Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaK    27/04/2020    2 recensioni
Non c'era nulla di molto valoroso in lei, ma la storia non viene sempre raccontata dagli eroi.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto
 

Si svegliò all’improvviso nel buio della stanza ed emise un rantolo strozzato, facendo entrare nei polmoni quanta più aria potesse. Si tirò su con una mano sul petto, la pelle gelida, sudata ed impregnata di una sensazione d’angoscia terrificante. Era da molto che non le capitava un attacco così improvviso: ogni volta era come se non riuscisse a respirare, i polmoni schiacciati da un peso sconosciuto che aveva paura le avrebbe spaccato le costole. Tentò di regolarizzare il respiro, ma poteva sentire le palpitazioni aumentare: si rese conto ben presto di non star riuscendo a controllarsi, né a pensare a nulla che potesse tranquillizzarla. Dovette trascinarsi giù dal letto perché aveva un impellente bisogno di aria e sentiva che se fosse rimasta lì un minuto di più sarebbe soffocata. Infilò silenziosamente i piedi nudi negli scarponi di fianco al letto e si trascinò dietro la coperta, in fretta. Non si fermò nemmeno una volta fuori, continuò a camminare a grandi passi senza ben sapere dove stesse andando, volendo allontanarsi da quell’edificio che solo qualche giorno prima aveva chiamato casa.
Adesso gli sembrava una prigione così stretta da stordirla.
I suoi passi rallentarono quando percepì il respiro rallentare a sua volta. Il vento freddo le pizzicava le guance e si strinse un po' la coperta addosso. Pian piano, anche la testa smise di girare e si sentì riemergere da un buco nero. Vide un albero poco distante da lei e decise di raggiungerlo per sedersi sulle grosse radici che emergevano dal terreno. Posò la tempia sul tronco nodoso e continuò ad inspirare ed espirare nel modo familiare che le aveva insegnato Armin. Il suo primo pensiero era stato quello di raggiungerlo ed infilarsi nel suo letto, ma l’aveva immediatamente allontanato.
Fino all’anno prima lo aveva fatto spesso: quando non riusciva a dormire o si svegliava a causa di un incubo fin troppo realistico, sgattaiolava nel dormitorio maschile e gli sussurrava di farle spazio. La prima volta lui si era spaventato a morte e lei aveva dovuto chiudergli la bocca con la mano per evitare che svegliasse l’intero corpo cadetti; poi, lui l’aveva guardata meglio, tremante e a piedi nudi e aveva ceduto. Si sussurravano i loro ricordi più belli per combattere, a detta di Armin, i mostri neri della mente di Tallulah, fino ad addormentarsi, sfiniti. Lei aveva il sonno leggerissimo e appena i primi uccellini iniziavano a cantare, scivolava via dalle coperte e ritornava nel suo letto. Solo una volta era stato lui a svegliarla, silenzioso come un topolino, ma non le aveva mai detto il perché e lei non glielo aveva chiesto. Ora, tuttavia, doveva smetterla di far affidamento così tanto sull’amico, specialmente se questo aizzava commenti cattivi contro di loro. Si limitò a concentrarsi sui suoi ricordi più belli e non si accorse del tempo che passava.
Compleanno.
Fiori.
Lentiggini.
Uva.
Abbracci.
«Ohi, ti pare il modo di dormire?».
Tallulah sussultò ed aprì gli occhi di scatto, allarmata, stringendo istintivamente la coperta tra le dita. Poi, Levi entrò nel suo campo visivo, vestito di tutto punto come se fosse pronto a combattere.
«Cosa... Io-» balbettò lei confusamente «Come-».
Si rassegnò e chiuse la bocca, sospirando piano e facendo ordine dei pensieri che si stavano susseguendo a raffica nella sua testa. Lui la guardò un po' più serio di prima, come se avesse captato che c’era qualcosa che non andava.
«Stai male?».
Le parole gli uscirono in tono più dolce di quel che voleva e mosse un passo verso di lei: lo guardava con occhi persi, come un animale ferito e si sporse per toccarle la fronte. «Perché sei qui fuori a quest’ora?».
Tallulah non avrebbe dimenticato tanto facilmente il sollievo che la pervase al suo tocco: la sua mente si rischiarò pian piano ed il suo primo pensiero fu al motivo per il quale anche lui fosse lì.
«Avevo bisogno d’aria» riuscì finalmente a dirgli con voce sommessa e, dopo un attimo di esitazione, sollevò una mano in una muta richiesta di sedersi accanto a lei.
Levi soppesò il suo sguardo stanco e, stranamente, lo fece senza dire una parola.
«Tu che scusa hai?» chiese Tallulah dopo alcuni secondi di silenzio.
«Tra un’ora partiamo per l’addestramento di Eren»
«Ah, già» annuì lentamente. Poi si voltò appena verso di lui e lo osservò alla luce fioca della luna «Hai delle occhiaie più profonde delle mie»
Se rimase sorpreso o infastidito da quella constatazione, non lo diede a vedere.
«Non dormo mai molto» si limitò a commentare.
«A me piace dormire, ma raramente passo una notte senza svegliarmi»
«Girare per le osterie non aiuta, sai».
Lei sorrise appena «Non ci vado quasi più».
«Lo dici come se te ne rammaricassi»
«Infatti», strappò qualche filo d’erba ai suoi piedi. «Perché non l’hai mai detto a nessuno? Di quella notte intendo»
«A nessuno interessa una marmocchia ubriaca»
«Sai bene che mi avrebbero espulsa dal corpo cadetti».
«Se ci tieni tanto faccio ancora in tempo» borbottò.
«Ma fai sempre così? Eludi le domande degli altri?»
La fissò, vedendola quasi divertita. Non l’avrebbe mai ammesso, ma era sollevato nel non vederle più in volto quell’espressione stravolta di prima.
«Dipende se gli altri sono altrettanto seccanti»
La risata cristallina della ragazza lo colse di sorpresa, dato che lui era tremendamente serio. Si dimenticò delle sensazioni opprimenti di poco prima, l’angoscia era passata, sostituita da uno strano senso di sicurezza.
«È strano parlarti così liberamente» notò lei, fissando quel profilo elegante.
«Non ti ci abituare, cadetto».
«Ancora per poco. A breve entrerò ufficialmente nel corpo di ricerca, Capitano».
Levi si irrigidì leggermente «Non dovresti»
«Perché no?»
«Perché non è un posto per una come te».
Una sensazione di deja-vu invase i due, ricordi di una notte molto simile, l’anno prima.
«E come sarei, di grazia?»
Dolce. «Debole».
«Posso allenarmi di più».
Come un vento estivo.
«Non intendevo in battaglia».
Seguì un silenzio accusatore in cui la ragazza smise di guardarlo, ma Levi sembrò capire ciò a cui stava pensando.
«Ho molti più anni di te e ho visto molte più persone cadere. Inoltre, riconosco un attacco di panico anche al suo termine»
«Sono una sopravvissuta. Trovo sempre il modo di andare avanti» ribatté, rifiutandosi di lasciarsi considerare una rammollita, soprattutto da lui; non immaginava di certo che Levi stava facendo i conti con i suoi pensieri dalla piega inaspettatamente morbida verso di lei. Le sue scelte non erano affari suoi e non era compito suo preoccuparvisi. Non aveva appunto osservato centinaia di soldati giovani come lei morire in modo atroce? Non li aveva allenati personalmente, forgiandone il carattere e spezzandone l’innocenza? Perché, da quando l’aveva incontrata per la prima volta, un moto di fastidio lo attraversava nel saperla parte di tutto ciò che era il suo mondo?
«È quasi l’alba» mormorò Tallulah interrompendo il flusso dei suoi pensieri, lo sguardo verso l’orizzonte. Il cielo iniziava a farsi rosa e si sentivano alcune rondini in lontananza.
«Devo andare. E tu, torna dentro» le disse con tono fermo.
«Levi, aspetta» si alzò anche lei, agitata dall’improvvisa fretta del soldato. Voleva dirgli quello che pensava, doveva farlo ora, in quel momento così strano e così intimo.
«Cosa c’è?» la guardò, con un lampo di curiosità negli occhi ed un insolito senso di familiarità nel sentirsi chiamare per nome.
«Mi sento ridicola con questa roba addosso e gli occhi gonfi, perciò magari potresti immaginarmi con un bel vestito o qualcosa del genere. In realtà nemmeno mi ricordo l’ultima volta che ne ho indossato uno... Ma in ogni caso-». Cominciò, iniziando ad arrossire e non riuscì più a guardarlo, forse era un errore, aveva appena espresso chiaramente di considerarla una debole. Che le saltava in testa? Affondò le unghie nei palmi e decise di farlo ugualmente. «Mi piaci, Levi. Mi sei sempre piaciuto, da quando ti osservavo partire a cavallo per le tue spedizioni dalla finestra di casa mia. Poi ti ho odiato insieme a tutto ciò che rappresentavi perché nel momento peggiore non c’eri a proteggere la mia gente; questo finché non mi hai mi hai lasciata vomitare sulle tue scarpe. Mi dispiace, sei stato il mio capro espiatorio, avevo bisogno di sfogare la rabbia su qualcuno. Non so nemmeno perché ti sto dicendo tutte queste cose, sono imbarazzata da morire, ma non so quando tornerete e non riesco proprio a smettere di-».
Un paio di mani si chiusero sul suo viso e le sollevarono la testa verso di lui.
«Mocciosa, quando si dichiara il proprio amore a qualcuno si deve avere il coraggio di guardarlo negli occhi» mormorò l’uomo e Tallulah lo fissò stupita e rossa. Era così vicino...
Levi le osservò il volto finalmente muto e la trovò bella.
Pura.
Vederla così, innocente e completamente alla sua mercé gli mise una gran voglia di sporcarla e tirarla giù nel fango, quello vero, il suo. Vide chiaramente lo sguardo di lei farsi vacuo e le sue labbra schiudersi appena. Una serie di pensieri osceni attraversò la mente del soldato, ma represse i suoi impulsi.
«Potrei divorarti in meno di un battito di ciglia, ma non sarebbe ciò che vuoi».
La sua voce si era abbassata di un’ottava e gli occhi gli si erano adombrati, ma furono quelle parole a farle venire i brividi, così come il suo respiro caldo.
«Dovrei essere io a decidere cos’è che voglio» gli soffiò lei, andando inconsciamente incontro a quelle labbra.
«Le mocciose non lo sanno ancora» disse e si allontanò leggermente, lasciandole il volto e permettendole di riprendere in mano i suoi sensi. Il contatto perso la innervosì più di quanto pensasse.  
«Ho diciassette anni!» sbottò Tallulah, con l’irritazione sulla pelle. Levi aveva il potere di farla passare dalla tristezza, alla lussuria, alla rabbia nel giro di pochi minuti.
«Precisamente ciò che direbbe una mocciosa» esclamò con una leggera ironia che Tallulah non colse e cominciò a camminare per dirigersi verso i cavalli.
«Spero che Eren ti mangi!» gli gridò dietro indispettita ed ebbe voglia di pestare i piedi per terra. Non era così che se lo era immaginata qualche minuto prima. La voce di Levi nella sua testa però la frenò.
Proprio come una mocciosa.

Ad ogni secondo il cielo si illuminava sempre di più, ma gli occhi del Capitano rimasero scuri mentre galoppava con la sua squadra ed il ragazzo titano verso la loro meta. Rifletteva, Levi, perché per un attimo era stato davvero sul punto di baciare quelle labbra carnose e questo non gli succedeva da molto, moltissimo tempo. Aveva quasi perso il controllo e per cosa? Per una ragazzina impacciata che aveva pronunciato un discorso delirante sul provare qualcosa per lui. Non solo: la naturalezza dei loro botta e risposta, lo strano senso di familiarità nel sentirle pronunciare il suo nome, l’assenza di ogni forma di gerarchia militare, tutto era fuori posto. Erano soldati che combattevano per salvare un mondo di merda, perché se lo dimenticava appena apriva bocca?
«Capitano, va tutto bene?».
Una voce dolce, alla sua sinistra lo distrasse: Petra lo osservava da un po' e lo conosceva abbastanza da riconoscere che fosse in tensione per qualcosa.
«Tutto bene. Non perdete di vista Eren».
 
Si era pentita di aver chiesto a Mikasa di aiutarla ad allenarsi, pensò respirando pesantemente. Lo aveva fatto perché sapeva che non si sarebbe risparmiata e perché aveva bisogno del suo silenzio tranquillo, ma forse era troppo forte per lei. Da quando aveva appreso in quel modo brusco la storia del passato tra lei ed Eren aveva la sensazione di capirla un po' di più, ma non aveva avuto il coraggio di tirar fuori il discorso. Era una questione così delicata e così lontana dal modo in cui lei aveva vissuto che non avrebbe saputo trovare le parole giuste, ne era sicura. Inoltre, non era sua intenzione turbarla. Un altro pugno saettò verso di lei, ma riuscì a schivarlo solo di poco e le colpì la spalla destra. Incassò il colpo prendendole il braccio teso e si voltò di schiena tirandolo, per tentare di atterrarla, con scarso successo. Era troppo forte e Tallulah lo sapeva bene: non sperava di vincere contro di lei, ma di imparare, e comunque quel pomeriggio le era stato utile. Al momento però era completamente esausta, sudata e con una fame da lupi.
«Devi tenere la postura sempre rigida o rischi di spezzarti il collo» disse la bruna e subito dopo il suo peso svanì, sancendo la fine di quell’allenamento.
«Odio il corpo a corpo» sbuffò Tallulah e stiracchiò i muscoli indolenziti.
«Tu odi tutto del combattimento» la rimbeccò mentre stringeva i lacci dei suoi stivali.
«Non è vero, volare mi piace» ridacchiò lei e si incamminarono insieme per tornare dentro. Faceva troppo freddo per rimanere ferme fuori a lungo.
«È un termine decisamente improprio per ciò che facciamo».
Al suo tono monocorde Tallulah sorrise, ricordando un modo molto simile di parlare, ma con occhi decisamente più azzurri. Pensò che in qualche senso si somigliassero quei due, all’apparenza così freddi e distaccati. Ripensare a Levi le fece venire in mente il loro ultimo scambio, cosa che in realtà aveva evitato per tutto il giorno, tenendosi occupata con il lavoro manuale.
«A cosa stai pensando?»
«Perché?»
«Sei arrossita».
«Mi chiedo perché la mia faccia sia sempre un libro aperto. Preferirei la tua, è molto più interessante» rispose fingendosi esasperata, ma Mikasa non si lasciò incantare.
«È successo qualcosa con Armin?»
«Ma niente, solo u-» si bloccò registrando le parole dell’amica. «Aspetta, cosa? Armin?»
«Sembra che tu lo stia evitando in questi giorni».
Tallulah aggrottò le sopracciglia, tentando di ricordare gli ultimi avvenimenti. In effetti si rese conto che dopo l’incidente con Klaus, si era inconsciamente allontanata da Armin. L’unica volta che erano stati insieme era stata al processo di Eren, lontano dai loro compagni e dal loro solito ambiente. Sospirò, ma non rispose.
«Parlagli. È un po' giù, anche se non lo mostra mai» disse infine Mikasa prima di aprire il portone ed entrare nel tepore dell’edificio. Già, Armin era come lei.
Solo a cena riuscì a vederlo e quando lui la salutò con un sorriso, si sentì in colpa. Gli si sedette accanto, fingendo interesse nella sbobba di riso di quella sera e ascoltando distrattamente la conversazione degli altri. Ymir insisteva che Christa non sapeva cavalcare a dovere e prima o poi si sarebbe fatta una caduta coi fiocchi e Jean parlottava con Connie di chissà. A parte il loro chiacchiericcio, il silenzio era rotto solo dal tintinnio delle posate sui piatti: erano tutti stanchi e inoltre, i posti vuoti nel refettorio erano più che evidenti. La sera prima avevano organizzato una sorta di funerale per i caduti: avevano bruciato i resti dei compagni, li avevano pianti e Tallulah aveva pregato per le loro anime. Per un momento, aveva ceduto all’inquietante pensiero di voler essere con loro, lontana da quell’inferno, dalla paura e dalla violenza. Ebbe un brivido: i suoi nonni e Sadie non avrebbero voluto che pensasse cose del genere.
«Non hai fame?».
Armin la ridestò dai suoi pensieri e si rese conto che il suo cucchiaio continuava a rimestare quella brodaglia.
«Da matti. Adesso mangio» rispose e per provarlo si infilò una cucchiaiata in bocca. Non senza una smorfia di disgusto che fece sorridere l’amico.
«Ti va una passeggiata dopo?»
 
«Avanti, sputa il rospo»
«Di già? Neanche un cosa hai fatto oggi? per rompere il ghiaccio?» provò a scherzare Tallulah e lui la liquidò con un gesto della mano.
«Non ne abbiamo bisogno»
«Sì, lo so» sospirò, tornando seria, e si sistemò alcune ciocche di capelli sfuggite alla treccia che si era fatta fare da Sasha. Tentennò per qualche secondo per trovare le parole giuste.
«Credo mi abbia urtata molto il modo in cui Klaus ti ha risposto l’altro giorno, quando hai preso le mie difese» disse infine.
«Era solo sconvolto. Perché ci dai tanto peso?».
Tallulah ripensò alla chiacchierata con Jean
«Beh, non ha fatto altro che scatenare una serie di pettegolezzi su di noi e non voglio che usino la nostra amicizia per ferirci».
Armin non rispose e distolse lo sguardo. Sembrava star riflettendo su qualcosa, come se fosse indeciso se parlare o meno.
«A cosa stai pensando? Lo sai che non sopporto quando non mi dici le cose» lo esortò la ragazza.
«Perché ti danno così fastidio i pettegolezzi su di noi?» chiese mormorando, improvvisamente molto serio. Tallulah aggrottò le sopracciglia, colta di sorpresa.
«In che senso?»
«Ti irrita tanto che gli altri pensino che stiamo insieme?».
Era evidente quanto gli fosse costato pronunciare quella frase, dato il rossore che gli era salito sul viso.
«No, è che-»
«Ti vergogni di me?»
«Certo che no!» sbottò lei e si prese una pausa per guardarlo negli occhi. «Mi sembra solo sbagliato che debbano aggredirci con le loro supposizioni»
«Non che abbiano tutti i torti» sussurrò, evitando ancora di guardare l’amica in faccia. Non credeva di essere così infastidito, in fondo. Tallulah era sempre stata una persona molto espansiva, in senso relazionale ed in senso fisico. Era capitato spesso che quando stava male riuscisse a calmarsi solo quando la stringeva, così come lei ascoltava qualsiasi suo pensiero con un’attenzione e una cura che Armin non riceveva nemmeno da Eren. Sapevano entrambi di non avere un rapporto tale con nessun altro, però la cosa stava iniziando a farsi pericolosa. Era arrivato al punto di sentirsi troppo coinvolto da lei e, per quanto potesse sembrare, non era così ingenuo da non riconoscere quelle sensazioni. In quel frangente l’ingenua era lei e l’aver sentito la percezione esterna del loro rapporto l’aveva spaventata. Non ne è nemmeno consapevole pensò il giovane, e questo dimostrava la cosa peggiore di tutte, quanto poco lo vedesse come un ragazzo come gli altri.
Dal canto suo Tallulah era sinceramente sbigottita. Non credeva che quella che era partita come una delle loro solite conversazioni serali, si trasformasse in una discussione. Per la prima volta non stava riuscendo a capire Armin, lo vedeva irritato e non sapeva per cosa. Spazientita, lo prese per un braccio per forzarlo a voltarsi verso di lei.
«Se sei arrabbiato perché in questi giorni mi sono allontanata, mi dispiace, ok? Non l’ho fatto con cattiveria, solo dovevo digerire un po' di cose e non mi andava di aumentare i gossip»
«Tallulah» disse e lei si ammutolì perché sapeva che quando la chiamava con il nome esteso la questione era seria. «Non siamo più dei bambini».
«E con questo cosa vuoi dire?».
Il biondino riconobbe che non sarebbe più potuto tornare indietro, a quel punto, e decise di dirle tutto ciò che pensava, fino in fondo. Peccato che il cuore sembrava intenzionato a schizzargli fuori dal petto: sperò con tutte le sue forze che lei non se ne accorgesse.
«Che gli abbracci e- e i baci potevano andar bene quattro anni fa» disse, inciampando a metà frase e arrossendo verso la fine. «C’è un motivo se i pettegolezzi girano»
«Ti danno fastidio?». Poi, si corresse «Ti do fastidio?»
«Sì! Voglio dire, n-no! Cioè-» si perse e nuovamente guardò in basso. Stava iniziando a pensare che fosse stata una pessima idea.
«Armin, non capisco».
Sbuffò, lui, e si spostò la frangia bionda dagli occhi agitati: era davvero stupida quando ci si metteva e il suo sguardo fisso su di lui non lo stava aiutando.
«Non mi dai fastidio. Ma non sopporto che non ti venga nemmeno in mente che sono-». No, non posso dirlo davvero. «-un maschio della tua specie».
Calò un silenzio imbarazzante, con quelle ultime parole che aleggiavano tra di loro. Armin voleva seppellirsi, ma non credeva che potesse andare peggio di così. E invece, dovette ricredersi quando vide Tallulah trattenere a stento una risata. Quello fu troppo anche per lui, che era sempre così razionale e pacato. Non si chiese nemmeno se lei avesse davvero capito ciò che aveva detto, un unico pensiero gli attraversò la mente come un lampo. Le si avvicinò di botto e la prese per le spalle, senza darle nemmeno il tempo di realizzare, e le baciò le labbra, mettendo fine a qualunque ilarità fosse presente nell’aria. L’istinto le aveva fatto chiudere gli occhi e per qualche attimo la mente di Tallulah andò in bianco. Non lo stava rifiutando: a questa immediata realizzazione la mano calda di Armin si sollevò di riflesso dietro la sua nuca e premette la bocca maggiormente su quella di lei. Al suono dello schiocco del bacio, tuttavia, Tallulah rinsavì di colpo.
«A-Armin!» si tirò indietro bruscamente e mollò la presa sulla sua maglietta che non si era neanche accorta di aver stretto tra le dita. Guardava con occhi sbarrati e un’espressione scioccata in volto il diretto interessato, che adesso aveva il capo chino e nessun coraggio per affrontarla. Tutto l’impeto di poco prima era svanito nel nulla e si ricordò perché gli piaceva tanto pianificare tutto e misurare ogni sua azione: poteva tenere sotto controllo le conseguenze.
«Mi spieghi!?» chiese ancora Tallulah con voce stridula; non sapeva bene per che cosa fosse tanto sconvolta, se per il fatto che Armin potesse in generale baciare qualcuno o se per il fatto che avesse baciato lei. Non per cattiveria, ma ai suoi occhi era sempre stato come un innocente fratello ed erano diventati amici quattro anni prima, quando lui aveva undici anni e lei tredici ed erano ancora dei-.
Non siamo più dei bambini.
La frase le risuonò in testa: per quanto il loro legame potesse essersi sviluppato, non era certo un legame di sangue. Per la prima volta provò imbarazzo davanti all’amico e anche lei si ritrovò a fissare il terreno.
«Scusa» le disse infine. «Non avrei dovuto. Buonanotte».
Si voltò e cominciò a correre, lasciandola indietro.
Continuava a ripetersi che non sarebbero più stati gli stessi insieme, che aveva rovinato tutto. Eppure, per quanta vergogna stesse provando, per quanto rimorso e preoccupazione potesse sentire, sapeva bene che avrebbe passato la notte a rievocare quei pochi secondi che gli avevano scaldato il cuore. Ore dopo, Tallulah non dormiva ancora e per la prima volta non erano gli incubi a tenerla sveglia: in pochissimo tempo aveva atteso un bacio che non era arrivato e ne aveva ricevuto uno che non si aspettava.
   
 
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