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Autore: GraceLost    30/04/2020    0 recensioni
«Tu andrai in un posto fantastico» per un attimo l’immagine del sorriso di Charles riemerse fra i suoi pensieri «Con una persona fantastica.»
«E tu?» la bambina gli prese le mani per fargli capire che non aveva intenzione di lasciarlo.
«Io… non posso venire» vedere l’ombra della speranza svanire dal viso della figlia gli fece venire una stretta allo stomaco «Però Charles ti tratterà benissimo, non ti farà mancare nulla.»
Non gli parlava da dieci anni, ma sapeva che non gli avrebbe mai voltato le spalle in un momento del genere: Charles era fatto così ed era per questo che ad Erik era costato molto lasciarlo, soprattutto dopo tutto quello che avevano passato.
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Sono passati dieci anni da quando hanno salvato la linea temporale dalle Sentinelle, le strade di Charles ed Erik si sono ormai divise per costruire una vita all'ombra dei loro ricordi. Ma il mondo sta collassando e ancora una volta i loro occhi si dovranno incontrare, riversando nelle parole i momenti mancati e le promesse non mantenute.
[What if? Nina sopravvive | Come avrei voluto l'inizio di Apocalisse.]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Anche se sono passati anni, ancora non mi sono ripresa da Apocalisse, dalla storia sprecata che poteva essere. Avevo ideato un alternativo inizio del film e finalmente ho avuto un po’ di tempo per scriverlo, mantenendo vivi questi personaggi che ho odiato e amato contemporaneamente (soprattutto tu, Magneto). Spero che a qualche nostalgico piaccia e che io abbia reso giustizia a questi personaggi stupendi.
 
There’s no Time
 
Ormai il mondo era solo un brutto ricordo. L’erba non cresceva più, l’acqua aveva incominciato a scarseggiare e terremoti ed uragani distruggevano città e paesi lasciandosi solo il nulla dietro. Era questo il loro destino? Era per questo che erano tornati indietro nel tempo per evitare che le Sentinelle venissero costruite? Era come se tutti i loro sforzi non fossero serviti a nulla, come se l’estinzione fosse l’unica opzione che avessero. Gli esseri umani, ovviamente, avevano dato la colpa ai mutanti, come se esistesse un mutante che fosse capace di tutte quelle catastrofi e di distruggere lentamente un pianeta. Alcuni accusarono addirittura Magneto, ma tanto a lui non importava più. La sua vita ormai era un’altra, aveva deciso di voltare pagina e seguire i consigli di Charles: aveva trovato una splendida moglie da cui aveva avuto una dolcissima bambina. Nina era il suo tesoro, avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla dal male del mondo, non avrebbe mai permesso che qualcuno la portasse via da lui e in quel momento era come se quei bellissimi occhioni color ghiaccio fossero tutto ciò che contava in quel casino.
«Papà tutto questo si risolverà?» chiese coprendosi con la coperta, come se fosse in grado di proteggerla dai lampi fuori la finestra.
«Non lo so…» rispose Erik accarezzandole i lunghi capelli corvini «Ma in qualunque caso io ti proteggerò.»
La bambina sorrise, chiuse gli occhi cullata dal calore paterno ed Erik, a quella dolce vista, le diede un bacio sulla fronte «Da qualsiasi cosa.»
E lo avrebbe fatto, da qualsiasi cosa, anche quando un uomo le puntò una pistola alla tempia un freddo pomeriggio autunnale. C’era più freddo del solito, gli alberi si agitavano e si confondevano fra di loro a causa del sottile strato di nebbia soffocante. Erik mosse un passo facendo scricchiolare le foglie secche, il cui rumore però era coperto dai singhiozzi di Nina. L’uomo mollò la presa e la bambina si gettò contro il padre e la madre.
«Va tutto bene» le disse baciandole più volte il viso.
Erik guardò sua moglie, il cui viso era solcato da delle lacrime, non potevano nemmeno dirsi addio, tutto ciò che gli era stato concesso era quel breve sguardo carico di dolore ed amore. Erik dovette però spostarlo verso quegli uomini, che attendevano come rapaci che avevano puntato la carcassa di ossa e carne putrida. Appena mosse un passo, però, il pianto di Nina arrivò alle sue orecchie raschiandogliele, si impose di non girarsi, di non dire nulla, perché in quel momento nessuno sguardo o frase avrebbe potuto placare quel disperato anelato.
«Nina… no…» la madre la stringeva forte a sé, cercava inutilmente di calmarla senza successo.
Le orecchie di Erik erano focalizzate solo sulla voce della sua amata e sul pianto di sua figlia, ma, appena vide lo sguardo di quegli uomini fissare il cielo, lo fece anche lui ed un altro rumore si accodò a quelli: dei corvi volteggiavano sopra le loro teste, erano troppi per essere un comportamento naturale e lo sguardo preoccupato degli uomini gli fece intendere che stavano incominciando a sospettare qualcosa. Erik dovette girarsi incontrando i cerulei occhi di Nina rossi e gonfi per il pianto.
«Va tutto bene, devi calmarti» le disse serrando i pugni per combattere contro l’istinto di correre verso di lei ed abbracciarla.
«Nina ascoltalo… ti prego…» la madre incominciò a piangere e strinse di più la figlia che però voleva a tutti i costi andare da suo padre.
I corvi presero a roteare più velocemente, incominciarono a starnazzare più forte e gli uomini puntarono le pistole al cielo visibilmente allarmati. Ad un tratto i corvi planarono contro di loro e li beccarono da tutte le parti, Nina approfittò del fatto che la madre si era distratta per correre via e aggrapparsi al padre che la coprì con il suo corpo con l’intento di proteggerla dagli stessi corvi che lei stessa aveva aizzato. Gli uomini incominciarono a sparare alla cieca e prontamente Erik deviò i proiettili affinché non li toccassero.
«Vieni con noi!» urlò la bambina e il suo pianto disperato fece diventare i corvi più violenti.
Poi un urlo strozzato congelò il tempo: Erik si girò dietro di sé, guardò sua moglie con le mani in grembo che cercava di impedire al sangue di fuoriuscire, i corvi caddero per terra e Nina urlò con tutto il fiato che avesse in corpo. Erik corse verso la donna, riuscì a prenderla prima che cadesse per terra e con le mani tremanti cercò di capire quanto fosse grave la ferita.
«Amore continua a guardarmi» disse prendendole il viso fra le mani, ma i suoi occhi era come se guardassero un punto indefinito del bosco. Il suo corpo era mosso da spasmi, ma non vi era vita nel suo sguardo.
Nina era rimasta per terra, lontano dai suoi genitori, in ginocchio e con le mani che sfioravano le foglie, imponente davanti a tanto sangue. Erik scosse la moglie, ma lei non accennò a muoversi o a mutare la sua espressione: le tolse i capelli dal viso per scoprirlo completamente e le diede un bacio in fronte.
«Ti prego… non mi lasciare…» sussurrò al suo orecchio, ma non arrivò nessuna risposta.
Dei rumori catturarono l’attenzione di Erik: i corvi erano distesi per terra e si stavano beccando, autoinfliggendosi ferite che ad alcuni avevano già tolto la vita. Vide sua figlia in ginocchio in mezzo a quella scena, con i corvi agonizzanti e che soffocavano nel loro stesso sangue. Gli uomini dietro di lei si riscossero dal trans dovuto allo shock e avanzarono verso Nina che fissava le foglie secche. Erik tese la mano davanti a sé ed ogni pistola si alzò all’altezza del viso del proprietario. Gli uomini si bloccarono e fissarono la canna della pistola con la bocca spalancata, tremanti come foglie che stavano per cadere. Erik ringraziò il fatto che Nina fosse girata e quindi non vide ciò che stava per accadere. Tutti i grilletti si premettero contemporaneamente. Uno schizzo di sangue arrivò alla schiena della bambina che trasalì come se l’avesse risvegliata dal buco nero delle sue emozioni. Si portò una mano alla guancia e vide che il dito era sporco di sangue perché una goccia le era arrivata fino a lì. Si apprestò a voltarsi, ma la voce del padre la bloccò.
«Non farlo» Nina ubbidì, ma non si alzò per andare verso il corpo di sua madre.
Erik si tolse la camicia e la usò per coprire il volto della donna, poi andò verso la figlia e le prese il viso fra le mani che tremavano.
«Dobbiamo andare a casa…» le sussurrò dolcemente.
Nina annuì e si alzò seguendo il padre verso il corpo della madre, che prese in braccio come se fosse la cosa più preziosa che possedesse. Arrivarono a casa in perfetto silenzio, la bambina era rimasta attaccata al padre per tutto il tragitto, non lo aveva guardato neppure per un secondo. Nina non entrò in casa, andò direttamente verso il pozzo dove di solito si incontrava con i suoi amici. Erik la lasciò fare, portò il corpo della moglie a casa, lo poggiò sul tavolo ed andò a prendere un lenzuolo con cui lo avvolse. Si sedette su una sedia, le chiuse delicatamente gli occhi ed appoggiò la fronte su quella della moglie: perché? Questa era la domanda che lo aveva tormentato per tanti anni ed era come se per un motivo o per un altro tornasse sempre a tormentarlo.
Perché Shawn ha ucciso mia madre? Perché Charles mi ha abbandonato? Perché non sono riuscito a salvarli tutti? Perché non posso essere felice?
Incominciò a piangere, le lacrime bagnarono il lenzuolo, che strinse con tutte le sue forze, e cercò di non far uscire i lamenti di dolore dalla bocca per non farsi sentire da Nina. Cosa ne sarebbe stato di loro? Avrebbe trascinato anche lei in tutto ciò? Nina non meritava di vivere da reietta, di cambiare città ogni mese per paura di essere uccisa da qualcuno che voleva arrivare ad Erik. No, lui l’avrebbe protetta a qualunque costo. Prese il corpo della moglie con delicatezza ed uscì fuori in giardino facendo attenzione a non essere visto da Nina: prese una pala ed incominciò a scavare una buca. Non voleva usare i suoi poteri, voleva scavare la tomba con le sue forze, come se quel gesto fosse una sorta di grazie per tutte le straordinarie cose che lei aveva fatto anche da semplice essere umano. Ogni lacrima che gli scese era un ricordo, un’emozione vissuta con lei che però veniva sotterrata insieme al suo corpo.
Quando andò nel giardino dietro casa, vide Nina al solito pozzo, ma questa volta da sola: aveva la schiena macchiata da un lungo schizzo di sangue ed era leggermente piegata in avanti, con una mano sulla fredda pietra del pozzo e lo sguardo perso. Erik rivide sua moglie avvicinarsi a Nina, c’era un piccolo scoiattolo che stava odorando la mano della bambina un po’ spaventata, ma la mano della madre le infuse una forza che le fece aprire la mano dove dentro c’erano delle nocciole. Era giorno, invece adesso il crepuscolo e si stava alzando un leggero venticello che mosse i capelli spettinati della bambina. Erik fece un passo e lei trasalì: si girò mostrando i suoi occhioni rossi e le guance rigate da lacrime che ormai si stavano asciugando. Non aveva nemmeno la forza per piangere. Erik alzò la mano verso di lei e Nina silenziosamente mosse qualche passo fino a stringerla debolmente. Entrarono dentro casa, andarono direttamente nella stanza di Nina, Erik la fece sedere sul letto e prese un borsone dove incominciò a mettere dei vestiti a caso.
«Che ne sarà di noi?» Erik rimase con una mano sospesa in aria come se bloccandosi avesse fermato il tempo per trovare una risposta adatta.
Posò l’ultimo indumento e si mise in ginocchio davanti alla figlia accarezzandole le gambe che tremavano leggermente come il labbro che si mordeva.
«Tu andrai in un posto fantastico» per un attimo l’immagine del sorriso di Charles riemerse fra i suoi pensieri «Con una persona fantastica.»
«E tu?» la bambina gli prese le mani per fargli capire che non aveva intenzione di lasciarlo.
«Io… non posso venire» vedere l’ombra della speranza svanire dal viso della figlia gli fece venire una stretta allo stomaco «Però Charles ti tratterà benissimo, non ti farà mancare nulla.»
Non gli parlava da dieci anni, ma sapeva che non gli avrebbe mai voltato le spalle in un momento del genere: Charles era fatto così ed era per questo che ad Erik era costato molto lasciarlo, soprattutto dopo tutto quello che avevano passato… doveva proteggere le persone che gli stavano più care che gli erano rimaste, quindi gli sarebbe venuto meglio farlo se fossero nello stesso posto. Ed era anche convinto che Charles avrebbe dato a Nina l’amore di cui lei aveva bisogno in quel momento.
«Ma io non voglio questo Charles, voglio te!» disse alzando il tono della voce.
Erik serrò la mascella per non mostrare alcuna emozione e strinse le mani della figlia «Amore devi fidarti di me, starai meglio lì che con me. Lo faccio per il tuo bene.»
La bambina chiuse con forza le labbra formando delle grinze attorno, come se le fosse stata sottratta la possibilità di parlare e si fosse rassegnata. Una silenziosa lacrima le scese da un occhio. Erik si alzò e la strinse forte a sé, sapeva che dovevano muoversi perché già avevano perso troppo tempo, quindi si staccò da lei quasi subito, nonostante la figlia gli tirò la maglietta per farlo avvicinare di nuovo. Non la guardò nemmeno, perché avrebbe fatto ancora più male ad entrambi, prese il borsone e indugiò sulla soglia.
«Ti ho messo una maglietta ed una giacca sul letto, cambiati e vieni.»
Appena uscirono andarono direttamente sulla strada, c’era un piccolo tratto da fare a piedi, ma non potevano di certo usare la loro macchina perché li avrebbero rintracciati più facilmente e non aveva intenzione di causare ulteriori problemi a Charles. Nina strinse la mano del padre, come se avesse paura di perdersi nonostante la strada dritta e isolata, ed Erik vide uno stormo di uccelli seguirli dall’alto.
«Nina falli smettere o ci scopriranno» non aveva mai sentito suo padre con una voce così fredda.
La bambina ricacciò le lacrime e lasciò la mano del padre facendo ricadere la sua lungo il fianco, gli uccelli tornarono al loro volo ed Erik la guardò per un istante, ma lei continuò a guardare davanti a sé. Arrivati sulla strada si misero di lato perché in quel tratto le macchine sfrecciavano veloci: Erik avrebbe tanto voluto non far vedere una scena simile a sua figlia, cresciuta nel tepore familiare, ma non aveva scelta. Non l’aveva mai avuta.
«Nina devi promettermi una cosa» la prese per le spalle e la bambina annuì gravemente «Hai presente tutto quello che mi hai visto fare e farò oggi? Non farlo mai tu.»
Questa volta non annuì, lo fissò negli occhi e sbatté le palpebre come per fargli capire che era ancora viva e aveva sentito. Erik si girò verso la strada e tese la mano davanti a sé: una macchina che stava arrivando dal fondo della strada incominciò a rallentare fino a fermarsi proprio davanti a loro.
«Ma che succede?» imprecò l’autista sbattendo le mani sul volante.
Erik andò dal lato del guidatore, la portiera si aprì da sola facendo trasalire l’uomo al suo interno: aveva un berretto rosso, baffetti bianchi e collo grosso, il suo viso era colmo di paura. Magneto lo prese per il colletto facendo arrivare il naso ad un palmo dal suo.
«Senti, io ho bisogno di una macchina, entro domani mattina la ritroverai a casa tua» disse e poi lo fece cadere per terra «Nina, vieni.»
L’uomo rimase per terra: occhi e bocca spalancati e ogni parte del corpo tremante. Balbettò qualcosa in un inutile tentativo di protesta, ma sembrò più patetico che altro. La bambina indugiò fuori dalla macchina, guardandola come se fosse conscia che, entrata dentro essa, la sua vita sarebbe completamente cambiata. La portiera si aprì ed Erik la guardò: non aveva lo sguardo di quando la metteva a letto o di quando giocava con lei a palla, era uno sguardo nuovo, che lei avrebbe catalogato come “il suo ultimo sguardo”.
Il viaggio lo passarono interamente in silenzio, Nina guardava gli alberi sfrecciare accanto a loro incapace di focalizzarne uno e lentamente l’incoscienza prese il sopravvento nei suoi occhi, ma la paura di addormentarsi la lasciava nell’oblio della veglia. Aveva paura di sognare. Quando il sole ormai era calato, si fermarono in un autogrill piccolo e desolato, Erik scese chiudendo la figlia dentro la macchina e prese qualcosa da mangiare, acqua e delle bevande energetiche. Quando tornò mise il cibo sulle gambe della bambina e mandò giù una lattina. Nina guardò poco convinta il pacchetto, lo mise accanto ai piedi e si posizionò meglio per prendere almeno un po’ di sonno: il cullare della macchina e il buio della strada era come se la obbligassero ad addormentarsi.
«Usa questa come cuscino» Erik si tolse la giacca che aveva preso dall’appendiabiti prima di uscire e la passò alla figlia che la appallottolò per mettersela sotto la testa.
Appena chiuse gli occhi, il buio si impadronì della sua mente: non sognò nulla, c’era solo oscurità attorno a lei e suoni ovattati arrivavano alle sue orecchie senza senso. Non sentì più il torcicollo, la spalla che premeva contro la portiera, era stata avvolta da questo limbo da cui non voleva uscire per niente al mondo.
Appena Erik vide la bambina in pieno sonno, optò per fermare la macchina e distenderla dietro così per farla stare più comoda, si appoggiò alla portiera e alzò gli occhi al cielo: era una notte stellata, Erik stava ore a guardare il cielo con sua moglie, in qualche modo tutta la stanchezza dovuta al lavoro svaniva e il calore corporeo di lei era come una rilassante doccia che scendeva lungo il suo corpo. In quel momento, però, sentiva solo freddo, e non perché aveva dato la giacca a Nina, ma perché sentiva un vuoto all’altezza del cuore che aveva sentito troppe volte.
«Charles…» il sospiro che uscì dalle sue labbra diventò una nuvoletta che si perse nell’aria «Aspettami.»
Si rimise in macchina e continuò quel viaggio che già lo aveva stancato: era un’impresa impossibile arrivare fino a lì, per giunta avrebbero dovuto rubare una barca e chissà quante ore o anche giorni avrebbero impiegato. Li avrebbero trovati? Avrebbero preso Nina per convincerlo a costituirsi? Cosa ne avrebbero fatto di lei? Sapeva che se fosse arrivato almeno in America la CIA l’avrebbe consegnata a Charles, ma non sapeva cosa sarebbe potuto succederle in Europa. Strinse il volante e accelerò, come se ciò bastasse a farli arrivare prima.
«Se continui a premere l’acceleratore ti schianterai.»
Fu un attimo: Erik sterzò violentemente per lo spavento, ma fortunatamente grazie ai suoi poteri riuscì a riprendere il controllo e a fermarsi a bordo strada. Il cuore gli batteva a mille, aveva il respiro affannoso e le mani convulsamente attaccate al volante come se fosse l’unica sua salvezza. Girò lentamente la testa e lo vide: i suoi occhi blu erano spalancati per lo spavento e guardavano davanti a sé, una mano era attaccata alla portiera e l’altra al cruscotto.
«In dieci anni la tua guida è peggiorata invece che migliorata, vecchio amico» finalmente si girò pure lui.
Rimasero in silenzio: tutti gli anni che avevano passato, che avevano vissuto insieme passarono davanti ai loro occhi come un film proiettato sul muro, Charles mollò la presa e poggiò le dita affusolate sulle gambe e sciolse la sua espressione in un mezzo sorriso.
«Anche se sono una proiezione ci tengo alla mia incolumità» rise leggermente ed il cuore di Erik perse un battito: erano vent’anni che non sentiva la sua risata perché dieci anni prima il Charles che aveva incontrato era solo l’ombra di quello che era stato tempo prima.
Il mio Charles…
Il diretto interessato trasalì e spostò lo sguardo imbarazzato «Ti ricordo che sono collegato alla tua mente.»
«Perché sei qui?» come faceva a sapere che aveva bisogno di lui? Lo controllava?
«Troppe domande, mi confondi» rispose il telepate alzando entrambe le mani «Non me ne sono mai andato.»
«Mi hai…» il verbo non riuscì ad uscire dalla sua bocca.
Abbandonato.
«No, non lo farei mai» scosse la testa dispiaciuto e si mise più comodo «Ti ho permesso di vivere la tua vita… senza di me, senza i mutanti.»
Erik guardò Nina in pieno sonno che non si era svegliata nemmeno a causa della brusca sterzata di prima.
«Ma non è di questo che dobbiamo parlare, per quello avremo tempo quando verrai» continuò guardandosi le mani che non avrebbero potuto toccare Erik perché solo una proiezione «Non ti ho mai detto che dalla prima volta che ti ho visto ho come avuto un imprinting mentale: posso sentire le tue emozioni, le tue sensazioni anche da lontano… è sempre stato così, non ti ho mai potuto sotterrare dentro di me, nemmeno se avessi voluto.»
Non si guardavano negli occhi ed Erik avrebbe tanto voluto prendergli il mento per costringerlo a farlo: anche se non poteva leggere il pensiero, Erik riusciva a leggerlo come un libro aperto. Charles sorrise a quel pensiero e lui si diede mentalmente dello stupido.
«Io…» continuò a parlare Charles perché capì che per il momento l’altro non ne aveva voglia «Mi dispiace per tua moglie.»
«Hai sentito il mio dolore?» chiese e questa volta Charles lo guardò negli occhi.
«No» il biondo trasalì a quella risposta «Ho sentito la tua rabbia, la stessa che ho sentito la prima volta che ci siamo incontrati. Sono andato subito da Cerebro e ti ho cercato, scusami se ci sono stato così tanto, ma cercavo il momento adatto.»
«Sai cosa ho intenzione di fare, giusto?»
Calò il silenzio, Erik avrebbe tanto voluto non guardare quegli occhi che ogni volta che prendeva una decisione volevano contestarla e gli facevano venire un senso di colpa che si sarebbe portato per anni come in passato.
«Sono felice che tu voglia portare Nina qui» disse sorridendo per smorzare la tensione «Ma…»
«Ti ho chiesto se lo sai, non la tua opinione» Erik continuò a guardarlo con il suo sguardo deciso, lo stesso di quando Charles si era trovato davanti a lui perché era dentro Shawn.
«Erik…»
«Non dire il mio nome con quel tono» alzò una mano verso di lui come per zittirlo «Nina verrà da te, tu la crescerai e la renderai felice.»
«Io posso rendere felice anche te» anni di frasi non dette, di promesse spezzate riversate in un’unica frase.
«Ed è proprio perché so che ci riusciresti che non voglio venire anche io.»
Charles si morse il labbro: non era cambiato nemmeno di una virgola e ciò non sapeva se rattristarlo o renderlo felice perché il suo Erik era proprio lì in carne ed ossa.
«Ovunque vada creo problemi, sono un ricercato e ti causerei ancora più problemi.»
«Sai che ho delle amicizie alla CIA» provò a dire, ma era come se anche lui sapesse che era una stupida frase «Ho bisogno di te.»
«No» disse scuotendo la testa «Tu credi…»
«Invece sì» poggiò la sua mano su quella di Erik e dovette sforzarsi per dargli la sensazione di calore come se fosse lì veramente «Hai presente tutti i terremoti? Il mondo sta svanendo e la CIA mi ha chiesto di capire perché… ma non ci sto riuscendo.»
«Io cosa c’entro?»
«Magari potresti…»
«No Charles, non posso fare niente» spostò la mano mettendola sul volante «Perché sei apparso? Non potevi semplicemente aspettare che io arrivassi all’Accademia, prendere Nina e chi si è visto si è visto?»
«Non puoi chiedermi questo…»
«Invece sì» sbatté la mano sul volante, ma subito dopo se ne pentì «Per Nina.»
«Lei ha bisogno di te» marcò quelle parole come se volesse imprimerle nella sua anima.
Erik appoggiò la fronte sul volante e inspirò profondamente: non sentì il dolce odore di Charles, solo di benzina e di pizza. In verità non se lo ricordava, ma ricordava che fosse dolce e che lo facesse sentire parte di qualcosa. Di una famiglia.
«Lo puoi risentire quando verrai…»
Erik alzò la testa senza però incontrare i suoi occhi, guardò dritto a sé e azionò la macchina come per fargli intendere che ormai andava dritto per la sua strada.
«Vai a Varsavia e prendi il primo aereo per New York: è già tutto pagato e nessuno ti riconoscerà» disse guardando i lampioni che scorrevano accanto alla macchina «Appena arriverai ci sarà un taxi, prendilo, ti porterà all’Accademia.»
«Sei diventato davvero forte se puoi fare tutto questo» rispose lui accennando un sorriso contagioso.
«Diciamo che non sono stato con le mani in mano.»
Calò di nuovo il silenzio: avevano così tanto da raccontarsi, ma in quel momento Charles era troppo occupato e sbrogliare il groviglio di pensieri ed emozioni che stavano turbando Erik. Charles si mise più comodo facendo intuire che non aveva intenzione di andarsene, Erik non sembrava a disagio nell’avere un telepate che poteva sentire ogni suo singolo pensiero, aveva passato con lui i momenti più brutti della sua vita e questo non era tanto diverso dagli altri. Ogni tanto si scambiavano degli sguardi credendo di non essere visti dall’altro.
«Perché sento caldo improvvisamente?» disse Erik guardando con un sopracciglio alzato Charles.
«Ci sono meno dieci gradi e tu hai una maglietta a maniche corte» controbatté il telepate come morso da uno scorpione.
Grazie…
Si cullarono in quella semplice parola che Erik non aveva detto, ma che era sempre rimbombata nel suo cuore per tutti quegli anni.
Appena arrivarono all’aeroporto Charles non c’era più: era scomparso come era apparso lasciando dentro Erik una strana sensazione di vuoto. Quando si girò verso Nina lei era sveglia, stava guardando fuori dal finestrino con il piccolo naso che sfiorava il vetro. Non lo guardò quando i suoi occhi si poggiarono su di lei, come se il panorama delle macchine che andavano e venivano e dei parenti che si riabbracciavano fosse più interessante. Non dissero nemmeno una parola, Nina stava attaccata al padre e camminava a testa bassa, a differenza di lui che guardava dritto davanti a sé, senza preoccuparsi di ciò che poteva pensare la gente di loro, perché tanto Charles li avrebbe protetti.
Almeno la maglietta potevi cambiarla.
Istintivamente Erik la guardò mentre erano in fila per i controlli: aveva una grande macchia rossa all’altezza dello sterno, di quando aveva preso la moglie e l’aveva stretta a sé. Si era preoccupato così tanto per la figlia che non aveva pensato nemmeno un minuto a sé e ora doveva sopportare il padre sporco del sangue della madre.
Tranquillo, ho fatto sì che Nina non veda la macchia.
Strinse i pugni contro i fianchi cercando di ricacciare le lacrime e inspirò profondamente: veramente sarebbe scappato dopo aver portato Nina all’Accademia? Sentiva di aver bisogno di Charles più che mai, ma sapeva anche che avrebbe avuto molti problemi con la CIA e l’ultima cosa che voleva era fargli un torto. Un altro.
Smettila di pensare e prendi quel fottuto aereo.
Ad Erik scappò un sorriso che non passò inosservato alla figlia. Salirono sull’aereo –prima classe, Charles non gli aveva fatto mancare nulla- ancora in silenzio, ogni minuto che passava stava logorando ciò che rimaneva del legame che per tutti quegli anni li aveva uniti. Presa la macchina fuori all’aeroporto, finalmente Nina aprì bocca.
«Staremo insieme?»
Insieme. Una parola di cui Erik aveva sconosciuto il significato per un lungo periodo di tempo, poi era arrivato Charles, sua moglie… Nina. Veramente voleva far soffrire tutti quelli che gli erano stati vicino?
«Non fisicamente» disse stringendole la mano come se volesse approfittare del tempo che gli rimaneva con lei.
La macchina odorava di fresco, i sedili in pelle erano comodi e per un attimo Nina ebbe l’istinto di addormentarsi di nuovo, ancora scossa dalle ore dell’aereo e dagli sguardi delle persone che si chiedevano come mai sul volto di una bambina della sua età non vi era un sorriso. Charles aveva mostrato la strada verso l’Accademia ad Erik, il quale stava percorrendo l’autostrada superando appena il limite di velocità, sicuro che Charles l’avrebbe rimproverato se lo avesse superato di troppo.
Posso chiederti un favore?
No, la voce di Charles rimbombò dentro la sua testa.
No, non posso chiederti un favore, o il no è riferito al favore che ti voglio chiedere.
Non addormenterò Nina per permetterti di scappare da lei.

Erik sospirò, non la conosci, non mi farà andare via.
Quindi tu non andare via.
Charles…
Va bene, ma lo faccio solo perché ti voglio parlare di presenza.

«Sembra che stai parlando con qualcuno» la voce di Nina lo fece distrarre dai suoi pensieri «Anche prima parlavi da solo.»
«Eri sveglia?»
«Ho sentito solo le ultime cose che hai detto.»
«La persona da cui ti sto portando è un telepate, può leggere il pensiero, stavamo parlando nella mia testa.»
Lei annuì «Ti fidi di questa persona?»
«Sì.»
Nina si sentì confortata da quelle parole, il suo sguardo fino a quel momento spento vide un leggero barlume di luce. Passarono le ore, sul suo sguardo si specchiarono paesaggi di vario genere, non era abituata al paesaggio urbano, la natura le suscitava un senso di sicurezza, invece tutti quei palazzi grigi la fecero sentire oppressa. Quando, però, esso venne spodestato da un paesaggio boscoso, si sentì sollevata: non era scuro e nebbioso come quello a cui era abituata, lì la luce del sole filtrava libera ogni dove per i rami radi di foglie e le distese di spighe dorate che ondeggiavano al tempo del vento. C’era tranquillità lì, una tranquillità che le scaldò il cuore.
L’accademia coprì il sole con la sua imponenza, ancora nessuno era uscito in giardino, il silenzio avvolgeva le mura in pietra. La macchina si fermò davanti al portone, una ragazza dai lunghi capelli rossi li guardava sorridendo. Erik si girò verso Nina, notando con piacere che stesse dormendo: Charles aveva onorato la promessa.
«Piacere, sono Jean… ci penso io a Nina, Charles ti aspetta dentro.»
Lui la guardò in silenzio, analizzandola a fondo prima di darle il permesso di toccare sua figlia.
Tranquillo, mi fido di Jean.
Quando sentì quelle parole, si spostò dalla portiera per permetterle di prendere in braccio la bambina. Avrebbe voluto abbracciarla, darle un ultimo bacio, ma all’idea di toccare un corpo addormentato e che non avrebbe ricambiato il suo amore gli strinse il cuore, relegando quell’addio dentro la sua mente e schiacciando negli angoli più remoti del suo animo lo sguardo di Nina quando avrebbe scoperto che suo padre era andato via.
Seguì Jean dentro l’accademia, il pavimento era lucidato, i corrimani della scala risplendevano e una falce di sole entrava dalla finestra riversandosi sulla sala principale. Era come se fosse in grado di sentire gli alunni correre per quelli corridoi, le loro risate erano impresse nelle pareti coperte da carta da parati. Jean salì le scale, il braccio di Nina pendeva verso il terreno e il suo viso addormentato era velato dalla tranquillità: ringraziò Charles, era merito suo se l’ultima volta che avrebbe visto sua figlia sarebbe stata con quell’espressione sul volto. Quando Jeans sparì oltre le scale, dei passi riecheggiarono per la sala.
Erik si voltò verso il responsabile di quel rumore «Cosa mi volevi dire?»
L’espressione di Charles era contratta «Se il problema è la CIA, non ti devi preoccupare, risolvo tutto io.» Era alzato, quindi Erik capì che si trattava di una proiezione.
«Lo sai che non è solo questo.»
Rabbia, dolore: emozioni che ormai erano diventati pane quotidiano ogni volta che si erano incontrati.
«Voglio vederti» disse Erik dopo un interminabile silenzio «Voglio vedere ciò che ti ho fatto.»
Charles fremette: i suoi occhi blu risplendevano grazie alla luce che entrava dall’ampia finestra e grazie alla patina di lacrime che li ricopriva. La sua immagine scomparve lasciando Erik in un buco nero di silenzio, guardando l’imponente scala dall’aria fredda e desolata. Un leggero rumore catturò la sua attenzione: chiuse gli occhi come se volesse aspettare che fosse vicino a lui per vederlo.
«Io ora sto bene» incominciò a precisare Charles, ma quando l’altro aprì gli occhi gli morirono le parole in bocca.
Erik si portò la mano chiusa a pugno alla bocca e la strinse con i denti: non c’erano parole, pensieri, emozioni, che potessero bastare per descrivere ciò che stava provando in quel momento.
«Come mi hai potuto perdonare per questo?»
Charles si avvicinò, in quegli anni non aveva mai provato il bisogno così forte di alzarsi, per prendergli quel maledetto viso e obbligarlo a guardarlo negli occhi.
«Ti ho perdonato per cose peggiori» disse per sdrammatizzare, ma invece ebbe l’effetto contrario.
Possibile che nonostante il fatto che il suo potere fosse la personificazione dell’empatia, davanti ad Erik diventasse un emerito idiota?
«Hai sacrificato il tuo potere per camminare anni fa.»
Charles si bagnò le labbra, non sapeva come controbattere, il discorso era più ampio, le motivazioni erano tante, l’ultima della lista era il fatto che volesse tornare a camminare. Ma Erik, anche se glielo avesse detto mille volte, non gli avrebbe mai creduto.
«Se vuoi veramente rimediare, rimani» finalmente Charles fu abbastanza vicino da prendergli la mano, catturando il suo sguardo «Faresti solo del male ad entrambi.»
«È vero» sentendo ciò, per un attimo si accese un barlume di speranza negli occhi del telepate «Ma ne farei di più rimanendo.»
Si girò e incominciò a camminare, Charles si apprestò subito a seguirlo, ma per quanto si sforzasse, per quanto premeva il pulsante per andare più veloce, Erik stava già incominciando a sparire dalla sua visuale.
Un ‘ti prego, resta’ gli rimase sulle labbra senza uscire, nemmeno Charles seppe perché: era come dieci anni prima, solo che questa volta sapeva che Erik non sarebbe andato a farsi una famiglia, si sarebbe perso nel turbine dei ricordi, mangiato dai sensi di colpa e dall’assenza di sua moglie.
Gelosia. Ecco cosa provava Charles ogni volta che aveva controllato Erik con Cerebro. Ogni volta lo staccava di colpo, facendo imprecare Hank, tornava in stanza e rimaneva a fissare il soffitto sentendosi un verme, perché in fondo non era felice del fatto che Erik si fosse fatto una famiglia. In verità voleva essere lui la sua famiglia. Ora, con sua moglie morta e Nina in una delle stanze della sua Accademia, era come se il destino gli avesse dato una possibilità per rimediare a tutta la gelosia che lo aveva divorato in quegli anni.
«Perché?»  
   
 
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