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Autore: Zappa    03/05/2020    4 recensioni
Tutti hanno la loro versione su come sia e come si comporti Vegeta.
Pochi hanno osato deriderlo e prenderlo in giro: ora è giunto il momento.
Vi proporrò una serie qualità di Vegeta e vi spiegherò il perché di quelle qualità.
Lettura sconsigliata alle persone serie e a tutti quelli che mi conoscono.
I personaggi presentati e le citazioni cui faccio riferimento non mi appartengono e non ne detengo alcun diritto.
# 1. Egocentrico
# 2. Sensibile
# 3. Innamorato
# 4. Ponderato
# 5. Tecnologico
# 6. Filosofo
# 7. Esasperante
# 8. Tata
# 9. Imperatore
# 10. Strano
# 11. Destinato
# 12. Casalingo - Fanfiction vincitrice del primo posto al contest “Piangere è difficile, ma ridere lo è ancora di più: il contest della risata” indetto da eleCorti sul forum di Efp
# 13. Festaiolo
# 14. Cupido
# 15. Coinquilino
# 16. Neopatentato
# 17. Genitore
Genere: Comico, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, Nonsense, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di iniziare a leggere questa storia, vi invito a fare uno sforzo di immaginazione: immaginate Trunks circa di dieci/undici anni, Goten di circa dieci, Pan e Bra di cinque e quattro anni.

Grazie per lo sforzo d’immaginazione, ora potete continuare a leggere, avete già sforzato abbastanza il vostro cervello.

Ringrazio gli autori de il “Meraviglioso Mondo di Gumball”, da cui è ispirato l’episodio e, ovviamente, ringrazio voi che avete aperto questa storia.



Una cosa era sicuro: non era sicuro di nulla.

Certo, lui era il grande principe dei Saiyan, ma a parte il fatto che i Saiyan erano rimasti in tre scarsi, più in paio di mezzi, dai quali manco ne usciva un intero, – o forse sì? Non era mai stato bravo con le frazioni, dannato il suo compagnetto di scuola Arnorld, che si credeva migliore di lui facendolo arrivare ad odiare la matematica. Stupido Arnold. -, ma in quel momento, di sicuro, non era sicuro.

Così quella mattina, di quel giorno qualsiasi, in una Capsule Corporation qualsiasi, era sceso le scale con più cautela del solito e si era avvicinato in cucina, dove, visto l’orario – almeno un minimo decente per gli esseri umani produttivi in quel settore del pianeta, un odioso sette e mezzo del mattino – sostava sua moglie che sorseggiava un caffè nero, amaro con la sua anima. La moglie, la dolce moglie dei sogni più dolci, in quel momento gli parve la moglie dei sogni infranti, mentre beveva il caffè fatto delle lacrime amare di suo marito.

« Buongiorno, amore »

Tzé, osava pure salutarlo e chiamarlo falzamente per quella cosa che iniziava per a e finiva per more. Quanta illusione in poche parole.

« Tra poco devo andare a lavorare, quindi oggi sei solo con i ragazzi »

Lui si appoggiò facendo una faccia schifata - oppure quella era sempre la sua faccia? - contro il ripiano della cucina. La vide ancora sorseggiare altre lacrime di marito ferito. Lei beveva gustando di gusto la bevanda bevandosa, passandosi, poi, lasciva, la lingua sulle labbra.

Che mostro.

« Ti ricordo che stasera passa Gohan a prendersi sua figlia e a riportare a casa Goten »

Le sopracciglia precisamente pinzettate della donna si rivolsero a lui in modo eloquente, mentre lui, come un gatto permaloso che non riceve abbastanza attenzioni, sculettò il suo malessere lontano dal ripiano, per andare a strusciarsi contro il frigo, in cerca di attenzioni che avrebbe dovuto comunicare in maniera verbale e non paraverbale, come in quel momento. Ma l’anima di gatto spelacchiato che era in lui mai si sarebbe abbassata ad un dialogo costruttivo, interattivo e razionale.

Bulma lo vide cocciutamente fare finta di nulla, continuandole a darle la schiena e strusciandosi sull’elettrodomestico, mentre sulla superficie del frigorifero rimavano attratti i suoi peli di vecchio gatto dello spazio. Alzò gli occhi al cielo, quando sospirò e fece per aprir bocca, ma quello le soffiò contro rabbioso, i capelli da fulmine ancora più ispidi del solito.

« Se pensi che questo tuo atteggiamento possa farmi cambiare idea, ti sbagli » ingiunse la donna, « non mi scuserò con te, Vegeta, perché ho detto solo la verità »

Gli occhi strabuzzati del Saiyan cercarono di incenerirla con uno sguardo di disgusto e disprezzo, ma, visto che uno sguardo non può incenerire, fecero solo paura ad un destinatario non voluto, il gatto Scrat, che fino a quel momento era stato ignaro di avere un altro maschio alfa a gironzolare per la casa. Il piccoletto scappò lontano, miagolando dal dolore per il tradimento fattoglisi sotto i baffi.

Vegeta, con le labbra arricciate in un gesto di nobile superiorità, finalmente parlò.

« Dovresti farlo. Tu non apprezzi le mie qualità »

Bulma lo fissò, dubbiosa, iniziando a sistemarsi qualche accozzaglia e ninnolo nella borsa.

« Apprezzo le tue qualità, Vegeta » si affrettò a mettere via il rossetto, « quando queste sono usate a qualche chilometro di distanza da casa. Quando, perciò, non mi ritrovo un buco nel soffitto del salotto »

« Era per vedere le stelle, l’ho fatto per Bra » rispose l’altro, con fare ovvio.

« E quando hai bruciato il giardino? »

Vegeta sbuffò: « Era per dare un tocco di cambiamento all’esterno. Ho anche rubato un elicottero della polizia e te l’ho fatto precipitare tra le aiuole. Non ti piacciono le pale e le lamiere accatastate? »

Fu Bulma a sbuffare, ‘stavolta.

« Vegeta, ammettilo: tu non hai qualità particolari e fare da babysitter a un branco di ragazzini non è così difficile. Io lo farei ad occhi chiusi »

« Ah! » il tono sprezzante le fece aprire gli occhi, « fare da babysitter ai nostri figli è una sfida per il Principe dei Saiyan e solo io la so affrontare al meglio. Altrimenti perché quel rammollito di Gohan porta qui la sua piccola piaga? »

« Perché abbiamo i soldi, caro, e un’assicurazione che paga pure gli incidenti sulla Luna »

« Oh »

Bulma fece un’altra smorfia. « Comunque, quali sarebbero le grandi sfide? Tu combini solo disastri! Come quella volta che hai fatto giocare Bra e Pan in autostrada »

Vegeta si fece offeso, allargando le braccia. « Hanno solo distrutto un paio di macchine e accatastato qualche guardrail facendone una palla da basket. Che esagerazione. E poi quel poliziotto ha avuto un mese di pausa dal lavoro- »

« Perché è stato piantato un mese in ospedale in ortopedia. Oppure quella volta che hai permesso loro di distruggere una fabbrica nucleare… »

Il Saiyan si tese in un minuto di silenzio.

« … tu sei solo gelosa perché io, qui, sono il babysitter migliore »

La donna, allora, si avviò a passo concitato all’ingresso di casa, pronta per afferrare le chiavi dell’auto e andare a lavorare in ditta, e Vegeta le si fece alle calcagna, seguendola ad ogni passo, convinto di vincere il battibecco appena iniziato.

Ma, in fin dei conti, la vita di Vegeta era così: un pendolo tra il desiderio sfrenato di vincere e l’illusa convinzione di potercela fare.

« Vegeta, dico sul serio, caro. Io sono la presidente della Capsule Corporation - genio, filantropa, playgirl,i - scienziata e figlia del fondatore della Capsule Corporation, il famoso Dott. Brief. Sono solo uno dei personaggi più importanti della serie, prima amica di Son Goku, che ha messo in moto l’intera baracca… potrei gestire i ragazzi ad occhi chiusi »

Il Saiyan si fece paonazzo: questo era troppo!

« Bene, allora oggi rimango in sciopero! Non farò nulla tutto il giorno! »

« Come se gli altri giorni facessi qualcosa. Ci vediamo pomeriggio e ti farò vedere quanto io sono brava con i ragazzi. Ciao, amore »

Ancora quella parola con la a. Che ci trovasse di tanto gustoso in quel a-more era un mistero.

Detto questo, la donna se ne andò sbattendo la porta e, con una forte ventata, abbandonò in casa il marito che si ritrovò con i capelli, per via del vento stranamente pettinati. Questo fissò la porta, portandosi le braccia al petto e corrucciando lo sguardo.

La donna si credeva migliore di lui nel gestire i figli?

Bene!

Gliela avrebbe fatta vedere: la casa presto si sarebbe trasformata in una casa horror e Bulma gli sarebbe venuta a chiedere scusa in ginocchio.

Se quella donna pensava di dargliela vinta si sbagliava di grosso, perché, Vegeta, non vinceva mai.

Non ne aveva la minima idea di cosa voleva dire curare le piccole piaghe che avevano come figli. Senza pensare poi alla discendenza di Kakaroth, un piaga da decubito vera e propria.

In fondo, si era sempre preso cura dei figli, perché non riconoscerlo?

Faceva in modo che i ragazzi mangiassero le verdure – attirandoli presto la mattina in giardino e distribuendo loro del fieno, cosicché lo cercassero tra i fili d’erba e al contempo rasassero il prato. Stimolava la loro creatività e fantasia – lasciando che il momento del pranzo si trasformasse in una guerra a chi si aggiudicava il piatto migliore – nel frattanto faceva le faccende domestiche: a fine pranzo, infatti, raccoglieva stoviglie, piatti e ragazzi dentro la tovaglia, li buttava in lavatrice con uno shampoo delicato e un ammorbidente – perché non si rovinassero la pelle – e voilà, un profumo di pulito.

Per non parlare di quando li educava alla buona musica, invitandoli a fare l’hairbang sull’heavy metal, perché si asciugassero più in fretta dopo la doccia, potendo così anche disporre di eventuali pidocchi che cadevano a terra; una veloce e atletica danza irlandese e voilà, i pidocchi erano andati.

Certo, il bagno rimaneva sempre tutto appiccicaticcio e schiumoso, ma se si evitava di scivolare a terra non era mica un problema: a parte quella volta che era effettivamente scivolato a terra e la sua faccia era rimasta appiccicata a terra per due ore, finché il suo corpo, girovagando alla cieca, non erano riuscito a rimettersi la faccia in faccia.

Già, Bulma tendeva proprio a sottovalutarlo, ma questa sarebbe stata l’ultima volta!

Si rilassò in un sorriso malvagio e rimase qualche secondo a godersi la sensazione di autocompiacimento che tanto gli piaceva. Fino a quando non si rese conto di stare fissando la porta d’ingresso da venti minuti, tanto che, pure la porta era stufa di trovarselo davanti.

Erano le otto del mattino e Vegeta si appostò fuori casa, comodamente seduto su una sedia, deciso, per quel giorno di fare lo sciopero del babysitter.



Appena Bulma parcheggiò l’auto, si stiracchiò dolcemente il collo, soddisfatta e indolenzita dalla giornata economicamente vantaggiosa per il suo portafoglio e brillante per la scienza: era una soddisfazione riuscire a clonare un dinosauro del Cretacico, mandare una sonda su Plutone per la consegna di pizza a domicilio, scoprire che l’acqua potesse essere usata al posto della benzina e fare affari con un misterioso cyborg nero con disturbi d’asma proveniente da un’altra galassia che richiedeva dei piani per una specie di stazione spaziale super potente con un nome alquanto bizzarro e poco nefando come “Morte Nera”.ii

Sospirò, sorridendosi allo specchietto retrovisore: un’altra bella giornata.

Quando scese dalla macchina, trovò il marito disteso sulla sdraio davanti all’uscio di casa, mentre prendeva il sole – o quanto meno, si bruciava gli occhi fissando direttamente il sole. Alzò gli occhi al cielo: probabilmente il suo ego gli aveva suggerito di sfidare il sole perché aveva una massa più densa di lui, e il Principe dei Saiyan lo aveva sfidato ad una gara a chi distoglieva prima lo sguardo. Inutile dire che pareva avesse gli occhi vacui dell’indovino Tiresia mentre ammoniva Ulisse.

Si frappose tra Vegeta e il sole, interrompendo la sfida: vide Vegeta riacquisire un vago senso del sé, finché non assunse un’aria dapprima stupita e poi compiaciuta.

« Sei compiaciuto perché non hai fatto nulla? »

Vegeta ghignò, spaparanzandosi meglio sulla sdraio. « No, sono compiaciuto perché adesso potrai vedere che io ho avuto ragione. Entra pure in casa, cerca di addomesticare i nostri figli e poi fammi sapere se sei ancora viva »

Gongolò di malcelata soddisfazione, chiudendo gli occhi e rilassandosi sul lettino, la faccia mangiata dal sole che friggeva per le scottature.

Bulma solo allora portò lo sguardo verso l’ingresso e, a parte uno striscione che pendeva dalla cupola, tutto pareva intatto. Non c’erano allarmi di sottofondo, né sirene della polizia, né sirene per rifugiarsi nel rifugio anti-atomico.

Alzò ancora gli occhi al cielo: come sempre suo marito si era rivelato inutile e tronfio di sé. Non c’era nulla che non andava.

Fece per avviarsi in casa per confermare le sue attese, quando si soffermò a leggere lo striscione.

« Non sei la denvenuta… »

Di sicuro suo marito voleva fare il simpatico. « Perché la b di benvenuta è scritta al contrario? »

« Perché non ho ancora imparato bene a scrivere in terrestre »

« Non te l’aveva insegnato Bra? »

« Alle volte mi confondo »

Con un sospiro, la donna entrò in casa, lasciando il marito sul lettino, ancora con un’aria compiaciuta.



Appena varcò la porta di casa e appoggiò la giacca all’appendiabiti, questo crollò sotto il suo peso. Bulma strabuzzò gli occhi, ma presto si rese conto che anche il resto dell’ingresso e del salotto di casa aveva ben poche cose rimaste integre.

Il salotto era un campo di battaglia, su cui erano disseminati quelli che parevano i corpi dei loro robot domestici e – oh mio Kami – sperò con tutto il cuore che quella gamba abbandonata a terra e cosparsa di sangue fosse quella di un manichino rubato dal laboratorio e condito con il ketchup. Qualsiasi senso logico avesse avuto questo pensiero.

Il tavolino di vetro che tanto bellamente aveva adornato il salotto adesso era conficcato nel muro, mentre le schegge di vetro avevano intrappolato, stile lanciatore di coltelli, quello che riconobbe come uno dei suoi impiegati, svenuto e appeso a penzoloni contro il mobile. L’impianto stereo, la TV e la radio erano in fiamme e parte del soffitto pareva aver subito la stessa sorte perché avvolto da un nero cupo, come il caffè che aveva bevuto con grazia quel mattino.

Traccie di benzina cospargevano la stanza e avevano ridotto il divano tale e quale al cugino che la settimana precedente avevano abbandonato in discarica: seguì, boccheggiante, le strisce di benzina fino alla cucina, che trovò neanche messa così male. Il frigorifero era rivolto a terra e il lavandino, la cui acqua sgorgava a terra creando un fiume d’acqua, era la vasca da bagno di quello che – AAAAAHHH! - riconobbe come una specie di gremlin con i codini azzurri.

Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, cercando di scacciare il mostriciattolo che era sceso dal lavandino e ora si stava arrampicando sulla cucina per arrivare al lampadario.

« Scendi subito di lì! Brutto mostro! » gridò, isterica, « Vegeta! »

Scatenò il suo urlo a pieni polmoni, ma il mostriciattolo non pareva intento ad andarsene, fino a quando il lampadario non crollò sotto il suo peso e il mostro scappò via veloce, dirigendosi verso le scale e sparendo al piano superiore.

Bulma uscì scossa dalla cucina, tenendo stretta tra le mani la scarpa con il tacco dodici con cui aveva tentato di scacciare il mostro. Si guardò attorno, terrorizzata. Le finestre del piccolo vano che portano dal salotto alla cucina erano state tutte distrutte da pietre e sul soffitto c’erano traccie di neve miste a sabbia. Com’era possibile?

Stava per dirigersi più terrorizzata che curiosa verso l’esterno per chiedere spiegazioni al marito, quando sentì un rumore di vetri infranti ed una risatina innaturale provenire da in cima le scale.

Si avvicinò cauta, finché non notò in cima alle scale un altro mostriciattolo, ‘stavolta accompagnato da dei capelli ispidi di colore nero caffè fare capolino dalla tromba delle scale. Il piccolo mostro, che le sorrise con i suoi dentini affilati in maniera poco rassicurante, stava cercando di buttare giù dalla scalinata la vecchia credenza di sua madre che, antico cimelio di famiglia, era stato regalato loro da parte della bisprozia della nipote della moglie del fratello del cugino acquisito. Da parte di mamma, s’intende.iii

Bulma si strozzò nel suo respiro: « Fermo! Quel mobile sarà pure orrendo, ma non puoi buttarlo giù per le scale! »

Neanche il tempo di finire la frase che, dalla credenza, sgusciò fuori un altro terribile mostriciattolo che, ‘stavolta con in testa una bizzarra chioma glicine, la fissò con occhietti spiritati e sguainò le fauci, come pronto per addentarla.

Prima che Bulma potesse urlare, il mobile venne scaraventato giù per le scale dai due demonietti che, subito scapparono, volando al piano di sopra e andando a rifugiarsi in uno dei bagni: la donna, nonostante la paura, superò con un salto atletico l’antica credenza che finì a fare compagnia al divano sventrato in salotto, e seguì le tracce dei mostri fino al bagno.

Appena aprì la porta, uno sciame di api uscì dalla porta e la rincorse per tutte le scale, fino a che non scappò in salotto, uscendo in giardino attraverso la portafinestra che – uh, non l’aveva notato ­ era stata scaraventata in giardino, lasciando un vuoto incolmabile tra giardino e salotto. Be’, la cosa positiva era che il buco sul soffitto che aveva creato suo marito, in maniera artistica per far vedere le stelline alla figlia minore, almeno era rimasto tappato. Peccato per il resto delle mura che pareva stesse per crollare da un momento all’altro.

Raggiunse a grandi falcate il marito che, ancora, se ne stava al sole come una lucertola e la fissò, quando la vide, con aria compiaciuta. Si portò davanti a lui con la schiuma alla bocca.

« Chi sono quei demoni?! »

« Loro son- »

« Lascia stare! Risolverò la situazione da me! » e sparì nuovamente dentro la casa, pestando i piedi sul terreno e creando delle voragini sul pavimento. Vegeta osservò il suo adorato fondoschiena sparire dentro casa e fece spallucce, tornando a sfidare il sole. Ancora non voleva dargliela vinta a quella bastarda di stella.



La scienziata non si arrese e, con un urlo di guerra, salì di corsa le scale fino ad arrivare alle camere: notò con orrore la cameretta di Bra che era una strage di peluche e bambole decapitate e squartate sul pavimento, mentre il letto aveva preso fuoco ed era, al tempo stesso, ricoperto di schiuma. La stanza di Trunks, invece, era sottosopra, nel senso che, in qualche modo, tutti i mobili e il letto pendevano dal soffitto, attaccati con quella che, o era colla, o non voleva sapere che sbobba fosse. Non si sa mai i teenagers che possono combinare quando sono in preda agli attacchi ormonali.

Sentì poi, d’improvviso, una nenia lugubre provenire da quella che, era sicura, fosse la stanza matrimoniale che condividevano lei e suo marito – o ex-marito, se presto non fosse venuto ad aiutarla invece di friggersi il cervello al sole. Si avvicinò lenta, schivando e superando di cadaveri di robot domestici che giacevano per terra, assieme a residui di cibo e... lamiere di metallo? Avevano distrutto pure i condotti dell’aria?

La nenia, si rese poi conto, si era trasformata in un party wild che, inaspettatamente, si stava svolgendo in camera da letto: con tutto il coraggio che aveva in corpo, sfondò la porta e si trovò davanti una schiera di fantasmi e demoni dell’aldilà che stavano facendo un party sul letto e sul pavimento, dipingendo la stanza di variopinti colori di morte e putrefazione. Boccheggiò qualche istante e poi urlò.

« Fuori di qui! » esclamò con furia, facendo voltare tutti i demoni ballerini verso di lei, i quali, resisi conto di avere davanti un demone peggiore di loro, se la diedero a gambe, sparendo in una nuvola di fumo. Urlò, quando vide due mostriciattoli sul letto, quello con i capelli glicine e quella che pareva una femminuccia con i capelli scuri a ciotolina, che stavano per baciarsi. Senza contare il fatto che il demone con i capelli a scodella indossava il suo abito di matrimonio.

« Viaaa! » urlò indignata, inseguendo i mostri per tutta la stanza, mentre questi sghignazzavano, inquietanti, fin fuori il corridoio.

Si apprestò a seguirli, fino a che non si trovò davanti tutti e quattro i demonietti che le ostacolavano la via di fuga. Afferrò alla cieca un pezzo di lamiera che giaceva a terra, pronta per difendersi dai mostri, anche se, constatò con orrore, loro erano in quattro e lei era sola.

Il demonietto più piccolo con i codini blu pareva quello più sveglio e si apprestò a morderla ad una gamba, ma Bulma si difese con il bastone e cercò di difendersi. Colpì con un colpo secco il mostriciattolo che aveva buttato da basso la terribile credenza della bisprozia, ma l’altro demonietto, con i capelli tremendamente simili a suo figlio, bloccò il bastone tra le mascelle e lo tagliò tra le affilate fauci.

Bulma gridò di terrore e cercò di farsi strada, colpendo a casaccio i piccoli demoni che, più che essere spaventati dalla donna, si erano arrampicati sul soffitto del corridoio e la fissavano a testa in giù, con la saliva che scendeva lentamente a terra dalla loro boccuccia deforme.

Quando uno dei demoni girò la testa per fissarla meglio negli occhi, storcendo terribilmente il collo di 360° gradi, il suo coraggio venne meno e mai fece così in fretta a correre per raggiungere l’ingresso della casa, dove soggiornavano Vegeta e la sua sfida.

Quando comparve sua moglie gli parve più pallida di un lenzuolo, ma non ne era sicuro, il sole gli aveva bruciacchiato le retine e lui aveva iniziato a vedere degli unicorni saltellare in giardino.

La donna si voltò, tremante, verso di lui. « M-ma… chi sono quei mostri? »

Vegeta parlò, sempre mantenendo la sua espressione compiaciuta: « Quelli sono i nostri figli quando non sono custoditi »

« C-come? » balbettò Bulma, arretrando barcollando.

Vegeta sorrise ancora, anche se guardò per qualche secondo il vuoto. Dannazione, non ci vedeva proprio, stupide retine, dove diamine si era messa la donna?

Quando individuò la sua voce e si orientò nello spazio-tempo, continuò. « Hai sentito bene… allora, pensi ancora che il mio lavoro sia inutile? »

Bulma emise un altro gemito al sentire un’esplosione provenire dal piano di sopra. Si voltò, arrabbiata, verso il marito che ancora faceva fatica a mettere a fuoco i dintorni. Che ironia, a guardare troppo il fuoco, ora non metteva più a fuoco.

« Perché non fai nulla e te ne stai qui?! » gli urlò, piccata.

« Perché esigo le tue scuse »

La donna sbuffò, portandosi una mano al ciuffo di capelli che era scivolato dal cerchietto, e si lisciò l’abito, o quello che ne rimaneva, visto che sembrava una scappata da Vietnam. Incrociarono entrambi le braccia al petto e fecero il muso. Lei si rifiutò di guardarlo in faccia, mentre lui, ancora, non la vedeva la sua faccia.

Ad una certa, finalmente, rimise a fuoco il mondo e la guardò, ancora con fare compiaciuto. Probabilmente a fine giornata il ghigno strafottente tenuto per ore gli avrebbe fatto venire un ascesso alla faccia.

Un improvviso boato li fece girare verso la casa e seguì qualche secondo di silenzio di troppo. Poi, un fischio assordante attirò la loro attenzione, portandola al cielo, e Bulma spalancò gli occhi al vedere una palla di lamiere che si stava dirigendo a tutta velocità verso di loro.

La palla si sfracellò al suolo dietro di loro e distrusse l’unica parte del giardino che era rimasta integra dalla devastazione, ossia il vialetto davanti casa e il marciapiede comunale.

E anche la Gravity Room aveva tratto il suo ultimo respiro.



Il Saiyan boccheggiò come un pesce fuor d’acqua a vedere la devastazione del suo giocattolo preferito e si portò una mano al petto, sentendosi il fiato corto, incerto se fosse il principio di un infarto o le costolette di maiale che ancora aveva sullo stomaco.

A tirar fuori entrambi dall’imbarazzo di dover parlare per primi per spiegare il perché i Saiyan cuccioli fossero la versione miniaturizzata di satana, si presentò con un bel sorriso Gohan che, come sempre alle cinque del pomeriggio, arrivava per portare a casa la sua adorata Pan e il suo meno adorato fratellino Goten con cui, da circa dieci anni, doveva condividere la quota ereditaria.

« Buongiorno… » sussurrò al vento, visto che gli occhidella coppia stavano ancora osservando i resti fumanti della stanza gravitazionale. « Wow… » bisbigliò, poi, osservando la desolazione che regnava tutt’intorno. Non che non vi fosse abituato, ma almeno l’assicurazione di casa Brief copriva tutti i danni. « Wow, è un unicorno quello? »

« Ora basta! » si animò, invece, il Principe dei Saiyan, « quei demoni hanno superato il limite! »

I tre fecero comunella in una piccola riunione improvvisata, per tirare fuori una strategia d’azione, ma, presto, dovettero fare i conti con la realtà: la situazione era peggiore del previsto. Probabilmente due dei mostriciattoli gozzovigliavano al piano di sopra, ma gli altri due avevano raggiunto il giardino posteriore e, se non li avessero fermati, la signora Brief avrebbe dovuto dire addio alla sua collezione di petunie, e tutto volevano, tranne che procurare un dispiacere alla signora Brief.

« Faremo così » iniziò, strategico Vegeta, nominato improvvisamente genitore esperto e responsabile. Un ruolo estremo e difficile da avere sulle spalle, ne erano consapevoli, ma nelle situazioni di emergenza, come quella che stavano vivendo in quel momento, avevano poca scelta.

« Entreremo in casa e saliremo cauti al piano superiore: una volta lì, io placherò le due bestie, addormentandole. Poi scenderemo in giardino, per avere a che fare con le altre due »

« Non ci sarà il rischio che le altre due, sentendo il nostro odore, ci raggiungano in casa, abbandonando il giardino? » domandò cauto Gohan, sistemandosi gli occhiali sul volto con fare impegnato ed intelligente.

« Questo potrebbe risultare a nostro favore, così non toccheranno le petunie. Nel caso ci circondassero, lasciate fare a me! »

Deciso il piano e acquisito un poco di coraggio, entrarono in casa.



La visione del salotto si presentò loro peggio di quanto Bulma ricordasse: il divano aveva stranamente smesso di bruciare, ma la credenza della bisprozia aveva un aspetto orribile. Anche se, a dire il vero, lo aveva sempre avuto.

Cercando di non respirare i fumi tossici che uscivano dalla cucina, salirono quatti quatti le scale, Vegeta davanti a dirigere il gruppo, Bulma in mezzo, mentre stringeva con agitazione il braccio del marito e Gohan in fondo, che scrutava attento i dintorni, alla ricerca di qualche minaccia come sua figlia o suo fratello. Dai, che magari era la volta buona che ereditasse tutta l’eredità.

Arrivati in corridoio, si fermarono davanti allo scricchiolio tenebroso della camera matrimoniale che si apriva, cigolando. Il nero che ne fuoriuscì non faceva sperare nulla di buono, soprattutto per il fatto che accendere la luce di giorno, quando fuori c’era il sole, era uno spreco fastidioso e poco rispettoso verso l’ambiente. E poi la luce naturale del sole faceva bene alla vista e alla pelle. Vegeta poteva confermarlo.

Il gruppetto si fermò immobile al centro del corridoio, proprio al davanti alla porta e i combattenti assunsero la posa d’attacco: Vegeta con il bastone del mocio tra le mani, Bulma con due ciabatte pronte a colpire e Gohan con il tubo per l’aspirapolvere acceso.

L’urlo di una delle creatura gelò l’aria e subito uscirono dal buio della caverna due demonietti, uno con i capelli glicine e l’altra con i capelli a ciotola neri: il gruppetto dei Ghostbusters tenne loro testa, cercando di resistere ai morsi dei dentini affilati dei mocciosi e Gohan aspirò con convinzione la faccia dei mostri dentro l’aspirapolvere, sperando di catturare lo spirito malefico che li stava assediando.

Ad un certo punto, però, non si rese conto di stare avvicinandosi troppo ai due mostri che, prima che Vegeta o Bulma potessero avvisarlo, lo afferrarono per le gambe e lo scaraventarono a terra e, come risucchiato da una voragine, venne trascinato verso il buio della stanza da letto, risucchiato dalle spire nere della luce spenta.

La coppia poté solo assistere, indifesa, alla scomparsa del loro amico dentro la camera, finché la porta non si chiuse dietro di lui, cigolando.

« Oh mio Kami, Vegeta! Hanno preso Gohan! Cosa facciamo? » s’impanicò Bulma, stringendosi a Vegeta, che la teneva stretta per la vita e impugnava una delle due ciabatte in mano, come un eroe con la sua spada insanguinata.

« Be’, non che sia una grande perdita »

Lo sguardo corrucciato di Bulma gli fece cambiare idea. Sbuffò: « D’accordo, andiamo in giardino! »

Scesero di corsa le scale ed uscirono dalla porta posteriore nel giardino.



Si dovettero nascondere ancora una volta, e optarono per rifugiarsi dietro la carcassa di uno degli alberi che i mocciosi, ‘stavolta tutti e quattro, avevano sradicato e gettato alla rinfusa vicino alle aiuole. La cosa positiva era che le petunie ancora stavano bene, ma non per molto, pensò, ansioso, Vegeta.

Entrambi guardarono meglio la scena dei mostricciattoli che urlavano e strepitavano ad un paio di metri da loro e notarono con orrore che, dai resti della GR, avevano costruito un razzo a propulsione sul quale, vi era legato ed imbavagliato Gohan che, con il tubo dell’aspirapolvere ancora in mano, cercava, invano, di liberarsi. Un enorme countdown in cima al razzo segnava i minuti che separavano il razzo dal lancio verso la Luna.

Probabilmente tutto quello era opera di Bra: la scienziata alzò gli occhi al cielo.

« Vedi che succede a viziare tua figlia? » bisbigliò rabbiosa, contro il marito « che crea i razzi spaziali! Te l’avevo detto di non regalarle quel libro sull’astrofisica applicata e tu che fai? Glielo regali! La stai viziando troppo! »

« D’accordo, Lascia che ci pensi io, tu seguimi, ma lascia parlare me! » rispose, invece, Vegeta, non facendo caso al tono astioso della compagna. « Ricordati solo alcune regole importanti. Dobbiamo seguirle alla lettera, altrimenti non saremo in grado di addomesticarli! »

Bulma annuì, ansiosa di liberarsi dalla situazione il prima possibile.

« Prima regola, guardali dritti negli occhi, così capiranno che sei tu il capobranco. Seconda regola, non alzare la voce, penseranno che tu possa piegarti alla loro volontà. Terza regola, non voltare mai loro le spalle, penseranno che tu sia debole! »

« Dove hai imparato queste regole? » chiese, stupita la donna.

« Da questo libro! »

« Ma questa è la guida pratica per l’addestramento dei cani! »

« Be’, è uguale »



Quando si avvicinarono al branco dei mostricciattoli che ballava e girava attorno alla preda che avevano catturato, i demonietti si misero sulla difensiva e iniziarono a ringhiare loro contro, ma Vegeta non tentennò un secondo e continuò ad avanzare cautamente in avanti, tenendo le braccia distese e le mani aperte e cercando di bilanciare i movimenti del gruppo, perché questo non uscisse dalla sua zona di controllo.

« Stai calmo, Trunks » affermò con tono deciso il Saiyan, avanzando passo per passo, con la moglie dietro la schiena.

La forma indemoniata e non custodita di Trunks ringhiò e ruggì di rimando, cercando di acquistare terreno, ma senza successo. Il piccolo e poco adorabile Goten – almeno in quel momento – che stava dietro di lui, si aprì in un sorriso di dentini affilati e cercò di fare lo stesso di Trunks, tentando di mordere il principe.

« No, Goten, cattivo! » gridò Bulma, ma Vegeta l’interruppe subito, allarmato.

« Ferma, Bulma, così farai il loro gioco! Va’ a liberare Gohan! »

Mentre la moglie era indaffarata nel cercare di liberare il figlio del Son, Vegeta portò sul sguardo sui tre demonietti che gli stavano davanti. Trunks ancora cercava di avanzare ed era il più coraggioso del gruppo, anche se, davanti al suo passo deciso, stava iniziando a tentennare; Goten era un poco più incauto, ma meno resiliente e dopo un altro tentativo di assaggiare la sua gamba, era rimasto indietro, quasi con la coda tra le gambe. Pan, invece, poco più in là, aveva abbandonato la noce di cocco che stava sgranocchiando e si era concentrata sui suoi movimenti decisi e più che arrabbiata, pareva curiosa, ma, per fortuna, troppo cauta per avvicinarsi.

« Calmo, Trunks » riferì ancora una volta, cercando di calmare il più forte dei tre, quando si rese conto che… uno… due… tre… dov’era il quarto?

« Dov’è vostra sorella? »

Alla sua destra, due occhietti azzurro ghiaccio accompagnati da un basso e famelico ringhio lo fecero guardare nella siepe accanto. A quanto pare Bra aveva scelto la posizione più nascosta e comoda per attaccare.

« Bambina perspicace… » sogghignò.

Il demonietto azzurro uscì con un balzo dalla siepe e si posizionò davanti al gruppo che, al completo, parve assumere di nuovo forza e si oppose con più coraggio al suo controllo, facendolo arretrare verso Bulma e Gohan, ancora legato come un salame al razzo, del cui countdown a quanto pare, tutti se ne stavano fregando.

« Vegeta! » gridò, spaventata la donna. Vegeta, vedendo che la situazione gli stava sfuggendo dalle mani, prese, allora, una decisione estrema.

« Non vi permetterò di lanciare Gohan sulla Luna! » affermò deciso verso il branco che ancora ringhiava, rabbioso, verso di loro.

« Sarà solo uno di voi a farlo »

« Cosa!? » esclamò Bulma.

« Hmmph!? » esclamò Gohan che, aspirapolvere alla mano, era ancora imbavagliato e legato al razzo per la Luna.

Anche i demonietti si erano fermati alle sue parole e lo guardarono con fare curioso.

« E lascerò che siate voi a deciderlo, lottando tra di voi » concluse, infine, il Saiyan, portandosi le braccia al petto.

Passò qualche secondo di silenzio in cui risuonò solo il countdown del razzo, finché i quattro demoni non si osservarono tra di loro e, guardandosi improvvisamente in cagnesco, iniziarono a ringhiarsi l’uno contro l’altro. In poco tempo, il branco si dissolse in una lotta intestina, in cui ognuna delle parti lottava per avere la supremazia sull’altra.

Bulma lo raggiunse con passo incerto, osservando incredula la scena.

« Sei sicuro che funzionerà? »

« Ma certo, stai a guardare » e fece nuovamente la conta: « tre… due… uno… »

Come allo scoccare delle lancette dell’orologio che segna la mezzanotte, i quattro demonietti improvvisamente avevano smesso di lottare e, accasciati a terra l’uno sull’altra, dopo aver ripreso le loro sembianze umane, Trunks, Goten, Pan e Bra, dormivano dolcemente, sfiniti dalla lotta.

« Dovevo solo far terminare loro le energie e presto si sarebbero addormentati come angioletti » fece il Saiyan, allargando le braccia e il sorriso.

A Bulma brillarono gli occhi e si gettò tra le braccia del marito, travolgendolo in un bacio focoso, anche se, probabilmente, Vegeta ne aveva abbastanza di fuochi quel giorno.

Il loro bacio focoso e romantico li distrasse, però, da un piccolo dettaglio importante e il countdown del razzo finì e il boato del razzo li travolse.

Si ritrovarono, così, a fissare il cielo, in cui la scia bianca del razzo verso la Luna strisciava perpendicolare, per raggiungere le somme vette dell’atmosfera e andare a precipitare sul satellite.

Ops.

Sarebbero dovuti andare a recuperare Gohan, ma almeno la loro assicurazione copriva anche gli incidenti sulla Luna.





The End





Angolo dell’autrice

Non avevo propriamente in mente di tornare con una Sbavatura, ma avevo troppa voglia di scrivere qualche scemenza. Spero che questa storiellina possa rallegrare la quarantena di tutti voi :)

Purtroppo ultimamente bazzico poco per questi lidi e ci sono un sacco di storie belle che ho da recuperare, quindi spero di farmi sentire al più presto!

Intanto, vi ringrazio se siete arrivati fino a qui e se mi farete sapere che ne pensate, grazie mille! Un abbraccio forte forte, a due metri di distanza!

A presto,

Zappa

iGrazie all’ego di Tony Stark

iiGrazie a Darth Vader, per la gentile comparsa

iiiCit. Le Follie dell’Imperatore

   
 
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