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Autore: morgana85    30/04/2020    11 recensioni
Dal testo:
(...) «Vuoi essere il mio sole?», gridò all’improvviso, in un ultimo tentativo di trattenerla ancora qualche minuto. Perché l’idea di vederla andare via lo aveva reso triste, ma forse solo perché lo aveva battuto indovinando più nuvole di lui. La vide girarsi, quel bellissimo sorriso che gli fece venire caldo, mentre lo salutava gridandogli “si!” e sventolando il fiore che le aveva regalato.
«Ci vediamo presto girasole!». (...)
[PRIMA CLASSIFICATA al contest "Seasons Die One After Another" indetto da Laila_Dahl nel forum di EFP]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton | Coppie: Lily/Severus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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[Storia partecipante al contest Seasons Die One After Another indetto da Laila_Dahl nel forum di EFP]
 
 
Nome (EFP e Forum): morgana85 (EFP) e =Morgana di Avalon= (forum)
Titolo: Clizia
Fandom: Harry Potter
Pacchetto scelto: Girasole
                                     Genere: Romantico
                                     Prompt: Amore infantile
 
 
~Clizia
 
Se non la vedo, la immagino e sono forte come gli alberi alti.
Ma se la vedo tremo, non so che ne è di ciò che sento nella sua assenza.
In tutto me stesso ogni forza mi abbandona.
Tutta la realtà mi guarda come un girasole con il suo viso nel mezzo.
~F. Pessoa
 
 
Camminò in silenzio e senza fare rumore per i corridoi della Scuola addormentata, evitando persino quei rari incontri con i fantasmi.
Un fulmine rischiarò le ombre che si annidavano davanti a lui, mentre il tuono fece quasi tremare le pareti di pietra grigia. Rallentò il passo, inspirando a fondo l’odore di pioggia e di erba bagnata, la calura del giorno che veniva stemperata in aria frizzante. Si trovava molto più a suo agio di notte, quando il mondo assumeva un aspetto quasi monocromatico, senza differenze. Aveva amato i colori una volta, ma era più giovane e sciocco. Ed altrettanto in fretta aveva pagato a caro prezzo la loro ingannevole frivolezza.
Svoltò nell’ennesimo corridoio, fermandosi di fronte ad una vecchia porta impolverata. Sembrava che nessuno la aprisse da anni. Si guardò intorno, cercando di cogliere movimenti sospetti o qualche rumore che gli rivelasse presenze indesiderate. Attese abbastanza a lungo da avere la certezza di essere solo, poi girò la maniglia ossidata.
La stanza era buia quanto l’esterno, il pavimento ricoperto di vecchi tappeti logori e grandi ragnatele che la decoravano come preziose tende ricamate. Non c’era niente all’interno, tranne un unico grande specchio, la cornice elaborata e il vetro coperto da uno spesso panno di velluto blu. Si avvicinò con cautela, quasi avesse a che fare con un manufatto di magia oscura, tossendo quando lo svelò e una nuvola di polvere lo investì in pieno.
Si osservò riflesso, notando quanto il suo volto fosse invecchiato precocemente. Non gli era mai importato più di tanto, ma ogni ruga che gli percorreva la fronte era il segno tangibile delle sofferenze che aveva attraversato e mai superato completamente.
Corrugò le sopracciglia quando lo specchio sembrò incresparsi, piccole onde che percorrevano la superficie come cerchi concentrici di un sassolino gettato nell’acqua. Attese, vedendo l’immagine cambiare e lui dissolversi.
Oltre la superficie d’argento, il colore predominante era il giallo. Il giallo del sole di quel lontano giorno di mezza estate, quando ancora tutto aveva il sapore dell’infanzia. Il giallo dei girasoli, un campo che sembrava estendersi fino all’orizzonte, ondeggiante alla brezza calda e profumata come le ali di un enorme uccello esotico.
Socchiuse gli occhi, quasi accecato da tutta quella luce. Lui, che ormai aveva fatto delle ombre e della solitudine il proprio regno. Fu quasi tentato di andarsene, sentendosi uno sciocco. Ma il sapore agrodolce dei ricordi era troppo invitante, così potente da portarlo a passarsi la lingua sulle labbra. Si concesse un minuto di attesa, non era mai stato un tipo particolarmente paziente. Se non fosse accaduto niente, avrebbe chiuso la porta dietro di sé e dimenticato tutto ciò che quella stanza conteneva.
L’ombra di una nuvola passò veloce tra i girasoli, portando con sé la risata allegra di quelli che sembravano bambini. Una era frizzante e delicata come i campanelli delle fate, l’altra più acuta e appena strozzata, quasi non fosse abituata ad essere ascoltata.
Trattenne il fiato, cercando per istinto la bacchetta che portava sotto al mantello. Sembrava pronto a difendersi in qualche duello, ma l’unico scontro con cui doveva fare i conti era quello con il suo passato. E con tutto ciò che cercava costantemente di relegare in infinite ampolle, gelosamente custodite nel cassetto della sua scrivania.
Una bambina avanzò tra gli steli alti dei fiori, una lunga tunica bianca fermata sulle spalle con nastri colorati, i lunghi capelli rossi sciolti sulla schiena e una coroncina d’alloro dorato che faticava a trattenere con una mano. Un bambino la seguiva a qualche passo di distanza, magrolino e dalla pelle pallida, lo sguardo fisso davanti a sé. Sembravano un girasole e la sua ombra. Bella e luminosa lei, incapace di stargli lontano lui.
 
«Sei buffa».
«Non sono buffa», sbuffò la bambina, sollevando la gonna troppo lunga per poter camminare meglio, «sono una principessa».
«Le principesse non hanno quei vestiti così strani».
«La mia mamma dice di sì», puntò i piedi fermandosi, raddrizzando le spalle, «che questo è il vestito di una ninfa. E la mia mamma non dice bugie».
«Che cos’è una ninfa?».
«Una principessa dei boschi», gli spiegò con pazienza, come se fosse stato molto più piccolo di lei. «La mia mamma dice che una si era innamorata del sole, per questo si è trasformata in fiore. Per poterlo guardare tutto il giorno».
«Ma non potevano diventare amici?», inciampò in un uno stelo reciso che spuntava dal terreno, urtando la bambina e facendola ruzzolare a terra. Si ritrovò sopra di lei, i nasi che quasi si sfioravano. Per la prima volta riuscì ad osservare da vicino i suoi occhi, che avevano quel colore così intenso che per un bambino di otto anni diventava difficile da spiegare. «Perché la tua mamma ti ha fatto gli occhi verdi?», aggrottò le sopracciglia, indicando prima i suoi e poi quelli di lei, «Vedi? I miei sono del colore giusto». Fu quasi dispiaciuto nel notare il suo sguardo improvvisamente triste, mentre alzava le spalle e tirava su con il naso. Si guardò intorno smarrito, mettendosi seduto mentre cercava disperatamente qualcosa che potesse farla tornare a sorridere. Quando un soffio di vento più intenso accarezzò nuovamente i girasoli, sembrò illuminarsi. Si alzò in fretta, inoltrandosi appena tra gli steli alti e tornando con un gigantesco fiore tra le mani. Glielo porse, grattandosi la testa e abbassando lo sguardo imbarazzato.
La bambina si alzò, poggiandosi su un gomito e portandoselo al viso, quasi volesse sentirne il profumo. «Ma non sa di niente», arricciò le labbra, lanciando lontano la coroncina che le era caduta sul naso.
«Riprova», la osservò rapito, non riusciva a fare altro, con quei capelli rossi che gli ricordavano tanto la marmellata di fragole che adorava. «No, aspetta», la fermò, cadendo in ginocchio accanto a lei, «prima chiudi gli occhi». Arrossì davanti alla sua occhiata dubbiosa, «Per favore». Quando la vide obbedire a quella semplice richiesta, si sporse appena e schioccò le dita. Una piccola farfalla rossa e blu iniziò a svolazzare, lasciando dietro di sé una scia di luccichii azzurrognoli, vorticando come una piuma colorata fino a posarsi sul naso della bambina. Lei aprì gli occhi di scatto, spalancandoli per la meraviglia e lo stupore. Un sorriso immenso le incurvò le labbra, facendola quasi brillare. In quel momento la trovò bellissima. Ma non con la malizia tipica di un adulto, semplicemente ora assomigliava alla principessa che lui aveva immaginato. Felice. «Ti piace?», domandò in un sussurro, fregandosi le mani sudate sui pantaloni.
La bambina annuì con vigore, tornando a sdraiarsi per terra, il fiore stretto al petto mentre allungava un braccio verso il cielo, la farfalla che si divertiva a danzare tra le sue dita. «Giochiamo a Formanuvole, ti va?».
Lui sorrise, stendendosi accanto a lei. Per un po’ non ci fu altro che silenzio, interrotto solo dal cinguettio degli uccellini in lontananza e dal fischio del vento nelle orecchie. Come sempre, fu la bambina a parlare per prima, indicando una grossa nuvola bianca e affermando con convinzione che fosse una balena.
«Non è vero», borbottò lui, schermandosi gli occhi per ripararli dalla luce del sole.
«Ma si, guarda», gli prese il polso, facendo muovere il braccio come se fosse un pennello, tracciando i contorni invisibili di un’enorme balena che nuotava in un cielo terso come il mare.
Ancora una volta, lui non riuscì a fare altro che guardarla. Rimase imbambolato ad osservare i raggi del sole giocare tra i suoi capelli lunghi, gli occhi accesi da un’allegria contagiosa e dolce insieme. La mano così vicina alla sua gli faceva uno strano effetto, ma era piacevole. Non avrebbe mai voluto che la staccasse.
«La vedi adesso?». Sussultò appena, riscuotendosi e annuendo con un breve cenno del capo. «Ora tocca a te».
Rimasero così per tutto il pomeriggio, facendo a gara a chi additava una nuvola per primo, conquistando così il diritto di decidere quale forma avesse. Quando il tramonto scivolò lentamente sulla collina, inondando il cielo di rosso e oro e disperdendo tutte le nuvole, la magia sembrò terminare. «Ora devo andare a casa», mormorò la bambina, aggiustandosi il vestitino sporco di terra e raccogliendo la coroncina.
Lui annuì ancora, osservandola salutarlo con una mano e trotterellare verso il sentiero vicino. «Vuoi essere il mio sole?», gridò all’improvviso, in un ultimo tentativo di trattenerla ancora qualche minuto. Perché l’idea di vederla andare via lo aveva reso triste, ma forse solo perché lo aveva battuto indovinando più nuvole di lui. La vide girarsi, quel bellissimo sorriso che gli fece venire caldo, mentre lo salutava gridandogli “si!” e sventolando il fiore che le aveva regalato.
«Ci vediamo presto girasole!».
 
Quasi fosse stata richiamata da qualcuno, la bambina si fermò all’improvviso, voltandosi di scatto e frustando l’aria con i lunghi capelli rossi. Aggrottò le sopracciglia, lanciando uno sguardo da sopra la spalla, per poi voltarsi lentamente. Strinse forte al petto il girasole, come uno scudo da utilizzare contro chissà quale mostro si nascondesse tra le ombre. Mosse il primo passo, acquistando maggior sicurezza man mano che si avvicinava. Il dubbio sparì dal suo viso dai tratti delicati, sostituito da un sorriso splendente come il sole alle sue spalle, che le raggiunse gli occhi e li illuminò fino a renderli simili a pietre preziose.
Oltre lo specchio, Severus trattenne il fiato. Era così vera, così viva. E stava tornando da lui, come gli aveva promesso quel giorno lontano ormai una vita. Ci sarò sempre per te Severus, dovrai solo chiamarmi e tornerò. Si sporse in avanti, strisciando i piedi e con gli occhi che bruciavano. Non sapeva dire se per le lacrime trattenute o la luce che lei emanava.
La vide allungare un braccio nella sua direzione, come se non vedesse l’ora di stringergli la mano e portarlo con sé in quel meraviglioso campo di girasoli, per spiegargli ancora una volta come riconoscere le nuvole e dargli una forma. Provò a resistere all’impulso di imitarla, ma il cuore diede un battito più forte e ogni sua reticenza crollò come un castello di carte in balia di una tormenta. Sollevò la mano tremante, arrivando ad appoggiarla sullo specchio nello stesso istante in cui lo fece lei. «Il mio bellissimo Apollo, il mio sole», gli sembrò quasi di toccarla ancora, come se il calore e il profumo della sua pelle fossero nuovamente lì per lui, che fu costretto a chiudere gli occhi per riuscire a non perdere l’equilibrio sotto la portata del sentimento che gli esplose nel petto.
Quando li riaprì, la bambina agghindata da dea aveva lasciato il posto alla donna che era diventata. La sua Lily, come l’aveva vista l’ultima volta prima di doverle dire addio per sempre. Adulta e sorridente e con la bellezza della maternità a rendere quel viso perfetto come un ritratto. Guardò le loro dita sovrapposte, desiderando così tanto poterle afferrare da sentirsi stringere lo stomaco. Boccheggiò, facendosi scivolare lentamente fino a terra, lasciando una traccia del suo passaggio tra la polvere che ricopriva la superficie dello specchio. «Sei tornata per veder fiorire il tuo girasole», sussurrò a mezza voce, lasciando cadere la bacchetta che ancora stringeva, «ma è tardi. Non c’è luce a sufficienza».
Un bagliore improvviso lo colpì, facendolo voltare di scatto digrignando i denti. Spalancò gli occhi, poggiando anche l’altra mano per terra per riuscire a sorreggersi. Provò a dare una spiegazione a tutto quello, ma la sua mente allenata e incredibilmente acuta non riuscì a trovarne una plausibile.
A qualche passo da lui, una cerva lo osservava senza timore, muovendo le orecchie e dissipando le ombre opprimenti con i suoi bagliori d’argento. Si mosse senza fare rumore, percorrendo la stanza fino a disegnare un immaginario cerchio di cui lui era il centro indiscusso. Quasi volesse proteggerlo dalla solitudine e dal ricordo di quell’amore che lo straziava come il primo giorno. Gli si avvicinò, abbassando il muso fino a sfiorargli il naso, forse in cerca della sua attenzione.
«Avrei continuato a guardare il mio sole per tutta la vita», lo disse con rassegnazione, recuperando la bacchetta e stringendola come se potesse attingervi forza, «per tutta la vita». Indugiò ancora un istante sul riflesso oltre lo specchio, dove lui non era più uomo ma bambino, la sua mano stretta a quella di Lily che sorreggevano insieme il girasole.
Prese un profondo respiro e agitò la bacchetta.
Tutto fu buio.
 
 
Ebbene si, è un esperimento.
Il contest prevedeva la scelta di un pacchetto e di sviluppare la trama secondo le indicazioni. Scegliendo il Girasole, mi è capitato l’amore infantile.
E ho deciso di buttarmi, letteralmente, scrivendo di Severus e di Lily. Cosa che non ho mai voluto fare, perché li trovo così complessi e intensi nella versione originale, che mi sembra sempre di non rendergli giustizia a sufficienza.
Spero almeno di avervi strappato un sorriso.
Come sempre, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate ^^
Un abbraccio e a presto
Morgana 
 
 
  
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