 

 
Dopo la solleva tra le braccia, ridendo dei suoi tentativi di protesta, e la porta nella loro casa che dà direttamente sull’oceano, tutta ombra fresca e bambù scuro e veli di lino bianco.
Mentre sono nel loro letto, quando il buio si è mangiato il sole e Paula dorme già, Raquel gli si appoggia al petto con una mano sotto al mento, come sempre quando parlano così vicini.
«E perché Lisbona?» gli chiede, genuinamente curiosa, il battito regolare del cuore di lui che la culla e la voglia di non cedere ancora alla stanchezza a tenerla sveglia (perché ci sono giorni così belli che non vuoi lasciarli andare).
Sergio incurva appena la bocca all’insù, il suo braccio la stringe più forte e Raquel si sente al sicuro in una maniera che non capisce sino in fondo nemmeno lei.
«Ci sono stato una volta, anni fa» risponde, gli occhi al soffitto e le dita che le disegnano origami invisibili alla base della schiena, così leggere da farle venire la pelle d’oca. «C’erano case color pastello e palazzi di pietra chiara, e la calçada bianca sulle strade rifletteva la luce dell’oceano. Al tramonto era così luminosa che potevi camminare solo ad occhi chiusi – mi ha ricordato te, prima» conclude con semplicità, abbassando lo sguardo su di lei, un sorriso che si apre svelto sul viso tinto d’imbarazzo.
Raquel sbatte le palpebre, improvvisamente in bilico tra l’istinto di sorridere e il bisogno di piangere; e non c’è verso di mandare via quel nodo che le opprime la gola, di non stringerlo più forte – si è sempre creduta una fortezza inespugnabile, Raquel, ma non con lui, lui che è riuscito fin da subito a vincere le sue difese e che ogni volta le scioglie il cuore (cosa rispondi a parole così?).
«Però puoi sceglierne un altro, se non ti piace, e…» si affretta a precisare.
«No, no. È perfetto» scuote la testa Raquel, e in quell’istante spera solo che non si accorga del modo in cui le tremano le labbra, del suo sguardo offuscato – eppure Sergio si è sempre accorto di tutto. Socchiude allora le palpebre, trae un profondo respiro e gli regala un sorriso che fa finire le lacrime alla deriva, tra le ciglia, agli angoli degli occhi. «Mi avevi già in pugno prima, non c’era bisogno di esagerare ancora».
Lui accenna un sorriso e la guarda senza dire nulla (l’ha capita, come sempre), e a Raquel vengono in mente un’infinità di cose – Madrid e i giorni logoranti, le coordinate sparse sul retro di quelle cartoline ingiallite e la pistola abbandonata sul tavolino dell’ingresso di casa, la sua vita di ispettore lasciata a metà per seguire il Professore (Sergio, solo Sergio) – e quando la bacia pensa che tutto ha trovato il proprio posto.
È tutto così meravigliosamente folle, pensa, e s’abbandona contro il fianco nudo di lui, che non riesce a immaginare nient’altro.


 

 
porque nunca he sentido tantas
 
















Angolino della Vì:
Li shippo vergognosamente troppo. A casissimo sono diventati la mia OTP de La Casa de Papel, e non me lo aspettavo per niente, e ho notato che qui mancano fic su di loro e la cosa non mi sta bene. La storia non rende minimamente giustizia alla bellezza di questa coppia e alle emozioni che questi due mi hanno fatto provare, ma quando mi fisso su qualcosa devo scriverci su, e quindi eccomi qui.
Durante la scrittura ero in fase di rilettura di Oceano mare (Baricco è sempre una certezza) quindi lo stile ne ha subito le conseguenze e il tutto è diventato più sdolcinato di quello che avevo inizialmente immaginato, sorry not sorry. È che per lui ho una cotta assurda e Raquel è una donna con le palle quadrate, eppure con il Professore a volte mostra un lato fragile e dolce eeew
Il titolo viene dalla scena finale della s2, quando Raquel si accorge che dietro le cartoline lasciate dal Professore ci sono le coordinate di Palawan, e la frase a lato è presa dalla serie, detta dal Professore proprio a Raquel (piango tanto).
Fangirlerò volentieri con chiunque vorrà recensire ♥ Besos,

   
 
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