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Autore: mattmary15    29/04/2020    6 recensioni
Sequel de 'Il destino di una vita intera'. Un uomo crede fermamente nel destino, un altro non ci crede affatto. Qualcuno ha detto che sono due facce della stessa medaglia ma il tempo pare non avere dato ragione a nessuno di loro. La ruota del destino si è rimessa in moto e la domanda che si pongono tutti è sempre la stessa: Gli dei possono davvero giocare con la vita degli uomini? Il destino si può cambiare oppure una nuova guerra santa legherà i cavalieri al ciclo infinito di vita, morte e rinascita?
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Pegasus Seiya, Saori Kido, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il destino di una vita intera'
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NdA:
Rieccomi. Come va la quarantena? 
Io ho ripreso a lavorare a giorni alterni ufficio/casa.
Voglio ringraziarvi per tutte le recensioni e i messaggi privati. Siete meravigliosi.
Vi lascio al capitolo che è un po' più movimentato rispetto agli ultimi.

 

Una spallata di troppo



“Eden che ci fai ancora qui?” Chiese Niketas entrando nella stanza che Saori aveva assegnato a lui e a Subaru. 

Fu Aria a rispondergli.

“Non hai sentito cosa si dicevano Seiya e il grande sacerdote di Atena?”

“Sì e allora?”

“E allora?” Sbottò Subaru. “Allora dobbiamo fare qualcosa. Parlavano di un oggetto che Dama Clio ha chiesto per sé: il dente del leone Nemeo.”

“Ci penserà Seiya.” Rispose Niketas. “I Titani sono una cosa troppo grossa per noi.”

“Mica dobbiamo affrontare i Titani!” Intervenne Aria. “Da quanto ho capito, se Dama Clio avesse quell’oggetto se ne andrebbe, giusto?” Niketas annuì e Aria continuò. “Se lo prendessimo noi? Potremmo proporre a Dama Clio uno scambio. Il dente del leone Nemeo in cambio del frammento dello specchio.”

“Eden,” Niketas guardò il più grande ancora perplesso, “tu che ne pensi?”

“Penso che nessuno abbia detto qualcosa di tecnicamente sbagliato. I Titani sono un affare troppo grande per noi. Però l’idea di Aria non è cattiva. Se riuscissimo a far sparire il dente del leone Nemeo stanotte, potremmo proporre a Dama Clio uno scambio. Mi chiedo solo perché voglia un oggetto che fa parte del tesoro del Santuario di Atena.”

“Il problema è che non sappiamo dove cercare questo dente.” Aria tirò un sospiro.

Niketas incrociò le braccia al petto indeciso se aprire bocca o meno. Alla fine parlò.

“Affrontare il leone Nemeo fu una delle fatiche di Ercole. Quando fu ucciso, Zeus lo pose in cielo tra le stelle. Così divenne la costellazione del leone. Scommetto che è alla quinta casa che lo custodiscono.” Aria gli diede un pizzicotto sul braccio.

“Ma come siamo eruditi!”

“Finalmente aver studiato le ottantotto costellazioni dell’olimpo di Atena è servito a qualcosa!” Le rispose Niketas sbuffando.

“Allora che facciamo?” Chiese Subaru. “Restiamo qui a far finta di niente o andiamo alla quinta casa?”

“Solo se siamo tutti d’accordo.” Disse Aria con decisione.

“Inutile dire che voglio andare.” Affermò Subaru.

“Io ci sto.” Confermò Aria.

“Anche io,” disse Niketas, “ma non so come faremo ad entrare alla quinta casa. Sarà super sorvegliata.”
“A questo rimedio io. Conosco una via che ci porterà fino alla sesta casa. Da lì possiamo raggiungere la quinta.” Affermò Eden.

“Allora muoviamoci.” Concluse Niketas.

Eden li guidò per la strada che conduceva dalla tredicesima casa ai giardini di Virgo, difendendosi dalle prese in giro di Aria e Niketas che gli dicevano che il cavaliere della sesta casa non avrebbe più accettato di fargli da maestro quando avrebbe saputo che non sapeva custodire i suoi segreti.

Ad Eden sembrò che quella strana idea di suo padre di affidarlo a Shaka affinché lo allenasse fosse qualcosa di lontanissimo nel tempo, quando invece Ikki l’aveva proposto poco più di un anno prima.

Il ragazzo aveva poi accettato di ereditare la spada di Hades e il potere di suo zio. Dubitava che Shaka lo avrebbe preso con sé in ogni caso. 

La sensazione che a contribuire a quella decisione ci fosse stato anche qualcosa che non riusciva bene a ricordare tornò a dargli fastidio e ripensò a quello che aveva provato quando aveva incontrato Niketas poche ore prima. 

L’allegria di Subaru lo richiamò alla realtà. Anche quel ragazzino aveva un’aura particolare che lo circondava e quando gli stava intorno, provava una sorta di nostalgia.

Aria lo prese per mano. Non lo fece mettendoci attenzione. Semplicemente gliela prese per attirare la sua attenzione ed Eden si stupì di quanto fosse piccola e calda. La guardò negli occhi meravigliato. Si sarebbe aspettato che quella esile guerriera dei ghiacci avesse mani fredde come la neve. Aria arrossì per l’imbarazzo e lo lasciò andare.

“Siamo arrivati,” disse, “come entriamo?” 

Eden si avvicinò alle colonne laterali a destra e s’infilò in un corridoio. Quando tornò, c’erano due ragazzi con lui.

“Niketas, Subaru, Aria, vi presento Yuna e Soma. Yuna è mia cugina e Soma è il figlio del padrone di casa.” Il ragazzo sorrise.

“Noi due ci conosciamo! Ci siamo incontrati alla spiaggia del Pireo quando è successa quella cosa assurda dei cavalieri del passato.” Esclamò Soma.

“Bene,” disse Eden, “adesso che sai che non sono estranei, ci farai entrare?” L’ospite non sembrava convinto ma cedette.

“Andiamo a parlare nella mia stanza.” Disse invitandoli tutti a seguirlo.

“Sono contenta che sei venuto alla fine.” La gentilezza della voce di Yuna colpì Niketas. “Diventerai cavaliere?”

“Non lo so, ci proverò. Quello scontro alla spiaggia mi ha davvero colpito e poi ho scoperto che una persona che conosco è un cavaliere, così ho deciso di capirci qualcosa di più.”

“Chi ben comincia è a metà dell’opera. Si dice così, no?” Yuna sorrise.

“Non so se questa impresa significa ‘cominciare bene’.” Rispose Niketas mentre Soma chiudeva la porta della sua stanza.

“Adesso mi spiegate cosa volete nel pieno della notte?” Chiese il ragazzo. Subaru, come al solito, fu il più veloce a rispondere.

“Sai se tuo padre possiede il dente del leone Nemeo?”

“Questa è una domanda, non una spiegazione.” Eden tirò indietro il più piccolo e parlò.

“Ascolta, Soma, e fallo con attenzione perché la cosa è già strana di per sé. Nella tredicesima casa c’è uno specchio che conduce in molti luoghi, come un passaggio segreto. Lo specchio è stato danneggiato e Dama Clio possiede il frammento che si è staccato. Sappiamo anche che lei se ne andrà a condizione che le venga consegnato un pegno. Ha chiesto il dente del leone Nemeo. Il grande sacerdote non vuole consegnarglielo per il momento. Se lo prendessimo noi, potremmo fare uno scambio con Dama Clio. Il frammento dello specchio per il dente d’oro.” 

Eden parlò in modo convinto ma Soma rimaneva restio ad assecondarlo.

“Il dente d’oro è un oggetto che appartiene alla casa del Leone. E’ sacro! Non è che possiamo prenderlo e darlo ad una sacerdotessa di Apollo.”

“Lo so, Soma. Non è una cosa bella e non fa piacere a nessuno, ma stiamo parlando di un sacrificio accettabile se entreremo in possesso del frammento dello specchio che serve a chiudere una via aperta nel cuore del Santuario. Non mi stupirebbe se fosse in qualche modo collegata alla cicatrice del tempo.” Disse Eden e Soma strinse i pugni pervaso da una forte rabbia.

Suo padre gli aveva raccontato quella storia un milione di volte. Era la sua preferita. 

La storia di un ragazzo bistrattato da tutti per via delle azioni di suo fratello, cresciuto con una maledizione addosso, quella di distruggere ogni cosa che avrebbe incontrato sul suo cammino. Più potente sarebbe diventato, più sciagure avrebbe portato. Così quando alcuni titani si sciolsero dalle loro catene e attaccarono il Santuario, tutti erano convinti che il suo pugno avrebbe liberato Crono. I suoi stessi seguaci lo profetizzavano. Invece con l’aiuto di giovani cavalieri d’oro, quel ragazzo si elevò sopra tutti gli altri e sigillò le porte del labirinto di Crono salvando l’umanità dal flagello degli antichi dei.

“Ammetto che questa Dama Clio non mi piace. Non piace nemmeno a mio padre, ma gli piacerebbe ancora meno dargli un tesoro di famiglia. Però se lui sapesse che c’è in gioco la cicatrice del tempo, non avrebbe alcuna esitazione.”

“Aspetta!” Intervenne Yuna. “Tuo padre e il cavaliere di Virgo sono entrambi qui. Come pensate di potervi avvicinare al dente d’oro con loro due che discutono proprio in quella stanza?”

Le parole di Yuna tolsero morale al gruppo. Subaru però non intendeva cedere. 

“Tu almeno sai dove si trova questo maledetto dente?” Soma annuì.

“E’ nel patio centrale, insieme agli altri oggetti sacri al Leone.”

“Se c’è una finestra, io posso colpire da lontano.” Disse Subaru. “Non devo avvicinarmi. Mi basta un arco e una freccia, una posizione di tiro.”

“E credi che nessuno se ne accorgerà?” Chiese Niketas. 

Nessuno fece in tempo a rispondere. Nella stanza di Soma cadde un gelo tremendo e ogni cosa si coprì di brina. Aria scattò in piedi.

“Che succede? Questo potere è simile a quello che mi ha portata da Asgard fino a qui!” Eden cercò di fermarla, ma la ragazza  uscì di corsa. 

Tutta la casa era avvolta in un gelo pungente. 

Soma si agitò e cercò di raggiungere suo padre. Aprì la stanza del patio centrale e trovò Aiolia e Shaka che combattevano contro Camus. 

Nonostante fossero due tra i cavalieri d’oro più forti del Grande Tempio, Camus teneva loro testa e senza armatura. Dopo aver congelato quasi tutta la stanza, riuscì persino a sferrare un attacco contro Aiolia bloccato nel ghiaccio dalle cosce in giù.

Soma fece da scudo a suo padre e fu sbalzato contro la parete. Yuna corse in suo aiuto e Aria si buttò nella mischia dimostrando non solo di resistere a quel potere gelato ma di saper contrattaccare.

La sua intrusione diede modo a Shaka di usare il suo potere per liberare se stesso e Aiolia dal ghiaccio, ma Camus sembrava interessato solo ad una cosa: il dente del leone Nemeo.

Shaka gli sbarrò la strada costringendolo ad indietreggiare. Aria sferrò un paio di colpi e, stavolta, Camus mostrò di non avere intenzione di ignorarla ulteriormente. Aria si preparò a ricevere il colpo ma Niketas si frappose fra lei e il cavaliere. 

Unì gli avambracci davanti al volto col solo intento di proteggersi e una luce accecante non solo deviò il colpo dell’aggressore, ma ebbe la forza di sciogliere ogni centimetro di ghiaccio nella stanza.

Fu in quel momento, sfruttando la confusione e l’incertezza di quel cavaliere che Eden lanciò il suo attacco e colpì Camus che si difese sprigionando altra aria gelida.

Subaru, che era rimasto in disparte, si rese conto solo in quell’istante che tutta la stanza era piena di armi. Individuò un arco ed una faretra e si guardò intorno alla ricerca dell’artefatto magico che stavano cercando.

Proprio davanti ad una finestra c’era una zanna di leone dorata e Subaru pensò che sarebbe stato semplice in tutto quel caos usare una freccia per spingere la zanna oltre il davanzale e recuperarla in un secondo momento.

Non ci pensò su. Incoccò una freccia e scoccò un tiro mirabile. La zanna tremò un istante e cadde.

Il ragazzino aveva immaginato la faccia che avrebbero fatto i suoi nuovi amici quando si sarebbero resi conto del suo colpo da maestro, ma non avrebbe mai pensato che a scoppiare in una fragorosa risata sarebbe stato proprio il nemico che tutti in quella stanza stavano cercando di contenere.

“A quanto pare, non c’è più alcun bisogno di combattere!” Esclamò prima di sparire in un lampo.

Tutti nella stanza guardarono Subaru. Eden vide Aiolia montare su tutte le furie e scagliarsi verso il più piccolo della sua comitiva e si mise in mezzo. Aiolia lo afferrò per il bavero della maglia. I suoi occhi sembravano davvero saette.

“Credi che essendo la rappresentazione di Hades in Terra non ti punirò insieme al tuo stupido compagno per la vostra bravata? Grazie a voi, uno dei sigilli che regge la cicatrice del tempo si è spezzato!” Gridò senza alcuna remora. 

Eden comprese solo in quel momento la gravità delle conseguenze del loro comportamento e di quanto si fossero sbagliati nell’interpretare l’atteggiamento di Seiya e Mur.

Soma cercò di spiegare.

“Papà, ti prego, non avevamo cattive intenzioni. Lascia che ti raccontino. Eravamo tutti qui per un motivo.” La furia cieca di Aiolia fu mitigata dal pacifico cosmo di Shaka.

“Placa la tua ira, Aiolia. Qualsiasi sia il motivo per cui i ragazzi si sono intromessi, ora abbiamo altro a cui pensare. Dobbiamo parlare al gran sacerdote.” Disse mettendo una mano sulla spalla del suo compagno d’armi. Aiolia lasciò andare Eden e annuì.

“Soma, Yuna, raggiungete Marin nella sua stanza. Non muovetevi finché non sarò tornato.” Disse al figlio e alla sua amica, poi si rivolse a Shaka. “Di loro che facciamo?”

“Portiamoli alla tredicesima casa. Devono darci una spiegazione.”

Nessuno dei ragazzi osò proferire parola e seguirono mesti i due cavalieri d’oro che li trascinarono fuori dalla quinta casa.

 

――――――――――――-

 

Clio era sempre più tesa. 

Aveva imposto un ultimatum al grande sacerdote e aveva perso la mano nel gioco che stava facendo.

A dirla tutta, non si sentiva più così sicura di quale gioco fosse. Aveva tentato di sedurre Seiya la notte della festa e lui l’aveva respinta. Aveva ceduto alla presenza nello specchio scoprendo che si trattava di un Titano.

Seppure inizialmente non aveva pensato di usarlo per i suoi scopi, era finita a collaborare con lui.

Scosse la testa sedendosi sul letto. No, non avevano collaborato. Detestava ammetterlo ma lei era finita col fare più favori a Hyperion di quanti lui ne avesse fatti a lei.

Indubbiamente se non era stata costretta a rendere conto di alcune sue azioni ad Atena, il merito era del Titano che si era liberato prima di Aphrodite e poi di Camus, eppure lei aveva cominciato a nutrire dubbi sulle richieste che lui le aveva fatto.

Quel pomo d’oro che le aveva fatto prendere nella casa dei Pesci e la richiesta del dente del leone Nemeo dovevano pur significare qualcosa e lei non ne sapeva nulla.

Aveva la sensazione che più la sua posizione nel Santuario si indeboliva, più quella di Hyperion cresceva. 

Scosse le spalle avvolgendosele con una stola. 

“Pazienza,” disse a se stessa, “anche se il grande sacerdote dovesse scoprire l’intera faccenda, sarà comunque colpa di Apollo.”

Raggiunse uno specchio e si guardò. Cominciava ad essere stufa.

Sentì un vocio oltre la porta e si alzò ma, prima che potesse aprirla sentì bussare.

“Avanti.” Disse piano e assunse una posizione impostata poiché si aspettava il grande Mur o quell’odioso cavaliere cornuto. La porta si aprì e lei sorrise. Seiya fece il suo ingresso nella stanza con passo sicuro chiudendo la porta alle sue spalle.

“Seiya! Qual buon vento? Sei l’ultimo che mi aspettavo potesse farmi visita. Ti confesso che ne sono lieta.” 

Clio si accorse che le sue parole non l’avevano affatto messo a proprio agio. Aveva stretto un pugno, l’espressione del volto tesa.

“Cosa può fare l’umile sacerdotessa di Apollo per il primo cavaliere della dea Atena?”

Come se sentir pronunciare il nome della dea l’avesse scosso, Seiya parlò.

“Diamoci un taglio.” 

“Come?” Chiese Clio con un’espressione realmente stupita. Quell’uomo era davvero sprovvisto di buone maniere. Non si faceva scrupolo neppure di mantenere le apparenze. “Non capisco.”

“Io so dello specchio.” Ancora una volta, niente mezze misure. Stavolta Clio ne fu felice. Il suo sorriso si allargò malizioso.

“Davvero?”

“Sì.”

“E di grazia, Seiya, cosa sapresti?”

“Hai preso un frammento dello specchio che si trova nella sala del trono. Parli con qualcuno nello specchio. Chi è? Un tuo alleato? Cosa vuoi da noi?”

“Ammettiamo che sia vero. Che io abbia il frammento dello specchio. Vorresti accusarmi per un peccato di vanità? Cos’è un pezzo di vetro? Una cosina così insignificante. Credi che qualcuno oltre a te crederà che si tratti di un’arma? Di qualcosa di pericoloso? E’ solo un pezzo di vetro.”

Seiya non si fece intimorire.

“Che ne hai fatto di Aphrodite? Aveva il compito di sorvegliarti ed è sparito.” Clio scosse le spalle e rise.

“Ti pare che una fanciulla come me,” disse allargando le braccia esili, “possa avere la meglio su un cavaliere d’oro?”

“Anche Camus nutriva dubbi su di te e anche lui è sparito.” Seiya non intendeva mollare la presa.

“Adesso avrei eliminato due cavalieri d’oro? E con quale arma? Un pezzo di vetro.”

“Se è solo un pezzo di vetro perché non me lo dai e la facciamo finita?” Chiese Seiya sicuro di sé, allungando una mano aperta.

Clio infilò la sua in tasca e tirò fuori dall’abito leggero che indossava un frammento che rifletteva la luce delle candele che illuminavano la stanza.

“Vuoi questo?” Chiese la donna mostrando l’oggetto che aveva in mano. “Cosa saresti disposto a dare in cambio? O pensi di prenderlo con la forza?” Istintivamente Seiya fece un passo indietro. “No? Non lo prenderai con la forza perché tu sei un cavaliere. Non mi faresti mai del male. Tu uccidi solo gli dei. Del resto, una volta che hai affondato la lama nella carne di un corpo divino, toccare quello di un mortale non deve darti più alcun piacere. E’ così?”

Le parole di Clio ebbero il potere di stordire Seiya. Tentennò. 

“Non ho mai provato piacere nell’uccidere.”

“Neanche Ares?” Stavolta la voce di Clio aveva un’inflessione crudele. Seiya abbassò il capo e strinse un pugno.

“Non è stato odio. E’ stata rabbia. Ha commesso delle azioni orribili.”

“Non sai che non si può giudicare l’operato di un dio? Atena mutò una donna in un ragno solo perché era stata più brava di lei a tessere. Ha giocato con il destino di Ulisse e con quello di Achille così come ora gioca col tuo.” Disse la donna avvicinandosi di qualche passo.

“Quello che dici non ha molto senso per me. Comunque io combatto per questa incarnazione di Atena e non l’ho mai vista giocare con il destino degli uomini.”

“Sei fedele, non c’è che dire. Io però ti ho fatto una domanda. Cosa sei disposto a fare perché io ti ridia il frammento?”

“Cosa vuoi?” 

“Quello che hai dato a lei.” Disse Clio riducendo la distanza tra loro. “Mostrami l’uomo. Togliti l’armatura.”

Seiya fece un passo indietro e scosse la testa. Clio si voltò e si allontanò di nuovo.

“Allora vattene, non abbiamo altro da dirci.” 

Il cavaliere chiuse gli occhi e cercò di pensare. Era andato nella stanza di Clio con la ferrea determinazione a recuperare l’unico oggetto in grado di chiudere una fessura aperta nel cuore del Santuario che lo collegava al labirinto di Crono. Lo aveva fatto per la convinzione che potesse essere quella porta aperta a nuocere alla stabilità di Saori e a provocare quelle alienazioni che spesso la costringevano a comportarsi in modo assurdo. Lo aveva fatto contro la volontà del grande sacerdote e contro quella del suo più retto compagno d’armi. 

Finché Dama Clio non chiedeva nulla di più di qualcosa che arrecasse danno a lui e solo a lui, non aveva ragione d’opporsi.

Questo pensò mentre si liberava dell’armatura del Sagittario e Clio si avvicinava porgendogli il frammento. Con l’altra mano gli accarezzò il petto e si fermò all’altezza del cuore. 

“Ogni battito di questo cuore è per lei, vero?” Seiya annuì. “Non più. Da oggi in poi non potrai più farlo.”

Seiya chinò la testa di lato come se non capisse, tutto concentrato sul fatto che aveva recuperato il frammento dello specchio. 

Non immaginava che l’onda d’urto che li investì un istante dopo, avrebbe dimostrato che aveva sempre avuto ragione Saori. 

Tutto stava andando a rotoli e lui, involontariamente, aveva dato un’altra spallata a far precipitare la situazione.

 

――――――――――――-

 

Saga camminava già da un po’ in silenzio. Ancora una ventina di minuti di cammino e sarebbero arrivati a Rodorio. 

Lì chiunque lo avrebbe riconosciuto. Certo, poteva fingere di essere Kanon. Era sicuro che, avendogli affidato Niketas, sarebbe rimasto al Santuario. Il rischio di incontrarlo era davvero minimo. 

Il pensiero di Niketas lo fece involontariamente sorridere. Non immaginava che quel moccioso gli sarebbe mancato tanto. Pochi passi e lo avrebbe rivisto.

Riconobbe l’altura e la quercia che segnavano il confine del paese e affrettò il passo.

Cora e le sue sorelle lo seguivano da vicino e la prima gli finì addosso quando lui si fermò all’improvviso allargando un braccio per tenere dietro di sé le donne.

“Che succede?” Chiese Cora.

“C’è qualcuno.” Rispose Saga. Uno strato di brina si allargò dalla quercia nella loro direzione e Saga percepì un cosmo ostile. “Camus?” Chiamò ad alta voce.

La figura appoggiata al tronco dell’albero si palesò ma Saga comprese immediatamente che, se la sagoma che gli stava di fronte apparteneva al cavaliere di Acquarius, quello davanti a lui non era Camus.

L’uomo, avvolto da un’aura oscura, fece qualche passo verso di lui e, ad ogni passo, delle saette nere fuoriuscivano dal suo corpo. La sua voce uscì malevola.

“Hai portato la vera Dama Clio. Programmavi un ritorno in grande stile, vecchio amico?” Cora strinse un braccio di Saga e parlò.

“Tu lo conosci?”

“Certo che mi conosce,” rispose la figura senza dare a Saga la possibilità di parlare, “e non certo perché mi manifesto nel corpo di un suo compagno d’armi, vero cavaliere di Gemini?” 

“Non sono più il cavaliere di Gemini.” Rispose Saga.

“Non sei più il cavaliere di Gemini, non sei più il grande sacerdote, chi sei dunque?”

“Sono quello che ti ha sconfitto una volta, vuoi sfidarmi di nuovo?” La figura alzò entrambe le mani.

“Se mi attacchi, se ti scagli contro di me, sarà il corpo del tuo amico a ferirsi.”

“Come sei uscito dallo specchio?” La figura rise sguaiatamente.

“Credevi che una realtà così prossima a questo mondo avrebbe potuto confinarmi per sempre? Ammetto che sei stato scaltro l’ultima volta che ci siamo visti. Ho sottovalutato la tua forza all’epoca. Sapevo che desideravi il potere più di qualunque altra cosa, che ti credevi forte come un dio ma non pensavo che ti credessi più potente di un Titano.”

“Ti sbagliavi, la mia autostima è sempre stata altissima. Non hai risposto, come sei uscito dallo specchio?”

“Hai messo quattro catenacci a quella porta. Pensavi che rinunciare ad uno di esse non avrebbe avuto conseguenze? Hai dato tu la prima spallata. Poi è arrivata la falsa Clio. Lei mi ha aiutata a dare la seconda e ora ci sono solo due catenacci ancora chiusi. Sufficienti a tenere ancora in piedi la tua dimensione specchio ma non a sigillarla. E’ solo una questione di tempo, ormai! In effetti, se ci pensi, vecchio amico, è sempre stata una questione di tempo. Credevi di poter giocare una partita a scacchi con colui che lo controlla e di averne abbastanza?”

“Chi è la falsa Clio?”

“E chi può dirlo?” La figura rise.

“Se ti ha evocato nello specchio, non una comune mortale.”

“Tic, tac, vecchio amico, il tempo scorre.” Saga si mise in posizione di attacco. 

“Sbagli ancora una volta se credi che non sia disposto a ferire il corpo di Camus per fermarti.”

“So che lo faresti, sei un uomo senza scrupoli, in fondo.”

“Tu che mi parli di scrupoli, Hyperion?” Per la prima volta Saga disse ad alta voce il nome del suo nemico e Cora e le sue sorelle si strinsero tra loro, spaventate. “Che ne hai fatto dello spirito di Camus?”

“Nello specchio, al mio posto. Ti piace l’idea?”

“Sì,” disse Saga sorridendo maliziosamente, “sei rimasto lo stesso impulsivo di trent’anni fa, vero?” 

Saga allargò le braccia e aprì le porte della Dimensione Oscura. Hyperion usò entrambe le mani per creare uno strato di ghiaccio abbastanza doppio da tenerlo ben saldo al terreno.

“Il potere di questo cavaliere è straordinario, non credi? E pensare che lui lo trattiene, non lo usa fino in fondo. Nulla sopravvive alla temperatura dello zero assoluto. Vogliamo vedere se le pizie gradiscono un po’ di gelo?” Disse lanciando un potente colpo verso di loro. Saga lo parò.

“Sono io il tuo avversario, Hyperion.”

“No, non lo sei. Non sono qui per combattere con te. Sono qui per lei.” Disse indicando Cora. “Credimi, ragazza, niente di personale ma c’è già una Dama Clio al Santuario e mi serve che resti al suo posto.”

Urania si frappose l’uomo e sua sorella e anche la piccola Tersicore fece lo stesso.

Saga però fu più veloce di entrambe e coprì la visuale di Hyperion con il suo corpo.

“Porterò Cora da Atena e tu non potrai fare niente per impedirlo. Fantasma diabolico!” 

Saga si mosse alla velocità della luce lanciando il colpo che sapeva avrebbe danneggiato solo la psiche del suo avversario. Hyperion rimase un attimo immobile ma Saga capì di non aver affatto vinto quando il nemico reagì lanciando l’ennesima combinazione di colpi che lo immobilizzò nel ghiaccio.

“Sai? Credo di aver trovato un soluzione che gradiremo entrambi. Tu non vuoi che uccida le pizie e io non voglio che le porti al Santuario. La soluzione è semplice. Vi spedirò tutti nella dimensione specchio. Sarà divertente vederti prigioniero del mondo che tu stesso hai creato.” 

Hyperion sollevò una mano e nel palmo aperto comparve una sorta di clessidra. Saga la vide oscillare. Si voltò di scatto verso le ragazze e corse verso di loro. Lentamente ma inesorabilmente, un cono d’ombra scura si proiettava in avanti ingoiando tutto ciò che raggiungeva.

“Scappate!” Gridò Saga. Invece Cora corse verso di lui e le sue sorelle la imitarono. 

“Non voglio perderti!” Urlò la prima stringendosi contro il petto dell’uomo. 

Saga non poté fare altro che proteggerla con il suo corpo e mentre l’ombra li avvolgeva, riuscì a scagliare fuori da essa Tersicore spedendola nella Dimensione Oscura.

La più piccola delle pizie non vide più nulla e urlò di terrore. L’ultima cosa che udì fu la voce di Saga che diceva solo poche parole per lei incomprensibili. 

“Dì a Cancer di aprire la porta!”

Tersicore svenne mentre il suo corpo veniva trascinato attraverso le dimensioni.

 

――――――――――――-

 

Shiryu aveva seguito le istruzioni che gli aveva dato il grande sacerdote. Lui e Genbu avevano raggiunto Capo Sounion in poche ore e avevano acceso un fuoco tra i resti del tempio dedicato un tempo a Nettuno.

Si erano seduti e avevano atteso alla luce del falò. Genbu, che aveva portato una bottiglia di vino con sé, la stappò e la porse a Shiryu. Il cavaliere scosse la testa.

“Non arriverà prima se bevi un sorso.” Disse l’altro.

“Non ne ho voglia. Siamo qui da ore e mi da fastidio aver lasciato il Santuario senza parlare con nessuno. Ho percepito qualcosa poco fa e ho una cattiva sensazione.” Genbu diede un altro sorso alla bottiglia e sorrise.

“Anche io, ma abbiamo una missione e non dobbiamo distrarci ora.”

“Hai ragione. E’ solo che durante la battaglia contro Marte, mi sono fatto da parte. Mi sono nascosto dietro le mie ferite di guerra e i miei pregiudizi e ho fatto ben poco. Adesso che una nuova minaccia ha raggiunto il Santuario, volevo riscattarmi ma mi è stata affidata una missione lontano dal cuore degli eventi.”

“Pensi che ti toglieranno la gloria?” Shiryu aprì le labbra come a voler dire     qualcosa ma l’espressione di Genbu gli fece capire subito che l’amico lo stava prendendo in giro. “Guarda me. Io non solo ho mancato la battaglia contro Marte ma mi sono rifiutato di completare l’addestramento recando disonore al mio maestro oltre che a me.”

“Però sei tornato.”

“E non vuoi sapere perché?” Stavolta fu Shiryu a sorridere prendendo la bottiglia dalle mani di Genbu.

“Non l’ho chiesto perché penso che spetti solo a te decidere di parlarne.”

“Ho lasciato Goro Ho e la Cina moltissimi anni fa. Ero svogliato ed egoista per il maestro e per te, ma la verità è che avevo paura. Avevo visto quali e quanti sacrifici dovesse fare un cavaliere di Atena e non mi sentivo in grado di affrontarli. E poi c’era Shunrei. Mi piaceva la piccola Shunrei e lei non aveva occhi che per te. Me ne andai senza troppi rimpianti. Vagai qua e là per un po’ prima di raggiungere l’India. Lì conobbi un gruppo di monaci buddisti che mi presero con sé. Quando Hades si risvegliò, alcuni Spectre distrussero il tempio e io feci quello che potetti per salvare i monaci. Loro non scapparono. Seppure non dotati di armature o di cosmo, combatterono con me per difendere coloro che pregavano perché quella terribile eclisse terminasse. Quando tutto finì, percepì il cosmo di Atena e tornai dal vecchio maestro. Gli mostrai i miei progressi e lui mi disse che senza completare il mio addestramento non potevo servire la dea. Stavolta non mi scoraggiai. Tornai dai monaci e trovai il modo di diventare più forte. Ho concluso l’addestramento quando l’armatura dell’altare ha perso il suo cavaliere precedente e mi ha scelto. Non c’è altro.”

“Qualcuno ha detto che il viaggio è più importante della meta.” Disse Shiryu ma una voce lo corresse.

“Non in questo caso! Dubito che abbiate acceso il fuoco del tempio senza un motivo.” 

I due cavalieri si alzarono e videro una figura nell’ombra avanzare lentamente. Quando venne alla luce del fuoco, Shiryu riconobbe Sirya. Non indossava l’armatura e li saluto con un cenno del capo.

“Quindi ha funzionato!” Esclamò Shiryu.

“Credevate che se aveste invocato Nettuno, Nettuno vi avrebbe ignorati? C’è pace tra il mio signore e Atena. O è cambiato qualcosa?” Shiryu si affrettò a scuotere il capo.

“No, in virtù di quella pace e di quella alleanza, Atena chiede l’aiuto di Nettuno. Noi chiediamo udienza al signore dei mari.”

“Sono qui per condurvi al suo cospetto.” Sirya mosse una mano e una bolla d’acqua comparve sul fuoco acceso e, scoppiando, la spense. “Seguitemi.” 

I cavalieri di Atena seguirono Sirya fino al limite del promontorio e si accorsero solo in quel momento che c’era una specie di scalinata scolpita nella nuda roccia. Scendeva fino al mare, così almeno credette Shiryu prima di raggiungere il pelo dell’acqua. Quando Syria lo accarezzò, scoprirono che la scalinata scendeva ben sotto il livello del mare.

La percorsero tutta senza tuttavia provare alcuna fatica e si fermarono solo quando la figura di Tetis si stagliò davanti a loro.

“Benvenuti, Nettuno vi attende.” Disse facendo strada fino ad una piazza circolare che Shiryu non ricordava. Era vuota e non c’erano colonne.

Julian Solo non sembrava invecchiato di un giorno rispetto al ricordo che aveva di lui.

Fece un passo in avanti e si accorse solo il quel momento che sulla sua destra c’erano un tavolo di marmo bianco e degli scranni. Oltre a Tetis e a Sirya, c’erano solo ancelle e soldati. Nessuna traccia degli altri generali. Shiryu si guardò comunque intorno, sospettoso.

“Siete i benvenuti,” disse Julian allargando le braccia, “ho fatto preparare del vino e della frutta. Accomodatevi. Davanti ad una tavola, qualunque discorso è più piacevole.”

Genbu sopravanzò Shiryu e seguì Nettuno verso il tavolo di pietra. Il cavaliere della bilancia li seguì e si sedette dopo che Nettuno prese posto. Versò tre calici di vino e ne spinse due verso i suoi ospiti.

“Dunque,” esordì sorseggiando dal suo calice “devo ammettere che quando Tetis mi ha riferito che il fuoco nel tempio di Capo Sounion era stato acceso, mi sono preoccupato. Non è passato inosservato neppure nel regno degli abissi marini il potente terremoto che ha scosso le terre emerse. Ho dovuto usare il mio potere per evitare che un devastante maremoto si abbattesse lungo le coste di Grecia.”

“Atena te ne sarà grata quando verrà a saperlo.”

“E’ il nostro patto. Siamo in pace e difendiamo insieme la Terra. Ognuno a suo modo, ovviamente. Devo presumere che non siete qui per questo?”

“Siamo qui per un altro motivo. Anche se ci sono stati dei disordini per via del terremoto, Atena non ha dimenticato alcune cose che sono rimaste in sospeso dopo la morte di Marte.” Nell’udire quel nome, il volto di Julian Solo si rabbuiò.

“Non ci sono sospesi dopo la terribile battaglia al Pireo.”

“Mi riferisco a Hyoga.”

“Non siete riusciti a trovare un modo di risvegliarlo?” Shiryu scosse il capo.

“Il grande sacerdote tenta ogni via ed è per questo che siamo qui. Pensa che tu potresti aiutarci con un oggetto che è in tuo possesso.” 

Julian si portò di nuovo la coppa alle labbra.

“Di che si tratta?”

“Del Vello d’oro. Ha grandi poteri curativi.”

Sirya che aveva ascoltato ogni cosa in silenzio, passava lo sguardo dal suo signore ai nuovi venuti. Quella visita non gli era piaciuta fin dal principio e adesso cominciava a preoccuparsi seriamente.

Quasi avesse percepito i suoi pensieri, Nettuno lo guardò per un momento, gli sorrise e tornò a fissare Shiryu e Genbu.

“Quello è un dono di Atena che custodisco gelosamente. E’ prezioso per me.”

“Il grande sacerdote ne è consapevole e Atena non ti chiede di rinunciarci senza ricevere nulla in cambio.” Libra sfilò da una tasca un involtò e lo posò sul tavolo. Armeggiò con la stoffa fino a che non rivelò il suo contenuto.

L’ancora di adamantino brillò in modo impossibile da descrivere alla luce del regno sottomarino e così fecero gli occhi di Julian.  Il busto, le mani, il mento si mossero in avanti come attratte dall’oggetto ma, per un momento, rimase in silenzio. Poi sollevò una mano e fece un cenno. Sirya si avvicinò.

“Mio signore?”

“Va’ a prendere quello che hanno chiesto e fa venire Kira.” Il suo primo cavaliere obbedì allontanandosi. Julian tornò a rivolgersi ai cavalieri di Atena. “Siete fortunati. In effetti quell’oggetto è molto potente e io l’ho adoperato per salvare la vita di Abadir. Ricordate le condizioni in cui versava dopo la battaglia contro Seiya?”

“Seiya combatteva contro Marte. Non ha mai voluto ferire Abadir.” Le parole di Shiryu uscirono rapide e cariche d’affetto per il suo migliore amico. Nettuno lasciò il bicchiere e alzò una mano.

“Non era mia intenzione accusare nessuno. Come si dice sulla terraferma? E’ acqua passata. Gradisco il dono che mi avete portato e accetto lo scambio se fa piacere a Saori. Come sta?”

“Bene.”

“Se sta bene, mi piacerebbe organizzare un incontro. Finora non mi è sembrato opportuno ma ora lo ritengo possibile,” disse mentre Sirya e Kira facevano ritorno, “anzi necessario.” 

Il tono gioviale con cui Nettuno li aveva intrattenuti fino a quel momento, cambiò di colpo e Shiryu capì che il signore dei mari parlava al posto del rampollo della famiglia Solo. Tese una mano e si fece consegnare lo scrigno che Sirya aveva con sé. Lo poggiò sul tavolo e lo spinse verso Shiryu.

“Ecco il Vello, lo consegno in cambio dell’Ancora. Prima però voglio che sentiate che strana storia mi ha raccontato Kira.” Shiryu guardò il generale degli abissi che rimaneva immobile alle spalle del suo signore. “Kira custodisce Scilla e Cariddi e se ne occupa. Durante la sua ultima visita alle sue creature, ha sentito dire che dei cavalieri di Atena hanno fatto visita al Fabbro in Sicilia. Io gli ho detto che deve avere capito male perché il Fabbro odia le visite e Atena non è un’appassionata dei suoi lavori, ma lui ha insistito nel dire che è cosa certa e che addirittura ha mandato tre cavalieri d’oro. Uno di loro sei tu, a quanto dice. Dimmi, cavaliere di Libra, devo punire il mio generale o ha detto la verità?” 

In quel momento un tridente d’oro comparve nella mano del dio mentre l’altra si mosse ad indicare l’Ancora che seguì quel movimento e saettò verso il tridente fino a fondersi con esso. Nettuno mosse l’arma verso Kira. Shiryu scattò in piedi e Genbu lo trattenne mentre con l’altra mano tirava a sé lo scrigno col Vello d’oro.

“Come gestisci i tuoi cavalieri non è affar nostro.” Disse Genbu tirando indietro l’amico. Nettuno abbassò il tridente.

“I miei generali si farebbero uccidere per me. E non mentono.”

“No,” disse Shiryu, “non mentono e nemmeno noi. Non abbiamo alcun motivo di farlo. Atena ha mandato noi qui, può mandare altri messaggeri ovunque ritenga di dover portare la sua parola.”

“Non lo contesto. Però riferitele queste parole. C’è scompiglio sopra, sotto e oltre la Terra. Gli alleati non si tengono all’oscuro dei propri piani.”

“Riferiremo.” Disse Genbu lanciando uno sguardo d’intesa a Shiryu che annuì. Nettuno non attese oltre, si voltò e prese la via per il suo palazzo.

Sirya li condusse a ritroso per lo stesso percorso che avevano fatto all’andata. Quando aprì il mare per loro e gli indicò la via per la scalinata scavata nel dorso del promontorio, li salutò con poche parole.

“Siate prudenti nel riferire il messaggio. Gli dei sono facili all’ira ma noi che li conosciamo e siamo votati a loro, abbiamo il compito di mitigare i loro impulsi.” Genbu rise di getto.

“Ci stai dicendo che dovremmo mentire su quello che è accaduto qui?” Stavolta fu Sirya a sorridere.

“Se lo faceste, non sareste buoni cavalieri. Sto solo dicendo che finora abbiamo combattuto le guerre sacre una alla volta. In questo momento l’inimicizia tra le nostre fazioni equivarrebbe ad una sciagura.” Il generale fece un cenno di saluto e poi li lasciò andare. 

Mentre risalivano la dorsale, Genbu guardò più volte Shiryu che lo precedeva silenzioso.

“Sei pensieroso?” Gli chiese per capire cosa lo preoccupasse.

“Ripensavo alle parole di Sirya.”

“Sul fatto di riferire il messaggio con prudenza?”
“Sul fatto che finora abbiamo combattuto una guerra sacra per volta. Efesto ha detto a Seiya che lui si è fatto da parte. Ora mi chiedo da cosa.”

“A me preoccupano di più le parole di Nettuno. Secondo te ci ha minacciati?”

“Vuole vedere Saori. Questo è quello che credo se proprio vuoi saperlo. Però penso anche che gli dia fastidio non essere al corrente di quello che sta succedendo al Santuario.”

Raggiunsero la cima del promontorio che era ancora buio. Pulirono ciò che restava del falò che avevano acceso poche ore prima e ripristinarono il sigillo di Atena che avevano spezzato per accenderlo.

S’incamminarono per tornare al grande tempio in silenzio e col cuore pesante.

 

――――――――――――-

 

Saori aveva provato a sdraiarsi e a riposare ma non era riuscita a chiudere occhio. Si era alzata a bere e l’aveva udito.

Era distintamente il ticchettio di un grosso orologio e lei non capiva da dove provenisse. La meridiana dello zodiaco non faceva alcun rumore e nel Santuario non c’erano orologi.

Andò verso la parete alla destra del suo letto dove Seiya aveva riposto l’Oroscopio e aprì la scatola in cui l’oggetto era riposto.

Toccò la ruota con il simbolo del sole e l’artefatto si aprì come aveva fatto con Seiya sull’altura delle stelle.

La donna si ritrovò circondata dalle orbite delle dodici costellazioni che fluttuavano intorno a lei. Per un attimo le sembrò di essere tornata bambina al periodo in cui rimaneva ore intere a fissare le stelle nel planetario di suo nonno.

Si girò e lo vide. 

Era Saga. 

Indossava gli abiti sacerdotali e con le mani toccava alcuni punti precisi sulle orbite disegnate dal meccanismo.

“Saga?”

“Il potere assoluto è nelle stelle.” Rispose l’uomo. “Il cosmo è un potere infinito ma ogni essere umano ha un limite, per quanto grande sia la sua capacità di bruciarlo ed espanderlo. Quello degli dei è enormemente più grande. Se gli dei possono elargirlo, forse esiste un modo anche per sottrarglielo. Ci sono vicino, il segreto è nelle stelle. Avrò il cosmo di un dio e allora io stesso diventerò un dio.”

Saori capì che era in atto un’altra distorsione temporale e si mosse verso quella figura convinta che sarebbe svanita non appena avesse provato a sfiorarla. Invece Saga, alterato nel viso e nei gesti, la guardò con cattiveria.

“Sarai impotente, ti toglierò ogni cosa e sarà come se non fossi mai nata!” Urlò e Saori si sentì come prigioniera di quello sguardo iniettato di sangue. Si agitò e si portò le mani alla testa.

“Tu non sei reale.” Disse sottovoce a se stessa. Quella sensazione però non spariva. Col suo potere invocò la Nike e la strinse al petto. 

La luce nella stanza non accennava a scemare e lei non sapeva quanta venisse dall’Oroscopio e quanta dal suo scettro. Lo mosse in avanti e involontariamente colpì l’artefatto che cadde sul pavimento e si richiuse su se stesso.

La luce nella stanza svanì. Saori provò a prendere profondi respiri per calmarsi ma non ci riuscì. Lasciò la camera con l’intenzione di raggiungere la statua di Atena. Pregare all’aperto le dava conforto. Non ci arrivò. 

Vide Seiya che bussava alla porta di Clio e lo vide entrare. Raggiunse la porta e rimase ad ascoltare la voce di Seiya.

“Diamoci un taglio.” Gli sentì dire in modo seccato, quasi prepotente. “Io so dello specchio.” Di cosa stava parlando Seiya? Cosa aveva da dire a Dama Clio per essere andato a trovarla nel cuore della notte? 

“Hai preso un frammento dello specchio che si trova nella sala del trono. Parli con qualcuno nello specchio. Chi è? Un tuo alleato? Cosa vuoi da noi? Che ne hai fatto di Aphrodite? Aveva il compito di sorvegliarti ed è sparito.” 

Stavolta Saori capì cosa intendesse Seiya facendole quelle domande e strinse più forte la Nike. Se Dama Clio aveva qualcosa a che fare con la scomparsa di Aphrodite e Camus, lei non l’avrebbe perdonata. 

Fu in quel momento che percepì chiaramente la voce di lei.

“Vuoi questo? Cosa saresti disposto a dare in cambio? O pensi di prenderlo con la forza? No? Non lo prenderai con la forza perché tu sei un cavaliere. Non mi faresti mai del male. Tu uccidi solo gli dei. Del resto, una volta che hai affondato la lama nella carne di un corpo divino, toccare il corpo di un mortale non deve darti più alcun piacere. E’ così?” Saori rabbrividì non appena sentì la voce di Seiya.

“Cosa vuoi?” 

“Quello che hai dato a lei. Mostrami l’uomo. Togliti l’armatura.” 

Saori pensò che non l’avrebbe mai fatto. Seiya non le avrebbe dato alcuna soddisfazione e comunque non quella. Perciò quando  sentì l’armatura di Sagitter lasciare il suo corpo, tremò e si rese conto che tremava di rabbia. Provò a contenerla ma ciò che udì, spense l’ultimo barlume di ragione che aveva tenuto acceso.

“Ogni battito di questo cuore è per lei, vero? Non più. Da oggi in poi non potrai più farlo.”

Saori non vide la sua mano sollevare la Nike, non vide neppure le porte della stanza sbattere e spalancarsi davanti al potere dello scettro. Non percepì quel potere precederla e spazzare via ogni cosa le fosse di intralcio.

Saori non poté vedere la violenza con cui Seiya e Clio furono sbalzati contro la parete opposta e caddero a terra incapaci di capire cosa li avesse colpiti.

Saori non vide neanche la sua mano muoversi e scagliare dama Clio lontana da Seiya.

Sentì la sua voce uscire dalle sue labbra ma non la sentì sua.

“Tu non prenderai ciò che è mio dai tempi del mito.”

Sollevò la Nike per colpire e solo quando la calò i suoi occhi videro di nuovo.

Seiya aveva fermato lo scettro con le sue mani, era caduto in ginocchio e supplicava sanguinando.

“Fermati Saori, ti prego.”

“Io sono Atena, dea della guerra e tu mi stai intralciando. Levati o perirai, erede di Pegasus.” 

“No, tu sei Saori e incarni la dea della giustizia.” Lo vide perdere colore, soffrire ma non si tirò indietro.

“Tu mi hai tradita!” Urlò e Seiya arrancò ancora.

“Saori! Ti prego, ricorda! Ricorda quando hai detto che in qualsiasi caso io avrei sempre trovato la strada per raggiungere il tuo cuore. Lo sto facendo ora, sto parlando al tuo cuore. Fermati! Non sporcarti le mani del sangue di una pizia. Se scoppierà una guerra con Apollo, avrà vinto lei. Dobbiamo proteggere il Santuario, salvare il grande tempio. Aiutami!”

Saori ebbe come un sussulto. Qualcosa scattò in lei e abbassò lo scettro.

“Io devo difendere la Terra.”

“Sì. E’ quello che fai sempre.” 

La luce della Nike si spense e Saori ritrovò un respiro normale. Clio provò ad approfittarsi di quel momento per lasciare la stanza ma lei la scaraventò contro il muro e le fece perdere i sensi.

“Saori.” La voce di Seiya le arrivò ovattata e pensò che fosse per quello strano senso di stordimento che l’aveva colta, invece  quando si voltò a cercare il cavaliere, Seiya giaceva a terra e si teneva il petto con entrambe le mani.

Lei gli fu addosso in un momento e provò ad aiutarlo ma, più cercava di farlo, più Seiya soffriva. Se ne rese conto subito. Quelle parole l’avevano ferita al punto di perdere il controllo di se stessa.

“Ogni battito di questo cuore è per lei, vero? Non più. Da oggi in poi non potrai più farlo.”

Si allontanò da Seiya e si accorse che il suo respiro tornava regolare. Se gli si avvicinava, lui riprendeva a soffrire.

Invocò la presenza di Mur e il grande sacerdote apparve dopo pochissimi minuti.

“Cos’è successo qui?”

Saori si avvicinò alla porta.

“Fai rinchiudere Dama Clio. Fà portare Seiya alla decima casa. Che Shura stia a guardia delle sue stanze fino a che non si riprende. Non fare domande. Obbedisci.” Disse lasciando la stanza con in testa ancora le parole che aveva sentito dire a Saga la notte degli Inganni.

“Sarai impotente, ti toglierò ogni cosa e sarà come se non fossi mai nata!”

Raggiunse la statua di Atena e urlò come le sue precedenti incarnazioni avevano fatto tutte le volte che si erano preparate ad andare in battaglia.

 
  
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