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Autore: _Trixie_    01/05/2020    4 recensioni
[AU, niente magia]
Prima di tornare a casa dal lavoro – Emma era rimasta appostata per ore fuori da un appartamento in cui credeva che si nascondesse il ricercato che stava inseguendo – aveva controllato l’ora: Regina Mills era una donna abitudinaria e lasciava il palazzo ogni mattina alle sette e mezza precise, dopo aver controllato la posta ed aver lanciato un ultimo sguardo al proprio riflesso nello specchio appeso dietro il bancone della portineria. Come se quel viso non fosse già perfetto.
«Assessore Mills» disse Emma, sorridendo e fermandosi accanto alla sua vicina, che stava leggendo il retro di una busta con aria di profonda disapprovazione.
«Signorina Swan. Buongiorno» ricambiò la donna, un sorriso di circostanza sulle labbra. Emma la considerò una vittoria. «Nottataccia?» aggiunse poi l’assessore.
Emma si strinse nelle spalle, infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans. «Qualcuno deve pur occuparsi della feccia di Boston, no?»
«La città le è grata per i suoi servizi, signorina Swan» rispose la donna, prima di rivolgerle un cenno di saluto con il capo, che Emma ricambiò.
La ragazza trattenne a stento un sorriso mentre osservava l’assessore allontanarsi.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Perché l’amore, sapete, non vi chiede nessun permesso.
Arriva, si fa spazio e si siede al centro della vita,
e tutto il resto deve farci i conti, con l’amore.
Maurizio de Giovanni, Cuccioli per i bastardi di Pizzofalcone
 
 
 

PARTE I

L’invito
 
 

 

Quando Emma Swan entrò nell’androne del palazzo in cui abitava, lanciò un cenno di saluto al portiere prima di spostare lo sguardo su di lei, la sua vicina di casa, in piedi davanti alla parete coperta dalla cassetta delle lettere. Emma sorrise. Incontrarla era, come sempre, un piacere più o meno inaspettato. Non si sarebbero potute definire amiche, questo no. Emma conosceva il nome della donna, Regina Mills, solo perché lo aveva letto sul citofono. Tuttavia, erano solite scambiare qualche cortesia ogni volta che si incontravano sul pianerottolo che condividevano, visto che i loro appartamenti erano adiacenti, o davanti alle cassette della posta, come quella mattina. Prima di tornare a casa dal lavoro – Emma era rimasta appostata per ore fuori da un appartamento in cui credeva che si nascondesse il ricercato che stava inseguendo – aveva controllato l’ora: Regina Mills era una donna abitudinaria e lasciava il palazzo ogni mattina alle sette e mezza precise, dopo aver controllato la posta ed aver lanciato un ultimo sguardo al proprio riflesso nello specchio appeso dietro il bancone della portineria. Come se quel viso non fosse già perfetto.
«Assessore Mills» disse Emma, sorridendo e fermandosi accanto alla sua vicina, che stava leggendo il retro di una busta con aria di profonda disapprovazione.
«Signorina Swan. Buongiorno» ricambiò la donna, un sorriso di circostanza sulle labbra. Emma la considerò una vittoria. «Nottataccia?» aggiunse poi l’assessore.
Emma si strinse nelle spalle, infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans. «Qualcuno deve pur occuparsi della feccia di Boston, no?»
«La città le è grata per i suoi servizi, signorina Swan» rispose la donna, prima di rivolgerle un cenno di saluto con il capo, che Emma ricambiò.
La ragazza trattenne a stento un sorriso mentre osservava l’assessore allontanarsi.
Prima di uscire dal palazzo, Regina Mills fece cadere la busta che stava leggendo poco prima, dritta nel cestino. Emma rimase interdetta. Non che volesse farsi gli affari di Regina Mills – d’accordo, un po’ lo voleva, perché ne aveva sbirciato il contenuto – ma, in ogni caso, le era sembrato di capire che quello fosse un invito al matrimonio della sorella. Certo la busta doveva essere caduta per sbaglio all’assessore, no? Certo che sì. Emma fece un balzo in avanti, recuperò la busta dal cestino e si precipitò fuori dal palazzo, giusto in tempo per vedere il taxi su cui l’assessore era salita confondersi tra il traffico di Boston. Emma sospirò e si infilò l’invito nella tasca dei jeans, appuntandosi mentalmente di restituirlo quella stessa sera, una volta che Regina fosse tornata a casa.  
 
 
*
 
 
Emma dormì tutto il giorno, nel tentativo di recuperare il sonno perso quella notte. Si alzò solo quando il sole era già tramontato su Boston e dopo essersi stiracchiata per diversi minuti, spinta dal brontolino della propria pancia. A piedi nudi, si trascinò fino alla cucina, dove aprì il frigorifero alla ricerca della pizza avanzata dall’appostamento della notte precedente. La portò in salotto, si sedette sul divano e accese la televisione. E poi notò la busta che aveva raccolto dal cestino quella mattina. Emma l’aveva abbandonata lì, senza prestargli troppa attenzione a causa del sonno. Dopo essersi riposata, tuttavia, si disse che era stata proprio una grandissima idiota. A cosa stava pensando, esattamente? Prendere la busta di un’altra persona dal cestino? Probabilmente non era nemmeno caduta, all’assessore Mills, ma l’aveva gettata volontariamente. Perché, insomma, non avrebbe mai immaginato che la sua vicina di casa avesse una sorella, data la vita solitaria che conduceva, perciò non dovevano essere in buoni rapporti. Non che Emma facesse caso alle visite che Regina Mills riceveva. Era solo un’ottima osservatrice. E il loro piano non aveva mai visto un visitatore nei due anni precedenti, da quanto abitavano fianco a fianco. Ma ora Emma aveva quella busta in casa, dalla carta verde dall’aspetto fin troppo costoso, con il nome di Regina impresso con inchiostro dorato sul retro e un lato aperto, da cui spuntava un cartoncino con gli stessi colori. Non poteva tenerla con sé. Considerò l’idea di buttarla, perché d’altronde quella era la fine che avrebbe probabilmente fatto, in ogni caso. Tuttavia, c’era anche la minuscola possibilità che quella busta fosse scivolata inavvertitamente dalle mani dell’assessore Mills. Certo, la donna avrebbe sempre potuto chiedere alla sorella di mandare un altro invito, ma… Insomma, poteva essere un modo per fare amicizia con la propria vicina di casa, no? Emma voleva solo essere gentile.
Masticando l’ultimo boccone di pizza, Emma si decise infine a restituire la busta. Cosa aveva da perdere? Nel peggiore dei casi l’assessore Mills le avrebbe detto di non immischiarsi nei suoi affari, Emma si sarebbe scusata perché la donna aveva ragione e sarebbero tornate a scambiarsi convenevoli tra il pianerottolo e la portineria. Non sarebbe cambiato nulla, insomma.
Nel migliore dei casi… Emma scosse la testa. Non era la persona a cui il destino riservava sorprese piacevoli, al contrario. Aveva rinunciato al suo Lieto Fine anni prima, quando nessun genitore era tornata a cercarla e nessuna famiglia l’aveva adottata.
Le cose non sarebbero certo cambiate in quel momento.
 
 
*
 
 
Quando Regina Mills aprì la porta, la prima cosa che Emma notò fu che il trucco della donna era ancora perfetto, esattamente come lo aveva visto la mattina, il che non poteva che essere una stregoneria. La seconda cosa che Emma notò fu la propria improvvisa incapacità di profferire parola.
«Signorina Swan?» domandò infine, interrogativa, l’assessore Mills.
«Sì?» rispose Emma, in tono acuto.
Il sopracciglio di Regina Mills volò verso l’alto, scettico. «Ha suonato alla mia porta».
«C-cosa?» balbettò Emma, prima di riscuotersi. Che dannazione di problemi aveva, esattamente? «Oh, sì. Sì, scusi! Mi dispiace disturbarla, ma…» fece Emma, sollevando la busta verde all’altezza degli occhi di Regina. L’espressione dell’assessore si fece immediatamente ostile e la busta venne strappata con tanta forza dalle mani di Emma che un pezzettino di carta le rimase tra le dita.  
«L’avevo gettata» disse Regina, glaciale.
Emma deglutì. Ah. «Oh. O-ok».
«Ok?!»
«Scusi, credevo che… Credevo che le fosse caduta per errore. Volevo solo restituirla».
Regina Mills la studiò per qualche secondo. Indossava ancora le Louboutin di vernice nera di quella mattina e Emma, a piedi nudi, con dei pantaloni a quadrettoni rossi e blu e una canottiera bianca desiderò immensamente essersi cambiata. L’assessore fece un passo verso di lei, incrociò le braccia al petto. «Devo forse preoccuparmi di lei, signorina Swan?»
«Come?» domandò Emma, confusa.
«Lei è una stalker?»
«Cosa?! Oh, Dio, no! No, no, no! No, davvero! No!» esclamò subito Emma, quasi mettendosi a urlare. «No!»
«Se non ricordo male, lei si è trasferita qui solo qualche settimana dopo di me».
«Sì, ma-»
«E la frequenza con cui ci incontriamo casualmente sul pianerottolo e in portineria è a dir poco sospetta».
«Abbiamo orari simili».
«E lei, per lavoro, spia le persone».
«Non spio le persone! Sono una cacciatrice di taglie. Catturo i criminali» la corresse Emma, prima di prendere un respiro profondo. «Senta, mi dispiace averla messa a disagio, le assicuro che non era mia intenzione. E di certo non sono una stalker. Se la farà stare più tranquilla, proverò ad evitare di incontrarla sul pianerottolo o in portineria».
«Lo apprezzerei molto, sì» concordò l’assessore Mills, annuendo con vigore.
«Credevo solo avesse gettato l’invito al matrimonio di sua sorella per sbaglio-»
«L’ha letta?! Ha letto la mia posta?» domandò la donna, scandalizzata.
«Non ho letto la sua posta! Quell’invito non passa certo inosservato e lei lo stava leggendo davanti a me, questa mattina!» si difese Emma, alzando le mani in segno di innocenza.
Regina Mills sembrò studiarla per qualche istante ancora, con circospezione. «Mia sorella non è la persona più discreta di questo mondo, in effetti» concesse infine l’assessore, dopo aver lanciato uno sguardo di disprezzo all’invito verde smeraldo.
Emma si strinse nelle spalle. «Ma è pur sempre sua sorella. Non che siano affari miei, ma rinunciare al matrimonio-»
«Esattamente, non sono affari suoi, signorina Swan» tagliò corto l’assessore. «Buona serata» aggiunse, prima di tornare nel proprio appartamento e sbattere la porta in faccia a Emma Swan. La ragazza sospirò. Già, il destino non aveva mai sorprese piacevoli in serbo per lei.
 
 
*
 
 
Emma non riusciva ad addormentarsi. Erano passati giorni dalla sua brutta avventura con Regina Mills e, per rispettare i desideri dell’assessore, Emma aveva cambiato i suoi orari, uscendo mezz’ora prima o mezz’ora dopo rispetto a quanto le era consueto, così da non incrociare la sua vicina di casa in ascensore o nel pianerottolo. Emma era il genere di persona che non aveva mai avuto una grande stabilità nella propria vita. Orfana, era stata sballottata di qui e di là come un pacco postale tra sovraffollate casa-famiglia e temporanei genitori affidatari, perciò ogni minimo cambiamento nella sua routine generava sensazioni sgradevoli che la rendevano intrattabile e la privavano del sonno e aumentavano il suo appetito.
Dannata Regina Mills.
Spazientita, Emma capì che non sarebbe riuscita ad addormentarsi almeno per il prossimo paio d’ore, così decise di alzarsi dal letto. In mutande e canottiera, trascinò i piedi fino alla cucina, dove aprì il frigorifero solo per scoprire di non aver alcun avanzo dal pasto precedente. Lo richiuse con un sospiro e studiò per qualche minuto i volantini appesi all’anta di metallo con piccoli magneti colorati a forma di mela. Che poi, chi stava prendendo in giro? Sapeva benissimo di cosa aveva voglia: toast al formaggio e cioccolata alla cannella con panna. Si portò il cellulare all’orecchio dopo aver cercato il numero che le interessava in rubrica e attese che le rispondesse la familiare voce di Ruby, la sua migliore – e unica – amica da quando si era trasferita in quell’appartamento e aveva iniziato a frequentare il locale all’angolo della strada, aperto ventiquattr’ore su ventiquattro. «Em?»
«Sì, cosa è quel tono sorpreso?»
«Sono le undici di sera. Di solito non chiami mai prima delle cinque» rispose Ruby. «Sei con qualcuno? Oddio, un appuntamento?! Con chi-»
«No, Rubs! Non riuscivo a dormire. Sai, la storia dell’assessore-»
«Oh, la tua vicina per cui hai una cotta?»
«Non ho una cotta» negò Emma, con convinzione. Una cotta? Andiamo… al massimo una fantasia o due. «Ad ogni modo, solito?»
«Agli ordini. Ti mando August, d’accordo?»
«Il ragazzo nuovo?»
«Sì, è un po’… rigido. Ha bisogno di prendere la mano con le consegne».
«D’accordo. Grazie, Rubs».
«Love you, Em».
 
 
*
 
 
Quando il campanello di Emma suonò, la ragazza si riscosse con un violento sussulto, persa come era nelle ricerche che stava facendo circa il criminale che puntava a catturate nel giro di una settimana, dieci giorni al massimo. Aveva già perso fin troppo tempo con lui e tutto perché non faceva che pensare e ripensare all’assessore.
Aprì la porta indossando un paio di leggings neri e una felpa grigia, una banconota in una mano e una matita senza punta infilata nell’orecchio destro.
«Emma Swan?» domandò il ragazzo delle consegne, con un cappellino rosso in testa e un sacchetto di carta con il logo del Granny’s sottobraccio.  
«In persona!» esclamò Emma, sorridendo e porgendogli la mano. «E tu devi essere August, giusto?»
«Oh. Sì» rispose il ragazzo, esitando un secondo soltanto prima di stringere la mano di Emma. August era alto e dinoccolato, con spalle larghe e un sorriso rassicurante. Negli occhi chiari, Emma lesse una punta di imbarazzo e incertezza e i suoi movimenti erano un po’ impacciati, come se le sue giunture fossero fatte di legno e chiodi e non di ossa e tendini.
«Ordino spesso da voi. Grande amica di Rubs. Ci vedremo spesso, credo» continuò Emma, sorridendo apertamente. August non rispose e si limitò ad annuire e a porgerle il sacchetto con il suo ordine, che Emma si affrettò a prendere.
«Grazie» disse, dando la banconota ad August. «Tieni il resto».
«Grazie!» arrossì August. Emma ebbe la netta impressione che fosse la prima mancia che riceveva. «Buona serata, allora! O notte. È tardi. Forse meglio buonanotte» si corresse August, sovrappensiero.
Emma sorrise. «Buona lavoro, August».
Il ragazzo fece un altro cenno del capo nella sua direzione prima di allontanarsi e mettersi a lato dell’ascensore, che si stava aprendo proprio in quel momento. Emma fece per chiudere la porta, quando notò Regina Mills uscire dalle porte di metallo. E non era sola.
Razionalmente, Emma sapeva benissimo che non erano affari suoi.
Ma Emma non poté fare a meno di esitare, soffermarsi, tenere la porta del proprio appartamento aperta quel tanto che bastava per notare che ad accompagnare l’assessore Mills era un uomo dal fisico asciutto e dai capelli ricci, con braccia che si intuivano muscolose persino sotto il capotto e un che di marziale nel passo.
E Regina Mills la notò. Notò Emma e le lanciò un’occhiata che la ragazza non riuscì a decifrare. Meglio, Emma notò l’irritazione, il fastidio, una certa rabbia, anche. Ma c’era… sollievo, nello sguardo dell’assessore? Sollievo nel vedere Emma?
Che sciocchezze. Con un movimento veloce, Emma chiuse la porta d’ingresso in faccia a Regina Mills, proprio come l’assessore aveva fatto con lei. Beh, non proprio in faccia, perché probabilmente a Regina Mills non importava proprio un accidente, ma, nelle intenzioni di Emma, quella era stata una porta in faccia all’assessore. E questo bastava.
Emma non si accorse che la matita senza punta le era caduta dall’orecchio ed era rotolata attraverso il pianerottolo, fino alla scarpa in vernice nera dell’assessore Mills.
 
 
*
 
 
Seduta sul divano del salotto, Emma mangiò il proprio toast al formaggio, azzannandolo con un astio di cui, in tutta sincerità, non avrebbe saputo spiegare la provenienza. Non stava pensando all’assessore. Non stava pensando al fatto che l’assessore quella sera aveva avuto un appuntamento e che aveva portato quel fortunatissimo bast- uomo nel suo appartamento. Chissà che doti straordinarie aveva, quello, per aver avuto la grazia di avere un appuntamento con Regina Mills. Un Q.I. vergognosamente alto, di certo. Probabilmente era figlio di Bill Gates o qualcosa del genere. Un musicista prodigio, il miglior talento musicale che abbia mai camminato su questa terra, che Mozart può solo prendere appunti. Un chirurgo di fama mondiale le cui tecniche innovative hanno permesso di salvare migliaia di bambini. Probabilmente, quello era tutte queste cose insieme e, per di più, aveva persino il tempo per andare in palestra.
Gradasso.
Ma Emma non stava pensando all’assessore Mills. Affatto.
Finito il toast, la ragazza prese un sorso di cioccolata e provò a concentrarsi sul suo lavoro, riprendendo la ricerca da dove l’aveva interrotta quando August aveva suonato il campanello. Bevve un altro, lungo sorso di cioccolata. Si guardò intorno. La matita, le serviva la sua matita. Non che fosse una matita speciale, ma le serviva. In quel momento esatto, le serviva quella sua dannatissima matita. Sollevando fogli e foglietti e laptop, Emma cercava la sua matita senza punta, ignorando completamente l’esistenza di un paio di penne che aveva a portata di mano. Voleva la sua matita. E non trovava la sua matita. E come poteva lavorare, se non aveva la sua dannatissima matita?
Emma chiuse di scatto il proprio laptop, prese la propria cioccolata e tornò a letto.
Certamente anche questo era colpa di Regina Mills. Emma non aveva idea di come, ma era sicuramente colpa della sua vicina.
Era tutta colpa di Regina Mills.
Regina Mills che a casa quella sera non era tornata sola.
 
 
*
 
 
Emma uscì dall’ascensore tenendosi una mano all’altezza della milza e si trascinò fino alla propria porta mentre cercava di prendere la chiave di casa dalla piccola tasca interna della sua felpa. Quella mattina era andata a correre, non appena era sorto il sole, per tentare di smaltire il nervosismo che aveva in corpo e di cui non riusciva a identificare l’origine precisa, ma solo vaga. In qualche modo, l’assessore aveva a che fare con tutto quello. Ma in che modo, esattamente, era un mistero, per Emma.
La ragazza aveva appena infilato la chiave nella serratura quando la porta dell’appartamento di Regina Mills si aprì. Non la vedeva da circa una settimana, da quella sera in cui l’assessore era tornata accompagnata da Mister Perfezione e Emma le aveva sbattuto la porta in faccia.
Regina non l’aveva notata. Non ancora, di questo Emma era sicura. E Emma avrebbe voluto muoversi, avrebbe voluto girare la chiave nella serratura e scivolare il più velocemente possibile nel proprio appartamento, ma Emma era paralizzata. Era uscita una donna, dall’appartamento dell’assessore. Una donna alta e bionda e vagamente inquietante. Con la coda dell’occhio, Emma vide Regina Mills – Regina Mills che indossava una vestaglia di seta nera lunga fino al ginocchio – alzarsi sulla punta di piedi per baciarla.
«Ti chiamo, allora» disse la sconosciuta.
«Sì… Vediamo» rispose Regina. «Signorina Swan?!»
E la chiave dell’appartamento cadde dalle dita di Emma. «Assessore Mills» rispose la ragazza, le guance in fiamme, prima di chinarsi a prendere la chiave e infilarla di nuovo nella serratura. «Buongiorno!» esclamò, con tono acuto. «Salve!» aggiunse, rivolta alla donna bionda, prima di aprire, finalmente, la porta, e precipitarsi all’interno.
Allora. Dunque. Quella era una nuova e molto interessante informazione sull’assessore Mills, Emma non poteva negarlo a sé stessa. Non che le interessasse in quel senso. Era solo… un’informazione. Come tante. Come il fatto che Regina Mills avesse una vestaglia di seta nera e senza tacchi era così bassa che si era dovuta alzare sulle punte dei piedi per baciare la sconosciuta e probabilmente avrebbe dovuto farlo anche con Emma. Non che Emma pensasse in quel senso all’assessore, davvero.
E, anche se ora la sua mano era all’altezza del cuore e non della milza, questo era per ragioni del tutto indipendenti da Regina Mills.
 
 
*
 
 
Dopo aver ordinato il solito al Granny’s per la decima volta, quel mese, Emma aveva capito due cose di August: in primo luogo, che sarebbe diventato uno scrittore, un giorno, se fosse riuscito a mantenersi al college con lo stipendio che guadagnava da fattorino, e, in secondo luogo, che era esattamente il tipo che faceva per Ruby. Emma non era ancora sicura circa l’interesse reciproco tra i due e, per quanto citasse il nome di Rubs più spesso di quanto non fosse necessario davanti ad August, Emma non aveva ancora capito se il rossore del ragazzo fosse dovuto a una generale timidezza o a un eventuale interesse per l’amica.  
In ogni caso, fu durante la decima consegna che accadde di nuovo. Regina Mills uscì dall’ascensore che August stava attendendo, accompagnata da qualcuno. Qualcuno che non era né Mister Perfezione né la meravigliosa bionda di qualche mattina prima, ma un uomo con un ridicolo cappotto di pelle e il passo traballante, probabilmente perché ubriaco, che notò immediatamente Emma e fece scorrere lo sguardo su di lei, dando alla ragazza la sgradevole sensazione che la stesse valutando. Le fece l’occhiolino. Emma non avrebbe saputo dire se l’assessore l’avesse notato o meno, di certo Regina Mills stava guardo lei. E Emma sentì dentro di sé molte sensazioni, nessuna delle quali si sarebbe potuta definire sgradevole.   
«Signorina Swan» la salutò Regina Mills, educatamente, guardandola negli occhi. Il cappotto era aperto e Emma notò, non così distrattamente, che indossava un tubino nero.
«Assessore Mills» ricambiò la ragazza, sostenendo lo sguardo della sua vicina.
«Jones. Killian Jones» disse a quel punto l’uomo, facendo un passo verso Emma e porgendole la mano. La ragazza non era sicura di volerla stringere, ma si disse che non avrebbe mai potuto essere viscida quanto i modi del suo proprietario e si costrinse infine a sollevare il braccio. L’uomo le prese la mano e se la portò alle labbra, baciandole il dorso. Oltre le sue spalle, Emma lanciò uno sguardo tra l’allarmato e lo schifato all’assessore Mills, che fissava la scena con un sopracciglio alzato e un’espressione che Emma avrebbe definito omicida.
«Forse dovrei lasciarvi soli» suggerì la donna.
«No!» rispose Emma, spalancando gli occhi.
«Infatti, Regina» disse l’uomo, in quello che doveva essere un tono seducente, ma che fece venire la nausea a Emma. Sul serio, l’assessore Mills poteva fare meglio, molto meglio di così. «Potremmo… rimanere tutti e tre».
«Prego?» domandò Regina, incrociando le braccia al petto. E Emma si chiese se quel Killian avesse un desiderio di morte più o meno consapevole.
«Mi sembra chiaro che tra voi è già successo qualcosa. Signorina Swan. Assessore Mills» ripeté, mettendo enfasi. «Vi piacciono i giochi di ruolo, non è vero? Sono sicuro che potremo creare una storia meravigliosa, noi tre».
Emma decise in quel momento esatto che, qualsiasi cosa Regina Mills avesse fatto nei successivi due minuti, Emma non avrebbe mai e poi mai testimoniato contro di lei. Anzi, era persino pronta ad aiutarla, se si fosse rivelato necessario.
«Signor Jones, penso che lei debba andarsene» disse l’assessore Mills.
«Uh» fece l’uomo, alzando il sopracciglio. «Allora è un ? Sono il signor Jones? Però forse sarebbe meglio qualcosa di più… esotico. Capitano, ad esempio. Capitano Jones, come suona?»
«Disgustoso» fece Emma.
«Chiamerò la sicurezza, se non se ne va immediatamente» disse Regina, prendendo il cellulare. Emma non cambiò espressione e si limitò ad annuire, nonostante fosse più che consapevole che la sicurezza a cui aveva accennato l’assessore Mills era pressoché inesistente, se si voleva escludere il portiere. Un portiere molto anziano, per la precisione.
Ma Killian Jones doveva essere particolarmente duro di comprendonio, perché fece un passo verso Regina, come se volesse afferrarle i fianchi e, quando l’assessore si allontanò, l’uomo non fece altro che ghignare.
Emma strinse i denti.
Forse sarebbe stata Regina quella chiamata a testimoniare contro di lei. «Ehi!» urlò, attirando l’attenzione di Killian. «Era un no. Un no a… tutto».
«O, forse, fa tutto parte del gioco» fece Killian, avvicinandosi di nuovo all’assessore.
«No!» esclamarono Emma e Regina all’unisono.
«Andiamo, Regina» fece Killian, afferrando il polso dell’assessore e tirandola verso di sé. «Sei stata tu a dirmi di salire».
«E adesso ti dico di andartene» sibilò la donna.
Emma lasciò cadere la borsa con il suo ordine del Granny’s e raggiunse Killian Jones a grandi falcate. Lo prese per una spalla e lo costrinse a girarsi, per poi spingerlo in direzione dell’ascensore. «Ha detto di no» ripeté, con convinzione.
Killian, barcollante, si appoggiò al muro, un’espressione contrariata sul volto. Studiò Emma per qualche secondo, poi spostò lo sguardo su Regina. Infine, sputò a terra e Emma non poté prenderlo a calci solo perché l’assessore, con uno scatto, le fu accanto, bisbigliandole di lasciar perdere.
Dopo aver dato un pugno al tasto di chiamata, l’uomo si mise ad attendere l’ascensore e i tre rimasero fermi, immobili, fino a quando le porte di metallo non si aprirono e l’uomo si trascinò all’interno, rivolgendo loro un insulto per cui Emma lo avrebbe volentieri soffocato con un cuscino.
«Coglione» commentò Emma.
«Linguaggio colorito, signorina Swan» fece l’assessore e Emma si voltò a guardarla, sconcertata.
«Sul serio? Non lo è, forse?»
«Lo è» confermò Regina, sospirando di sollievo e annuendo vigorosamente. «E… grazie» aggiunse, abbassando lo sguardo a terra. La ragazza si strinse nelle spalle.
«Ha bisogno di qualcosa? Vuole… Chiamare la polizia? O che… Che stia con lei, se..?»
«No» fece Regina, scuotendo la testa e sorridendo a Emma, con quel suo sorriso che non raggiungeva mai gli occhi. «Le ho già rovinato la serata, non vorrei peggiorare la situazione».
Emma scosse la testa, per minimizzare, e, a passi lenti, tornò verso il proprio appartamento. Raccolse il sacchetto con il suo ordine, pensando che il formaggio del suo toast doveva certamente essersi raffreddato, ormai, e probabilmente anche la sua cioccolata.
«O forse…» iniziò Regina, costringendo Emma a voltarsi tanto in fretta che il mondo si oscurò per qualche istante, davanti alla ragazza. «Non so, forse le va un bicchiere del miglior sidro di mele che abbia mai provato?» chiese l’assessore Mills e Emma annuì all’istante.
 
 
*
 
 
L’appartamento dell’assessore Mills era completamente diverso da quello di Emma, nonostante abitassero solo a un pianerottolo di distanza. Emma prediligeva le superfici in vetro e metallo, luci al neon, pochi mobili e solo quelli essenziali. Al contrario, nell’appartamento di Regina a dominare era il legno, prevalentemente bianco, e il marmo, da quel che Emma poté cogliere sbirciando in cucina mentre la donna la conduceva verso lo studio.
«La farei accomodare in soggiorno, signorina Swan» disse l’assessore, indicando a Emma un’ottomana su cui sedersi. «Ma questa è la stanza più calda della casa».
«Nessun problema» rispose Emma, guardandosi intorno mentre Regina raggiungeva un mobiletto di legno stipato di alcolici. Vino, per la maggior parte, e dall’aria decisamente costosa. L’assessore dovette percepire lo sguardo della ragazza su di sé perché, dopo essersi voltata velocemente a guardarla, le domandò se volesse qualcosa che non fosse sidro di mele.
«Il sidro andrà benissimo, assessore Mills».
Dopo qualche secondo, Regina le porse un bicchiere e, tenendone un altro tra le mani, si sedette di fronte alla signorina Swan, sul divano opposto.
«Grazie» disse Emma.
Regina scosse la testa e, prima di bere, si scambiarono un’occhiata d’intesa, sollevando appena i bicchieri. Era chiaro che stavano brindando alla stessa cosa, essersi liberate di quel… quel… quel pessimo, pessimo incontro.
«Quindi…» iniziò Emma, studiando cautamente l’espressione di Regina, che rimase imperturbabile. Dannati politici. «Insomma… Fa molta vita sociale, ultimamente. Molta di più di quanta ne facesse prima».
Regina si inumidì le labbra, inclinò appena la testa di lato, strinse gli occhi come se volesse studiare meglio la signorina Swan. «Allora non mi ero sbagliata, quando l’ho accusata di essere una stalker».
Emma alzò gli occhi al cielo. «Ho solo uno sviluppato spirito di osservazione».
«Già» confermò l’assessore Mills. «Ma si osserva solo ciò che ci interessa» commentò Regina, in un tono che era fin troppo noncurante per essere casuale. Emma si strinse nelle spalle, prese un altro sorso di sidro.
«E si tratta di una crisi di mezza età o..?» domandò infine Emma.
«Come, prego?»
«La sua nuova… vita sociale».
«Oh, no, avevo capito a cosa si riferisse» disse Regina, una punta di indignazione nella voce. «Ma quanti anni crede che abbia, mi scusi? Mezza età
Emma fece per aprire la bocca, poi la richiuse. Di nuovo, l’aprì. «No, non… Non era quello che intendevo, assessore Mills. È solo… un’espressione, sa..?»
«No, non so» rispose Regina.
Emma finì il proprio sidro di mele in un lungo, bruciante sorso.
«E non si tratta certo di una crisi» aggiunse l’assessore. «Se proprio vuole saperlo, signorina Swan, è tutta colpa sua».
«Cosa?» fece Emma, spalancando gli occhi. Colpa sua?! Il sidro doveva aver fatto un brutto effetto all’assessore Mills.
«Ha sentito bene. Colpa sua e del suo… complesso da salvatrice o qualunque sia il problema che la fa correre in aiuto di perfetti sconosciuti» disse Regina, con quella che a Emma sembrò una nota di disgusto. In qualche modo, l’assessore Mills aveva trasformato un complimento in un insulto e, in tutta onestà, Emma non poteva che esserne divertita. E affascinata.
Ma probabilmente era colpa del sidro.
«Non la seguo, assessore».
«Mi serve un appuntamento» rispose infine Regina, dopo un sospiro profondo. Evitava lo sguardo di Emma e ogni singola parola sembrava costarle uno sforzo immane, come se fossero avvelenate. «Per il matrimonio di mia sorella di cui avevo gettato l’invito, ma che lei ha pensato bene di raccogliere e restituirmi con tanto di consiglio non richiesto, nonostante fosse consapevole che la questione non la riguardava affatto».
Regina Mills aveva pronunciato tante parole, a parere di Emma. E quel sidro doveva essere più forte di quanto si fosse aspettata, perché lei non le aveva colte tutte. Quello che aveva colto, invece, era che l’assessore aveva una piccola cicatrice che le solcava il labbro superiore.
Emma era ancora confusa. «Guardi che accompagnatore è opzionale, sugli inviti. Non deve mica portarlo per forza!»
«Grazie, signorina Swan, ma non sono un’idiota!»
Emma si strinse nelle spalle. «È che… non capisco».
«Solo…» Regina prese un altro, profondo sospiro, prima di finire anche il suo sidro e alzarsi per riempirsi il bicchiere. Tornata a sedersi, Emma notò che aveva portato l’intera bottiglia con sé e riempì anche il bicchiere della ragazza.
Dopo un lungo sorso, l’assessore Mills riprese. «Mia sorella sposa un mio ex».
«Ew» fece Emma, con una smorfia di disgusto. «Lui l’ha lasciata per sua sorella o..?»
«Per cortesia» fece Regina, guardando la signorina Swan come se avesse appena avuto l’idea più ridicola di questa terra. «L’ho lasciato io».
«Beh, allora… Certo, non è la situazione ideale, ma…»
«La prego. Non posso andare sola, al loro matrimonio. Né affrontare mia madre. Guarda tua sorella, più giovane di te e già sposata. Avresti potuto essere tu la sposa, oggi, e invece-»
«E invece lei amministra una città?»
«Non esattamente, ma-»
«Sua madre mi sembra un po’ stronza, in tutta onestà. E anche sua sorella» dichiarò Emma, prima di realizzare che stava parlando della famiglia della sua vicina di casa che probabilmente un po’ la odiava e che le aveva offerto da bere solo per gentilezza. Emma era già pronta ad essere cacciata a metaforici calci fuori dall’appartamento dell’assessore Mills, che effettivamente la stava osservando, in silenzio, con una punta di incredulità nello sguardo.
«Linguaggio, signorina Swan. Ma di certo mia madre e mia sorella non sono persone… gentili, ecco».
«Quindi voleva sbattere loro in faccia la sua perfetta vita al matrimonio di sua sorella?»
«La mela non cade mai troppo lontana dall’albero» annuì Regina.
«Posso farlo io» propose Emma, stringendosi nelle spalle e giurando che non avrebbe mai più, dovesse cadere il mondo, accettato il sidro di mele dell’assessore Mills. Le faceva dire pazzie, quel sidro. Dannato sidro.
«Non la seguo, signorina Swan».
«L’accompagnatore. L’accompagnatrice. Lo so già che le piacciono le bionde, assessore Mills» aggiunse Emma, con un goffo occhiolino che avrebbe potuto risparmiarsi.
«Signorina Swan-»
«Ci pensi» la interruppe Emma. «Basta disastrosi appuntamenti, tanto per iniziare».
Regina scosse la testa. «È di nuovo la sua fastidiosa sindrome da salvatrice, a parlare».
«Non ho nessuna sindrome, assessore Mills» rispose Emma, alzando gli occhi al cielo.
Regina scosse la testa. «Non… Non…»
«Non?»
«Non posso. È… una follia».
«Questa è una follia? La sua invece cosa era?»
«Normalissimi appuntamenti, signorina Swan».
Emma alzò le sopracciglia. «Erano audizioni, assessore Mills. Audizioni per un ruolo che non sapevano nemmeno di dover interpretare».
Regina scosse la testa. «Lei è irritante, signorina Swan. E, sentiamo, lei cosa ci guadagnerebbe, in tutto questo?»
La signorina Swan si strinse nelle spalle. «Un pranzo gratis. E un giorno di vacanza, probabilmente».
«Tre» disse Regina.
«Come?»
«Sarebbero tre giorni. Mia sorella si sposa in Kansas e io non ho alcuna intenzione di presentarmi al matrimonio con il jet lag, quindi dovremmo contare anche i giorni di viaggio».
Emma Swan sorrise trionfante e l’assessore le lanciò uno sguardo tanto interrogativo quanto irritato. «Cosa?».
«Dovremmo. Ha detto dovremmo. Forse dovremmo anche darci del tu».
L’assessore fece schioccare la lingua e alzò gli occhi al cielo. «Non ho ancora detto sì. Emma».
 




 



 
NdA
Buon venerdì e buon primo maggio!
 
Come sempre, qualche precisazione sul capitolo. Ci sono due richiami al primo episodio della prima stagione di OUAT: il primo è «Devo forse preoccuparmi di lei, signorina Swan?» (nella puntata, Regina chiede a Emma se deve preoccuparsi di lei mentre versa il sidro di mele, in soggiorno) e il secondo «Non so, forse le va un bicchiere del miglior sidro di mele che abbia mai provato?» chiese l’assessore Mills e Emma annuì all’istante (nella puntata, ancora sul vialetto di casa di Regina, il sindaco chiede la stessa cosa alla signorina Swan).
 
Posso già dirvi che si tratta di una mini-long: sono 4 capitoli (compreso questo) più un epilogo, il che significa che ci sarà un aggiornamento ogni venerdì di maggio. In realtà la storia era nata come una one-shot intorno al trope del fake dating, ma le cose sono un po’ sfuggite di mano (non che qualcuno si stupisca ancora). Quindi, ecco qui!
 
Grazie mille per aver letto, spero che vi sia piaciuta! <3
A venerdì,
T. <3


 
   
 
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