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Autore: fantaysytrash    02/05/2020    4 recensioni
[Steve/Bucky | Introspettivo/Fluff | Soulmate!AU | Pre-Serum!Steve | Artist!Steve] [Questa storia si è classificata prima al contest “The one about Soulmates” indetto da Soficoifiocchi (DeaPotteriana) sul forum di EFP]
Steve non pensa di poter vivere in un mondo dove amare significa vedere tutto in bianco e nero; Bucky è deciso a fargli cambiare idea.
Dal testo:
“La spiegazione generale che era sempre stata data, a scuola, a casa e perfino sui siti specializzati a far incontrare i due soulmate, era che una volta incontrata la persona destinata a diventare la più importante, una cosa tanto superficiale come la percezione visiva non sarebbe stata così fondamentale. Steve credeva fossero un mucchio di sciocchezze.”
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’Autrice

Ebbene sì, alla fine ho ceduto anch’io al fascino dei Soulmate!AU; in realtà, per me già la storia originale di Steve e Bucky può benissimo considerarsi tale – cioè, sono letteralmente sopravvissuti a ogni possibile ostacolo e avversità per vivere insieme – no, qui non si accetta quella chiara menzogna che è stata Endgame, grazie tante.

Ecco dunque questa shot, basata su due tipi di AU – “Alla nascita ognuno ha un tatuaggio delle prime parole che il soulmate gli rivolgerà” e “Una volta incontrato il soulmate, il mondo diventa irrimediabilmente in bianco e nero” –, due frasi obbligatorie – “Fammi una foto, durerà più a lungo” e “No, no, no, ti prego. Ti prego, no!” – e il prompt “quadro d’insieme”.

Il titolo è parte di un verso della canzone “Out of the Woods” di Taylor Swift – ovvero l’unica cosa che amo tanto quanto Steve e Bucky.

Buona lettura,

Federica ♛

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 

 

SCREAMING COLOR

 

The rest of the world was black and white /

But we were in screaming color

 

Steve Rogers era, sotto molteplici punti di vista, una causa persa. Se anche si passava oltre gli aspetti più ovvi che lo caratterizzavano – come il suo innato senso di giustizia e la sua smania di battersi per i più deboli –, era possibile scorgere in lui un animo ribelle, non conforme alle regole imposte dalla società, sempre pronto a far valere la propria opinione anche su questioni considerate ineccepibili.

Il numero di volte in cui era incappato in risse era ormai incalcolabile e, sebbene avesse un paio di amici fidati – Sam e Natasha –, non riusciva a intessere rapporti sinceri neanche provandoci disperatamente.

L’unica cosa che lo rassicurava e che riusciva a calmarlo nei momenti peggiori era la presenza, quasi totalmente certa, della propria anima gemella. Ne aveva sentito parlare talmente tante volte e nei modi più svariati che un minimo di curiosità era inevitabile.

La fonte più certa da cui aveva reperito le informazioni principali era sua madre; Sarah Rogers amava raccontare al figlio tutti i particolari più salienti della grandiosa storia d’amore che lo avrebbe sorpreso da un momento all’altro.

Una connessione profonda, un legame indissolubile con un’altra persona che lo avrebbe reso completo e in pace con se stesso.

Sembrava onestamente troppo bello per essere vero.

Infatti Steve era più che un po’ spaventato all’idea di incontrare il proprio soulmate, per i motivi più svariati. Il primo era quello più prorompente, la motivazione che avrebbe voluto ignorare ma che era sempre presente negli spazi più reconditi della sua mente: chiunque fosse legato a lui avrebbe apprezzato il suo fisico gracile e minuto?

Steve odiava come quella domanda trovava sempre la via di ritorno ogni qual volta tentava di allontanarla, detestava come le sue insicurezze dettavano legge in così tanti ambiti della sua vita. Ma era una preoccupazione valida; essere respinti dal proprio partner non era impensabile e nemmeno tanto raro.

Sapeva che l’aspetto esteriore non era tutto – e forse avrebbe dovuto avere più fiducia che l’universo scegliesse qualcuno di veramente adatto e degno del suo affetto – ma la paura restava lì, pesante come un macigno sul suo petto, senza mai accennare ad andarsene.

Il punto che più premeva al giovane, tuttavia, era ciò che incontrare la propria anima gemella avrebbe comportato.

Quando l’aveva sentito per la prima volta non era riuscito a crederci; sicuramente qualcuno gli aveva tirato un tiro mancino, perché semplicemente non era possibile. Ma con il passare degli anni e il susseguirsi delle storie che tutti intorno a lui gli raccontavano, Steve si era dovuto arrendere all’evidenza: entro qualche anno – se fosse stato fortunato – avrebbe perso l’abilità di distinguere i colori.

La spiegazione generale che era sempre stata data, a scuola, a casa e perfino sui siti specializzati a far incontrare i due soulmate, era che una volta incontrata la persona destinata a diventare la più importante, una cosa tanto superficiale come la percezione visiva non sarebbe stata così fondamentale.

Steve credeva fossero un mucchio di sciocchezze. Come avrebbe potuto apprezzare la bellezza naturale che incontrava ogni singolo giorno, se tutt’intorno a lui c’era un paesaggio monocolore triste e desolato?

E come avrebbe potuto rinunciare alla vista, specialmente quando c’era un’alta probabilità che il suo presunto partner lo avrebbe rifiutato? Sembrava una situazione già persa in partenza, e Steve non era ancora riuscito a trovare una soluzione valida.

A causa della sua salute cagionevole, poi, non aveva mai intrapreso studi differenti né aveva particolari abilità all’infuori della pittura. Disegnare era tutto il suo mondo, l’unico hobby che lo facesse sentire adeguato e voluto ma, per quanto si sforzasse di autoconvincersi che un futuro nel campo artistico fosse ancora possibile, si sentiva sempre più demoralizzato ogni giorno che passava.

Non sapeva nemmeno in cosa desiderare: sperare di conoscere la più alta forma d’amore e rischiare di non avere nient’altro o tenersi stretta la sua passione e rimanere solo per il resto della vita? Entrambe le prospettive erano desolanti, entrambi i risvolti lo avrebbero lasciato con l’amaro in bocca.

Venne destato dai suoi pensieri dall’improvvisa presenza di gridolini eccitati provenienti dai bambini che correvano per il parco. Il tragitto da casa sua era talmente impresso nella sua memoria che aveva percorso l’intero viaggio sovrappensiero, senza curarsi di dove stesse effettivamente andando.

Si sedette su una delle molteplici panchine presenti sul sentiero che si snodava all’interno di Central Park, restando in silenzio mentre osservava il paesaggio in movimento in cui si immergeva ogni giorno dopo la scuola.

Non era un segreto che si trattasse del suo posto preferito nell’intera città, il luogo dove passava la maggior parte del suo tempo libero, solitamente a disegnare o prendere un po’ d’aria fresca fondamentale per la sua salute.

Adorava osservare quell’ambiente così pacifico e pieno di gente che si rilassava e si godeva un attimo di tranquillità nella vita caotica che New York imponeva ai suoi abitanti.

Quando riportò l’attenzione sulla scena davanti a lui, tuttavia, notò che una figura bloccava la sua visuale. Lo sconosciuto sembrava avere un paio di anni più di lui, sebbene fosse molto più alto e robusto, scolpito come un giocatore di football. Indossava un paio di pantaloni neri che abbracciavano perfettamente le gambe possenti e una giacca di pelle che provocò un sussulto in Steve.

Sentendosi fissato, il giovane si voltò verso di lui, e Steve si sentì mancare completamente il fiato. I lineamenti ben definiti del suo volto lo facevano assomigliare a una divinità greca, una visione angelica circondata da folti capelli scuri spettinati dal vento.

Un paio di occhi blu cielo lo guardavano a metà tra il sorpreso e l’incuriosito, e un sopracciglio si innalzò quasi in segno di sfida. Notando il suo sguardo imbambolato, si lasciò andare in un ghigno divertito.

E fu allora che Steve le sentì. Quelle parole così perfettamente sarcastiche e indisponenti da non poter essere confuse, le stesse che aveva sul braccio sinistro da quando era nato, ruppero l’incantesimo perfetto che il viso del ragazzo aveva creato.

“Fammi una foto, durerà più a lungo.”

Steve si immobilizzò come se fosse stato colpito in pieno petto, incredulo e spaventato da quell’improvviso cambio di atmosfera. Gli occhi cristallini ritrovarono quelli dell’altro, che brillavano ancora sotto la luce solare… finché non lo fecero.

Prima che Steve potesse prender nota dell’ambiente circostante, questo si stava già affievolendo – il verde degli alberi, il blu del cielo, i colori sgargianti dei fiori… tutto si trasformò in una scala di grigi.

“No, no, no, ti prego. Ti prego, no!”

Ma per quanto urlasse – attirando le occhiate curiose e preoccupate dei passanti – il mondo non gli diede retta, restando buio e privo di colore. Il suo respiro veloce si trasformò presto in un vero e proprio attacco d’asma e si rese conto di essere caduto a terra solo quando sentì un paio di braccia possenti sorreggerlo.

“Ehi, calmo.” Lo sconosciuto gli fu accanto in un attimo, circondando il suo corpo gracile con una presa ferrea, facendo sì che si mettesse seduto senza ferirsi.

Istintivamente, Steve gli strinse una mano in un gesto di rassicurazione e fu sorpreso quando l’altro fece scorrere le dita tra quelle del più giovane. Il biondo riportò lo sguardo sul suo viso, per poi distoglierlo bruscamente quando fu inondato da quell’onda neutrale che già odiava con tutto se stesso.

Il suo blocco da disegno era a qualche passo di distanza e la sola vista del foglio su cui stava lavorando gli provocò un’ondata di lacrime che scesero furiose sulle sue guance in una scia infuocata.

“Respira,” gli giunse la voce soave del ragazzo che ancora lo stava abbracciando. “Cerca di seguire i miei battiti, forza.”

Dopo quelle che parvero ore, Steve sentì nuovamente l’aria affluire ai polmoni e si rilassò accasciandosi contro… un corpo muscoloso che non si era mosso da quando Steve aveva avuto quell’attacco di panico.

Girandosi per guardarlo meglio, se lo ritrovò molto più vicino di quanto si fosse aspettato; i loro nasi erano solo a qualche centimetro di distanza e il respiro lieve che gli sfiorava la pelle riuscì a tranquillizzarlo ulteriormente.

Anche in bianco e nero, il ragazzo pareva brillare di luce propria. Il taglio degli occhi – erano veramente blu o se l’era immaginato? –, le labbra carnose, la presa forte ma non invadente… tutto lo faceva apparire così rassicurante e degno della massima fiducia.

“Allora, sono talmente bello che ti ho letteralmente tolto il respiro?” disse infine. “O una totale delusione da farti urlare no una decina di volte?”

Steve sbuffò divertito e un sorriso fuoriuscì a tradimento prima che gli avesse dato il permesso.

Hmm,” sospirò l’altro. “Così va meglio.”

Poi gli porse la mano non incastrata tra il suo corpo e la panchina dietro di loro. “Io sono Bucky.”

“È uno strano nome,” ribatté senza pensare il biondo. “Steve,” aggiunse poi accettando la mano tesa in segno di saluto.

“Prima quasi svieni e ora critichi il mio nome, questa giornata sta andando di bene in meglio.”

Ma anche mentre si lamentava, Bucky sorrideva apertamente, quasi stesse flirtando… e Steve si ricordò che quel ragazzo era la sua anima gemella. Be’, sicuramente aveva lasciato un’impressione prorompente.

“Scusa,” cercò di rimediare. “Io non mi aspettavo di…” Fece un gesto vago tra i loro corpi, toccando per un istante il petto di Bucky e ritirando la mano come se si fosse scottato.

“Sì, l’avevo intuito. Che ne dici se ci alziamo dal terreno del parco dove sicuramente centinaia di cani hanno lasciato i loro bisogni e andiamo da qualche altra parte?”

Steve scosse la testa. “Non credo di poter affrontare questa conversazione in uno spazio chiuso,” ammise.

Il moro lo guardò di traverso solo per un momento, prima di annuire e farlo accomodare nello stesso punto di prima. Afferrò velocemente il foglio da disegno abbandonato per terra, soffermandosi sullo sketch che vi era sopra.

“Sei un artista,” mormorò incantato.

Steve sentiva che si sarebbe messo a vomitare da un momento all’altro. Un sorriso triste gli dipinse il volto. “Non più, suppongo.”

Ma Bucky lo prese per le spalle, scuotendolo leggermente. “Ti sbagli,” proclamò con voce ferma e lo sguardo deciso. “È vero, non potrai più distinguere i colori, ma non parlare come se la tua vita fosse finita.”

Steve fece per ribattere, per protestare, per affermare che i colori erano la sua vita e solo quei pochi minuti in loro assenza erano stati un inferno. Come mai avrebbe potuto sopravvivere per decenni?

“Pensa a tutti coloro che non hanno ancora incontrato il proprio soulmate, o le persone meno fortunate a cui non accadrà mai. Tu hai il potere di rendere le loro vite un po’ meno solitarie, di fare ciò di cui nessuno ormai si prende più il disturbo di preoccuparsi. Steve, tu puoi donare luce a coloro che sono destinati a vivere in un mondo buio. Tu… sei davvero coraggioso.”

Il minore gli rivolse un’occhiata interrogativa.

“Ti sei dedicato alla tua passione pur sapendo che non sarebbe durato per sempre, ma intraprendendo i tuoi sogni senza che il mondo dettasse la piega che avrebbe dovuto prendere la tua vita. Non è una cosa da poco.”

“Coraggio,” proseguì dopo poco. “Andiamo a fare una passeggiata, così potrai dirmi tutto di te.”

Steve si alzò dalla panchina ancora stordito – dalla situazione e dalle parole così profonde dell’altro – e seguì il suo nuovo conoscente cercando di non prestare troppa attenzione all’alone grigiastro che intaccava ogni cosa e che lo avrebbe accompagnato per il resto dei suoi giorni.

Ma, notando il sorriso smagliante di Bucky e la mano che ancora una volta era protesa nella sua direzione, Steve avrebbe potuto giurare che la sua vita fosse ben lontana dall’essere finita.

Forse avrebbe dovuto approcciare la questione come se si fosse trattato di uno dei suoi dipinti: invece che concentrarsi troppo su ogni particolare, avrebbe dovuto guardare il quadro d’insieme. E l’immagine di lui e Bucky che affrontavano la loro nuova vita un giorno alla volta non era poi così difficile da apprezzare.

   
 
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