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Autore: ChiiCat92    01/05/2020    1 recensioni
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Un altro giorno, la stessa, dolente fila di lapidi. Incasellate a distanza misurata l’una di fianco all’altra sul praticello verde, sbucano come fiori di cemento arrotondato da un terreno nutrito con carne e ossa.
Il cielo è sempre sereno nel luogo del riposo eterno, nell’aria ferma ondeggia il primo polline della primavera, le cime degli alberi si tendono verso l’alto a cercare i raggi del sole.
Da lontano giunge il rintoccare caldo delle campane a morto: oggi un altro nome sarà aggiunto alla pietra per essere dato in pasto al tempo. [...]"
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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01/05/2020

 

Cimitero

 

Un altro giorno, la stessa, dolente fila di lapidi. Incasellate a distanza misurata l’una di fianco all’altra sul praticello verde, sbucano come fiori di cemento arrotondato da un terreno nutrito con carne e ossa. 

Il cielo è sempre sereno nel luogo del riposo eterno, nell’aria ferma ondeggia il primo polline della primavera, le cime degli alberi si tendono verso l’alto a cercare i raggi del sole. 

Da lontano giunge il rintoccare caldo delle campane a morto: oggi un altro nome sarà aggiunto alla pietra per essere dato in pasto al tempo. 

Sulle lapidi più vecchie cresce muschio ed edera, segno che non c’è più alcun parente o amico o congiunto che possa prendersene cura, ed è Madre Natura stessa ad omaggiare il defunto, quelle più nuove, invece, smaltate, in marmo chiaro, con le lettere bombate in rilievo e non più incise, sono piene di fiori freschi, vasi stracolmi, qualche peluche, oggettini che i vivi non sopportano più di tenere in casa e che ci tengono tanto a restituire ai morti, come sgravandosi del peso della loro presenza: riprenditelo, è tuo, non voglio più la responsabilità della tua esistenza. 

Pegni d’amore, fotografie, carta scolorita dalle intemperie, tanti ricordi. 

Per quanto mi sforzi non riesco neanche ad intravedere il nome sulla lapide che ho davanti, tanto è l’impegno dei fiori nel coprire quella disgraziata morte. 

Ci sono i miei preferiti, e il suo, un’orchidea blu che dondola se accarezzata da un alito di vento. Tutto è così vivo da fare male. 

Tra qualche giorno l’acqua nei vasi diventerà rancida, i petali avvizziranno, anche il fiore più bello finirà per perdere il colore, e alla fine rimarranno solo steli rinsecchiti e misere ombre. 

Prima di allora però, ancora per un po’, qualcuno verrà su questa tomba, cambierà l’acqua, toglierà i fiori morti, poserà un nuovo mazzo di nebbiolina bianca e gigli, e tutto risplenderà al sole. 

Mentre sotto terra la carne perderà la forma e i vermi banchetteranno e prolificheranno in un tripudio di liquidi meleodoranti e putridi. Al sicuro, lontano dagli occhi, sotto la coltre colorata dei fiori.

So di dover piangere, so che quella vista desolante e l’aria profumata dovrebbero darmi il voltastomaco.

I pensieri si rincorrono, rotolano, precipitano, toccano punti sensibili prima di arenarsi in lidi tranquilli, dove onde lunghe li toccano senza spostarli. 

Ricordi che non sapevo di avere si ripresentano con chiarezza di odori, colori, sapori, dopo aver languito per anni in angoli remoti della mente. 

Sono così belli da essere ingiusti e vorrei essere in grado di prenderli per restituirli, proprio come quegli oggetti lasciati sulla tomba a gonfiarsi d’acqua e vento. 

Non tornerà più. Non tornerà più quel tempo, quello perso e quello vissuto, non tornerà più il sorriso. D’ora in poi sarà il tempo della paura, dove i morti respirano e i vivi trattengono il respiro.

D’ora in poi sentirò solo la morsa allo stomaco e il brulicare dei vermi. 

Mi volto quando sento il rumore dei passi. 

Il dolore dovrebbe essere una cosa intima, proibita da mostrare in pubblico come un osceno genitale.

Mi tiro un po’ indietro ma sento già mancare il respiro. 

È venuto anche oggi. 

Non porta fiori ma solo pensieri.

Si china sulla tomba, controlla che ci sia acqua in ogni vaso, strappa con attenzione gli sparuti steli secchi. 

Rimane a contemplare lo spazio pieno, occupato dalla lapida, forse sapendo che quella è la stessa forma del vuoto dentro il suo petto. 

Vattene, smettila di tornare, lascia che se la prenda l’edera, lascia che la distrugga il tempo. 

Strappa le erbacce, toglie le foglie secche, sistema i fiori in modo che la scritta, insieme al dolore, torni visibile, come attizzare le braci di un fuoco spento. 

Non mi piace la foto che hanno scelto per la mia tomba, né i caratteri quadrati che scrivono il mio nome, la data di nascita e quella di morte. Né il mio compagno, che cerca il mio sguardo senza trovarlo, che continua ad innaffiare l’erba intorno alla lapide con il suo pianto. 

Per quanto tempo ancora avrà la forza di farsi del male? Quanti anni vuole perdere a fissare quel quadrato di tempo rubato?

È stato il caso, la sfortuna, una maledizione, ma non colpa sua. Avere una vita lunga è felice è una vittoria immeritata per molti, e ci vuole fortuna anche a morire. 

Vorrei poterlo toccare un’ultima volta, per spingerlo via, farlo cadere, fargli avere paura dei morti a tal punto da non tornare più qui, ma rimango fermo a fissare il dolore attraverso di lui. 

Basta fiori! Basta lacrime! Non ti è rimasto più niente da dare!

Non avere paura della morte finché sei vivo, la paura puoi tenerla per dopo

Il mio corpo marcisce e tu non puoi più toccarlo, la mia anima si sgretola e tu non puoi salvarlo.

Non ci sono preghiere o canti, né oboli da pagare.

Per me non puoi più fare niente, quindi smettila di tornare. 

Non rivolge una carezza alla lapide, né si spreca a parlare al vento. Dopo qualche minuto il silenzio e l’immobilità stagnante sono troppo per lui.

Volta le spalle e, a passo lento, si allontana in mezzo alle lapidi. 

Tornerà ancora, so che lo farà.

Sono così arrabbiato.
Sono così spaventato.

È lunga un’eternità senza il suo conforto. 

Prima o poi ascolterà questo consiglio, non ci saranno più fiori né pensieri, l’incuria spaccherà la pietra, vi farà germogliare i suoi semi. Anche il mio ricordo finirà con il morire, mentre lui sarà ancora vivo da qualche parte.

Troverà un nuovo amore, ricucirà lo strappo nello spirito con fili di speranza.

Alla fine la morte tornerà quiescente nel suo pensiero, ossessiva come il battito del cuore, eppure vagamente lontana, impossibile da toccare quanto esserne toccati. 

Alla fine guarirà. Guariscono tutti. 

Irrequieti rimangono solo i morti, perché non possono guarire più.

Mentre il cancello del cimitero si chiude alle spalle dei vivi, per incatenare gli spiriti, i loro volti, il loro ricordo. 

Di tanto in tanto un fiore. 

Poi solo il silenzio.


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The Corner 

Non so se mi abbia fatto bene scegliere questo prompt proprio oggi, ad una settimana dal mio lutto. Forse sì? Forse mi ha aiutato a sfogarmi? 
Definirei stream of consciousness quello che ho scritto più che una vera e propria "storia", anche se in fondo una storia l'ho raccontata.

Chii
   
 
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